Salve a tutti. Vi presento tutto d'un fiato il racconto di un'intera giornata di questo piccolo, grande eroe. Spero che il capitolo precedente vi sia piaciuto, perchè questo ha un tono molto diverso...
Buona lettura.
I primi cinque anni della mia vita
furono segnati da
una profonda solitudine.
Sebbene nessuno sapesse che ero una forza portante,
molti mi evitavano per ciò che era mio padre.
Si. È proprio come pensate. Senza nemmeno conoscerlo
ero stato etichettato come un mostro, perché figlio di un
mostro.
A causa di questo: nessuno, a parte i compagni di mia
madre, si avvicinava a me.
Le persone mi vedevano con odio, i bambini mi
evitavano e mi emarginavano.
Se non sono impazzito lo devo solo all’amore di mia
madre che era sempre pronta a consolarmi e che mi spingeva ad andare
avanti
nonostante le difficoltà.
Ci sono così tanti
episodi della mia infanzia che
vorrei raccontare, ma quelli più significativi sono tre. Su
di essi gira tutta
la mia storia e il mio credo ed è per questo che ora li
racconterò.
Il primo di questi avvenne quando
avevo cinque anni e
mezzo: ero solo un bambino eppure già ragionavo come un
adulto, suscitando la
sorpresa di tutti soprattutto quella di mio nonno, Yaphisan Sandtimes,
il più
antico dei signori del tempo.
Neanche il passato di mio nonno era stato roseo: aveva
regnato come imperatore del tempo per migliaia di anni.
Poi, quando ricevette una chiamata ancora più grande e
fu costretto a fare una scelta, il tempo stesso lo maledì:
fu condannato a
perdere le sue fattezze umane e divenne lo Spettro del Tempo, uno
spirito di
sabbia col volto celato da una maschera eterna che mai più
lo avrebbe
abbandonato e l’avrebbe obbligato ad errare in eterno nello
spazio e nel tempo
senza mai trovare pace.
Nonostante questo maleficio, mio nonno forzò sé
stesso
a starmi vicino. Mi insegnò tutte le arti della nostra
famiglia e i più
importanti precetti del combattimento: la spada, l’arte dei
ninja, la
levitazione, il corpo, la mente, lo spirito e il cuore.
Tutte queste, insieme alle sue conoscenze, furono il
mio primo bagaglio che mai ho dimenticato.
Fu la sera dopo uno di questi allenamenti che capii il
mio credo.
Prima, per, permettetemi di
riassumere la giornata: a
parer mio, è altrettanto determinante e poi vi
dirò il resto.
Muovendomi nell’aria,
stavo esercitandomi a lanciare i
kunai in vari punti per centrare i bersagli.
Quella tecnica non era la mia specialità, ma non sono
mai stato il tipo che si arrende facilmente e continuai ad insisterei.
Quel pomeriggio, già trenta volte avevo provato ad
eseguire quei movimenti, senza riuscire a coordinarmi bene.
Ricordo ancora le testate che presi quel giorno d’Autunno
in cui soffiava un vento freddo.
“Direi che per oggi
può bastare Sauron” disse il nonno
“Torniamo a casa, altrimenti chi la sente tua
madre”.
“Per favore nonno, fammi provare un’ultima
volta” gli
dissi esausto “Sento che questa è la volta
buona”.
“L’avrai detto almeno dieci volte oggi.
L’aria si sta
caricando di umidità, fra poco pioverà.
È meglio interrompere e tornare a casa per oggi: non
voglio che ti prenda un raffreddore”.
“Facciamolo solo un’altra volta”
insistetti “Questa
volta ce la farò”.
Mio nonno sospirò ed acconsentì.
La pioggia aveva cominciato a
scendere ed io stavo
immobile in mezzo alla radura, incurante di ciò che mi
circondava.
Mi concentrai, cercando di localizzare tutti i
bersagli con la mente.
