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Autore: Silice    23/06/2010    3 recensioni
Mel è al primo anno di università. Mel è disordinata, sarcastica, pigra e terrorizzata dai ragni. Mel si è appena iscritta a un contest di Harry Potter, senza pensarci troppo. Mel non ha idea di che cosa le sta per accadere. Voi come vi comportereste se un affascinante biondo si presentasse senza preavviso sul vostro balcone? Non aveva nulla da fare. Con un imbarazzante entusiasmo, e guardandosi attorno sperando come per controllare che nessuno la stesse osservando mentre compiva un gesto così ignobile, aprì un nuovo documento Word. Non lo intitolò, per scaramanzia. Non era superstiziosa, ma sapeva che i titoli messi ancor prima di cominciare non erano mai quelli giusti.
Iniziò a scrivere.
“Draco
Fu in quel momento che qualcosa picchiò violentemente sulla finestra della cucina.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2 – NICE TO MEET YOU

 

There's a wild wind blowing,
Down the corner of my street
Every night there the headlights are glowing

There’s a cold war coming,
On the radio I heard
Baby it's a violent world

Oh love don't let me go
Won't you take me where the streetlights glow
I could hear it coming
I could hear the sirens sound
Now my feet won't touch the ground

Time came a-creepin'
Oh and time's a loaded gun
Every road is a ray of light
It goes o-o-on
Time only can lead you on
Still it's such a beautiful night

Oh love don't let me go
Won't you take me where the streetlights glow
I could hear it coming
Like a serenade of sound
Now my feet won't touch the ground

Gravity release me,
And don’t ever hold me down
Now my feet won't touch the ground.

 

(Coldplay, “Life in technicolor”)

 

 

Mel si avvicinò piano alla finestra. Una volta aveva sentito dire da una vicina che un piccione si era spiaccicato sul vetro della finestra del suo bagno al quarto piano, ma non le aveva dato ascolto. Nessuno credeva mai alla vecchia Signora Menini, che viveva lassù ormai da vent’anni, senza mai uscire se non per fare la spesa, e che ogni volta, alle riunioni di condominio, raccontava le storie più improbabili e strampalate.

Ora però, non sapeva più a cosa credere. Camminando sulle punte, afferrò un mestolo, per precauzione, stringendolo con entrambe le mani. Non era sicura che i piccioni potessero farle davvero male, ma non si poteva mai essere abbastanza certi.

Camminando sulle dita dei piedi, si avvicinò al vetro. Nella cucina c’erano due finestre, una più piccola, da cui era provenuto il rumore, l’altra che permetteva l’accesso al balcone, che dava sul cortile interno. Portando le mani e il mestolo dietro la testa, come una novella James Bond, gettò un’occhiata alla finestra piccola.

Non riuscì a credere ai suoi occhi. Qualcuno, dall’altra parte del vetro, era appeso alle inferriate, praticamente penzolando nel vuoto.

Mel, senza pensarci due volte, lasciò cadere il mestolo sul pavimento e schizzò sul balcone che, fortunatamente, si trovava proprio affianco alla finestra più piccola. Dapprima non aveva fatto per nulla attenzione a chi era attaccato alla finestra, se non alle sue mani bianche e ossute, tese per lo sforzo. Quando però uscì sul balcone, senza neanche rendersene conto si ritrovò lì a fissare un ragazzo che stava annaspando in cerca di una via d’uscita da una brutta situazione. Era biondo, alto e pallido. Era vestito tutto di nero, come se avesse dovuto presentarsi a un evento formale piuttosto che a uno sport estremo come l’arrampicata alle finestre del terzo piano.

“Ehi, tu.”

Mel si riscosse, al suono della voce strascicata del ragazzo. Era evidente che stava facendo uno sforzo inimmaginabile a rimanere lì appeso senza cadere, e finora lei era rimasta solo a fissarlo, basita. Si sporse sul mancorrente e allungò le braccia, prendendolo per i vestiti, o meglio, per quello che sembrava un mantello.

“Devi.. devi spostare i piedi. Qui.” Il ragazzo non rispose, senza fiato per lo sforzo. Tentò di spostare i piedi di lato, e finalmente riuscì ad appoggiarli sul bordo esterno del balcone.

“Ora…” Mel non sapeva bene come fare. Se avesse mollato la presa, sarebbe sicuramente caduto di sotto. Afferrò il busto del ragazzo e lo circondò con le braccia, sperando con tutto il cuore di avere abbastanza forza per reggere il peso di entrambi.

