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Autore: Dira_    18/09/2010    19 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Mi spiace non riuscire a rispondere alle recensione a questo giro, ma esame tra pochi giorni. Mi farò perdonare alla prossima. Enjoy!
 
 
 
****
 
Capitolo VIII
 
 
 



Some boys take a beautiful girl

And hide her away from the rest of the world
I want to be the one to walk in the sun
Oh girls they want to have fun…¹
(Girls just wanna have fun, Cyndi Lauper)
 
 
 
7 Agosto 2023.
Devonshire, vicino a Ottery St. Catchpole.
Casa Potter-Weasley, mattina.
 
Lilian Luna Potter, chiamata da urbi et orbi Lily, o Lils, o Lilù – era una ragazza poliedrica – tutto osservava e annotava. Ma quello che più le piaceva, in termini assoluti, era sguazzare in mezzo alle situazioni ad alta tensione emotiva. Più incasinate e emotivamente stressanti erano, più lei si divertiva. Sinceramente.
Firmò una lettera indirizzata ad una sua amica, con una piuma da cui fluiva brillante inchiostro rosa, seduta a pancia in sotto sul proprio letto. Una lama di luce mattiniera le scaldava le schiena e la radio trasmetteva il suo programma preferito, Gli Ascolti di Miggs², che metteva in loop vecchie canzoni babbane che lei e Hugo ascoltavano avidamente dall’età di sei anni.
Aveva sempre pensato che le canzoni babbane fossero più accurate nel descrivere gli stati d’animo di una giovane ragazza.  
Comunque, stava divagando.
Aveva quindici anni da una manciata di mesi, e aveva assolutamente intenzione, quell’anno, di non farsi scappare neppure una briciola dei sommovimenti scolastici di Hogwarts.
L’anno prima era stato… spaventoso, okay, ma anche pieno di colpi di scena ed avventure mozzafiato.
E lei dov’era?
A fare la studentessa quattordicenne. Orrore. Orrore!
Si picchiettò la piuma sulle labbra, imbronciandosi. Naturalmente non avrebbe voluto trovarsi nell’occhio del ciclone come Albie, non era cretina, ma le sarebbe piaciuto avere qualche informazione in più, invece di veder sparire Thomas nel nulla e beccarsi tutto il pacco di depressione che ne era conseguita senza capirci granché.
Ora le cose sembravano essersi sistemate, Tom era tornato a casa e suo padre si stava adoperando per mettere tutto a posto definitivamente.
Insomma, era quasi tutto finito e lei si sentiva tagliata fuori dall’equazione.
La cosa non le piaceva.
Sentiva vari rumori sotto di sé. Lasciò perdere il diario e si incastrò la piuma all’orecchio, ascoltandoli. Sua madre doveva essere in cucina, divisa tra il compito di correggere le bozze per un articolo sui nuovi acquisti dei Kenmare Kestrels e cucinare il pranzo. Suo padre era fuori, al Ministero, a sistemare la roba di cui sopra. Socchiuse gli occhi, sentendo un tonfo e un’imprecazione colorita, e rise.
Quello era James che faceva gli ultimi preparativi per l’esame di ammissione che si sarebbe tenuto quel pomeriggio. Al era al San Mungo invece. Si svegliava ogni mattina all’alba, andava a correre  – sinceramente non capiva tutto quel bisogno di muoversi quando il resto del mondo dormiva – e poi dopo una veloce colazione si dirigeva a far intrugli motivatissimo e fresco come una rosa.
Adesso probabilmente la sua routine includerà anche Tommy. Come se non sapessi che tutte le notti va a dormire da lui.
Sogghignò.
Sentì un altro tonfo, seguito da qualcosa che assomigliava tremendamente ad un insulto alle divinità babbane; a quel punto decise di controllare perché era una sorella favolosa.
Si diresse nella camera dirimpettaia alla sua. Divideva infatti coi fratelli il vasto secondo piano di un grosso cottage bianco e nero chiamato dai vicini il Mulino, forse perché un tempo lo era stato davvero.
Non che abbia mai visto una ruota…
Bussò.
James aprì: aveva la barba di tre giorni, i capelli arruffati e lo sguardo sereno del pazzo bilioso.
Cazzo!” Esplose quando la vide. Qualcos’altro era esploso nella sua stanza, rifletté Lily. Sembravano esserci passati mandrie e mandrie di centauri inferociti.
“Buongiorno anche a te Jam!” Cinguettò cercando di non ridere. “Come va?”
“Di merda!”
“Sì, immaginavo qualcosa del genere…”  

“Non ci riuscirò mai, mi bocceranno, sarò la vergogna della famiglia e dovrò ripiegare sulla carriera di domatore di draghi…” Si infilò le dita nei capelli, strattonandoli. “Neanche mi piacciono i draghi!”
“Jamie, ti sei esercitato tutta l’estate… praticamente vivi con la bacchetta incollata al sedere, ed hai fatto dei corsi.” Cercò di calmarlo. Avrebbe riso dopo. Tanto.
“Inutili! Non mi ricordo neanche un incantesimo!” Piagnucolò, buttandosi sul letto e coprendosi il viso con le mani. “Se non entro, se non divento un auror… cosa ne sarà di me? Perché non è così semplice come a scuola?”
Lily gli si sedette accanto, attenta e disgustata dalla miriade di briciole essiccate che si annidavano tra le lenzuola. Gli mise una mano sulla spalla, consolatoria. “Perché è la vita reale.” Mormorò, sentendosi molto adulta e matura.

E felicissima di essere ancora a scuola.
James emise un grugnito che poteva essere un assenso o una smentita.
Devo diventare un auror.”
“Certo…” Convenne supportiva. “Pensa a quanto ti prenderebbe in giro Al altrimenti.”
“… Avrei dovuto dire che volevo un cane, invece di un fratello.” Ringhiò cupo. “Ma ero giovane e stupido.”
“Lo sei ancora.” Osservò dandogli una pacchetta sulla spalla. Era esilarante perché James era il migliore del suo corso, il cocco degli insegnanti e il beniamino dei compagni. Stava solo avendo uno dei suoi attacchi da prima donna.

