Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Aihnwen    08/11/2005    0 recensioni
Non te ne sei mai accorto, immagino. Noi stavamo basando noi stessi sul riassunto d’una menzogna, nessuno considerava l’altro come realmente era. Semplice porcellana a risplender sotto la luce dei riflettori, senza veder mai oltre. Senza mai accorgerci che più stavamo assieme più ci allontanavamo dall’utopica visione di noi due.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
» Capitolo 1°.

In un cortile, dietro ad una scuola. All’incirca le dieci e mezzo, durante un intervallo, alcuni ragazzi e ragazze rimangono tranquilli a parlare, con in bocca una sigaretta, chi di una marca, chi di un’altra.

Un gruppo di ragazze rimane attorno ad una figura, poco distinta, seduta su un muretto. Segue svogliatamente le dicerie che le vengono riferite. Un’ultima boccata alla sua Malboro, e la getta con fare disinvolto a terra, scendendo dal suo trono di cemento, e squadrando le ragazzine che adoranti l’accerchiano.

Passa una mano sulla sciarpa che le cinge il collo, una sciarpa piuttosto corta, per poi passare alla coda che alta si staglia sulla nuca, stringendola con un colpo secco.

« Non mi occorre sapere anche che numero di scarpe porta, grazie. » Ribadisce, secca, al sentir una fantomatica avventura erotica avuta da una della mocciosette che l’attorniano. Chiude gli occhi, scuri a tratti verdi, sperando che tutto questo sparisca non appena li riaprirà. Con la solita delusione, li riapre, ritornando nella sua scuola, vicino alle più “in” che si possono trovare, a chiedersi perché cavolo non ha trovato gente con un minimo di cervello come amiche. Insomma, se così era possibile definirle. Stupide, oche e incredibilmente superficiali. Nessuno, a parte loro, aveva il coraggio di avvicinarsi a quella ragazza con la sciarpa di pile colorato, con il suo piercing sull’orecchio e la riga nera sotto gli occhi.

Nessuno. Almeno, nessuno diverso da quelle lì ci aveva provato. Alcuni ragazzi, forse, tutti ben che debellati con un "Ma vedi di crescere, moccioso.”. Tentavi illusori e spesso e volentieri così inutili che la giovane incominciava a chiedersi perché provavano ancora pur sapendo che avrebbero perso nuovamente.

La ragazza si ri-immerse nei suoi pensieri, estraniandosi e rispondendo con un “mhm” e un “già” qua e là, prima di inventarsi una scusa e allontanarsi, diretta forse verso il bagno, dove la sua solitudine poteva abitare tranquilla.

Dall’altra parte del cortile, intanto, succedeva esattamente la stessa cosa. Un ragazzo, dagli occhi azzurri, i jeans oramai ordinari tenuti a vita molto bassa, a mostrar quell’elastico dei boxer firmati, magari con un classico logo tipo “D & G” o “Calvin Klein”. Capelli neri, con un taglio alla moda. In poche parole, il ragazzo che spopolava nella scuola più di ogni altro, il famoso e bello, quello che era stato contattato da una squadra per diventare calciatore un anno prima, quando aveva solamente sedici anni.

Anche lui, con la sua sigaretta in bocca, anche lui ad avvelenarsi i polmoni, anche lui a far crollare il nervosismo con una droga più popolare di una illegale. Anche lui attorniato da ragazzini di qualche anno più grandi, ma non per questo più maturi. Stava tranquillo, ascoltando distrattamente i discorsi dei suoi confusionari amici, sull’ultima partita di calcio o sul quel meraviglioso calendario appena uscito con una rivista.

Con un’unica, piccola e importantissima differenza. Con la coda dell’occhio guardava quella ragazza che aveva appena detto una scusa qualsiasi alle sue amiche per allontanarsi da loro e rifugiarsi nella tranquillità di un bagno, probabilmente, oppure direttamente fuori.

«Torno subito, belli. » Si staccò dal muro su cui era appoggiato, avviandosi con passo tranquillo e forse fiero, ignorando le occhiate di desiderio e falso amore che le ragazzine petulanti, ferme con una sigaretta in mano solo per farsi più grandi, gli stavano lanciando. Intraprese lo stesso sentiero della ragazza che era scappata, a nascondersi.