“Molla. Vai.” Anche la sua voce, ora, suonava affaticata. Il ragazzo sembrò soppesare per un attimo le possibilità che aveva, ma, non vedendo alcuna alternativa, mollò la presa.

Rimase per un attimo in bilico, e Mel chiuse gli occhi, per non assistere alla caduta. Quando li riaprì, si accorse che il ragazzo aveva afferrato con entrambe le mani il mancorrente, e che era ancora, con suo enorme sollievo, tutto intero.

Rimase per qualche istante lì, a tenerlo per i lembi del mantello, mentre riacquistava lentamente l’uso delle braccia. Senza neanche pensarci mollò la presa, e si ritrasse, senza smettere di fissare lo sconosciuto. Voleva urlare, chiamare qualcuno, ma le parole le morirono in bocca. L’aveva già visto da qualche parte, ne era certa.

Il ragazzo, approfittando del momento di confusione di Mel, scavalcò senza troppa fatica il mancorrente, e con un fluido movimento delle gambe si ritrovò di fronte alla ragazza. Solo allora Mel si rese conto di essere sul suo balcone, con uno sconosciuto che aveva appena provato a suicidarsi o, peggio, ad entrare in casa sua, senza essere stato invitato.

Con quello che sperava fosse un rapido movimento si voltò e rientrò veloce in casa, chiudendosi la porta alle spalle. Le sue mani erano sudate, e continuava a roteare gli occhi in direzione del balcone, con la paura che lo sconosciuto potesse da un momento all’altro balzarle addosso e azzannarla. Cercò di richiamare alla mente tutto ciò che sapeva riguardo all’autodifesa, che si riassumeva in tre misere lezioni al liceo, e aveva il sospetto che le sarebbe stato ben poco d’aiuto.

Balzò in un attimo verso il telefono, tentando nello stesso momento di captare i rumori che sembravano provenire dal balcone. Forse lo sconosciuto stava spaccando il vetro, pensò. O tirando fuori una pistola. O un bazooka.

Roteò gli occhi in tutta la stanza, ma del telefono nessuna traccia. Com’era possibile? Corse verso il soggiorno, ma sembrava essersi volatilizzato, sparito nel nulla.

Maledetto cordless, pensò.

Tornò in cucina, ma, presa dalla foga, andò a sbattere nella porta. Una fitta dolorosa le attraversò la testa, così come sentì il piede accusare il colpo ricevuto. Così, tenendosi una mano sulla fronte e saltellando su un piede solo, con le lacrime agli occhi, giunse al tavolo, dove si trovava il computer.

“Ehi!!”

Mel si voltò verso il balcone. Il ragazzo era ancora lì, ma adesso aveva le mani appoggiate al vetro e lo sguardo non sembrava più concentrato e teso, ma in qualche modo spaventato, almeno quanto quello di lei.

La consapevolezza di ciò la colse impreparata. Perché un possibile malvivente era impaurito da lei?

“Ehi!” urlò di nuovo il ragazzo, questa volta sbattendo i palmi sulla porta-finestra.

“Chi sei? Dove sono?”

Per un istante rimase basita, e non riuscì a balbettare una risposta.

“Come chi sono? Chi sei tu!” urlò, ma si accorse che la sua voce non suonava convinta come aveva sperato. Forse era dato dal fatto che un ragazzo biondo che si era magicamente materializzato sul suo balcone le stava chiedendo chi era, ma lei in quel momento si sentiva incredibilmente confusa.

Il ragazzo la guardò. Sembrava ancora più confuso di lei, la sua voce e il suo volto erano stravolti dallo spavento e dall’angoscia, e continuava  a lanciare occhiate all’interno della casa e fuori, come se stesse aspettando l’arrivo di un’imminente catastrofe.

“Fammi entrare.” La sua voce suonò incredibilmente autoritaria, come se fosse stato abituato a comandare. Qualcosa, in quel tono, le fece paura, e lei riprese la sua incessante ricerca del telefono.

“Dai fammi entrare. Non voglio farti del male.” Mel guardò il ragazzo, che alzò le braccia come per dire che era disarmato. Sembrava che gli fosse costato tantissimo assicurarle che non aveva cattive intenzioni, a giudicare dallo sguardo ben poco amichevole che le rivolgeva. Tuttavia, per un qualche motivo sconosciuto, a Mel sembrò sincero.

