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– NICE TO MEET YOU
There's a wild wind blowing,
Down the corner of my street
Every night there the headlights are glowing
There’s a cold war coming,
On the radio I heard
Baby it's a violent world
Oh love don't let me go
Won't you take me where the streetlights glow
I could hear it coming
I could hear the sirens sound
Now my feet won't touch the ground
Time came a-creepin'
Oh and time's a loaded gun
Every road is a ray of light
It goes o-o-on
Time only can lead you on
Still it's such a beautiful night
Oh love don't let me go
Won't you take me where the streetlights glow
I could hear it coming
Like a serenade of sound
Now my feet won't touch the ground
Gravity release me,
And don’t ever hold me down
Now my feet won't touch the ground.
(Coldplay,
“Life in technicolor”)
Mel
si avvicinò piano alla finestra. Una volta aveva sentito
dire da una vicina che
un piccione si era spiaccicato sul vetro della finestra del suo bagno
al quarto
piano, ma non le aveva dato ascolto. Nessuno credeva mai alla vecchia
Signora
Menini, che viveva lassù ormai da vent’anni, senza
mai uscire se non per fare
la spesa, e che ogni volta, alle riunioni di condominio, raccontava le
storie
più improbabili e strampalate.
Ora
però, non sapeva più a cosa credere. Camminando
sulle punte, afferrò un
mestolo, per precauzione, stringendolo con entrambe le mani. Non era
sicura che
i piccioni potessero farle davvero male, ma non si poteva mai essere
abbastanza
certi.
Camminando
sulle dita dei piedi, si avvicinò al vetro. Nella cucina
c’erano due finestre,
una più piccola, da cui era provenuto il rumore,
l’altra che permetteva
l’accesso al balcone, che dava sul cortile interno. Portando
le mani e il
mestolo dietro la testa, come una novella James Bond, gettò
un’occhiata alla
finestra piccola.
Non
riuscì a credere ai suoi occhi. Qualcuno,
dall’altra parte del vetro, era
appeso alle inferriate, praticamente penzolando nel vuoto.
Mel,
senza pensarci due volte, lasciò cadere il mestolo sul
pavimento e schizzò sul
balcone che, fortunatamente, si trovava proprio affianco alla finestra
più
piccola. Dapprima non aveva fatto per nulla attenzione a chi era
attaccato alla
finestra, se non alle sue mani bianche e ossute, tese per lo sforzo.
Quando
però uscì sul balcone, senza neanche rendersene
conto si ritrovò lì a fissare
un ragazzo che stava annaspando in cerca di una via d’uscita
da una brutta
situazione. Era biondo, alto e pallido. Era vestito tutto di nero, come
se
avesse dovuto presentarsi a un evento formale piuttosto che a uno sport
estremo
come l’arrampicata alle finestre del terzo piano.
“Ehi,
tu.”
Mel
si riscosse, al suono della voce strascicata del ragazzo. Era evidente
che stava
facendo uno sforzo inimmaginabile a rimanere lì appeso senza
cadere, e finora
lei era rimasta solo a fissarlo, basita. Si sporse sul mancorrente e
allungò le
braccia, prendendolo per i vestiti, o meglio, per quello che sembrava
un
mantello.
“Devi..
devi spostare i piedi. Qui.” Il ragazzo non rispose, senza
fiato per lo sforzo.
Tentò di spostare i piedi di lato, e finalmente
riuscì ad appoggiarli sul bordo
esterno del balcone.
“Ora…”
Mel non sapeva bene come fare. Se avesse mollato la presa, sarebbe
sicuramente
caduto di sotto. Afferrò il busto del ragazzo e lo
circondò con le braccia,
sperando con tutto il cuore di avere abbastanza forza per reggere il
peso di
entrambi.
“Molla.
Vai.” Anche la sua voce, ora, suonava affaticata. Il ragazzo
sembrò soppesare
per un attimo le possibilità che aveva, ma, non vedendo
alcuna alternativa,
mollò la presa.
Rimase
per un attimo in bilico, e Mel chiuse gli occhi, per non assistere alla
caduta.
Quando li riaprì, si accorse che il ragazzo aveva afferrato
con entrambe le mani
il mancorrente, e che era ancora, con suo enorme sollievo, tutto intero.
Rimase
per qualche istante lì, a tenerlo per i lembi del mantello,
mentre riacquistava
lentamente l’uso delle braccia. Senza neanche pensarci
mollò la presa, e si
ritrasse, senza smettere di fissare lo sconosciuto. Voleva urlare,
chiamare
qualcuno, ma le parole le morirono in bocca. L’aveva
già visto da qualche
parte, ne era certa.