Poi saltai: mi capovolsi e, senza indugi, lanciai i
kunai verso le varie direzioni, cercando di direzionarne alcuni per
deviarne la
traiettoria.
Dopo il lancio feci una capriola e atterrai sul suolo
bagnato, scivolando nel fango.
“Sauron! Tutto bene?” disse mio nonno correndo
allarmato.
“Tranquillo sto bene” dissi alzandomi pieno di
fango.
Il nonno si fermò un attimo a guardarmi e poi
scoppiò
in una sonora risata.
“Che c’è da ridere” dissi
imbronciato.
“Dovresti vederti Sauron, sembri il mostro di
fango”
disse lui.
Feci il broncio e girai la testa offeso.
“Basta ridere adesso.
È meglio tornare a casa” disse lui.
“Aspetta! Devo vedere come sono andato” dissi e
corsi
nei punti in cui avevo lanciato i kunai.
Con mio grande rammarico, vidi che avevo fatto di
nuovo cilecca: avevo centrato solo un bersaglio.
“Beh! Almeno un progresso c’è: ne hai
preso uno” disse
allegro il nonno.
“Capirai che risultato!” sospirai
e starnutii.
“Visto? Ti stai raffreddando. Torniamo a casa prima
che ti ammali veramente. Penseremo domani a sistemare tutto”.
“Ma così i bersagli si rovineranno!”
dissi “Dobbiamo
raccoglierli”.
“I bersagli sono facilmente sostituibili, la tua
salute no. Adesso filiamo a casa” e si incamminò.
“Va bene!” dissi sconsolato e mi incamminai dietro
di
lui.
In quel periodo abitavo in una
piccola villa di
campagna, costruita a mo di castello arabo all’esterno, ma
dotata di ogni
confort all’interno.
Mia madre stava camminando nervosamente davanti
all’ingresso. Quando entrammo mi fece una bella strigliata
per come mi ero
ridotto.
Una volta che ebbe finito, mi disse:“Avanti tesoro, va
cambiarti. Non vorrai mica presentarti così davanti ai
nostri ospiti”.
“Ospiti?” feci io “Che ospiti?”
“La tua madrina e le sue amiche. Arriveranno fra
breve. Quindi non farti trovare in quel modo.
Papà dovrai pulirti anche tu!” disse rivolta al
nonno.
“Cosa?” fece
lui “Io che c’entro? Non sono mica..”.
“Niente ma!” lo interruppe mamma “Andate
subito a
lavarvi altrimenti a letto senza cena”.
Quando mamma faceva in quel modo non erano ammesse
repliche.
Io e il nonno ubbidimmo e andammo nella mia stanza a
cambiarci.
“Tua madre è
davvero terribile vero?” disse il nonno
mentre si lavava la maschera.
“E’ tua figlia. Avrà preso dalla
nonna!” dissi io.
“Le donne della famiglia sono davvero tremende!”
sospirò.
Cominciai a tossire ed a starnutire ripetutamente: a
quanto pare la doccia fuori programma, mischiata alla fatica di quel
giorno mi
avevano fatto ammalare.
Il nonno mi si avvicinò
e mi tocco la fronte.
“Accidenti. Sauron scotti. Ecco cosa succede a non
ascoltare il nonno quando dice di tornare a casa”.
“La testa dura è di famiglia” dissi
secco “Forza andiamo
a cena!” E mi incamminai, ma caddi a terra privo di sensi.
Mi risvegliai alcune ore dopo
sdraiato nel mio letto e
con un panno umido sulla fronte.
Intorno a me c’erano la mamma, il nonno, la mia
madrina Luce e le signorine Marina ed Anemone che mi osservavano
preoccupati.
“Devo essermi addormentato!” dissi scherzando.
“Quanto sei spiritoso!” esclamò mamma
“Mi hai fatto
davvero preoccupare. Per fortuna che Luce è venuta in
anticipo e ti ha dato
un’occhiata. Per qualche giorno dovrai restare a
letto”.
“No!” mi lamentai “Devo completare i miei
allenamenti”.