Lily si alzò in piedi, sperando che quelli che vedeva sotto il letto non fossero calzini sporchi. La sua tolleranza alla scarsa igiene maschile forse un giorno l’avrebbe fatta diventare come sua nonna Molly.
A meno che non diventi ricca e sposi un strafighissimo Lord e mi faccia servire per tutta la vita.
James alzò la testa per lanciarle un’occhiata di sbieco. “Stai ancora facendo sogni di gloria?”
“Progetti per il futuro.” Lo corresse dolcemente.
“Hai un’aria esaltata quando li fai.” Sbuffò con un ghignetto, e Lily gli concesse la presa in giro perché era magnanima e lui di contraccambio aveva un’aria davvero miserabile.

E tutti mi ameranno, disperandosi³…” Citò con sguardo altero e fiero. James scoppiò a ridere, e seppe di aver avuto successo.
“Vuoi che venga?” Gli chiese poi, serissima. “Dico, a tenerti la mano…”
James le lanciò un’occhiataccia. “Dai che scherzavo, non fare quel muso da folletto!” Lo spronò, prima di sentire la madre chiamarli dal piano di sotto. “Dici che si mangia già?”
“Ho voglia di vomitare.” Fu la risposta. Sentirono poi dei passi sulle scale e bussare conseguentemente alla porta. “Perché non mi lasciano in pace? Voglio morire.”
“Jamie?”

Era Teddy, e Lily guardò divertita l’espressione del fratello mutare. Diventò paonazzo, si guardò attorno con terrore e si passò senza successo le mani trai capelli per renderli più docili.
Teddy!” Ululò, andando alla porta e frapponendosi tra lui e il resto della stanza. “Che ci fai qui?”
Ted Lupin, bello come il sole anche con una camicia a quadrettoni e un paio di pantaloni che dovevano avere minimo dieci anni, sorrise un po’ perplesso. “Beh, sono venuto a prenderti… L’esame, ricordi?”
“Aaah, giusto, l’esame!” Si diede una teatrale pacca sulla testa. “Pensa un po’, me n’ero dimenticato! Ma passerò. Ad occhi chiusi.” Tirò fuori il suo miglior ghigno smagliante. “Che dici, andiamo a pranzo fuori?”
“Ecco…” Teddy guardò lei. Lily si sentì in dovere di picchiettarsi la fronte, e mimare a gesti di portarlo via prima che per la tensione facesse esplodere la casa. Teddy capì al volo, perché era sveglio o semplicemente sensibile agli umori altrui. “Certo, fatti una doccia e andiamo.”

James annuì, prima di schizzare verso il bagno. Nella sua corsa urtò qualcosa che cadde a terra e si ruppe.  
Teddy ridacchiò. “È nervoso, eh?”
“Direi che siamo passati allo fase esaurimento nervoso.” Guardò con pietà la stanza. “Se mamma la vede in queste condizioni lo uccide e gli risparmia la fatica di fare l’esame. E lui può usarla, la magia, per metterla in ordine…”

“Non ti manca molto, no?” Offrì gentile. “Ancora un paio d’anni.”
“Manca troppo.” Si corrucciò, dandogli un pugnetto sulla spalla. “Ma ci sto lavorando.”

Teddy annuì, estraendo la bacchetta e compiendo con esperti movimenti di bacchetta il miracolo di rendere quel posto nuovamente presentabile: c’era abituato, del resto.
Sono anni che si occupa di non farci strigliare da mamma. La nostra Mary Poppins…
“Non vedo l’ora di tornare a scuola…” Esordì mentre Teddy si chinava a prendere il cesto dei panni sporchi. Diede una sbirciatina al sedere, e si annotò di regalargli un paio nuovo di jeans, magari aderenti, alla prima ricorrenza.
Così bello e così sciatto…
“Allora… sto parlando con il Direttore di Tassorosso?” Spiò allegra, facendolo ridacchiare.
“Essì, e non so dirti quanto sono nervoso.”
“Sarai fantastico, tutta la scuola è innamorata di te, sai.” Ironizzò.

Poi notò che l’amico aveva un’aria… assorta. Sembrava rimuginare incessantemente su qualcosa e non sembrava molto piacevole dalla faccia.
“Teddy, tutto a posto?”
Il ragazzo si riscosse di colpo, con l’aria di un cervo di fronte ad un tir. I babbani usavano espressioni così pittoresche… era un peccato non usarle. “Cosa…? Oh, sì, certo!”
Come no.

Decise di cambiare discorso.
“Ma senti, è vero che Albie quest’anno potrebbe essere Caposcuola?”
“Segreto professionale.” Le rispose divertito. “Però non ci sarebbe da stupirsi, no? È un candidato ideale.”
Lily esitò. “Sì, beh… abbastanza.”
Se gli importasse di qualcuno all’infuori di Thomas e noi.

Molta gente pensava che Albus fosse questo gran altruista perché sorrideva ed era gentile con il mondo intero. Lily aveva sempre avuto la certezza che il fratello avesse capito che mostrarsi innocuo avrebbe pagato in caso di scontro con i suoi compagni di Casa.
Era un ottimo stratega, anche se spesso a livello inconscio, tutto lì.
Il flusso dei suoi pensieri fu distolto dal ritorno di James e dalla conseguente ricerca di qualcosa di pulito da fargli indossare.
Quando fu finalmente sola tornò nella sua stanza. Fu stupita quando trovò una lettera sul davanzale. Nessuna traccia di gufi o altri volatile portalettere.
Si avvicinò e fu ancora più perplessa quando notò che la grafia era quella del suo amico di penna Søren; la busta, in effetti, proveniva dalla Germania. Dov’era però Wodan, il suo gufo? Di solito rimaneva sempre per farsi dare qualche croccantino… 
La prese e non fece in tempo a grattare la ceralacca con le dita che sentì un improvviso e violento capogiro.
Che diavolo…?
Si dovette sedere, mentre l’assaliva una sensazione spiacevole, come se qualcosa di freddo le bruciasse dentro lo stomaco.
Che diavolo…? È la colazione?
Inspirò e strappò la ceralacca quasi per abitudine: uscì fuori il solito foglio pergamenato, con la grafia nervosa e storta del ragazzo.
Scosse la testa, mentre la sensazione spariva come era venuta.
Decisamente la colazione. Devo dire a mamma di non mettere più tutto quel latte nelle uova.
Si buttò sul letto. Tutti la prendevano in giro, soprattutto le sue amiche, per quella corrispondenza infantile, ma le piaceva l’idea di un ragazzo che le parlava senza guardarle le tette.
Non era molto brava a farsi degli amici maschi, no.
 