Il
ragazzo, approfittando del momento di confusione di Mel,
scavalcò senza troppa
fatica il mancorrente, e con un fluido movimento delle gambe si
ritrovò di
fronte alla ragazza. Solo allora Mel si rese conto di essere sul suo
balcone,
con uno sconosciuto che aveva appena provato a suicidarsi o, peggio, ad
entrare
in casa sua, senza essere stato invitato.
Con
quello che sperava fosse un rapido movimento si voltò e
rientrò veloce in casa,
chiudendosi la porta alle spalle. Le sue mani erano sudate, e
continuava a
roteare gli occhi in direzione del balcone, con la paura che lo
sconosciuto
potesse da un momento all’altro balzarle addosso e
azzannarla. Cercò di
richiamare alla mente tutto ciò che sapeva riguardo
all’autodifesa, che si
riassumeva in tre misere lezioni al liceo, e aveva il sospetto che le
sarebbe
stato ben poco d’aiuto.
Balzò
in un attimo verso il telefono, tentando nello stesso momento di
captare i
rumori che sembravano provenire dal balcone. Forse lo sconosciuto stava
spaccando il vetro, pensò. O tirando fuori una pistola. O un
bazooka.
Roteò
gli occhi in tutta la stanza, ma del telefono nessuna traccia.
Com’era
possibile? Corse verso il soggiorno, ma sembrava essersi volatilizzato,
sparito
nel nulla.
Maledetto
cordless,
pensò.
Tornò
in cucina, ma, presa dalla foga, andò a sbattere nella
porta. Una fitta
dolorosa le attraversò la testa, così come
sentì il piede accusare il colpo
ricevuto. Così, tenendosi una mano sulla fronte e
saltellando su un piede solo,
con le lacrime agli occhi, giunse al tavolo, dove si trovava il
computer.
“Ehi!!”
Mel
si voltò verso il balcone. Il ragazzo era ancora
lì, ma adesso aveva le mani
appoggiate al vetro e lo sguardo non sembrava più
concentrato e teso, ma in
qualche modo spaventato, almeno quanto quello di lei.
La
consapevolezza di ciò la colse impreparata.
Perché un possibile malvivente era
impaurito da lei?
“Ehi!”
urlò di nuovo il ragazzo, questa volta sbattendo i palmi
sulla porta-finestra.
“Chi
sei? Dove sono?”
Per
un istante rimase basita, e non riuscì a balbettare una
risposta.
“Come
chi sono? Chi sei tu!” urlò, ma si accorse che la
sua voce non suonava convinta
come aveva sperato. Forse era dato dal fatto che un ragazzo biondo che
si era
magicamente materializzato sul suo balcone le stava chiedendo chi era,
ma lei
in quel momento si sentiva incredibilmente confusa.
Il
ragazzo la guardò. Sembrava ancora più confuso di
lei, la sua voce e il suo
volto erano stravolti dallo spavento e dall’angoscia, e
continuava a
lanciare occhiate all’interno della casa e
fuori, come se stesse aspettando l’arrivo di
un’imminente catastrofe.
“Fammi
entrare.” La sua voce suonò incredibilmente
autoritaria, come se fosse stato
abituato a comandare. Qualcosa, in quel tono, le fece paura, e lei
riprese la
sua incessante ricerca del telefono.
“Dai
fammi entrare. Non voglio farti del male.” Mel
guardò il ragazzo, che alzò le
braccia come per dire che era disarmato. Sembrava che gli fosse costato
tantissimo assicurarle che non aveva cattive intenzioni, a giudicare
dallo
sguardo ben poco amichevole che le rivolgeva. Tuttavia, per un qualche
motivo
sconosciuto, a Mel sembrò sincero.
La
ragazza si fermò, nel centro della stanza, fissando la
figura che si stagliava
di fronte alla sua finestra.
“Ti
faccio entrare, ma solo se mi dici chi sei e che cavolo ci fai sul mio
balcone.”
Sembrava
una semplice richiesta di informazioni, non un interrogatorio a un
potenziale
omicida.
Il
ragazzo sbuffò, come se rispondere a quelle domande fosse
per lui un compito
gravoso. Sembrava ancora turbato, ma aveva riacquistato una parte del
suo
autocontrollo.
“Ok,
calma. Non sono qui per farti del male.” Fissò
Mel, in attesa di una sua
reazione. Dato che la ragazza non muoveva un muscolo,
continuò.
