Al mondo non c'è coraggio e non c'è paura, ci sono solo coscienza e incoscienza. La coscienza è paura, l'incoscienza è coraggio.
Vienna, 1700
Piove qui a Vienna, il sole ha
smesso di sorgere per tutti, non solo per i vampiri. Anche se, per
alcuni di noi, il sole sorge ancora. Sono i cosiddetti "figli
dell'oro" e non se ne trovano molti in giro. Io e mio fratello
siamo fra questi.
Non mi piace il sole, sinceramente. Invece Lucas
lo adora, ama soprattutto l'alba, esce spesso a vederla.
In quel
momento invece eravamo entrambi nel suo studio, stavamo leggendo un
quotidiano, un articolo di prima pagina: "Morta dopo l'ingresso
in società". Raccontava di una ragazza, Mary Jane Black,
trovata morta dopo il suo ballo di debutto in società, la
morte era
misteriosa, più o meno.: decapitata e la gola dilaniata,
come se non
bastasse che le avevano tagliato la testa. E questa non era la
prima... era la parente più vicina al nostro ramo
genealogico.
-Non
è possibile Jared, dobbiamo fare qualcosa, subito!- disse
Lucas
sottovoce, con tono minaccioso, in modo che solo io potessi sentirlo.
-Lo so Lucas, ma cosa?- risposi. Avevamo un'idea su chi fosse la
causa di tutto questo ma non osavo pensarci, mi faceva troppo male.
Possibile che Elisabeth potesse fare ciò? L'immagine
scarlatta del
suo viso perfetto mi attraversò la mente facendomi salire la
nausea.. quel viso pallido coperto di liquido caldo, color rubino,
così tanto bramato, con gli occhi verdi illuminati
da un
sinistro bagliore, un sorriso malvagio e beffardo deformava la sua
bocca delicata.. Scacciai quell'immagine dalla mia mente prima che di
venirne sopraffatto.
-Prima di tutto, scoprire chi è e dov'è, in
parte però sappiamo già la risposta-
continuò Lucas, moderando il
suo tono, ora che si stava calmando mentre esponeva le sue domande,
le sue risposte e i suoi eventuali piani, ammesso sempre che ne
avesse, non era mica sicuro che ci avesse già pensato,
bisognava
agire con molta cautela affinchè i nostri nomi non
apparissero
neanche per sbaglio o avremmo dovuto dare troppe spiegazioni per non
far venire dei dubbi.
Noi avevamo sempre mantenuto i contatti con
la nostra vera famiglia, via lettere e anche con qualche visita
durante l'anno, non avevamo alcun problema a farci vedere. La nostra
famiglia infatti tramandava la nostra storia di padre in figlio, non
chiedetemi perchè, li faceva sentir speciali, comunque
sapevano che
eravamo vampiri, ma per loro non era importante cosa fossimo, per
loro eravamo parte della famiglia, ci volevano bene.. e non
perchè
eravamo affascinanti o ricchi o principi da rispettare.
Noi ci
eravamo affezionati a loro. E qualcuno ce li stava portando via uno
dopo l'altro. Non potevo davvero accettare che la causa di tutto
ciò
fosse realmente lei, lei che aveva perso la sua famiglia, che dopo
secoli ancora faceva trasparire il suo dolore se qualcuno ne evocava
il ricordo che cercava di sopprimere.
Ma forse mi aggrappavo a
tutte queste scuse perchè sentivo per lei un sentimento che
non
voleva accettare la realtà dei fatti: la sua vendetta era
iniziata.
Lucas si avvicinò, sedendosi di fianco a me e
stingendomi una mano affettuosamente.
-Lo so che non lo accetterai
mai Jared, ma è la verità, devi aprirli quei tuoi
occhi
ghiacciati!- disse con un sussurro comprensivo, osservandomi quasi
preoccupato... o forse pienamente preoccupato, non riuscivo a
decifrargli le emozioni che esprimeva il più delle volte.
Sorrisi
triste mentre continuavo a fissare la finestra e la pioggia che
scendeva imparziale, cieca, che non provava pietà per quei
poveri
barboni malati che sotto la pioggia dormivano, trovando sulla loro
strada la morte senza compassione.
Avevo paura di alzare gli
occhi, di guardare mio fratello e di fargli vedere il mio dissidio
interiore, la mia lotta fra la verità e il ritratto che mi
ero fatto
di Elisabeth.. l'avevo idealizzata troppo, pensavo che solo
perchè
aveva sofferto non avrebbe fatto soffrire, quando il più
delle volte
il dolore rende crudeli e privi di cuore. Elisabeth era fra quelli
che il dolore aveva reso di pietra, senza più un'emozione
che
smuovesse quell'anima priva di vita.