Cara Lily,
Come stai? Ho una notizia che spero ti farà piacere. Non so se sei già stata informata, ma quest’anno si terrà il Torneo Tremaghi, e Durmstrang è una delle tre scuole che concorreranno alla coppa.
Finalmente potremo vederci…
 
 
****
 
 
Londra, Diagon Alley
Di fronte all’Accademia Auror, Pomeriggio inoltrato.
 
Rose Weasley non era nervosa. No, neanche un po’.
Si lisciò l’orlo della gonna e si controllò nel riflesso della vetrina alle sue spalle per circa la ventesima volta. Teddy, seduto accanto a lei sulla panchina, le lanciò un’occhiata ma cortesemente non fece osservazioni.
L’edificio che ospitava l’Accademia Auror era di fronte a loro: grande, in mattoni scuri e dal tetto spiovente, sembrava un grosso parallelepipedo. Non aveva l’aria accogliente, ma supponeva che non dovesse; lì dentro del resto venivano forgiate reclute della migliore forza magica del paese.
Deve mostrare austerità. O qualcosa del genere. O forse c’entra il fatto che è stato costruito durante la prima ascesa di Voldemort. Non erano tempi allegri, quelli.
Comunque, stava divagando.
Lei e Teddy stavano aspettando che James uscisse con i risultati da un paio d’ore. A dirla tutta, Rose, da un paio d’ore. Teddy era lì dal primo pomeriggio.
Scorpius in compenso era in plateale ritardo.
Per distrarsi lanciò un’occhiata a Teddy, che sembrava l’ansia fatta persona. Se avesse continuato a tormentare la propria bacchetta l’avrebbe spezzata, probabilmente.
Sorrise, perché era davvero un bravo ragazzo, ma non disse nulla, perché si sentiva ancora un po’ a disagio con il fatto che fosse diventato il centro deputato degli interessi romantici di James. Albus l’aveva edotta poco dopo il compleanno di Scorpius, facendole quasi far esplodere il calderone dove le stava spiegando la preparazione di una pozione, compito per le vacanze.
Sia Al che Jamie… C’è da chiedersi se abbiano fatto a gara anche in questo…
Teddy tirò un sospiro afflitto, e a quel punto fu costretta a dire qualcosa.
“Tanto passerà, lo sai Ted…”
Dove diavolo è quel biondino da strapazzo? Un mese! È praticamente passato un mese e anche di più da quando ci siamo visti!
“Massì.” Sorrise l’altro. “È solo che detesto le attese. Quando sei tu a sostenere un esame è diverso.”

“Già…” Borbottò poco comunicativa. C’era molto di cui parlare, e non necessariamente dell’epifania sessuale di chicchessia. Tipo, il ritrovamento di Tom poteva essere un ottimo argomento. Ma nessuno dei due, rifletté Rose, sembrava aver voglia di scambiarsi impressioni e pareri.
Si sentì picchiettare la testa e poi nella sua visuale entrò quello che sembrava…
Teddy batté le palpebre. “È un cactus…?”
Rose prese in mano il piccolo bulbo, interrato in un vasetto colorato che assomigliava tremendamente a quello di una confezione di yogurt. Con esso si palesò anche Scorpius, in jeans e camicia sportiva e un taglio di capelli decisamente babbano.

“Un cactus, sissignore.” Confermò sorridente. “Ci crederesti, Rosie, che i babbani li vendono anche dentro vasetti di yogurt colorati?” Esclamò pieno di meraviglia. “Sono così ingegnosi!”
“Ci credo, sì… Le ragazze normali ricevono rose, io un arbusto spinoso.” Sospirò, mentre sentiva il cuore in gola e un enorme sorriso scemo premerle l’angolo delle labbra. “Quanto sono fortunata.”
“Sono creativo, che vuoi farci…” Sorrise di rimando, sedendolesi accanto e passando un braccio dietro la schiena. “Ciao.” Aggiunse con la chiara intenzione di baciarla.
“Ciao. Sta’ buono.” Replicò supplicandolo di non farlo o avrebbero rischiato di attirare una folla di curiosi, visto che era ragazza sì, ma con degli ormoni. “Sei in ritardo.” Stornò, trincerandosi dietro un’aria cattedratica che sperò non sembrasse troppo disperata.
“Beh, sai… Ho dovuto inventarmi una palla piuttosto ingarbugliata per non dire che andavo ad aspettare Poo come una fidanzatina ansiosa…” E qui scoccò un’occhiata a Teddy che lo guardò malissimo.
“Ricordati che sono ancora un tuo professore, Scorpius.”
“Dal primo settembre.” Squadernò l’indice con sussiego. “Dal primo settembre.”
Teddy fece un mezzo sorriso. “Ricordati che ho una buona memoria. E non dal primo settembre.”
“Sono mortificato, chiedo scusa.” Scorpius sembrò improvvisamente più umile. Rose ridacchiò, perché era noto l’attaccamento del suo ragazzo alla propria media scolastica.

“Jamie sarà felice di averti qui…” Continuò Teddy, incapace di reggere la parte del professore severo.
“Mmh, dubito. Neanche mi noterà, nel suo delirio di onnipotenza. E comunque non sono certo qui per lui, ma per la straordinaria caramellina che ho al fianco.”
“Mi chiamerai mai con il mio nome di battesimo?”
“No!”
Teddy ridacchiò, occhieggiando la Gazzetta che Scorpius teneva sulle gambe. “Non l’ho comprata stamattina, posso darci un’occhiata?”
“Sicuro e… c’è qualcosa di decisamente interessante oggi.” E qui l’altro palesò perché sembrava così su di giri. Cioè, più del suo solito. “Sapete dove e quando si terrà il Torneo Tremaghi?”
“Il Torneo…” Rose ci mise qualche attimo a processare la notizia. “Quel Torneo?”
“Quanti ne conosci?” Gongolò, aprendo il giornale e mostrando l’articolo, su cui campeggiava il viso carismatico di Kingsley Shacklebolt attorniato da una pioggia di flash. “Quest’anno, in occasione del venticinquesimo anniversario della Battaglia di Hogwarts, si terrà il Torneo Tremaghi…” Lesse da alta voce. “Ovviamente ad Hogwarts. Vi rendete conto? Tutti quelli del Settimo potranno parteciparvi. E noi siamo del Settimo.” Mormorò estatico. “Gloria eterna. Ricordato per sempre…” Sussurrò.  