“Non
ho idea di cosa ci faccio qui. So solo che in un attimo mi sono
ritrovato
appeso a ‘ste ringhiere, senza sapere come c’ero
arrivato.” Mentre diceva
queste cose, si rese conto da solo che non avevano senso, a giudicare
dalla sua
espressione, del tutto simile a quella di Mel, che lo guardava
perplessa.
“Mi
chiamo Draco.”
Il
cuore di Mel si fermò. Tutto sembrava vorticare velocemente
nella sua testa.
Appoggiò la mano sul tavolo, per sostenersi.
Draco.
Prese
qualche respiro, quando si accorse che l’aria stava venendo a
mancare. Il suo
cervello aveva smesso di funzionare, ma quando pian piano riprese a
connettere,
osservò a lungo il ragazzo: la statura, i capelli biondi,
quasi albini, le mani
bianche e ossute, gli occhi di ghiaccio… tutto sembrava
confermarlo.
“Ehi!
Ehi tu! Che hai?” Si riscosse, vedendo che il ragazzo batteva
le mani sul vetro
e la guardava con ansia. Sicuramente non aveva una bella cera, e i suoi
arti
sembravano come intorpiditi, quando si avvicinò alla
finestra.
Appoggiò
le mani sulla maniglia, prese un respiro profondo e aprì.
Il
ragazzo, in meno di un attimo, si riversò nella cucina,
travolgendola.
Sicuramente stare al freddo e alla pioggia non gli era piaciuto e, una
volta
entrato, le rivolse uno sguardo ben poco cordiale, mentre tastava
freneticamente il mantello alla ricerca di qualcosa.
Mel
era rimasta in silenzio a fissarlo, finché lui non
alzò la testa, amareggiato.
“Che
cosa vuoi da me, eh? Di chi sei al servizio?” Il ragazzo
sbottò nella sua
direzione, avvicinandosi a lei, per sovrastarla approfittando della
bassa
statura della ragazza.
“Sei
una del Ministero?” I suoi occhi di ghiaccio la scrutarono.
Mel riusciva a
leggervi aggressività, ma sicuramente anche una certa paura.
“Quando
mio padre lo saprà…” Il biondo si
voltò, come in preda a un’insana pazzia.
“Dove
sono? Dov’è la mia bacchetta?”
Fino
a quel momento, Mel non aveva detto una parola. Strinse i pugni e si
apprestò
ad affrontare ciò che ancora non riusciva a credere.
“Ascolta.
Non so che cosa ci fai qui, in casa mia. Io non sono proprio nessuno,
niente
Ministero, magia e bacchette.”
Aspettò
che lui si calmasse, e che il suo petto riacquistasse il regolare ritmo
del
respiro, poi continuò.
Nessuno
dei due sapeva esattamente cosa dire. La situazione era talmente
irreale che
Mel non riusciva a darsi una spiegazione. Sicuramente, era tutta una
presa in
giro, e si chiese se fosse per caso il primo di Aprile, per poi
ricordarsi che
era Maggio. Qualcosa, tuttavia, le suggeriva che era tutto vero. Forse
l’aria
spaventata e irata di lui, forse il tremore delle sue gambe.
“Ok
senti questa è una brutta situazione.”
Incominciò lei, senza muoversi.
“Siediti.
Non voglio farti del male.”
Si
concesse un millesimo di secondo per pensare al paradosso di lei che
rassicurava un possibile mago oscuro, poi gli indicò una
sedia con un gesto
della mano.
Il
ragazzo non si mosse.
“Se
davvero non sai chi sono e cosa ci faccio qui, perché mi hai
fatto entrare? Le
chiese sospettoso. “Se sei una nemica di mio padre, io non
c’entro nulla.”
“No,
Lucius non c’entra niente. Io non ho idea del
perché tu sia qui.”
Appena
pronunciate quelle parole, capì di aver fatto un errore. Il
ragazzo le si
avvicinò con evidenti cattive intenzioni e lei, arretrando,
afferrò il mestolo
che aveva lasciato sul pavimento.
“Come
fai a sapere che mio padre si chiama Lucius? Cosa sai di me?”
Urlava, e non
aveva intenzione di fermarsi. “Che cosa vuoi da me?”
Mel
era davvero impaurita, ma non aveva intenzione di arretrare ancora.
“Calmati.
Non so nulla di te, tranne quello che ho letto nel libro.”
L’espressione
furiosa del ragazzo lasciò il posto
all’incredulità.