“Smettila di lagnarti monello!” mi riprese la
signorina Marina “Dovresti essere contento di poter restare a
letto a non far
niente. È il desiderio di tutti i bambini”.
“Di tutti i bambini che stanno bene, non di quelli che
hanno la febbre” ribattei.
“Vedi di
riprenderti in fretta allora” disse lei.
“Tanto guarisco in fretta!” dissi sconsolato.
“Buon per te, no? Ma adesso sei alla nostra
mercé”
disse lei mentre si avvicinava al mio letto con sguardo maniacale.
“No!” dissi
tirandomi le coperte addosso “Niente
pizzicotti, niente solletico. Non sono un bambino”.
“Questo lo dici tu piccolino” e cominciò
a
solleticarmi da sopra le coperte, facendomi scoppiare dalle risate.
Era abitudine degli amici della
mamma farmi quegli
scherzetti e lo facevano in modo del tutto naturale.
“Ehi Marina. Smettila di solleticarlo” la
interruppe
la signorina Anemone “Altrimenti non mi lasci
nulla”.
Come ho detto, è
abitudine.
Le due ragazze mi solleticarono
sotto lo sguardo divertito
di mamma del nonno e di Luce.
Alla fine venne mia madre che, sollevate le coperte
con il classico “Cucù” mi
tirò le guance e mi baciò la fronte, facendomi
arrossire.
Mi sono sempre vergognato a farmi baciare in pubblico
da mia madre, cosa naturale per tutti credo. Ma con amici tutto
è permesso,
penso.
Dopo di lei fu il turno di Luce, la
quale si sedette
sul mio letto e mi accarezzò i capelli.
Il suo tocco gentile: era la cosa che più preferivo.
Quella donna era sempre amorevole con me: mi faceva
credere di poter fare qualsiasi cosa: bastava il semplice sentimento
per curare
un qualsiasi dolore. Era questo il suo credo.
“Allora Sauron: come sono
andati gli allenamenti?” mi
chiese.
“Uno schifo!” dissi io.
“Agli inizi è sempre così. Tutto cambia
quando trovi la
tua consapevolezza”.
“Come quella che trovò Nick, il nostro grande
eroe?”
chiesi io mettendomi a sedere.
“Esatto. Proprio come lui” disse con un sorriso.
“Ti prego. Raccontami la sua storia. È la mia
preferita”.
“Ehi!” intervenne mamma “Sai che ore sono? A quest’ora
dovresti dormire. Se vuoi
riprenderti devi riposarti”.
“Si, ma non mi stancherei mai di sentirla” dissi io.
“Tu no. Ma noi abbiamo un po’ di sonno!”
disse mamma.
“Se farai il bravo te la racconterò la prossima
volta”
disse Luce.
“Quando tornerai a trovarmi?” chiesi.
“Il più presto possibile. Devo vedere come sta il
mio
paziente preferito” disse con un sorriso.
Sentendo quel sorriso e quegli
occhi puntati su di me,
mi sentii avvampare.
“Credo sia meglio
lasciarlo riposare” disse mamma
“Venite, vi accompagno alla porta.
Fa tanti bei sogni piccolo mio, che ti diano la giusta
ispirazione”.
“Buona notte mamma. Buona notte a tutti voi.
Perdonatemi se vi ho fatto preoccupare” dissi.
“Buona notte Sauron!” dissero tutti e uscirono
dalla
stanza chiudendo la porta.
Rimasi a lungo seduto sul mio letto
a pensare.
Nella mia mente ricordavo le avventure di Nick e dei
giovani ragazzi di cui si era circondato, i mitici Sun’s
Knights.
Nel mio cuore desideravo essere come loro: forte,
coraggioso e determinato.
