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Autore: Opalix    12/11/2005    10 recensioni
Ho pensato di fare una piccola raccolta di aneddoti ispirati alla storia Dangerous Feelings; si tratta di episodi a cui i personaggi fanno accenni nella storia, o semplicemente scene non descritte nella trama. Non so quanti saranno o quali saranno. Alcuni saranno divertenti, altri potranno essere drammatici. Spero che possano piacervi! (Poiché ognuno è una storia a se stante, e poiché li scrivo solo quando mi viene l’ispirazione… non aspettatevi un aggiornamento regolare.)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate la mia assenza nelle ultime settimane, ho dovuto risolvere alcuni problemi sul lavoro, prometto che aggiornerò al più presto possibile anche “Trapped under ice”. Intanto vi regalo questo piccolo momento… e lo dedico a Euridice e Savannah, per ringraziarle di essere quello che sono! Un bacio, pazze!

MALFOY

PARTE 1: FATHER

L’uomo salì sul palco: il pianoforte, già illuminato, lo stava aspettando.
Camminava verso di esso con pacata tranquillità, con una naturale sicurezza esaltata, anziché smorzata, dalla rigida eleganza del completo scuro che indossava. Rivolse un lievissimo inchino agli spettatori, seduti nelle comode poltrone del teatro, e si accomodò sullo sgabello, prendendosi qualche minuto per concentrarsi. Nel momento in cui iniziò a suonare una coppia di ballerini sbucò dalle quinte e cominciò a danzare, sulle note vibranti del “Chiaro di Luna”.
Era il suo lavoro, la sua passione… suonare era, allo stesso tempo, un simbolo della sua vita attuale e un ricordo malinconico della vita che si era apparentemente lasciato alle spalle…

Ma… c’era ancora qualcosa in lui a ricordare quel piccolo bastardo arrogante che aveva spadroneggiato, viziato principino delle Serpi, sui sotterranei della scuola?
Cos’era rimasto in quell’uomo attraente del vecchio dannato assassino, spietato con i nemici come col cuore delle donne, lasciate a rabbrividire, sole, in letti d’albergo disfatti?
Dov’era il gelo sferzante che un tempo riempiva quegli occhi color ghiaccio? In essi ora brillava la luce serena e distaccata di chi ha visto tutti i lati di un mondo tremendamente ingannevole… e sa di aver scelto, alla fine dei conti, il compromesso migliore per sopravvivere.
Agli occhi di qualcuno che l’aveva conosciuto ad Hogwarts nulla sarebbe saltato all’occhio, nessun indizio per indicare che David McGray e Draco Malfoy fossero in realtà la stessa persona. Eppure, allo stesso tempo, nulla del vecchio Draco poteva essere morto… non del tutto, almeno.

“Cosa si celava dietro ai miei eleganti fronzoli, sotto i miei occhi tranquilli e remissivi? Chi ero? Non ricordo fiamma più calda di quella che si celava nell’argenteo bagliore del mio vago sorriso rivolto a chi me lo chiedeva…”
Anne Rice
“Armand il vampiro”

Muovevo le dita su quella tastiera amica, senza quasi pensare a ciò che stavo suonando; abbassavo lo sguardo su quelle persone eleganti, sedute sulle loro morbide poltrone, avvolte dal comodo velluto delle loro certezze…
Chi ero per loro?
David McGray. 40 anni. Pianista. Canadese.
Marito di Ginevra Weasley.
…Babbano.
Che altro avevano bisogno di sapere, in fondo? La verità…no, la verità era nella musica, l’unica verità che a loro serviva conoscere: il fatto che suonavo per loro, perché amavo suonare… e perché loro erano lì per questo.
La verità come principio, quando si arriva a tirare le somme alla fine dei giochi, non conta poi così tanto; questa era una delle poche cose che avevo imparato davvero in quegli anni… costretto a portare un falso nome, a fingermi babbano, a rimanere lontano dalla gente come me e dai luoghi che un tempo mi erano familiari.
Non contava così tanto che qualcuno mi chiamasse David, o che sul giornale un critico scrivesse “Il pubblico si alza per McGray”.
Non contava che quando viaggiavamo come babbani mia figlia venisse chiamata con il nome di Arianne.
Non contava che Vogue mostrasse la foto della famosa “Ginevra Weasley, insieme al marito, il noto pianista canadese David McGray”. Non contava che io non potessi togliermi la soddisfazione di sentirla chiamare “signora Malfoy”.
Non contava più nulla di tutto questo quando, una volta chiusa alle mie spalle la porta di casa, potevo abbracciare mia moglie e sentire sulle sue labbra il mio nome… il mio vero nome: Draco.
Che poteva importare il nome che il mondo usava per chiamarmi quando potevo avere lei… senza il rischio di doverle dire, improvvisamente, addio. In qualsiasi modo il mondo fosse costretto a chiamarmi, io sapevo di essere sempre lo stesso uomo che le aveva detto di amarla, su un’isola tanti anni prima, ero l’uomo che aveva rischiato e rischierebbe ancora ogni cosa, ogni respiro, pur di tenerla con sé… ero l’assassino che aveva ucciso e smesso di uccidere: entrambe le cose, in definitiva, per lei.
Io lo sapevo, Ginny lo sapeva. E lo sapeva anche nostra figlia… il resto del mondo poteva anche credermi nato sotto un verza, se gli aggradava. A me non interessava più.