La ragazza si fermò, nel centro della stanza, fissando la figura che si stagliava di fronte alla sua finestra.

“Ti faccio entrare, ma solo se mi dici chi sei e che cavolo ci fai sul mio balcone.”

Sembrava una semplice richiesta di informazioni, non un interrogatorio a un potenziale omicida.

Il ragazzo sbuffò, come se rispondere a quelle domande fosse per lui un compito gravoso. Sembrava ancora turbato, ma aveva riacquistato una parte del suo autocontrollo.

“Ok, calma. Non sono qui per farti del male.” Fissò Mel, in attesa di una sua reazione. Dato che la ragazza non muoveva un muscolo, continuò.

“Non ho idea di cosa ci faccio qui. So solo che in un attimo mi sono ritrovato appeso a ‘ste ringhiere, senza sapere come c’ero arrivato.” Mentre diceva queste cose, si rese conto da solo che non avevano senso, a giudicare dalla sua espressione, del tutto simile a quella di Mel, che lo guardava perplessa.

“Mi chiamo Draco.”

Il cuore di Mel si fermò. Tutto sembrava vorticare velocemente nella sua testa. Appoggiò la mano sul tavolo, per sostenersi.

Draco.

Prese qualche respiro, quando si accorse che l’aria stava venendo a mancare. Il suo cervello aveva smesso di funzionare, ma quando pian piano riprese a connettere, osservò a lungo il ragazzo: la statura, i capelli biondi, quasi albini, le mani bianche e ossute, gli occhi di ghiaccio… tutto sembrava confermarlo.

“Ehi! Ehi tu! Che hai?” Si riscosse, vedendo che il ragazzo batteva le mani sul vetro e la guardava con ansia. Sicuramente non aveva una bella cera, e i suoi arti sembravano come intorpiditi, quando si avvicinò alla finestra.

Appoggiò le mani sulla maniglia, prese un respiro profondo e aprì.

Il ragazzo, in meno di un attimo, si riversò nella cucina, travolgendola. Sicuramente stare al freddo e alla pioggia non gli era piaciuto e, una volta entrato, le rivolse uno sguardo ben poco cordiale, mentre tastava freneticamente il mantello alla ricerca di qualcosa.

Mel era rimasta in silenzio a fissarlo, finché lui non alzò la testa, amareggiato.

“Che cosa vuoi da me, eh? Di chi sei al servizio?” Il ragazzo sbottò nella sua direzione, avvicinandosi a lei, per sovrastarla approfittando della bassa statura della ragazza.

“Sei una del Ministero?” I suoi occhi di ghiaccio la scrutarono. Mel riusciva a leggervi aggressività, ma sicuramente anche una certa paura.

“Quando mio padre lo saprà…” Il biondo si voltò, come in preda a un’insana pazzia.

“Dove sono? Dov’è la mia bacchetta?”

Fino a quel momento, Mel non aveva detto una parola. Strinse i pugni e si apprestò ad affrontare ciò che ancora non riusciva a credere.

“Ascolta. Non so che cosa ci fai qui, in casa mia. Io non sono proprio nessuno, niente Ministero, magia e bacchette.”

Aspettò che lui si calmasse, e che il suo petto riacquistasse il regolare ritmo del respiro, poi continuò.

Nessuno dei due sapeva esattamente cosa dire. La situazione era talmente irreale che Mel non riusciva a darsi una spiegazione. Sicuramente, era tutta una presa in giro, e si chiese se fosse per caso il primo di Aprile, per poi ricordarsi che era Maggio. Qualcosa, tuttavia, le suggeriva che era tutto vero. Forse l’aria spaventata e irata di lui, forse il tremore delle sue gambe.

“Ok senti questa è una brutta situazione.” Incominciò lei, senza muoversi.

“Siediti. Non voglio farti del male.”

Si concesse un millesimo di secondo per pensare al paradosso di lei che rassicurava un possibile mago oscuro, poi gli indicò una sedia con un gesto della mano.

Il ragazzo non si mosse.

“Se davvero non sai chi sono e cosa ci faccio qui, perché mi hai fatto entrare? Le chiese sospettoso. “Se sei una nemica di mio padre, io non c’entro nulla.”

“No, Lucius non c’entra niente. Io non ho idea del perché tu sia qui.”

Appena pronunciate quelle parole, capì di aver fatto un errore. Il ragazzo le si avvicinò con evidenti cattive intenzioni e lei, arretrando, afferrò il mestolo che aveva lasciato sul pavimento.