“L’unico campione che viene praticamente ricordato è Cedric Diggory, visto che ci è morto. ” Sbottò Rose, realizzando che quell’idiota del suo ragazzo era esaltato da una competizione potenzialmente mortale
Lanciò uno sguardo verso Teddy, sperando che smentisse e dicesse che no, in realtà si sarebbe tenuto da qualche altra parte, tra gente adulta. Magari in un altro continente.
Teddy invece annuì, con un sorriso estremamente crudele, a parer suo. “Ho ricevuto un Gufo una settimana fa. Dovrò partire alla fine del mese, per i preparativi… La scuola dovrà ospitare le delegazioni di Durmstrang e Beaux-Batons, senza contare eventuali ospiti e il servizio di sicurezza.”
Rose serrò le labbra in una linea sottile: no, decisamente non era quella sua idea di un tranquillo ultimo anno.
Lanciò un’occhiata a Scorpius che si stava rileggendo con gusto l’articolo. Gli brillavano gli occhi.
Oh, dannazione.
“Poo creperà di invidia.” Lo sentì con un ghignetto inquietante. “Lui è già uscito dai giochi.”
DANNAZIONE.
“Non vorrai partecipare?” Non fece in tempo a sentire la risposta che la porta dell’Accademia si aprì, facendo sciamare in ordine sparso i candidati, poco più di due dozzine.
James era in mezzo e quando li vide si sbracciò, con un’aria trionfante e una grossa bruciatura sulla guancia.   
Ce l’ho fatta!” Urlò facendo girare metà strada, prima di correre loro incontro e lanciarsi su Teddy in una specie di placcaggio frontale. L’altro ragazzo riuscì a non finire a terra e ricambiarlo, ridacchiando con condiscendenza come se fosse importunato da un cagnolino.
Rose pensò che fosse l’unico al mondo a non aver mai rischiato triplici fratture.
“Cazzo, sono un auror!” Sbottò guardandosi attorno come se si aspettasse di essere incoronato re del mondo da un momento all’altro. “Sono passato, è stato un trionfo!”
“Veramente saresti solo un allievo…” Iniziò Teddy, fedele a sé stesso, ma lasciò perdere subito per arruffargli i capelli. Lo fece in modo casuale, ma a Rose non sfuggì il modo in cui il sorriso di James divenne più stabile e come accompagnò il gesto, inclinandosi verso la sua mano.

Davvero, come cavolo ho fatto a non capirlo prima?
Scorpius invece gli strinse la mano, congratulandosi, e per un momento a Rose sembrò che facessero a gara a chi stringeva più forte.
Maschi…
“Beh Poo, adesso hai licenza di farti esplodere la bacchetta in faccia.” Si scambiarono due grossi sogghigni. “Approfittane per avvantaggiarti. Ti servirà quando entrerò anch’io, il prossimo anno.”
“Sogna, Malfuretto.” Rise James, poi si guardò attorno. “Beh, che si fa? Andiamo a festeggiare!”

“Stasera.” Gli rammentò Scorpius divertito. “Non ti ricordi? Ci vediamo ai Tre Manici, coi gemelli Scamandro, con Jordan e un mucchio di persone che non vedono l’ora di farsi offrire un giro di bevute dal mezzo-auror qui presente.”
“Auror in fieri!” Corresse piccato. “Comunque… già, forse è un po’ prestino per bere…”

“Manda un Gufo a Harry, James…” Gli ricordò Teddy, bussola di ogni comportamento socialmente doveroso. “Aspetterà di sapere com’è andato l’esame.”
“Giusto!” Esclamò. “Beh, allora voi che fate?”
“Andiamo a fare… qualcosa… da… qualche parte.” Disse Scorpius con estrema serietà, scoccandole un’occhiata piena di intenzioni. “Ci vediamo stasera. Se ti chiedono qualcosa, noi eravamo con voi.”
“Per tutto il tempo.” Convenne. “Ancora complimenti.” Fece una pausa, tirando evidentemente Malfoy verso un punto imprecisato. “Ciao.”


Sparirono approfittando dell’improvviso afflusso di genitori e amici dei candidati.
“È bello vedere come mia cugina e il mio migliore amico sono venuti qui per me.” Ironizzò, voltandosi verso Teddy. “E no, assolutamente non per infrattarsi in qualche angolo buio a pomiciare.” Fece una smorfia disgustata. Teddy rise.
“È tanto che non si vedono, credo sia comprensibile…”
“Zio Ron ci ha provato, poveraccio. Ma il Vero Amore e blablabla…” Sospirò, fingendo rammarico, quando in realtà era più o meno contento per quei due.
Dovrebbero solo rendersi pubblici. Ma temo che Rosie abbia troppa paura che a zio venga un infarto.  
Teddy annuì per tutta risposta; aveva un’aria distratta, il che significava che non era in casa al momento. Sembrava preoccupato.   
Beh? Indagare, subito!
“Burrobirra della vittoria?” Offrì. “Naturalmente paghi tu.”
Teddy sorrise. “Naturalmente.”