Gli occhi del pianista si mossero lungo la sala, lasciando che le mani corressero da sole sui tasti d’avorio… occhi grigi, velati dall’ombra delle ciocche bionde disordinate, lo stesso taglio scomposto del giovane, bello e dannato, che torturava per puro diletto qualunque essere che non riteneva alla sua altezza…
Strinse le palpebre per cercare di riconoscere qualcuno… in fondo capitava, a volte: Alice e il caro Potter si concedevano spesso una serata per ascoltarlo, la Granger amava la musica classica e la danza (e Weasley amava accontentarla e farsi una dormita sulle poltrone…), Daisy portava qualche amica, o qualche ragazzo, e anche Ginny o Alnitak a volte lo sorprendevano, arrivando a sentirlo suonare senza avvertimento.
Il movimento dei suoi occhi si bloccò: in piedi in fondo alla sala, era appena entrata… capelli rossi, sciolti sul petto coperto da una camicetta verde chiaro, fisico slanciato e forse troppo magro, carnagione talmente chiara che sembrava riflettere la pochissima luce della platea. Alnitak, stranamente sola, si accomodò in una poltrona in ultima fila, senza distogliere gli occhi dal viso lontano del padre.
La fronte del biondo pianista si aggrottò impercettibilmente… qualcosa non andava.

Non capii perché fosse lì quella sera, non subito… anche se la telefonata di Alice di qualche giorno prima avrebbe dovuto mettermi in guardia.
Guardarla da lontano faceva sempre nascere dentro di me sensazioni contrastanti. A tratti la vedevo così simile a sua madre da mozzarmi il respiro in gola: orgogliosa, testarda, forte come l’acciaio sotto l’apparenza fragile e ricercata… con l’istintiva gelosia di un padre riuscivo a notare quella bellezza fine, ancora acerba, ma che già mostrava le basi dello stesso fascino magnetico di Ginny, fascino che avrebbe stregato qualcuno, un giorno non lontano… qualcuno che me l’avrebbe portata via.
In altri momenti invece vedevo in lei tanto, troppo di me stesso… e mi assaliva il timore di vederla commettere errori più grandi di lei; sapeva essere crudele se voleva, me n’ero accorto, sapeva mentire… anche se non a me, e sapeva mostrare la stessa freddezza che tante volte mi aveva salvato la pelle quando ero l’assassino al servizio di Voldemort. Da quel punto di vista, era una dannata… fantastica… Malfoy.
In lei ero riuscito a far nascere l’orgoglio per il nome che non poteva portare, ma che le sarebbe sempre appartenuto perché parte di lei; le avevo insegnato ad accettare il compromesso di un cognome babbano, a testa alta, con la dignità che sapevo di averle trasmesso… la dignità dei Malfoy.
Un nome non si ottiene per merito, non si vince come un trofeo, è qualcosa che non si chiede… è anche qualcosa che volendo può essere cambiata. Ma ci sono altre cose che viaggiano insieme al nome, e che, al contrario di esso, non si possono mai barattare; come il nome non si chiedono, non si imparano, si ereditano e basta… sono positive e negative, e non si possono separare, si possono solo accettare e, se si è abbastanza furbi, imparare a sfruttare. Qualunque cosa si dica, il sangue non è acqua… e nelle vene di Alnitak scorre sangue Malfoy, con tutte le doti e le maledizioni che comporta, qualunque sia il cognome con cui firma sul registro di scuola.
Forse era il richiamo del sangue che l’aveva condotta lì, quella sera, l’istinto che forse soltanto io sarei riuscito a capire… per quanto Ginny riuscisse a penetrare nella mia mente e in quella di Alnitak, soltanto io avrei potuto aiutarla a placare il drago infuriato dentro di lei. Perché il tempo e le sfide mi avevano insegnato a placare quello dentro di me.