Ne vedeva la scia, la vedeva camminare ignorando le stesse occhiate che le mandavano il sesso opposto. Vedeva come tentava di non mettersi a ridere, mentre si muoveva sinuosa, quando un professore le chiese qualcosa. Vedeva il disprezzo dipinto sul suo volto, sul volto di chi è costretto. Costretto ad andare dove non vuole, a dare ciò che non vuole.

La ragazza si rintanò in un bagno. Sapeva di essere seguita da lui, aveva osservato gli sguardi stupefatti delle ragazzine che adulavano il re di cuori, mentre ne inseguiva la regina.
Una caccia, forse. Ogni giorno, sempre così. Lei scappava e lui la inseguiva.

Sapeva che presto sarebbe entrato nella sua riservatezza, nella sua dimensione parallela, quella che le lasciava vivere senza troppi blocchi la vita reale.

« Come mai qui? » Chiese, quel ragazzo quasi uomo. I pantaloni scuri, una felpa che ricadeva con noncuranza fino a raggiungere l’inizio dei jeans e comprendo così quei boxer tanto attesi da tutta la popolazione femminile dell’edificio.

« Sono solo stupide galline, lo sai già. » Rispose lei, levandosi la felpa e mostrando così una maglietta nera con teschio dietro, a finir qualche centimetro prima dell’inizio dei pantaloni di tessuto sintetico che portava in quel momento.

« Potresti venir da me, ogni tanto. » Rispose noncurante il moro, una scintilla negli occhi, speranza forse di riuscire ad avere per sé quella ragazza irraggiungibile al resto del mondo.

« Tra quei cretini? No grazie, le galline petulanti sono preferibili. » Furono le parole sarcastiche della giovane, alzando la mano quasi volendo far cadere la conversazione in un punto morto.

« Ma staresti con me. » Disse lui, a voce alta, facendo voltare le ultime persone che non li stavano guardando.

Erano un quadretto affascinante: lei, appoggiata al muro di un bagno sudicio con una maglietta striminzita e lui, un braccio a bloccarle i movimenti, proprio vicino al suo collo, che la fissava dall’alto di quindici centimetri in più, quasi in procinto di baciarla.

« Gran bella cosa. Stare con te e dei cretini senza cervello. Hai forse un leccapiedi libero, tra loro? Mi farebbe comodo, gli direi “non far avvicinare a me quello lì » Indicò lui, a neanche trenta centimetri da lei « o ti faccio le feste con i miei amichetti fuori di qui” ».

«Ma quanto siamo pignole. » Rispose, consapevole di avere tutti gli sguardi su di sé, una soap-opera in diretta, ma soprattutto più succosa. « Se vuoi » Aggiunse, tentando di non mettersi a ridere nel vedere la sua smorfia di quasi disgusto « ti trovo qualcuno. A patto che esci con me. » Un sorriso malizioso comparve sul volto perfetto, con quella mascella un po’ squadrata, le sopracciglia quel poco ribelli, gli occhi glaciali e incredibilmente profondi, la frangetta di quel taglio alla moda che copriva la fronte.

« Se dovessi elencarti i motivi per cui declinerò l'offerta, penso che impiegherei più tempo di quanto ne abbia messo Dante per scrivere la “Divina Commedia”. E penso sia anche ora, » alzando in modo palese la voce, per farsi sentire da tutte le persone che li fissavano « anzi, che è ora che la gente si faccia gli affari suoi. Si, anche lei professore. » Scoccò un’occhiata divertita all’insegnante che li guardava, mentre velocemente cambiava colore del volto e si voltava da un’altra parte, seguito a ruota dal resto della scuola.

«Scortese come sempre, bella. » Rispose un’ultima volta il ragazzo, staccandosi dal muro con un colpo secco e incominciando ad uscire. «Ma non credere che sia finita qua. Ciao ciao.»

* La vedremo. * pensò semplicemente lei, mentre ascoltava con indifferenza la campanella che suonava nuovamente l’inizio delle lezioni.

