Chiaroscuri e Prospettive-La Vendetta
Buongiorno a
tutte!
SO che sono in un ritardo pauroso ma ho avuto un paio di
contest da finire e un pauroso blocco dello scrittore, lo ammetto.
Questo capitolo è strano, soprattutto la seconda parte, vi avviso u.u
*-* Sperando
che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.
*°*°*°*°*°*°*°*°*
Di notte
*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
Ci sono ottimi sentimenti che possono avere pessime ragioni, non lo sapete...? Come ci sono dei pessimi sentimenti che a volte hanno delle ottime ragioni.
Dal film "Ritratto di signora" di Jane Campion
*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
La
stanza era immersa nel buio. La porta si richiuse e il suo cigolio
spezzò il silenzio, facendo trasalire Daphne che era rimasta
stranita a fissare la voragine vuota della sua stanza. Nella lista
delle cose che Daphne Greengrass odiava, particolarmente lunga e
folta, campeggiavano la folla e le persone inopportune, ma anche,
assurdamente, la solitudine non contemplata. Egocentrica e viziata,
c'erano dei momenti in cui la sua testa era preda di talmente tanti
stati d'animo diversi, che restare in compagnia delle sue
innumerevoli personalità era l'ultima cosa a cui poteva
aspirare.
Il
rumore dei passi lungo il corridoio dall'altro lato della porta fece
riaccendere la speranza nei suoi occhi verdi, salvo poi farla morire
subito dopo, quando lo sguardo cadde sul calendario magico che
portava appeso alla parete opposta all'ingresso.
Era Lunedì, il
giorno più nefasto della settimana dopo il
giovedì: Theodore era a
far finta di studiare spagnolo e Millicent era al corso di disegno;
quando Blaise folleggiava in giro con la conquista di turno, come
quella sera, lei sprofondava in un baratro di solitudine.
La
camera non era rassicurante come alle prime luci dell'alba: le
cataste di giornali, vestiti, lustrini e sigarette sembravano
nascondere tutti i suoi demoni. I pensieri a cui non dava ascolto
approfittavano sempre dei suoi attimi di solitudine per saltare
fuori.
Il gatto le si arrotolò attorno alle caviglie, guardando
discretamente all'insù, negli anni aveva imparato che
perdere
l'aplomb felino con Daphne non era una grande mossa; odiava perdere
il controllo, non poter gestire qualsiasi cosa facente parte della
sua vita e considerava queste sfumature caratteriali dei difetti
mortali sulla maggior parte degli esseri viventi.
La strada verso
il letto e lo scrittoio fu tre volte più difficile del
normale:
tentare di non schiacciare il gatto, camminare e svestirsi allo
stesso tempo e al buio non era sicuramente una delle
specialità
sportive, poche, in cui era provetta. Lo sport era, per lei, alla
stregua della maggior parte degli uomini che le gravitava attorno:
guardare si, provare raramente e solo nel caso riesca ad assecondare
ogni sfumatura della personalità. Gli uomini, era risaputo,
raramente assecondavano la personalità femminile
così come
raramente lo sport era così clemente, da non far sembrare
chiunque
lo praticasse un disperato in cerca della forma fisica che non
avrebbe mai trovato.
Il ricordo dell'incontro alla nuova piscina
londinese di pluffanuoto a cui aveva appena finito di assistere,
tornò prepotentemente alla sua mente facendo si che,
improvvisamente, le sue narici fossero in grado di decifrare quel mix
fastidioso di magicloro, sudore e vociare confuso che si era
attaccato alla sua pelle e alle sue orecchie e che era riuscita, fino
a quel momento, ad ignorare grazie ai rumorosi pensieri.
Il gatto saltò sulla scrivania nello stesso momento in cui lei stava per entrare in bagno , ancora marchiato dal doloroso ricordo di tutte le volte che vi era andato a sbattere contro, riuscendo ad attirare il suo sguardo su qualcosa che, altrimenti, avrebbe probabilmente ignorato fino all'alba seguente. Daphne aveva la capacità, rara, di vivere fuori dal mondo in alcuni momenti della sua vita: poteva frequentare lo stesso bar ogni giorno e accorgersi solo dopo mesi del particolare colore delle pareti.
La sua scrivania ospitava, al centro, un pacchetto il cui fiocco argentato brillava a causa dei raggi lunari che filtravano dalla finestra e su cui era appuntato, con malagrazia, un bigliettino.