PARTE 2: DAUGHTER

“…e quindi seguirò un corso per pozionista. Rimarrò in Francia per due anni, forse meno…”

Rimarrò in Francia per due anni.
Rimarrò in Francia per due anni.
Rimarrò in Francia per due anni.

Daisy sollevò finalmente lo sguardo dalle unghie della mano destra che aveva fissato ostentatamente per tutta la durata del suo frenetico discorsetto. La freddezza negli occhi grigi della ragazza di fronte a lei la colpì come una pugnalata… si portò la mano alla gola, torturando il collo della maglietta.
“Taki… cerca di capire…” mormorò.
Ma evidentemente era chiedere troppo.
Alnitak scattò in piedi, fissandola come se volesse trapassarla da parte a parte… dietro la facciata gelida, smaniava per traboccare la delusione rabbiosa di chi si sente tradito, di chi non vuole accettare di perdere qualcuno… in quel momento la rossa apparve come la bambina irascibile che raramente mostrava di essere.
La ragazzina lasciò cadere il cuscino che teneva in grembo ed, insieme ad esso, anche un’occhiata di odio divorante piovve come una doccia gelida sulla cugina; il cuscino cadde sul tappeto con un tonfo, Alnitak infilò la porta d’ingresso, incespicando nella corsa, e se la sbattè alle spalle con violenza.
Silenzio.
Il battito ripetitivo dei tasti di un computer che si sovrapponeva a quello impazzito del suo cuore.
Solo un istante e Daisy scattò in piedi a sua volta, pronta a balzare verso la porta.

“Stai lì.”

La voce tranquilla di Ginny la raggiunse attraverso la porta socchiusa dello studio. Daisy si bloccò e si portò le mani alla testa, sospirando, poi con uno scatto stizzito, spalancò la porta e fissò sulla zia due occhi azzurri in procinto di riempirsi di lacrime.
“Taki… se n’è andata! Zia… io…”
“Tu… non seguirla.” fece Ginny sollevando lo sguardo dal portatile; gli occhiali da vista celarono il lampo di leggero divertimento che aveva attraversato il suo sguardo all’apparenza distaccato.
“Ma… zia, è uscita…!”
“Daisy, sono sua madre nel caso ti fosse sfuggito: mi vedi preoccupata?”
“No…”
“Dunque non esserlo nemmeno tu. Alnitak è una Malfoy…” Ginny si tolse gli occhiali, posandoli di fianco al computer, e si rivolse finalmente alla nipote senza quella protezione, “…il loro cuore parla una lingua diversa dalla nostra. Lascia che lei venga a patti da sola con la propria possessività: non puoi aiutarla.”