In ogni caso di fronte a mio
fratello mi sentivo fin troppo scoperto, sembrava che lui leggesse
ogni mia occhiata, ogni mia espressione, mi capiva come se riuscisse
a leggermi nel pensiero. Non per nulla però era mio fratello
maggiore.
-Mi piacerebbe solo che la verità fosse diversa! Ma non
posso ignorare che succede qui- asserii con un sospiro. Sarà
tutto
diverso d'ora in avanti, dovevo iniziare a fare i conti con la
realtà, qualsiasi essa fosse, dovevo fare una scelta e
quella era la
mia famiglia.
-Dobbiamo trovarla- continuai voltandomi e fissando
mio fratello.
-Non sarà difficile Jad-
* * *
Parigi, 1700
-Dannazione, non è possibile!- esclamò
Elisabeth con il volto
distorto da una rabbia crescente, che la divorava da dentro, che le
faceva perdere qualsiasi autocontrollo, una rabbia a cui
è
impossibile resistere. La rabbia che nasce dal dolore e dalla
sconfitta. *
Rosalie si trovava a passare quando sentì
l'esclamazione dura e quasi urlata della sua padrona, perchè
si
comportava così se non ne aveva motivo? Poi proprio
lei che ci
teneva così tanto alla disciplina e alla
tranquillità, era sempre
così pacifica e sorridente..
Preoccupata entrò nella
stanza senza bussare, facendo capolino dalla porta bianca, osservando
la dama come non l'aveva mai vista. In quell'abito turchese sembrava
un angelo omicida, con i biondi riccioli che ricadevano scomposti
sulle spalle, ciocche che uscivano dall'acconciatura che li legava
sul capo.
-Mademoiselle, serve qualco...-
-Fuori di qui!
SUBITO!- urlò la donna dagli occhi lampeggianti, voltandosi
verso la
povera cameriera che si ritirò con ancora più
dubbi e
preoccupazioni di prima.
-Non è possibile... NON PUO' ESSERE
POSSIBILE!- urlò appena la porta si richiuse. Non voleva
credere a
quel che le si presentava davanti, non poteva davvero crederci.. Lei,
Elisabeth, stava cadendo verso il fondo, ma non vedeva il modo di
risalire e ritornare sulla vetta del monte. Doveva riuscirci!
Le
mani che stringevano uno degli animali di cristallo che ornavano le
sue mensole, quelle mani lo stringevano troppo forte per non
scalfirlo. Una nuova ondata di furore irrazionale la investì
e
soffocando un urlo scaraventò il piccolo e fragile oggetto
verso lo
specchio che si trovava all'angolo della stanza, infrangendo anche
quello e, da un solo cielo azzurro, ora quei frammenti d'argento e
vetro riflettevano decine di nuvole tutte uguali che viaggiavano
contemporaneamente verso una direzione comune.
Forse è meglio
calmarmi un po'
Aprì la porta con un po' troppa forza per non
farla sbattere più volte senza che si chiudesse ma non se ne
curò,
proseguendo verso le scale e scendendo di sotto, nella sala vicina
all'ingresso, decorata da tappezzeria chiara, per illuminare la
stanza rettangolare, piena di scaffali e occupata da un bellissimo
pianoforte bianco e lucido, che regnava sovrano in quella stanza
dalle mille sfaccettature di luce.
Elisabeth entrò lentamente, e
altrettanto lentamente si sedette di fronte al pianoforte,
osservandolo e accarezzando i tasti bianchi e neri, color avorio e
onice, e posando le sue mani sulla tastiera iniziò
a suonare
una delle melodie che conosceva meglio, che più riuscivano a
rilassarla, che più la calmavano, perchè riusciva
ad entrare
all'interno delle note, assorbendo quella calma che la musica voleva
trasmettere. Lasciava che le mani corressero sui tasti in una veloce
corsa alle note, creando ritmi furiosi o tranquilli, lenti o veloci,
seguendo l'andamento del suo umore, evitando di pensare a qualcosa di
diverso dalla musica.
Iniziò a riversare tutte le sue emozioni,
soprattutto tutte le sue paure, ammesso che ne avesse, nelle dita
così che mutassero quei sentimenti in quella passione che
guida la
melodia. Perché per lei la musica era quello, uno sfogo
dell'anima,
così come lo era il disegno e la pittura, perché
non vi è mai
mente razionale che potrà interpretare ciò che il
musicista esprime
attraverso le sue note.