** Alla nostra FairyPrincess, perché così stasera non sentirai la nostra mancanza. Millicent e Theodore. p.s. Ho fatto lucidare il tuo bracciale, è nel comodino. p.p.s. prometto che stasera imparo sul serio quel dannatissimo verbo irregolare spagnolo**
Il sorriso che le si aprì sul volto fu immediato e tremendamente luminoso, bastava che si parlasse dei suoi amici e la serata le si rischiarava; sapeva di apparire cinica e insensibile al mondo e per la maggior parte della sua vita lo era, ma c'erano dei pezzi di se stessa che si erano trasposti in altre persone e non aveva nessuna voglia di negarlo. Theodore e Milli, in quel particolare frangente, le avevano regalato un nuovo diario, dalla copertina di pregiata seta verde chiaro, probabilmente memori che il suo ultimo era finito da due settimane e ancora non aveva trovato il tempo, incastrata fra il lavoro e la pigrizia, per andare a comprarne uno nuovo.
**Anno Domini 2005**
**5
Ottobre**
**Proprietà di Daphne Greengrass**
Con
uno svolazzo semi incomprensibile della sua grafia isterica ed
elegante al tempo stesso, Daphne siglò quel nuovo ingresso
nella sua
psiche, secondo alcuni malata e nel mondo, psicolabile, della sua
immaginazione.
Lasciò che la penna di corvo scorresse sulla
pergamena, lasciò che i suoi pensieri fluissero senza
remore, freni
e inibizioni sulla carta; il momento della scrittura era l'unico in
cui Daphne rivelava tutti i propri segreti a se stessa, l'unico
attimo della sua vita in cui si concedeva di essere totalmente
sincera e vulnerabile, rassicurata dall'assenza di qualsiasi altro
essere vivente al di fuori del gatto e di se stessa.
-E' Lunedì.
Sono
sola in casa, con la sola deprimente compagnia di un gatto troppo
grasso che mi fissa malefico dalla scrivania. Devo essere stata
ubriaca, stranamente, il giorno in cui l'ho accettato in casa.
Graffia, è infedele, ruffiano ed opportunista, decisamente
troppo
simile a me e troppo diverso al tempo stesso per una pacifica
convivenza.
Possono convivere le anime profondamente affini o
quelle talmente diverse da compenetrarsi e completarsi, tutto
ciò
che esula dai due estremi per me è impossibile.
Millicent dice,
anima pura, che io sono troppo estremista, ma in fondo che male
c'è
nel vedere il mondo, il 99% delle volte, o bianco o nero?
Io
sono fatta così, difficilmente qualcuno mi
cambierà mai.
Trovo
sudicio cambiare le proprie opinioni per un mondo esterno a quello
della propria mente, delle proprie esperienze e delle proprie
emozioni; Daphne è l'unica persona per la quale Daphne
potrebbe
cambiare e se per questo risulto antipatica alle persone, quasi
gioisco.
Non
cerco l'approvazione di nessuno se non di me stessa, non sono come la
mia 'sorellina'.
Oggi mi sono incontrata con Astoria. Nonostante
avessi impiegato ore a trovare una scusa credibile mi ha aspettata
fuori dalla redazione del giornale e mi ha braccata, con una
pedanteria assurda per i suoi ventitré anni.
Dovrebbe aspettare
i cinquant'anni per diventare un'impicciona
Ho ceduto perché
incastrata dai suoi 'pressanti problemi', credendo di poter far finta
di ascoltare mentre pensavo ai miei sacrosantissimi affari, ma alla
fine mi sono trovata a parlare di me. Io sarei il suo pressante
problema perché, a sentire lei, oso scrivere cose pungenti
su ex
Gryffindor, portando ombre sul suo matrimonio fresco di ipocrisia.
Sia mai che qualcuno pensi che a istigarmi sia il suo perfettissimo
marito.
A volte mi chiedo se siamo uscite dallo stesso utero,
perché mi sembra sinceramente impossibile. Tutti coloro che
mi
conoscono anche solo lontanamente sanno che non mi faccio mettere le
parole in bocca da nessuno, come può pensare una cosa simile
MIA
SORELLA, una creatura che, disgraziatamente, porta il mio stesso
cognome!
Il
brutto è che non me la toglierò dalle orecchie
fino a che non sarà
sbollita questa cosa dell'articolo, meraviglioso,
sui Puddlemere.
Potrei provare a farle conoscere l'orrido Baston
per farle cambiare idea, ma probabilmente neanche quello riuscirebbe
a convincerla: affascinata com'è da qualsiasi cosa che
sappia anche
solamente stare in equilibrio su una scopa, si dimenticherebbe il suo
orgoglio di donna 'felicemente' sposata e mi darebbe contro pur di
parteggiare con lui.
E'
una tale oca a volte!