“Come fai a sapere che mio padre si chiama Lucius? Cosa sai di me?” Urlava, e non aveva intenzione di fermarsi. “Che cosa vuoi da me?”

Mel era davvero impaurita, ma non aveva intenzione di arretrare ancora.

“Calmati. Non so nulla di te, tranne quello che ho letto nel libro.”

L’espressione furiosa del ragazzo lasciò il posto all’incredulità.

“Che libro? Avete pure un libro su di me?”

“No, nessuno su di te. Non ho un fico secco su di te, imbecille. L’ho letto nel libro di Harry Potter.” L’aveva fatto di nuovo. Quando si sentiva minacciata, Mel si lasciava andare all’aggressività, che nel suo caso si esprimeva per lo più attraverso insulti verbali, che non miglioravano mai la situazione.

“Avete un libro anche sullo Sfregiato?”

Quella conversazione stava prendendo decisamente una brutta piega, e Mel capì che era il momento di essere più comprensiva e di cercare di appianare la situazione.

“Ok ascolta. Siediti e cerchiamo di dare un senso alla situazione.”

Il biondo sembrava dubbioso.

“Fidati di me.” Aggiunse Mel, sperando che la sua voce sembrasse quanto più convincente e rassicurante, quanto era nelle possibilità di una ragazza chiusa in casa con un potenziale maniaco omicida, che per giunta si spacciava per un personaggio di un libro, per di più un personaggio oscuro e spregevole.

“E perché mai dovrei? Mi hai portato qui contro la mia volontà.”

Mel sbuffò. Non si ricordava che nel libro fosse così stupido.

“Io non ti ho portato da nessuna parte. E credo che dovresti proprio fidarti di me,” si allontanò dal ragazzo, si sedette e gli indicò la sedia di fronte a sé. “semplicemente perché non hai scelta.”

Mel lo fissò intensamente. Che incredibile somiglianza… anche l’espressione vagamente incazzata era esattamente quella che lei si immaginava. Stettero in silenzio per qualche minuto, semplicemente a fissarsi in silenzio.

“Vuoi dirmi dove sono o no?”

“Prima dimmi come ti chiami e che ci fai qui.”

Mel era decisa. Se era un impostore, o un pericoloso delinquente, l’avrebbe scoperto.

“Dimmelo tu.”

“Senti. Questa è casa mia, e le domande le faccio io, se non vuoi che chiami la polizia e ti faccia arrestare.” Disse, alzandosi. Fingere di sapere esattamente dov’era il telefono e di avere il coltello dalla parte del manico le era parsa la sua migliore possibilità.

Il ragazzo non disse una parola e Mel si stupì che le avesse creduto così facilmente. Aspettò qualche secondo, poi cominciò.

“Dunque. Come ti chiami?”

“Sono sicuro che lo sai meglio di me, e in più te l’ho già detto.” Il ragazzo le rivolse una smorfia sprezzante. “Draco Malfoy.”

Mel tentò di ignorare il senso d’annebbiamento che la colse, per la seconda volta, all’improvviso, sperando che il ragazzo non si fosse accorto di nulla.

“Ok.” Strinse un lembo della tovaglia nelle mani, mentre si risedeva. “Mi sembra di aver capito che tu non sai perché sei qui, giusto?”

Il sedicente Draco annuì debolmente.

“Cosa… cosa stavi facendo quando ti sei ritrovato sul balcone?” Fare queste domande le sembrava assolutamente surreale.

Il biondo sembrò soppesare cosa rispondere.

“Ero nella Sala Grande. Stavo mangiando mentre ripassavo Pozioni.” Disse, laconico.

Il silenzio piombò nella cucina. Mel tentò di superare il senso di irrealtà che la circondava, l’atmosfera di sogno, o di incubo, in cui si sentiva immersa, e cercò di considerare le varie ipotesi. Fondamentalmente, le possibili spiegazioni dell’accaduto erano due: o si trattava effettivamente di un impostore molto bravo con i travestimenti, oppure…

Improvvisamente, il telefono squillò. Mel sobbalzò sulla sedia, si alzò, e avanzò cauta verso il lavello, da cui proveniva il rumore. Che ci faceva il telefono lì? Non perse molto tempo a chiederselo: il ragazzo si era alzato dalla sedia, di nuovo tastandosi il mantello alla ricerca di qualcosa che, come adesso Mel sospettava, doveva essere una bacchetta. I suoi movimenti erano frenetici, e ogni tanto lanciava un’occhiata all’oggetto che Mel aveva appena riesumato dal lavello, che ancora squillava.