Con la mente ripercorsi tutti gli
scontri che mi erano
stati raccontati, tante e tante volte da mia madre e dalla mia madrina:
di come
Nick avesse sconfitto Orochimaru e poi Abominon; della lotta contro i
primi
dieci generali infernali, uno più agguerrito
dell’altro; del viaggio nella
dimensione dei duelli in cui regnava il Sovrano Supremo e di come i
giovani
cavalieri lo avessero affrontato e sconfitto e di quello che ancora
avrebbero
dovuto affrontare.
Mi rendevo conto che quella storia era ancora lontana dal
concludersi, ma speravo di potervi prendervi parte e realizzare me
stesso.
Il mio salto di fantasia sparì così come era
apparso.
Ciò che desideravo, restava un desiderio
irrealizzabile, pensai.
Che cosa poteva fare un bambino per aiutare degli eroi
a salvare ciò che era veramente importante, quando nemmeno
comprendeva cosa
fosse questo qualcosa?
Sconsolato, scesi dal letto e mi
appoggiai al
davanzale della finestra ad osservare il cielo.
Ormai aveva smesso di piovere e la luna sorgeva
luminosa nel cielo ora sgombro. Osservare la candida signora nella sua
pienezza, mi illuminò lo spirito, dandomi
l’illusione di toccarla con un dito.
Mentre la osservavo estasiato, notai una stella
cadente attraversarla ed espressi il mio desiderio, pieno di speranze e
augurandomi una nuova vita.
Quella stella, dopo aver
attraversato la luna, si
illuminò e scese.
Stupefatto, la vidi schiantarsi, con un leggero
chiarore su un piccolo altopiano poco distante.
Senza nemmeno pensare alle conseguenze del mio gesto,
infilai un vestito pulito, aprii la finestra e mi misi a correre verso
la
direzione del bagliore.
Il vento ululava con forza,
sollevando tutta la
vegetazione.
Con le tempie che mi pulsavano e il viso rosso,
continuai a correre, cercando di ignorare la debolezza e la paura.
Mentre correvo, sentivo l’ululato dei lupi mischiarsi
a quello del vento, dandomi un senso di profondo terrore.
Non riuscivo a capire se fossero vicini o lontani,
tantomeno da quanto tempo stessi correndo.
Poi, all’improvviso, sentii un rumore di zampe.
Mi stavano inseguendo e non mi ero nemmeno preoccupato
di portarmi appresso un arma.
Tutto ciò che potevo fare era correre e sperare che la
febbre non mi annebbiasse la vista.
Con tutta la forza che avevo, accelerai il passo verso
l’altopiano, sperando di non commettere un grave errore.
Mentre stavo pensando a questo, un lupo mi apparve
davanti saltandomi addosso. Era una bestia enorme dal folto pelo nero:
le sue
enormi fauci si erano aperte e puntavano alla mia gola.
Stringendo i denti, saltai in alto,
evitando
l’assalto. Mentre mi sollevavo vidi in basso: rendendomi
conto di avere alle
calcagna un intero branco, composto da circa una dozzina di esemplari.
A quel punto la paura si impossessò del mio corpo: il
cuore cominciò a battermi all’impazzata, come se
volesse uscire dal petto e non
riuscivo a fermarlo.
Quando atterrai cominciai a correre alla cieca senza
sapere più dove stessi andando. Poi,
all’improvviso, tutto si fece buio.
Una foglia mi cadde sulla testa e
mi ridestai di
botto.
Spaventato mi alzai in piedi e mi guardai attorno
confuso.
Il mio respiro era agitato, incapace di fermarsi. Di
fronte ai miei occhi mi si parò lo spettacolo più
agghiacciante che avessi mai
visto: tutti i lupi erano a terra in una pozza di sangue ed io ero
interamente imbrattato di quel sangue.
Le mie mani erano rosse, dalle dita fino agli
avambracci.
Cercai di ricordare che cosa fosse
successo, ma tutto
quello che ricordavo era la mia corsa disperata.
Dove ero finito? La testa mi pulsava e non riuscivo a
capire più niente.
“Sauron!” disse
una voce.
Sobbalzai terrorizzato verso la direzione da cui essa
veniva.