“Che
libro? Avete pure un libro su di me?”
“No,
nessuno su di te. Non ho un fico secco su di te, imbecille.
L’ho letto nel
libro di Harry Potter.” L’aveva fatto di nuovo.
Quando si sentiva minacciata,
Mel si lasciava andare all’aggressività, che nel
suo caso si esprimeva per lo
più attraverso insulti verbali, che non miglioravano mai la
situazione.
“Avete
un libro anche sullo Sfregiato?”
Quella
conversazione stava prendendo decisamente una brutta piega, e Mel
capì che era
il momento di essere più comprensiva e di cercare di
appianare la situazione.
“Ok
ascolta. Siediti e cerchiamo di dare un senso alla
situazione.”
Il
biondo sembrava dubbioso.
“Fidati
di me.” Aggiunse Mel, sperando che la sua voce sembrasse
quanto più convincente
e rassicurante, quanto era nelle possibilità di una ragazza
chiusa in casa con
un potenziale maniaco omicida, che per giunta si spacciava per un
personaggio
di un libro, per di più un personaggio oscuro e spregevole.
“E
perché mai dovrei? Mi hai portato qui contro la mia
volontà.”
Mel
sbuffò. Non si ricordava che nel libro fosse così
stupido.
“Io
non ti ho portato da nessuna parte. E credo che dovresti proprio
fidarti di
me,” si allontanò dal ragazzo, si sedette e gli
indicò la sedia di fronte a sé.
“semplicemente perché non hai scelta.”
Mel
lo fissò intensamente. Che incredibile
somiglianza… anche l’espressione
vagamente incazzata era esattamente quella che lei si immaginava.
Stettero in
silenzio per qualche minuto, semplicemente a fissarsi in silenzio.
“Vuoi
dirmi dove sono o no?”
“Prima
dimmi come ti chiami e che ci fai qui.”
Mel
era decisa. Se era un impostore, o un pericoloso delinquente,
l’avrebbe
scoperto.
“Dimmelo
tu.”
“Senti.
Questa è casa mia, e le domande le faccio io, se non vuoi
che chiami la polizia
e ti faccia arrestare.” Disse, alzandosi. Fingere di sapere
esattamente dov’era
il telefono e di avere il coltello dalla parte del manico le era parsa
la sua
migliore possibilità.
Il
ragazzo non disse una parola e Mel si stupì che le avesse
creduto così
facilmente. Aspettò qualche secondo, poi cominciò.
“Dunque.
Come ti chiami?”
“Sono
sicuro che lo sai meglio di me, e in più te l’ho
già detto.” Il ragazzo le
rivolse una smorfia sprezzante. “Draco Malfoy.”
Mel
tentò di ignorare il senso d’annebbiamento che la
colse, per la seconda volta,
all’improvviso, sperando che il ragazzo non si fosse accorto
di nulla.
“Ok.”
Strinse un lembo della tovaglia nelle mani, mentre si risedeva.
“Mi sembra di
aver capito che tu non sai perché sei qui, giusto?”
Il
sedicente Draco annuì debolmente.
“Cosa…
cosa stavi facendo quando ti sei ritrovato sul balcone?” Fare
queste domande le
sembrava assolutamente surreale.
Il
biondo sembrò soppesare cosa rispondere.
“Ero
nella Sala Grande. Stavo mangiando mentre ripassavo Pozioni.”
Disse, laconico.
Il
silenzio piombò nella cucina. Mel tentò di
superare il senso di irrealtà che la
circondava, l’atmosfera di sogno, o di incubo, in cui si
sentiva immersa, e
cercò di considerare le varie ipotesi. Fondamentalmente, le
possibili
spiegazioni dell’accaduto erano due: o si trattava
effettivamente di un
impostore molto bravo con i travestimenti, oppure…
Improvvisamente,
il telefono squillò. Mel sobbalzò sulla sedia, si
alzò, e avanzò cauta verso il
lavello, da cui proveniva il rumore. Che ci faceva il telefono
lì? Non perse
molto tempo a chiederselo: il ragazzo si era alzato dalla sedia, di
nuovo
tastandosi il mantello alla ricerca di qualcosa che, come adesso Mel
sospettava, doveva essere una bacchetta. I suoi movimenti erano
frenetici, e
ogni tanto lanciava un’occhiata all’oggetto che Mel
aveva appena riesumato dal
lavello, che ancora squillava.
“Calma.”
Mel di augurò che la sua voce suonasse abbastanza
tranquilla. “Non è
pericoloso. Siediti.”