“Calma.” Mel di augurò che la sua voce suonasse abbastanza tranquilla. “Non è pericoloso. Siediti.”

Il ragazzo, sempre fissando il telefono che Mel teneva in mano, si sedette.

La ragazza, tenendo gli occhi fissi sul biondo, avvicinò il ricevitore all’orecchio e rispose.

“Pronto?”

“Pronto Mel!! Qui è fantastico non sai che ti sei persa!! C’è qui Rob che sta sboccando nel cestino del pane…”

“Marghe.” La voce di Mel si riempì di sollievo. “Maghe, ti prego, vieni qui. Ho bisogno di aiuto.”

Mel sentì che l’amica si allontanava dal caos del locale.

“Mel tutto bene? Che succede?”

La ragazza guardò il biondo, che non smetteva di fissarla un secondo.

“Non posso spiegarti qui al telefono... va tutto bene, ma vieni presto.”

“Arrivo subito. Dammi dieci minuti.”

Finita la conversazione, Mel posò il telefono sul tavolo e si sedette.

Nessuno dei due diceva nulla, ma ogni tanto la ragazza gettava un’occhiata all’orologio appeso alla parete, sperando che l’amica arrivasse presto.

“Tu… Tu sei una Babbana.”

Quella del ragazzo era una constatazione, non una domanda.

Mel decise di assecondarlo. Era la scelta migliore, sia che fosse effettivamente un personaggio di un libro, o nel caso che fosse semplicemente un pazzo maniaco, come lei era più propensa a credere.

“Sì, sono una Babbana.”

“E allora come hai fatto a portarmi qui?”

Mel sospirò. “Te lo ripeto un’ultima volta. Non so come tu sia arrivato qui, e sicuramente non era un mio desiderio.”

Il ragazzo sembrò soppesare la verità contenuta in quell’affermazione, poi continuò.

“Come ti chiami?”

Mel fissò di nuovo l’orologio. Erano passati solo cinque minuti. Doveva prendere tempo.

“Puoi chiamarmi Mel.”

Il biondo alzò un sopracciglio.

“Cosa vuol dire puoi chiamarmi Mel? Non hai un nome?”

“Sì che ce l’ho un nome.” Rispose lei, acida. “Solo che Mel mi piace di più.”

Il ragazzo sembrò sul punto di replicare, poi lasciò perdere.

In quell’esatto istante si sentì un rumore provenire dall’esterno della cucina. Mel tirò un sospiro di sollievo, trattenuto un po’, tuttavia: ormai, la ragazza non sapeva più che aspettarsi.

Mel si alzò, e mentre lo faceva, la porta della cucina si aprì.

“Mel! Stai bene?” Una ragazza alta e mora le gettò le braccia al collo.

“Sì, benissimo, tranquilla.” rispose lei, con aria stanca.

“Grazie al cielo, suonavi così preoccupata, non sapevo che stava… Ah!” Margherita fece un piccolo balzo sul posto, non appena vide il ragazzo biondo seduto al tavolo.

“E lui chi è?” spostò lo sguardo un paio di volte da Mel al ragazzo, e viceversa.

Mel sospirò, nervosamente. “Questo è il punto.”

Marghe non fece caso allo strano tono della sua voce. Tese la mano, pronta a stringere quella del ragazzo straordinariamente affascinante che si trovava di fronte. I suoi lineamenti e la sua espressione preoccupata si addolcirono un poco, e il suo volto si aprì in un sorriso ammaliante. Mel avrebbe giurato che aveva bevuto qualche birra di troppo.

“Piacere, Margherita.”

Il biondo guardò la mano, insicuro sul significato di quel gesto. Senza muoversi, rispose con voce fredda e dura.

“Draco Malfoy. E non è un piacere.”

Silenzio. Con incredibile lentezza, Margherita girò la testa verso l’amica. Era visibilmente spaventata, e sembrava incerta sul da farsi.

“Mel…” La sua voce palesava tutta la sua insicurezza. “Posso parlarti un attimo… in privato?”

Mel roteò gli occhi, indicando l’intera cucina. “Non credo che sia una buona idea. Qua ci sono tante cose…”

Se qualcuno avesse ascoltato la loro conversazione, non avrebbe capito molto. Mel sperò che l’amica capisse che non potevano lasciare lo sconosciuto in una stanza piena di coltelli e oggetti potenzialmente letali.