 
Dieci minuti dopo erano seduti ad un caffè con un vasto patio all’aperto. Teddy sorseggiava la sua burrobirra distrattamente. James parlava da mezz’ora ed aveva la certezza chirurgica che l’altro non lo stesse ascoltando.
Fu tentato di tirargli un calcio, ma non avrebbe capito e forse si sarebbe offeso.
C’erano modi migliori per attirare l’attenzione di quel gran figlio di lupo mannaro.
James si sporse sul tavolo, afferrandogli un polso e stuzzicando la parte sensibile di pelle con l’indice.
“Teddy…” Sussurrò. L’altro si irrigidì di colpo, sgranando appena gli occhi, mentre i capelli viravano su un rosa tenue e sfumato. Una bambina dietro di loro rise, indicandolo.
James sogghignò. “Oooh…sei proprio tanto sensibile…” Ripeté abbassando la voce di un tono.
L’altro deglutì. Vide proprio il pomo d’Adamo tremargli sottopelle. “Jamie, cosa… Siamo in…” Borbottò pieno di disagio. “Cosa stai…?”
James gli sfiorò l’angolo della bocca con il pollice. “Schiuma!” Ghignò mefistofelicamente. “Ne hai un po’ sul labbro.”
Teddy a quel punto gli afferrò di scatto la mano, con un lampo scuro negli occhi. Non era una figura retorica, aveva un ragazzo metamorfomago. Succedeva veramente. Quando si eccitava, l’iride, solitamente azzurra o castana – dipendeva dai giorni - diventava più scura, praticamente nera.

Era piuttosto provocante. E maledettamente rivelatore.
“Falla finita…” Gli sussurrò, cercando di minacciarlo e ottenendo solo di farsi strusciare uno stivale di pelle di drago sul polpaccio. “James.” Tentò di nuovo, e sembrava davvero ringhiasse. Delizioso. “Se non la fai finita…”
“… Mi prendi sul tavolo?”
Teddy fece un suono strozzato, aiutato dallo stivale che strusciava adesso in direzione dell’interno della sua gamba. “Smettila!”
James trattenne una risatina, ma mollò il colpo. Era buffo ed esaltante assieme vedere come l’altro non fosse esattamente un campione nel trattenersi, se debitamente stuzzicato. “Aaah, ora ho la tua attenzione finalmente!”  Disse però, beandosi dell’aria sbigottita dell’altro.

“Come, scusa?”
“Non mi stavi ascoltando… direi da più o meno mezz’ora.”
“Siamo qui da dieci minuti.”
“Infatti mi chiedo se hai sentito quel discorso sul fatto che ho trionfato.”
“James.”

“Okay.” Alzò le mani, in segno di resa. “Dai, dimmi che c’è.” Si fece serio. “C’è qualcosa che non va, sei pensieroso.” Giocò la carta finale. “Sono il tuo ragazzo, puoi parlarne con me.”
Teddy bevve un sorso della sua burrobirra ormai fredda. “… Nonna.” Si scollò dal palato, assumendo un’aria afflitta e una conseguente virata sul grigio perla.
“È successo qualcosa a zia Dromeda?!”
“No, no!” Scrollò le spalle. “È solo che … ha deciso di vendere il cottage.”


Teddy doveva ancora abituarsi al fatto che James non aveva più dieci anni.
Non sempre. Per alcune cose aveva ben chiaro che non li avesse. Decisamente.
Il fatto era che non gli piaceva, per timidezza o per un irrisolto complesso dell’orfano, a chiedere aiuto a qualcuno.
James batté le palpebre, evidentemente assimilando la notizia. “No…” Disse infine. “Cazzo, Teddy, mi spiace. E perché? Problemi di…” Esitò, scrutandolo attento. “Perché se avete bisogno di un anticipo sono sicuro che papà…”
“No, no.” Negò di nuovo a disagio. La pensione di suo nonno e quella per gli orfani di guerra erano sempre riusciti a far loro mantenere uno stile di vita decoroso. “Non è per quello che vende. È che… Narcissa le ha chiesto di andare a vivere al Manor, e visto che è sempre sola ed è ormai anziana ha deciso di accettare.”
“Al Manor?” James sembrò sbigottito quanto lui. “Andiamo, tua nonna al Malfoy Manor?”
Teddy sorrise appena mentre sentiva il peso sulle spalle alleggerirsi un po’. James era dalla sua. Non che ne avesse dubitato, naturalmente, ma sentirlo indignato era un po’ un balsamo per la parte di sé che aveva ancora sette anni e pensava che sua nonna fosse la sua migliore amica.

“Penso che si senta sola… del resto io abito quasi tutto l’anno ad Hogwarts e comincia a sentirsi insicura, probabilmente, nel non avere nessuno accanto. Narcissa è pur sempre sua sorella, ed io…” Il senso di colpa un giorno l’avrebbe ucciso e seppellito, ne era certo. E avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo, del resto, perché aveva preferito prima la Provenza di Vic e poi…
James gli posò una mano sul braccio. “E tu niente. Basta seghe mentali.” Lo fermò, con quel suo sorriso perennemente arricciato in un’espressione monella. L’avrebbe avuta fino alla senilità probabilmente. “Non puoi mica farle da babysitter. Credo che ti prenderebbe a pedate nel sedere se solo ci provassi.”

“Probabile…”
“Dai, è normale che tua nonna voglia stare con sua sorella. Io non reggo quella serpe di Albie per più di dieci minuti e pensò sarà così anche quando saremo due vecchietti rincoglioniti, ma se rimanessi solo, è da lui che andrei. È famiglia. Nel bene o nel male, no?”
Teddy si trovò ad annuire, cominciando a capire il senso di tutto quello che gli sembrava un orribile abbandono. Sorrise; era vero che a volte serviva un terzo parere per inquadrare una situazione. E James poteva avere il tatto di un troll in un negozio di bacchette il più delle volte. Ma era raro che non c’entrasse il cuore di un problema, se gli veniva chiesto di inquadrarlo.
“Sì… immagino che tu abbia ragione…”
“Certo che ne ho!” Esclamò quasi offeso. Poi sorrise. “Se è per il Cottage però, perché non le dici che vuoi tenerlo?”
“Non è per il cottage.” Scrollò le spalle, mentendo platealmente. James sbuffò, tirandogli uno schiaffo sulla spalla. “Okay, è anche per il Cottage.”
“Dille che non vuoi venderlo allora!” Alzò gli occhi al cielo. “Cavolo, quella è anche casa tua!”
“Sì, ma è sempre stata troppo grande per due persone, figuriamoci per me soltanto.” Scosse la testa, sentendo un sospiro salirgli alle labbra. Non faceva che sospirare da quando aveva avuto la buona nuova. “Non avrebbe senso continuare a tenerla… è un pezzo della mia infanzia, ma… Credo che mia nonna stia cercando di farmi capire, brutalmente come suo solito, che devo trovarmi una casa mia. E forse ha ragione.”
“Beh, ma tu vuoi?” Interloquì. Sembrava improvvisamente molto cauto e attento, come se dovesse travasare una sostanza esplosiva dal calderone ad una fialetta. Teddy alzò lo sguardo e lo beccò a scrutarlo esattamente in quel modo. “Vuoi trovarti una casa tua?”
Teddy ci pensò seriamente. L’idea era allettante. Hogwarts gli offriva delle stanze confortevoli, e almeno per il periodo scolastico sarebbe dovuto rimanere lì, come Direttore del Tassorosso, ma facendo progetti a lungo termine si rendeva conto che non avrebbe avuto voglia di trascorrere l’estate al Manor.