Il
ragazzo, sempre fissando il telefono che Mel teneva in mano, si
sedette.
La
ragazza, tenendo gli occhi fissi sul biondo, avvicinò il
ricevitore
all’orecchio e rispose.
“Pronto?”
“Pronto
Mel!! Qui è fantastico non sai che ti sei persa!!
C’è qui Rob che sta sboccando
nel cestino del pane…”
“Marghe.”
La voce di Mel si riempì di sollievo. “Maghe, ti
prego, vieni qui. Ho bisogno
di aiuto.”
Mel
sentì che l’amica si allontanava dal caos del
locale.
“Mel
tutto bene? Che succede?”
La
ragazza guardò il biondo, che non smetteva di fissarla un
secondo.
“Non
posso spiegarti qui al telefono... va tutto bene, ma vieni
presto.”
“Arrivo
subito. Dammi dieci minuti.”
Finita
la conversazione, Mel posò il telefono sul tavolo e si
sedette.
Nessuno
dei due diceva nulla, ma ogni tanto la ragazza gettava
un’occhiata all’orologio
appeso alla parete, sperando che l’amica arrivasse presto.
“Tu…
Tu sei una Babbana.”
Quella
del ragazzo era una constatazione, non una domanda.
Mel
decise di assecondarlo. Era la scelta migliore, sia che fosse
effettivamente un
personaggio di un libro, o nel caso che fosse semplicemente un pazzo
maniaco,
come lei era più propensa a credere.
“Sì,
sono una Babbana.”
“E
allora come hai fatto a portarmi qui?”
Mel
sospirò. “Te lo ripeto un’ultima volta.
Non so come tu sia arrivato qui, e
sicuramente non era un mio desiderio.”
Il
ragazzo sembrò soppesare la verità contenuta in
quell’affermazione, poi
continuò.
“Come
ti chiami?”
Mel
fissò di nuovo l’orologio. Erano passati solo
cinque minuti. Doveva prendere
tempo.
“Puoi
chiamarmi Mel.”
Il
biondo alzò un sopracciglio.
“Cosa
vuol dire puoi chiamarmi Mel? Non
hai
un nome?”
“Sì
che ce l’ho un nome.” Rispose lei, acida.
“Solo che Mel mi piace di più.”
Il
ragazzo sembrò sul punto di replicare, poi lasciò
perdere.
In
quell’esatto istante si sentì un rumore provenire
dall’esterno della cucina.
Mel tirò un sospiro di sollievo, trattenuto un
po’, tuttavia: ormai, la ragazza
non sapeva più che aspettarsi.
Mel
si alzò, e mentre lo faceva, la porta della cucina si
aprì.
“Mel!
Stai bene?” Una ragazza alta e mora le gettò le
braccia al collo.
“Sì,
benissimo, tranquilla.” rispose lei, con aria stanca.
“Grazie
al cielo, suonavi così preoccupata, non sapevo che
stava… Ah!” Margherita fece
un piccolo balzo sul posto, non appena vide il ragazzo biondo seduto al
tavolo.
“E
lui chi è?” spostò lo sguardo un paio
di volte da Mel al ragazzo, e viceversa.
Mel
sospirò, nervosamente. “Questo è il
punto.”
Marghe
non fece caso allo strano tono della sua voce. Tese la mano, pronta a
stringere
quella del ragazzo straordinariamente affascinante che si trovava di
fronte. I
suoi lineamenti e la sua espressione preoccupata si addolcirono un
poco, e il
suo volto si aprì in un sorriso ammaliante. Mel avrebbe
giurato che aveva
bevuto qualche birra di troppo.
“Piacere,
Margherita.”
Il
biondo guardò la mano, insicuro sul significato di quel
gesto. Senza muoversi,
rispose con voce fredda e dura.
“Draco
Malfoy. E non è un piacere.”
Silenzio.
Con incredibile lentezza, Margherita girò la testa verso
l’amica. Era
visibilmente spaventata, e sembrava incerta sul da farsi.
“Mel…”
La sua voce palesava tutta la sua insicurezza. “Posso
parlarti un attimo… in
privato?”
Mel
roteò gli occhi, indicando l’intera cucina.
“Non credo che sia una buona idea.
Qua ci sono tante cose…”
Se
qualcuno avesse ascoltato la loro conversazione, non avrebbe capito
molto. Mel
sperò che l’amica capisse che non potevano
lasciare lo sconosciuto in una
stanza piena di coltelli e oggetti potenzialmente letali.