Margherita sembrò capire, ma non accennò a calmarsi. Si sedette al posto che prima aveva occupato l’amica, vinta dal tremore che le attanagliava le gambe.

“Come… come?” Le parole non venivano con facilità, e Mel riusciva a capirla.

“Non lo so.”

“Hai chiamato la…?”

“No. Non trovavo il telefono.”

“Che aspetti?”

Margherita voltò la testa verso lo sconosciuto, e gli rivolse un rapido sorriso. Mel non indugiò nella riflessione sulla comicità della situazione: difficilmente, se il biondo avesse capito ciò di cui stavano parlando, avrebbe rinunciato alle sue possibili cattive intenzioni solo perché Margherita gli aveva rivolto un fugace sorriso.

Già, perché sto aspettando? Si chiese Mel. Non era sicura di voler sapere la risposta.

“Marghe…” Mel esitava, dubbiosa su come l’avrebbe presa l’amica. “C’è qualcosa di strano qui. Forse… forse è vero.”

L’amica strabuzzò gli occhi. L’oggetto del loro discorso si mosse nuovamente sulla sedia, e fissò Mel con attenzione.

“Cosa è vero?”

“Che è Draco Malfoy.”

Margherita si lasciò andare a una risata nervosa.

“Sì, e io sono Mary Poppins.” Si voltò verso il ragazzo. “Senza offesa.”aggiunse.

Il biondo non sembrava capire molto di cosa stavano dicendo.

“Beh, lei almeno ha avuto il fegato di dire il suo nome, Mel.” Disse, acido.

Marghe si voltò, senza parole.

“Vedi? È quello che sto cercando di dire… Lui non ha idea di cosa stiamo parlando. Credeva che potessi fargli male con il telefono! E poi guarda com’è vestito!”

“Magari è un bravo attore.” Replicò Marghe. Entrambe le ragazze osservavano il ragazzo come se fosse uno spettacolo particolarmente interessante e curioso.

“Mi ha chiesto se ero una Babbana.”

“Chiunque abbia letto Harry Potter può farlo.”

“L’ho trovato appeso al balcone. Nessuno potrebbe farlo così, dal nulla.

“Tu cosa? Lui dov’era?” Margherita era sbalordita. Riprendendo il controllo, replicò: “Può sempre essersi calato giù dal tetto. Magari ha un complice che l’ha aiutato.”

Mel pensò che la sua amica era davvero un osso duro, specialmente quando doveva convincerla di una cosa di cui non era affatto sicura lei stessa.

“Beh, guardalo!” La sua voce salì di tono. “Parla come farebbe lui, il suo atteggiamento, la postura sono esattamente quelli descritti nel libro… e poi il suo aspetto è esattamente quello che io mi immaginavo per lui. In ogni particolare.”

Margherita appoggiò una mano alla testa e si massaggiò la tempia.

“Ok, va bene.” Appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo e guardò il biondo negli occhi.

“Quanti anni hai?” chiese, direttamente allo sconosciuto.

Il biondo sembrò esitare qualche momento, ma, sapendo di non aver scelta, rispose.

“Diciotto.”

“A che anno sei di Hogwarts?”

Il biondo sbuffò. “Il settimo. L’ultimo.”

“Queste sono troppo facili.” Margherita riflettè per qualche istante, mentre Mel ascoltava con attenzione.

“In quale animale sei stato trasformato al quinto anno?”

Il biondo fece una smorfia. “In un furetto. Sto bastardo di Moody…”

“Qual è il tuo professore preferito?”

Il ragazzo si concesse qualche momento per rispondere. Era evidente che non capiva la ragione di quell’interrogatorio.

“Beh, direi Piton, anche se ultimamente credo che si sia rammollito un po’. Quella che ho apprezzato di più è stata la Umbridge.” Il suo volto si distese in un rapido sorriso. “Lei sì che aveva capito come far funzionare le cose…”

Margherita non commentò.

“Ultima domanda: chi ti ha steso con un pugno al terzo anno?”

Il biondo si agitò sulla sedia, innervosito e leggermente adirato. “Nessuno, naturalmente.”

La mora si voltò lentamente verso l’amica, pensierosa. Il suo volto si aprì in un debole sorriso.

“Cavolo, sembra proprio lui.”

  
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