Una lacrima si impigliò tra le ciglia scure di Daisy e la ragazza battè le palpebre per cacciarla; corse vicino alla zia e si accoccolò sul bracciolo della sua poltroncina.
“Hai sentito tutto?” mormorò.
Ginny passò un braccio attorno alle spalle di Daisy e la strinse leggermente.
“A-ah… bel discorsetto. Te lo eri anche scritto?”
Il sorriso di zia Ginny era dolce e canzonatorio; Daisy la guardò in viso a lungo, terrorizzata di trovare rimprovero o delusione in quello sguardo, ma gli occhioni scuri della donna era pieni soltanto di dolcezza e orgoglio. Le lacrime finalmente traboccarono, lacrime di sollievo e liberazione, e Daisy nascose il viso nella spalla della zia.
“Bè? E che c’è da piangere?” sussurrò Ginny, carezzandole la schiena.
“Taki…”
“Taki capirà. Io sono fiera di te, e anche Draco… quando si renderà conto che non sta veramente dicendo addio ad un’amica, anche Taki sarà orgogliosa del tuo coraggio.”
“Ehi… cioè, Draco… voi lo sapevate già?”
Ginny rise, divertita.
“Ehi, ragazzina! Tua madre è la mia migliore amica da una vita! Chi credi che le abbia ricordato che qualcun altro a caso se n’è andato di casa dopo la scuola? Ali era terrorizzata all’idea di lasciar andare la sua bambina!”
Daisy si rabbuiò ulteriormente.
“Tu hai litigato con i tuoi amici quando te ne sei andata di casa… me l’hai raccontato.” bisbigliò.
La rossa le sollevò il viso per farsi guardare negli occhi.
“Daisy, era una situazione completamente diversa. Io me ne sono andata da una prigione, tu ci lasci per qualche tempo per vivere un’esperienza che ti renderà migliore. Non vedi quanto suona diverso?”
Daisy annuì, poco convinta.
“Io non voglio perdere nessuno di voi… non voglio perdere l’amicizia Taki!”
“Non la perderai. Dalle solo del tempo… poi comincerà a organizzarsi per scroccare una vacanza a Parigi e venirti a trovare.”
Questa volta la ragazza ridacchiò e nascose il sorriso abbracciando di nuovo la zia.
“Certo che è assurdo…” disse “tu sei qui a consolare me, quando tua figlia è arrabbiata e fuori di casa…”
Ginny sospirò, non eccessivamente preoccupata.
“Conosco la mia pollastra, credimi.” rispose, fingendosi sconsolata “Io non posso aiutarla, ma sono sicura che è andata a pescare qualcuno che parla la sua stessa lingua.”

PARTE 3: FATHER AND DAUGHTER

“Credevo di averti insegnato a bussare prima di entrare nelle stanze private di qualcuno.”

I gelidi rimproveri di Draco avevano sempre avuto il potere di mandarla in bestia, per tutta una sensatissima serie di validi motivi; ad esempio per il fatto che magicamente suo padre aveva sempre ragione, per il fatto che li lasciava cadere proprio nei momenti in cui meno ne avrebbe avuto bisogno, per il fatto che non aveva mai la più pallida idea di come controbattere e, soprattutto, per il fatto che se avesse dato in escandescenze per tutte le sopraccitate motivazioni non avrebbe ricavato da lui assolutamente nulla… se non altri rimproveri gelidi per i quali friggere di rabbia.
Alnitak respirò, contò fino a dieci, imponendosi di non muovere un muscolo del viso, e parlò con voce piatta.
“Perdonami. Volevo vederti.”
La ragazza si congratulò con se stessa.
Draco fece scivolare la giacca scura sui polsini inamidati della camicia e la appese al piccolo guardaroba del suo camerino; poi si decise a guardare in viso la figlia e rivolgerle un sorriso sardonico.
“Desideravi vedermi con così tanta urgenza da non poter attendere nell’atrio per dieci minuti?”
Come non detto.
Alnitak contò fino a quaranta… raschiando con le unghie il fondo della sua scarsissima riserva di pazienza.
“Sai che non sarei stata così invadente se non si fosse trattato di qualcosa di importante” mormorò tra i denti.
Il sogghignò sul volto del padre si allargò impercettibilmente: aveva fatto un buon lavoro con Alnitak, sapeva cavarsela egregiamente in qualsiasi situazione… in un ricevimento dell’alta società o ad un raduno di criminali sarebbe riuscita sempre a conservare la sua classe.
“Aspettami nel corridoio, per cortesia” disse alla figlia, con la voce addolcita dall’orgoglio “non ci metterò più di un minuto.”
La ragazzina annuì e sgusciò fuori dalla porta, senza trattenersi dal lanciare al padre un’occhiata ammonitrice: non mezzo secondo di ritardo, paparino…

*******

“Dunque?”