Affatto.  
“Non mi dispiacerebbe…” Ammise. “Ma…”
Non voglio vivere in una casa vuota. Con me dentro.

Se c’era una cosa di cui era sicuro, era il fatto che non avrebbe mai dormito in una casa da lui occupata soltanto. Proprio non ce la faceva.
Forse potrei prendermi un cane…
“… Ma non vuoi abitare da solo?” Terminò per lui James, dimostrando ancora una volta che sapeva leggergli benissimo il pensiero. Era un sollievo e insieme un inquietudine. Mischiate, non erano una brutta sensazione comunque. “È questo?”
“Più o meno sì.”

James fece un gran sorriso, come se avesse appena trovato la cura definitiva per la spruzzolosi.
“Jamie?” Chiese, un po’ inquietato.
“C’è una soluzione semplicissima.” Replicò. Si chinò su di lui, baciandolo a stampo. Lo studiò da vicino, prima di concludere. “Prendiamoci casa assieme!” Non gli lasciò il tempo di continuare, che si staccò e si allontanò con passo spedito.
“Jamie!” Lo richiamò attonito. “Dove vai?”
Dopo avermi detto una cosa del genere, poi!
“All’ufficio postale! Il gufo per papà! La mia vittoria!” Gli ricordò facendogli un cenno. “Ne parliamo dopo, ma ehi, è un’idea grandiosa… e ah! Paga tu!”
E si smaterializzò.
Teddy fissò sbigottito il punto in cui l’altro era sparito.
Forse non avrebbe dovuto comprarsi un cucciolo, dopotutto.
Fece una risatina.
Harry l’avrebbe ucciso.
 
****
 
Surrey, Little Whinging.
Privet Drive, n°4. Sei e mezzo di sera.
 
Tom alzò gli occhi alla finestra quando sentì un tonfo seguire un’imprecazione.
Non si mosse dalla scrivania, dove stava leggendo, nascondendo un sorrisetto.
“Saresti potuto passare dalla porta, Al…” 

“Allora perché, per tutti i troll della Gran Bretagna, lasci una scala sotto la tua finestra?!” Sbottò l’interpellato, massaggiandosi la schiena dolorante e tirandosi su. Era tutto arruffato e rosso.
“Volevo vedere se ci salivi davvero.”
“Stronzo!”
Tom sogghignò, voltandosi verso di lui, visto che aveva una di quelle ingegnose sedie girevoli babbane.  Indossava una delle sue magliette di gruppi rock babbani. Quella era di un gruppo chiamato The Cure.

Li conosceva: facevano parte dei top 5 più deprimenti della sua discografia.
“Beh, se non altro hai evitato i miei genitori…” Lo riscosse dalle sue elucubrazioni. “E visto che hai ancora vestiti da mago, forse è meglio così.”
Al si guardò; indossava ancora l’uniforme del San Mungo. Era uguale per tutti i livelli, camice e pantaloni verde limone. A lui però piaceva. L’avrebbe indossata sempre. Lo faceva sentire ad un passo dal suo sogno, per quanto questo non prevedesse gloria o battaglie epiche: prevedeva il San Mungo, pozioni e una spilla con una bacchetta e un osso incrociati.

A ciascuno la sua ambizione.
“Non assomigliano a quelle dei vostri medici?” Borbottò, sedendosi sul letto. “Papà ha detto che si somigliano.”
“Dei chirurghi, sì, all’incirca.”  

“Cos’è un chirurgo?”
“Meglio che tu non lo sappia, il tuo codice deontologico magico potrebbe venirne sconvolto.” Ghignò l’altro, alzandosi in piedi e rivelando che stava di nuovo studiando.
Al sorrise, vedendo il libro di Pozioni Avanzate ricoperto di post-it babbani. Tom odiava scrivere sopra ai libri, a differenza sua.

Era… bello, vederlo di nuovo in quella camera. Non l’aveva visitata molte volte da bambino, ma era indubbiamente sua. Dai poster alle pareti, all’ordine millimetrico. Harry era riuscito a tenere fuori dall’inchiesta i suoi libri di testo, e glieli aveva fatti recapitare. Da una settimana circa Al lo trovava sempre col naso sui libri.
Si stava ri-ambientando. A modo suo, certo.
“Allora, iniziamo la nostra lezione di Incantesimi?” Chiese, tirando la bacchetta fuori dal camice e porgendogliela dalla parte del manico. Tom esitò un attimo, poi la prese.
Lo fa sempre…
Era chiaro che non gli piacesse l’idea di usare una bacchetta non sua.
Ma purtroppo non c’è molto da fare. Finché non lo chiameranno lo scagioneranno non può averne una. Sono le regole. I maghi sotto inchiesta non possono detenere una bacchetta personale.  
Tom si sedette accanto a lui, rigirandosela tra le dita. “Non mi piace.” Disse secco.
“Mi dispiace che la mia bacchetta non sia di tuo gradimento…”
“È troppo…” Gli lanciò un’occhiata di sbieco, con un nuovo ghigno. “…piccola.”
“Se ti azzardi a fare dell’ironia sulla dimensioni della mia bacchetta…” Iniziò minaccioso, sentendosi arrossire come un gladiolo. Tom ridacchiò, scuotendo la testa.
“Stai facendo tutto da solo, Al.” Ci passò un dito, scuotendo la testa. “Stavo scherzando. Solo non la sento mia, ecco tutto.”
“Come facevi a Putgarten? Avevi quella del figlio di …”
“Sì, e non andava granché neanche con quella. Sentivo come …” Si fermò, socchiudendo gli occhi per ricordare. “… come quando metti scarpe non tue. Magari vicine al tuo numero, ma…”
“Ti fanno male. O ci cammini male.”
“Precisamente.” Annuì, puntandola verso la finestra. “Proviamo l’incantesimo di duplicazione.”
“Okay. Allora… devi…” Iniziò pieno di buone intenzioni didattiche.
“So come si fa.”
Al sospirò esasperato. Ogni volta era la stessa storia: Tom era capace di eseguire la maggior parte degli incantesimi del Sesto, eppure voleva che gli facesse da testimone. Se tentava un consiglio, non lo ascoltava. Le critiche lo innervosivano a morte. I complimenti erano assolutamente superflui.