Chi era che mi chiamava? Non riuscivo a capire chi
fosse e avevo paura.
“C-Chi è?” chiesi.
Il bagliore di una torcia mi attraversò il viso ed
apparve uno strano essere.
Spaventato feci
un passo indietro.
“Calmati Sauron. Sono io”.
La figurasi avvicinò e il nonno mi apparve davanti.
“No-Nonno!” dissi io e lo abbracciai piangendo.
“Che cosa ci fai qui figliolo? Questo posto non è
sicuro di notte”.
“Ho avuto tanta paura!” riuscii a dire.
Il nonno vide il macabro spettacolo, poi mi guardò
preoccupato.
“Che cosa è successo?” mi chiese.
“N-Non lo so! Tutto si è fatto buio”.
Ci vollero parecchi minuti pria che riuscissi a
riprendermi e a rielaborare ciò che era successo. Poi capii:
quel massacro era
opera mia.
Stavo scappando dai lupi:
l’adrenalina era al massimo
e le mie condizioni fisiche e mentali indebolite dalla febbre.
Poi una grande forza si era impossessata di me e il
desiderio di sangue mi aveva pervaso.
Lo strato del demone era uscito e la volontà delle
volpe si era impossessata di me e aveva straziato e distrutto le vite
di quelle
creature.
“Sono stato
io!” dissi traumatizzato “Ho lasciato che
la paura mi pervadesse e ho inconsciamente liberato la volpe”.
Il nonno si irrigidì. Poi, vedendo i miei occhi pieni
di paura, recuperò il sangue freddo si
inginocchiò davanti a me: “Ciò che hai
fatto non poteva essere evitato. Hai agito d’istinto per
salvare la tua vita. L’importante
è che nessun innocente ci abbia rimesso la vita”.
“Ma nonno” dissi isterico “Ho tolto la
vita a delle
creature. Mi sono macchiato del loro sangue senza potermi fermare e,
addirittura provandone un perverso piacere. Sono un mostro”.
“NON PENSARLO NEANCHE!” mi sgridò,
picchiandomi alla
guancia.
Lo guardai terrorizzato.
Mi abbracciò forte a sé: “Perdonami se
ho alzato la
voce nipotino mio”.
Ricambiai l’abbraccio, trovandone tutto l’affetto
possibile.
Dopo che mi fui definitivamente
calmato, mi staccai
dal nonno.
“E’ meglio tornare a casa. Se tua madre si accorge
che
sei stato qui avrà una crisi isterica!”
“Si. Va bene”.
C’incamminammo verso la strada di casa, sperando di
dimenticare tutto.
Ma la notte non era ancora finita: mi serbava ancora una
sorpresa illuminante, direi.
Mentre camminavo, vidi un bagliore
alla mia destra.
Mi fermai e cercai di capire che cosa fosse.
“Sauron. Che stai facendo?” chiese il nonno
giratosi
verso di me.
Indicai con la mano la direzione.
“Che cos’è?” disse, piegandosi
sulle ginocchia.
Come se fossi posseduto, mi incamminai verso la luce:
non sapevo se fosse la febbre, ma sentivo una voce che mi chiamava.
Dietro di me il nonno mi chiamava, ma la sua voce era
confusa, quasi incomprensibile alle mie orecchie.
Corsi a perdifiato fino a quando
non giunsi in
un’ampia radura: lì al centro vidi un cratere e,
in mezzo, una strana luce.
“Finalmente sei arrivato Sauron. È stata una lunga
attesa” disse il bagliore.
“Tu stavi aspettando me? Perché?” chiesi.
“Per realizzare il tuo desiderio e guidarti verso il
tuo futuro” rispose e mi avvolse in un luminoso abbraccio.
Il nonno giunse nella radura e si
fermò a pochi passi,
esterrefatto dallo spettacolo che gli si parò davanti.
“N-Non è possibile!” riuscì a
dire.