Draco guardava la figlia di sottecchi, mentre uscivano insieme dal teatro, occhieggiati con ammirazione e curiosità dagli spettatori ancora nei pressi dell’uscita. Era ancora caldo, sebbene l’estate fosse ormai alla fine… la camicetta verde doveva essere più che sufficiente per ripararsi dall’aria appena frizzante di quella serata, ma Alnitak stringeva le braccia al petto, come infreddolita, e la sua pelle pareva ancora più diafana del normale.
“Non era così urgente quello che dovevi dirmi?” la provocò ancora il padre.
Un’occhiata di stizza, fu mascherata da una ciocca di capelli rossi, provvidenzialmente spinta sugli occhi da un alito di brezza.
“Vuoi farmi credere di non sapere nulla, papà?” chiese la ragazza, più gelida che mai.
Draco non mostrò di aver incassato il colpo: sorrise, con quel suo ghigno storto che lo ringiovaniva di almeno dieci anni, rendendolo sempre più simile al bastardo scapestrato di una volta.
“Alnitak, non giocare alla petulante con me, non sono tua madre. Se hai voglia di sfogarti e litigare vai da lei: non credo ti negherà la soddisfazione di vederla strillare, se la provochi abbastanza.”
La ragazzina si dimenò, fumante di esasperazione, ma si arrese.
“Daisy è venuta a dirmi che ha vinto una borsa di studio per andarsene a studiare da pozionista in Francia.”

“Ottima materia.”
Alnitak si bloccò sul marciapiede, sul punto di scoppiare in lacrime… e nemmeno lei sapeva per cosa, nemmeno capiva se la stizza verso suo padre superasse la rabbia per ciò che le aveva detto la cugina. L’emozione, infine, ebbe la meglio sull’autocontrollo, il ritegno e l’educazione che le erano stati inculcati: senza riuscire a trattenere oltre il pianto, si lanciò tra le braccia forti del padre e si lasciò stringere e cullare da esse, mentre la diga dei singhiozzi sembrava non volersi richiudere mai.

Draco lasciò calmare la figlia, tenendola stretta tra le braccia, poi la allontanò leggermente, sollevandole il mento per farsi guardare negli occhi, ma la ragazzina si ritrasse, abbassando le palpebre su uno sguardo velato di lacrime amare.
“Daisy è l’unica con la quale non devo fingere… se va via lei, io non ho più nulla di vero.”
Alnitak sottolineò quella frase con un calcio ad un ciottolo che si era trovata davanti al piede; Draco sospirò silenziosamente.
“Andiamo a casa a piedi, vuoi? Parliamo.”
La rossa annuì e accettò il conforto del braccio del padre sulle spalle, mentre si allontanavano piano piano.

L’avevo fatta innervosire di proposito, o avrebbe continuato a tenersi tutto dentro, ribollendo di rancore verso qualcosa che non esisteva: lo sapevo, perché ero come lei. A quel punto sarei stato pronto a tenerla stretta a me fino al mattino dopo, se fosse stato necessario…ma, sebbene mi facesse star male vederla piangere, abbracciarla soltanto non sarebbe servito a nulla, perché non era in me che aveva perso la fiducia. Non mi stava dando la colpa della sua condizione, ma quella frase mi aveva colpito nel vivo più di quanto lei immaginasse… eppure non dissi nulla: era lei a soffrire, erano lei e Daisy, in quel momento, a piangere.
Sorrisi al mio improvviso spirito altruista, se di altruismo di può parlare riferendosi al sangue del proprio sangue. In un momento simile mi stupii di trovarmi a pensare, dopo tanti anni, a quanto la sofferenza delle altre persone tendeva a non farmi né caldo né freddo, una volta; mi chiesi fino a che punto fosse domato l’assassino insensibile che ero stato… dubitavo seriamente che si fosse assopito del tutto. Senza motivo, mi sorpresi a chiedermi se sarei stato ancora in grado di uccidere e, ancora più stupito, mi risposi “si”. Tenevo mia figlia tra le braccia e mi resi conto che per lei avrei fatto qualunque cosa, senza esclusioni.

“Sai che comportandoti così stai facendo molto male a Daisy?”
Alnitak si voltò a guardarlo.
“E il male che mi fa lei andandosene?”
Il mago scosse la testa.
“Non ti fa del male, Taki… non devi avere paura della solitudine.”
La ragazzina si scostò da lui, ferita, ma Draco continuò, inesorabile.
“Non sarai mai come gli altri ragazzi, di questo ti avevo avvertito anche prima che tu andassi ad Hogwarts, lo sai. Hai troppo di me per poter essere amata e benvoluta da tutti nel modo in cui lo è Daisy… lei non smetterà di volerti bene solo perché sarà lontana, ma devi imparare a cavartela da sola, devi crearti la tua vita per quanto complicato possa essere.”
“Non capisci!” scoppiò Alnitak, di nuovo in lacrime “Credi che mi importi di essere amata perché sono l’amica della reginetta di Hogwarts! Io so bene quello che sono!”
La figlia di un assassino.
L’ultima Malfoy.