Fu interrotta dopo un po' da una Rosalie
timorosa e titubante, con gli occhi scuri bassi e il capo chino che
però ogni tanto si alzava a guardare quella ragazza perfetta
che
sedeva al piano suonando della musica perfetta.
-Cosa c'è- asserì
Elisa senza voltarsi e senza smettere di suonare, il tono calmo e
pacifico, come lei voleva che fosse sempre.
-Ehm... un certo
Cavendish chiede di voi mademoiselle-
-Fatelo entrare- le ordinò
inespressiva alla cameriera, senza smuoversi dalla sua occupazione e
senza distrarsi ulteriormente. Chiuse gli occhi e un ricordo le
occupò la mente sgombra... un vicolo di Londra molto tempo
prima, la
luna piena che le sfiorava la pelle diafana e un ragazzo che le
sistemava le ultime ciocche che fuoriuscivano dallo chignon, un
ragazzo dai capelli ramati e gli occhi cioccolato, vestito di velluto
scuro...
-Sempre bravissima- commentò ironica una voce tenorile
alle sue spalle, mentre l'uomo si avvicinava alla ragazza sedendosi
di fianco a lei sullo sgabello di fronte il piano.
-Sempre
il solito idiota- commentò lei noncurante del giovane che le
stava
accanto.
-E anche sempre il solito malizioso- ribattè lui
sfiorandole il collo con la mano fredda e baciandoglielo
dolcemente ma senza passione. Gli erano mancati quei baci all'inizio
come gli era mancata la sua presenza, il suo voler aver ragione, i
suoi racconti e i suoi propositi di vendetta verso quel signore
sgarbato o quel depravato ubriaco e drogato. Era parte di lei e forse
era la cosa più affascinante di quella donna così
dannatamente
bella.. il non sapere mai cosa le passasse per la testa.
Lei si
staccò velocemente, smettendo di suonare, alzandosi e
andando alla
finestra, osservando quel che succedeva fuori da quelle mura
così
estese che la separavano dalla vita che si svolgeva indifferente
vicino a lei. Era fuggita da quel ragazzo, letteralmente, cosa che
non avrebbe mai pensato di fare. Il ricordo riaffiorò di
nuovo ed un
brivido le percorse la schiena mentre pensava che per quanto tempo
potesse passare le passioni si affievoliscono ma non muoiono, l'aveva
provato con il principe austriaco ed ora quelle lontane passioni
riaffioravano.. e tutto con un semplicissimo contatto delle sue
labbra con la sua pelle!
-Cosa sei venuto a fare Daniel?- chiese
poi voltandosi e accennando ad un sorriso. Non gli dispiaceva in
fondo che era venuto, qualunque motivo fosse.
-Volevo vederti, mi
trovo a Parigi per affari ed ho saputo che eri qui e, sinceramente,
mi mancavi, Londra non è la stessa con te, sai?-
commentò lui
avvicinandosi alla ragazza che lo aveva stregato molti anni prima.
No, non era la stessa, non lo era più stata.
Le prese una mano e
la baciò come per salutarla, ancora non lo aveva fatto
infatti, e la
riaccompagnò lungo il suo fianco. Sentiva quei gesti di
costume cos'
freddi per loro, sapeva che non avevano significato con un passato
come il loro alle spalle, ma non gli importava se poteva sfiorarla.
Anzi si azzardò a cingerle la sottile vita con le sue
braccia
vestite di seta e cotone. Lei non gli sfuggì come voleva
fare, ma
rimase lì a fissarlo atona, celando dentro di sè
quei sentimenti
che sentiva riaffiorare dal suo cuore privo di vita.. Perchè
dicevano che il cuore è la sede dell'anima? Il suo era morto
eppure
un'anima viveva nel suo corpo, dannata, certo, ma pur sempre un'anima
no?
-Affari, affari, quando mai non parli di affari? In ogni caso
Londra sarà migliore senza di me-
-Non è vero.. o forse
sì, in ogni caso, come stai?-
-Vorrei stare meglio. Hai letto il
giornale Daniel?- chiese lei e senza aspettare una risposta si
spostò
verso un divanetto poco lontano e gli lanciò un giornale
austriaco
con scritto in tedesco "Morta dopo l'ingresso in
società".
-E'
questa la causa del tuo malumore?- chiese il giovane rosso mentre sul
suo viso si dipingeva un'espressione spaesata, senza capire subito.
Ma poi ricollegò, mentre ricordava una discussione avuta con
la
giovane donna molti anni prima.. mentre gli raccontava com'era stata
trasformata in una vampira, e la sua unica lettera recente, quella
dove gli diceva delle sue ultime scoperte.