“Se sai già farlo, allora perché mi chiedi aiuto?”
“Veramente ti chiedo la bacchetta.” Osservò inarcando un sopracciglio. Ghignò appena. “Al, mi conosci. Ti sembro una persona che chiede aiuto?”
“No, e i risultati si sono visti.” Usò con calcolata precisione la frecciatina, che colpì perfettamente il segno. Tom fece una smorfia, e smise di sembrare compiaciuto. Al sentì una fitta di rimorso, ma la dominò. “Allora…” Cominciò, vedendo che c’era una breccia nell’ego dell’altro. “… prendi un oggetto e recita la formula Geminio. Devi tenere l’attenzione focalizzata sui particolari, altrimenti verrà una cosa tutta diversa.”
“Mhh.” Concesse, prendendo una penna e posandola sul copriletto.

“Aiuterebbe iniziare con qualcosa di più grosso…”
Tom lo ignorò, puntando la bacchetta sulla penna. “Geminio.”

E invece della tenue luce azzurra dell’incantesimo ci fu letteralmente un esplosione.
Al si buttò a terra quando vide la penna sfrecciargli al lato del viso mentre il copriletto prendeva fuoco.
Tom si alzò di scatto, soffocando un imprecazione, lanciando un’occhiata sconvolta alla bacchetta.
“Tom, dà qua!” Gli urlò e l’altro gliela lanciò immediatamente, obbedendogli una volta tanto.

Al si tirò su. “Aguamenti!” Il getto d’acqua dell’incantesimo spense velocemente le fiamme, e tutto quello che rimase fu un copriletto bruciato e un gran puzzo di fumo.
Al sospirò di sollievo. Ci mancava solo che dessero fuoco alla casa. Quello sarebbe stato un definitivo calcio nel sedere ai rapporti tra le loro due famiglie, già abbastanza tesi.
Niente Romeo e Giulietta, grazie.
“Per le sottane di Merlino…” Disse però confuso. “Te l’avevo detto di prendere qualcosa di più grosso!”
Lo disse per dire qualcosa, perché era comunque assurdo che un incantesimo innocuo come quello avesse dato una reazione … esplosiva. Lanciò un’occhiata all’altro, che teneva le labbra serrate in una linea sottile, e guardava indecifrabile il casino bruciacchiato del suo letto. “Tom?”
“Non era la bacchetta, né l’incantesimo. Sono io.” Si scollò dal palato, prima di passarsi una mano sulla nuca, e dirigersi alla scrivania, per buttarsi sulla sedia con furia. “Maledizione.”
“… Che vuol dire?” Lo guardò contrarre e decontrarre la mano con cui teneva la bacchetta, con una smorfia quasi di dolore. “Va tutto bene?”
“No.”

Il volto di Tom era stravolto, esattamente come quando l’anno prima era stato pieno di segreti e rabbia. Era spaventato, realizzò.
“Senti, capita che un incantesimo vada storto…”
“Non capita, non così. Capita a me perché prima che mi rimettessi di salute era anche peggio. Facevo esplodere le cose. Cordula doveva sedarmi.” Sibilò guardando furioso, come se fosse tutta colpa sua. “È perché sono… Questo non succede alle persone normali. Non succede di dar fuoco a qualcosa per duplicare un oggetto.”

Al fece un sospiro. Si avvicinò, infilandosi la bacchetta dentro la tasca apposita del camice; sentiva che era meglio toglierla di mezzo. Gli afferrò la mano, forzandola ad aprirsi, visto che si era serrata. “Piantala, ti ficchi le unghie nel palmo così. Poi ci credo che ti fa male.”
“Al…” Lo avvertì cupo. “Non…”
“Sei nervoso.” Lo fermò. “Non è così insolito che la magia diventi instabile. Pensa a Jamie. Quando si arrabbia fa spaccare lampadine, e Rosie mi ha detto che una volta ha fatto a pezzi una stanza.”
“Perché è una testa di troll, e perde magia come un rubinetto rotto.” Lo rimbeccò. “Non sono arrabbiato. Non in quel…”
Credi di non esserlo.” Sbuffò. “Senti, questa sarà psicologia babbana, o quel che è, ma davvero, ti tieni tutto dentro. Non pensi che la magia reagisca anche a questo?”

“Io non sono arrabbiato. Né tantomeno nervoso.” Sbottò cocciuto. “E…”
“Okay, forse la tua magia è più potente della media.” Lo guardò negli occhi, o almeno tentò di cercare il suo sguardo. Tom lo sfuggì. “Sai che novità.” Continuò a lisciargli il palmo della mano. “Non ha importanza, Tom. Sei un mago, fa parte di te. Puoi controllarla. Sei solo agitato per il processo.”