Il mio corpo era ricoperto da
un’armatura blu notte,
decorata con stelle e fulmini dorati, dall’elmo scendeva uno
spesso piumaggio
bianco come la luna piena, che mi avvolgeva tutta la schiena, quasi
come fosse
un mantello.
Tutto quello che avevo desiderato si era avverato:
avevo un’armatura, ero diventato ciò che
desideravo. Ero diventato un vero
Sun’s Knight.
“Quello è Incanto Di Folgore Il Cavaliere della
Luna”
disse il nonno, ripresosi dalla sorpresa ed avvicinatosi “A
quanto pare, hai
davvero fatto l’impossibile Sauron”.
“Ma come è possibile?” chiesi.
“Te lo spiego io Sauron” disse lo spirito.
Io e il nonno restammo senza parole.
“Quando hai espresso il
desiderio davanti alla luna,
essa ha voluto metterti alla prova” disse lo spirito.
“Alla prova?” feci.
“Esatto! I lupi che ti inseguivano erano la prova.
Ciò
che dovevi fare era affrontarli con i mezzi a tua disposizione. Non
importa il
potere che hai usato, hai ottenuto la tua vittoria e quindi il tuo
premio, cioè
io”.
“Quindi, adesso io
sono..” feci.
“Non ancora! È ancora troppo presto. Tuttavia mi
hai
conquistato e ti sarò sempre a fianco d’ora in
poi”.
Con un sospiro che era a
metà tra la felicità e la
tristezza, vidi lo spirito svanire e fluttuare intorno a me.
Il sangue che fino a poco fa mi aveva ricoperto, era
sparito, lasciando i miei abiti immacolati: quasi come se fosse
avvenuta una
cerimonia di purificazione della mia anima.
Sentii l’aria fresca attraversarmi il corpo, come se
fosse un’anima pura che mi prendeva nel suo caldo abbraccio.
“Sta per sorgere l’alba figliolo” mi
disse il nonno.
“E’ vero. Andiamo a vederla?” chiesi.
“Oramai ci siamo. Quindi andiamo”.
Senza rendercene conto, eravamo
giunti in cima
all’altopiano. Ma non era un qualsiasi altopiano: era il
leggendario “Altopiano
dell’eroe”, il luogo in cui colui che aveva salvato
il Fantasy aveva ritrovato
sé stesso e sciolto la maschera del dolore.
La luce del sole illuminò il mio volto ed io, per la
prima volta mi sentii libero.
“Sai?” disse il nonno “Si dice che questo
luogo sia
magico. Se lo raggiungi con il cuore leggero, la strada che percorri
trova un’illuminazione”.
“Le voci sono vere, direi.
“Hai avuto l’illuminazione?” mi chiese.
“Si. Ora ho trovato il mio credo”.
“Allora dillo con tutto il cuore”
Alzai le braccia al cielo e dissi:
“IO DIVENTERO’ UN
EROE. Ma non un semplice eroe. Mi impegnerò per cambiare i
destini di coloro
che incontrerò. Così come dalle tenebre della
notte sorge il giorno, illuminerò
la strada degli altri e un giorno: riuscirò a realizzare
quel sogno che è ha il
nome di pace”.
“Ah! Che credo complicato! Dovrai lavorare duramente per
realizzarlo” disse il nonno.
“Lo so! Ma adesso ho una ragione di vita e la
perseguirò fino alla fine”.
“Sei pronto a giurarlo?”’
“Fino alla morte”.
“Allora dovremo iniziare a metterci
d’impegno”.
“Sono pronto!” dissi mentre osservavo il sole.
Da allora ho messo tutto me stesso per realizzare questo sogno e non mi arrenderò fino a quando non lo vedrò esaudito.
Bel
finale vero? Mi sono preso la briga di mettere tutto insieme
per stupirvi .
Penso che, dal prossimo, proverò a spezzettare un po' la
narrazione, visto che non so quanto scriverò..
Vi prego di commentare questa storia con tutta sincerità.
Come sempre, vi dò appuntamento alla prossima