-Ha a che fare con il
tipo viennese?- chiese nuovamente con tono duro, pretendendo una
risposta.
-Sì, qualcuno mi sta rubando il lavoro e non lo
tollero!- sbottò la ragazza voltandosi verso Daniel e un
fuggevole
lampo d'isteria le riattraversò gli occhi smeraldini.
-Troverai
un modo per vendicarti se lo vuoi davvero-
-Ho un motivo in più
per farlo ora che c'è qualcuno che mi limita il lavoro-
iniziò per
poi fermarsi un attimo, -ho intenzione di tornare a Londra- concluse
poggiandosi al tavolino che le stava dietro.
-Ah sì e perche?!-
esclamò il giovane sbigottito.. perchè a Londraa,
di nuovo?
-Voglio
incontrare Lucille, nulla mi fa pensare che i Black non siano
convinti che sia io l'omicida, e quanto vorrei che fosse vero!-
rispose lei semplicemente e concludendo la frase con un leggero
sospiro. Conosceva i due fratelli, sapeva che gli aveva dato modo ad
entrambi di sospettare di lei e sapeva che loro l'avrebbero fermata
ad ogni costo.. voleva vedere la ragazzina prima di finire in un
rogo, ammesso che ci sarebbe finita ovviamente!
-Sei sicura di
esser pronta?- chiese lui avvicinandosi e posandole una mano sulla
spalla piccola e delicata.
-Sì, in fondo non corro
rischi-
-Se non quello che lei di detesti per ciò che hai deciso
di fare- l'ammonì affettuoso. Aveva paura per lei, le era
troppo
affezionato.
-Correrò il rischio, per ora devo capire se i Black
mi cercano o meno- commentò lei iniziando a
pensare a come
avrebbero potuto agire i due principi a cui i mezzi per indagare non
mancavano affatto, disponendo della polizia reale a loro
piacimento.
-Ehm.. a proposito.. sono a Parigi- si azzardò a
sussurrare il giovane. Era per quello che era andato alla fin dei
conti, per avvertirla che erano lì, ed ora sapeva anche il
motivo
della loro visita.
-Ed ora me lo dici?!- esclamò lei scattando.
Perfetto, erano vicini, troppo vicini, e troppo velocemente per i
suoi calcoli, e il solo modo per sfuggirne decentemente era fuggire,
il metodo più brutto che potesse sfruttare, il
più deplorevole, ma
le toccava, doveva incontrare Lucille prima di Jared, prima che la
scoprisse, era troppo importante per lei quella ragazzina, voleva
vederla, parlarle, averne un'alleata. Con lei avrebbe avuto i Black
in pugno.
-Dan, dobbiamo correre a Londra, subito- disse correndo
di sopra a fare le valige. Daniel Cavendish uscì senza
proferir
parola a preparare i suoi bagagli.
* * *
-Sì monsieur?- chiese una donna che ci
aprì la gran porta scura
della villa. Se fossi stato umani il cuore mi sarebbe battuto forte
per le emozioni che mi stavano affratevrsando. Rabbia, gioia,
delusione, attesa. Presto avrei rivisto quegli occhi verdi che mi
avevano fatto impazzire in dalla prima volta che li avevoi visti,
avrei rivisto quei aurei capelli che sembravano appartenere ad una
Venere e invece di toccarli, di accarezzarli, avrei dovuto farli
diventare scarlatti. Avrei dovuto fare quel che non avevo fatto
secoli prima.. Uccidere Elisabeth de Roches.
-Vorrei parlare con
miss de Roches- disse Lucas deciso al mio fianco, con una voce fin
troppo persuasiva.
-Oh mi dispiace ma Mademoiselle è partita con
Sir Cavendish e non so quando tornerà- rispose la donna
voltandoci
le spalle e rientrando in casa, chiudendo la porta dietro di
sé.
-Chi
è questo Sir?!- esclamai facendomi prendere dalla gelosia,
che fosse
una fuga amorosa la sua? Mi venne la nausea al solo pensiero.
-Non
ne ho idea... ci è sfuggita- replicò mio fratello
a denti stretti e
accompagnando le parole con un gesto poco signorile.
* * *
Una mano pallida e scarlatta disegnava ghirigori rubino sul muro castano della cattedrale di Notre Dame, decorando di peccato la soglia immacolata della casa di Dio. Rise al solo pensiero mentre sistemava i corpi di due persone, un uomo e una donna molto più piccola di lui. Scrisse i loro nomi sul loro petto e una R come firma, era andata oltre ma avrebbe vinto questa partita a scacchi contro i due principi, avrebbe avuto la sua vendetta!