Tom si lasciò toccare, ma non disse nulla. Era e sarebbe rimasto un idiota chiuso, stimò Al: stava cercando di aprirsi, ma spesso ricadeva nei vecchi comportamenti.
E adesso è talmente nervoso per il processo…
Non c’era molto che potesse fare, e tutte le parole per tranquillizzarlo erano già state dette e usurate. Doveva distrarlo.
“L’hai letta la Gazzetta di oggi?” Cambiò argomento sedendosi sulla scrivania. Tom alzò appena lo sguardo, con una smorfia.
“Non la leggo da un bel po’. Kafka ce l’ha con me, si rifiuta di fare consegne.” Levò la mano destra, mostrandogli segni di beccate feroci. Quell’animale era crudele. “Oltre a questo, se mio padre vedesse un gufo consegnarmi la posta gli sparerebbe a vista. Traumi infantili, temo.”
Al soffocò una risatina, perché era ignobile ridere di suo zio. Anche se maledettamente facile. “Beh, io l’ho letta. Pare che quest’anno si terrà il Tremaghi.” Sorrise incoraggiante. “Un bel po’ di casino in vista, a scuola, pare.”
Tom assimilò la notizia senza particolari emozioni, tranne forse una lieve smorfia insofferente. “Favoloso.” Esalò. “Tre maghi appena usciti dalla minore età che rischiano la vita per una stupida coppa e dei soldi.”
“Ma anche per la gloria eterna!”
“Io non mi ricordo un solo vincitore di quel torneo a parte zio Harry, tu?”
Al sbuffò. "Comunque è una bella competizione!”
“Sì, nello stile di quelle magiche. Rischio della vita, ferite, ossa rotte, traumi con complicazioni.” Ironizzò. “L’unica nota positiva è che per via di una pagliacciata del genere, il mio ritorno passerà sotto silenzio…” Concluse e qui si concesse un mezzo sorriso.

“In effetti, pensavo anche a questo.” Replicò piccato. “Comunque sei il solito menagramo. Il Tremaghi non è solo vittoria. È una competizione stimolante, permette di conoscere altri studenti, legare delle amicizie e…”
“Ti sei ingoiato l’opuscolo informativo?” Lo prese in giro, evitando un pugno alla spalla per un soffio. Poi lo afferrò per i polsi, veloce come un dannato serpente, e Al si ritrovò nel giro di pochi attimi sulle sue ginocchia.  

“Tom, non sono una ragazzina!” Cercò di liberarsi, come cercò di non fargli notare che gli piaceva essere tenuto tra le braccia.
Magari in modo più virile, però…
“In effetti, pesi più di una ragazzina.” Gli infilò immediatamente una mano sotto il camice, e fece una smorfia ad altra stoffa che trovò sotto.
Al rise. “Pensavi che lo indossassi senza niente sotto? Guarda che fa freddo nei laboratori, sono sottoterra, sotto il livello della metropolitana!”

Tom gli scoccò un’occhiata insoddisfatta, come un bambino che si ritrovava improvvisamente a dover aspettare per scartare un regalo. Era tremendamente buffo, e Al fu contento di averlo distratto almeno un po’. “Avrei preferito la pelle nuda.” Gli comunicò irritato.
“Sei un maniaco. Ed hai un feticismo per le uniformi?”
Tom gli tirò un pizzicotto talmente forte che quasi urlò.

Questo però gli assicurò anche un bacio, visto che la sua presenza lì non era esattamente la benvenuta, ancora. Robin era stata gentile con lui, la sera della rassegna di poesia, ma un po’ fredda. Alice invece non gli aveva rivolto la parola, quasi fosse invisibile.
“Ssh…” Gli sussurrò Tom, con aria severa. Non faceva sul serio. “Non vorrai che ti sentano tutti. Queste tue urla…”
“Chiudi il becco!” Ringhiò avvampando. Il picchiettare ad una finestra fece voltare entrambi.

C’era un gufo, e non assomigliava a nessuno di quelli che conoscevano: aveva un’aria curata e distinta.
“Viene dal Ministero.” Mormorò Tom, facendolo alzare. Gli scivolò via dal volto ogni espressione, mentre andava ad aprire la finestra per prendere la missiva. Il gufo, consegnatola, volò via senza degnarli di uno sguardo.
“Sei… sei sicuro? Dal Ministero? Allora è…” Al, sporgendosi, vide chiaramente il timbro del DALM⁴ stampato sulla ceralacca. Tom la strappò, estraendo la lettera.


 
All’attenzione del Signor Thomas Dursley,
Per violazione della decreto di ragionevole restrizione della magia trai minorenni, Lei, con la presente, è tenuto a presentarsi in data 9 Agosto, alle ore 9,30 al Wizengamot, livello 2 del Ministero della Magia per attendere alla Sua udienza disciplinare.
In fede,
 
Graham Pritchard,
Assistente dell’Ufficio per l’uso improprio della magia.
 
 
 
“… Violazione del decreto?” Mormorò Al confuso. “Ma quando…?”
“È una copertura.” Lo interruppe. “Pare che neppure al Ministero si sappia di cosa sono colpevole…” Spiegò con una smorfia ironica, gettando la busta sulla scrivania. Sembrava riflettere molto velocemente. “Tra due giorni.” Disse alla fine. “Tra due giorni sarà tutto finito.”

“Ma i giudici del Wizengamot sapranno cosa ti è successo davvero?”
“Non ne ho idea. Suppongo di sì. Il fatto che non lo sappia un assistente d’ufficio non significa che non lo sappia chi mi deve giudicare.” Tom era calmo, Al lo realizzò in quel momento. La tensione aveva abbandonato la sua postura. Era più che altro assorto.

Adesso finalmente ha una data da aspettare.  
 “Stai bene?” Gli chiese.
Tom si passò le dita trai capelli. Ormai era evidente che gli dessero fastidio.
“Sai, credo di dover andare a tagliarmi i capelli…” Disse infatti, e sorrise: non era un sorriso allegro, ma riflessivo e calcolatore. Non era annoverabile nell’espressioni positive, ma andava bene comunque.
Avrebbe lottato, solo questo importava.



 
****
 
 
Note:
Tra due capitoli: Hogwarts! (con annessi e connessi)

 
1. Qui la canzone.
2. Martin Miggs è il protagonista – un babbano – di un popolare fumetto del Mondo Magico. Ron ne faceva la collezione. 
3.Citazione dal Signore degli Anelli.
4. Acronimo per Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.
  
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