“E lo sarai anche se Daisy se ne va. Se lo sai, cos’è che ti tormenta? O forse non riesci ad accettarlo?”
Alnitak si strofinò rabbiosamente gli occhi con la mano. Odiava farsi vedere piangere.
“Non accetto che qualcuno prenda il mio posto per lei…”

Draco trattenne un sorriso, mentre rivedeva se stesso su una spiaggia lontana, una sera di molti anni prima… il viso di una donna illuminata dalla luce aranciata di un falò, le proprie dita tra quei capelli di fiamma e la propria voce secca che diceva non ti avviserò, non farti trovare con un altro. La durezza per mascherare, per dare una dignità ad una frenesia che sfiorava l’ossessione. Perché ciò che è di Malfoy non è di nessun altro… questo gli avevano insegnato; la verità era che ciò che gli entrava nel cuore aveva la tendenza fastidiosa a non volersene più andare…
“Non farti trovare con un altro.”
No. Non era ancora quel momento: la sua bambina di quattordici anni non sopportava l’idea che l’amica di sempre, la sorella di spirito, potesse dimenticarla e sostituire la loro amicizia. Eppure il sentimento era lo stesso: quella ossessività che nascondeva una minaccia, quell’implorazione umiliante celata dietro il muro dell’orgoglio rabbioso… il tutto racchiuso in un cuore che ancora non sa quanto è facile fare del male a se stessi ed agli altri.
Con un sogghigno nascosto, Draco non potè evitare di pensare che, figlia sua e di quel demonio di Ginny, Alnitak avrebbe fatto desiderare le attenzioni di un’acrumantula ad un eventuale ragazzo che l’avesse fatta soffrire… ovviamente in un futuro ancora molto lontano.

“La gabbia non è il metodo giusto per assicurarsene, Taki. La vostra amicizia non soffrirà della lontananza, ma non lasciare che Daisy parta con l’idea di averti tradita.”
Taki alzò la testa.
“Come puoi dire questo?”
“In ogni caso Daisy ha finito i suoi studi ad Hogwarts… non sareste state insieme comunque quest’anno.” La ragazzina fece per ribattere ma Draco la fermò con un gesto imperioso “Zitta. Posso dirlo perché lo so. Non fare questo errore, non fare del male alle persone che ami; sei così simile a me che è inevitabile: senti di doverti tenere stretta ciò che è tuo a tutti i costi, ma non è così che ci riuscirai. Io e Ginny siamo rimasti separati per un anno intero, a causa di Voldemort… ho patito come un cane pensando che avrebbero potuto portarmela via, ma niente ha potuto mettersi in mezzo a noi. Ti fidi così poco di Daisy e di te stessa da pensare che la vostra amicizia debba sparire alla prima difficoltà?”
Alnitak scosse la testa. “No… io…”
“Daisy non ti deluderà. Quegli stupidi Gryffindor sono geneticamente incapaci di essere sleali.”
La battuta strappò finalmente una risatina ad Alnitak, che si strinse di nuovo al padre in un abbraccio; Draco la circondò con le sue braccia, mentre riprendeva a parlare seriamente.
“Farò in modo che tu possa vederla spessissimo, Taki, questo te lo prometto.” la rassicurò “Ma vorrei che tu capissi quanto è difficile anche per lei: Daisy sarà completamente sola a Parigi, mentre tu sarai qui con tutta la tua famiglia e la sua! Non credi che lei sentirà la tua mancanza ancora più di te? Non credi che sarà lei a sentirsi meno vera così lontana da tutti quelli che le vogliono bene?”
“Immagino di sì.” ammise Taki “ma non ci ho pensato. Suppongo che un po’ di altruismo Gryffindor avrebbe fatto bene anche a me…”
Draco rise.
“Chissà… in fondo sei Gryffindor per metà!”
“Mamma non sembra poi tanto Gryffindor quando si arrabbia.”
“Non sarà perfetta, ma è la Gryffindor della mia vita. L’ho sposata perché una Gryffindor che insulta Potter non si incontra due volte.”
Anche Alnitak scoppiò a ridere e Draco la abbracciò ancora più forte.
“Andiamo a casa, piccola.” sussurrò “La Gryffindor arrabbiata ci starà aspettando…”

   
 
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