Sapeva che tutti erano tornati in classe, quindi andò stancamente verso il cortile, estraendo nuovamente il suo pacchetto di sigarette e accedendone una con l’accendino, tornando a sedersi sul suo muretto preferito. Si distese sopra, tirando dalla sua Malboro una nuvoletta di fumo. Chiuse gli occhi, assaporandone il sapore e quasi palpando la tranquillità di cui godeva in quel momento, sospirò, tranquilla.

Lentamente, incominciò a canticchiare una canzone. L’aveva scritta lei, la sua prima, vera canzone. Si lasciò trasportare dalle parole, ignorando il mondo che fuori continuava a girare, tra una boccata e l’altra di sigaretta, un movimento con la testa che andava a ritmo.

Quando finì di cantare, sentì, dietro di lei, l’applauso di una persona. Strinse gli occhi, infastidita, costringendosi ad alzarsi e vedere il suo ascoltatore.

La figura fece cadere le braccia lungo i fianchi dopo aver applauso la voce della ragazza che stava bellamente marinando le lezioni.

« Complimenti, allora è vero. » Disse, la voce bassa e roca, quella di un uomo oramai avanti con l’età.

La ragazza lo squadrò dal basso in alto. Davanti a lei si trovava una persona sconosciuta, mai vista prima.

Un completo di giacca e pantalone, evidentemente costosi e piuttosto eleganti. Era evidente che fosse qualcuno di piuttosto importante, non un solito professore. Se lo aveva lasciato andare a trovare un alunno, voleva dire che una certa influenza ce l’aveva.

« E te chi sei? » Chiese, il tono quasi canzonatorio, poco propenso a risultare cordiale. Non aveva intenzione di sembrarlo: era stata disturbata nel suo infrangere le regole, e ora voleva un motivazione plausibile per questo.

«Una persona molto interessata a te. » Disse, estraendo con fare professionale un biglietto da visita da un tasca interna della giacca. «Richard J. Hansin. Direttore dell’R&B. Immagino tu lo conosca.» Disse con noncuranza, avvicinandosi alla ragazza, ancora titubante, sul suo muretto. Gettò la sigaretta a terra, guardando per un paio di secondo il rivoletto di fumo che ancora lasciava nell’aria.

« Si, lo conosco. E quindi ora mi chiedo che cosa vuoi da me. » Disse, sebbene un’idea se l’avesse già fatta. Ma le pareva troppo sperare in quello, nel fatto di… No, non poteva essere. Magari cercano qualcuno per fare il barman, pensò con malinconia. Non di certo qualcuno che canti. In quel locale poi! Uno dei più famosi e frequentati della città, che ogni notte faceva incassi da record.

« Voglio che ti esibisca davanti al mio pubblico, tra un mese. Ti ho sentito cantare e la tua… » Sembrò cercare un termine adatto « Fama è meritata, a quanto pare. ». L’ombra di un sorriso comparve sul suo volto.

La ragazza lo guardò, freddamente. Dentro di sé un tumulto, che ogni due secondi tentava di districare il groviglio di sensazione che la stavano scombussolando. Non aveva idea di cosa dire. Adesso sapeva che cosa intendeva lui, quando gli avevano chiesto di entrare in una squadra di calcio. Certo, non era la stessa cosa, ma le sensazioni, lei sapeva che erano proprio quelle.

Era come venire buttati sotto una doccia gelata, mentre il resto del corpo avvampa. La sensazione di camminare su un burrone, il dubbio che tormenta ogni pensiero.

La ragazza lo guardò, ancora in silenzio. Poi, un sorriso, soddisfatto e quasi felice, nacque sul suo volto, mentre formulava una risposta.

«D’accordo. Iris Miern canterà nel suo locale. »



------------------------------------------------------------------

Io ci ho già dato una letta, premetto >.< Ma se ci sono strafalciani, beh, avvisatemi che correggo. Naturalmente vorrei sapere cosa ne pensate o.o' Quindi... recensite, recensite, recensite, recensite!

Al prossimo capitolo =*
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Aihnwen