Margherita
sembrò capire, ma non accennò a calmarsi. Si
sedette al posto che prima aveva
occupato l’amica, vinta dal tremore che le attanagliava le
gambe.
“Come…
come?” Le parole non venivano con facilità, e Mel
riusciva a capirla.
“Non
lo so.”
“Hai
chiamato la…?”
“No.
Non trovavo il telefono.”
“Che
aspetti?”
Margherita
voltò la testa verso lo sconosciuto, e gli rivolse un rapido
sorriso. Mel non
indugiò nella riflessione sulla comicità della
situazione: difficilmente, se il
biondo avesse capito ciò di cui stavano parlando, avrebbe
rinunciato alle sue
possibili cattive intenzioni solo perché Margherita gli
aveva rivolto un fugace
sorriso.
Già,
perché sto aspettando? Si
chiese Mel. Non era sicura di voler sapere la risposta.
“Marghe…”
Mel esitava, dubbiosa su come l’avrebbe presa
l’amica. “C’è qualcosa di
strano
qui. Forse… forse è vero.”
L’amica
strabuzzò gli occhi. L’oggetto del loro discorso
si mosse nuovamente sulla
sedia, e fissò Mel con attenzione.
“Cosa
è vero?”
“Che
è Draco Malfoy.”
Margherita
si lasciò andare a una risata nervosa.
“Sì,
e io sono Mary Poppins.” Si voltò verso il
ragazzo. “Senza offesa.”aggiunse.
Il
biondo non sembrava capire molto di cosa stavano dicendo.
“Beh,
lei almeno ha avuto il fegato di dire il suo nome, Mel.”
Disse, acido.
Marghe
si voltò, senza parole.
“Vedi?
È quello che sto cercando di dire… Lui non ha
idea di cosa stiamo parlando.
Credeva che potessi fargli male con il telefono! E poi guarda
com’è vestito!”
“Magari
è un bravo attore.” Replicò Marghe.
Entrambe le ragazze osservavano il ragazzo
come se fosse uno spettacolo particolarmente interessante e curioso.
“Mi
ha chiesto se ero una Babbana.”
“Chiunque
abbia letto Harry Potter può farlo.”
“L’ho
trovato appeso al balcone. Nessuno potrebbe farlo così, dal
nulla.
“Tu
cosa? Lui dov’era?” Margherita era sbalordita.
Riprendendo il controllo,
replicò: “Può sempre essersi calato
giù dal tetto. Magari ha un complice che
l’ha aiutato.”
Mel
pensò che la sua amica era davvero un osso duro,
specialmente quando doveva
convincerla di una cosa di cui non era affatto sicura lei stessa.
“Beh,
guardalo!” La sua voce salì di tono.
“Parla come farebbe lui, il suo
atteggiamento, la postura sono esattamente quelli descritti nel
libro… e poi il
suo aspetto è esattamente quello che io mi immaginavo per
lui. In ogni
particolare.”
Margherita
appoggiò una mano alla testa e si massaggiò la
tempia.
“Ok,
va bene.” Appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo e
guardò il biondo negli occhi.
“Quanti
anni hai?” chiese, direttamente allo sconosciuto.
Il
biondo sembrò esitare qualche momento, ma, sapendo di non
aver scelta, rispose.
“Diciotto.”
“A
che anno sei di Hogwarts?”
Il
biondo sbuffò. “Il settimo.
L’ultimo.”
“Queste
sono troppo facili.” Margherita riflettè per
qualche istante, mentre Mel
ascoltava con attenzione.
“In
quale animale sei stato trasformato al quinto anno?”
Il
biondo fece una smorfia. “In un furetto. Sto bastardo di
Moody…”
“Qual
è il tuo professore preferito?”
Il
ragazzo si concesse qualche momento per rispondere. Era evidente che
non capiva
la ragione di quell’interrogatorio.
“Beh,
direi Piton, anche se ultimamente credo che si sia rammollito un
po’. Quella
che ho apprezzato di più è stata la
Umbridge.” Il suo volto si distese in un
rapido sorriso. “Lei sì che aveva capito come far
funzionare le cose…”
Margherita
non commentò.
“Ultima
domanda: chi ti ha steso con un pugno al terzo anno?”
Il
biondo si agitò sulla sedia, innervosito e leggermente
adirato. “Nessuno,
naturalmente.”
La
mora si voltò lentamente verso l’amica,
pensierosa. Il suo volto si aprì in un
debole sorriso.
“Cavolo,
sembra proprio lui.”