Se solo si fermasse a guardare tutta la
situazione capirebbe che ho innegabilmente ragione; lei odia
aspettare cinque minuti dalla streghestetista, figuriamoci tutto quel
tempo per un appuntamento di lavoro!
(Non che lei sappia cosa sia il lavoro, visto che ha sposato Draco-mia moglie non lavora-Malfoy.)
Probabilmente
dovrò sopportare questa discussione anche al pranzo di
domenica con
i nostri genitori, rovinandomi i postumi del sabato, l'unico giorno
decente della settimana.
Dovrò rovinarmi la domenica per colpa di
quel buzzurro del Gryffindor e Millicent ha ancora il coraggio di
dire che, forse, dovrei smetterla di essere così contenta di
quell'articolo, che anche se abbiamo dovuto ristampare il giornale e
il capo si è complimentato con me, non devo poi gongolare
così
tanto.
'E' solo un articolo Daph, smettila...'
Non
capisce, non è solo un articolo, è la vittoria di
numerose
battaglie, è come se finalmente Slytherin avesse battuto
Gryffindor
a Quidditch, come se qualcuno fosse finalmente riuscito a togliere
quel ghigno tronfio dal capitano più insulso che la squadra
rossoro
di Hogwarts abbia mai avuto.
Non è solo un articolo, è il sapore
della vittoria che mi scorre nelle vene; lei non ama vincere, non
può
capire.
Solamente
Blaise mi capirebbe, ma lui si tiene fuori da questa discussione
perché in questi giorni è impegnato con una nuova
conquista, che
forse durerà due settimane a dir tanto, ma sarà
sempre
troppo.
Bassina ma formosa, rossa, vacui occhi celesti:
esageratamente appariscente come tutte le donne con cui esce da circa
dodici anni.
Ho sopportato dodici anni di angherie da parte delle
oche di turno, mi stupisco sempre di questo quando ho abbastanza
tempo e voglia di farmi del male da soffermarmici a pensare un po'.
So
che è sbagliato, che questa sorta di segreta
morbosità che non
sfocerà mai in niente di fatto è una pessima
cosa, un pessimo
sentire, un morbo che mi uccide dal di dentro, ma non c'è
altra
soluzione.
Lui non ama le donne di classe, non ama le bionde, non
sfiorerebbe mai con una mano una sua amica ed è per questo,
deprimente, motivo che non parlo mai di lui nemmeno a Millicent:
sarebbe inutile e comporterebbe solo ore di filippiche assurde su
come e quando dirglielo.
Un diario è un confidente molto più
assennato, non rivela i segreti e sa sempre quando è ora di
chiudere
i battenti.
Questo li chiuderà ora, è mezzanotte oramai ed
è
ora che io mi metta a dormire, domani devo andare a parlare con il
capo e non ho idea di cosa voglia dirmi.
D.
*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
La sala era scura, piena di fumo o di qualcosa che gli somigliava; Oliver non avrebbe saputo dire cosa fosse realmente, forse un Bar, o una taverna squallida piena di giocatori di bische. Una sensazione alla bocca dello stomaco gli suggeriva che era li che voleva stare, nonostante il disagio che lo attanagliava mentre navigava in quel mare fumoso, grigio, innaturale.
Era vissuto per sette lunghi anni in una torre, lui sovrastava la nebbia, volava oltre le nuvole con la sua scopa, odiava tutto ciò che non fosse chiaro, e limpido. La nebbia era l'opposto della limpidezza e di se stesso eppure, inspiegabilmente, i piedi erano saldamente piantati per terra e sembravano capaci di muoversi solo ed esclusivamente in avanti.
Mille fili di ferro sembravano muoversi all'interno del suo corpo, mille emozioni e sensazioni contrastanti alle quali non sapeva dare un nome, e che quindi non riusciva a padroneggiare; Conoscere il nome di qualcosa aiuta a sconfiggerlo, a combatterlo, a possederlo, ma lui in quel momento era un succube.
Camminava nella nebbia, sentiva risate gutturali provenire dai lati del suo corpo, da zone d'ombra che non riusciva a vedere, da angoli che i suoi occhi puntati solo in una direzione non riuscivano a rapire.
Frustrazione. Ecco una delle tante sensazioni che gli marchiavano la pelle, assieme alle altre gli si attorcigliava attorno alle sue braccia, gli stringeva i polsi, cambiando rapidamente da carezze a strette avvinghianti, subdole, come le spire di un serpente.
I serpenti lo ossessionavano da giorni, da settimane, quasi da un mese; i serpenti, gli Slytherin e la loro demoniaca rappresentante che si era infiltrata nella sua quotidianità a tradimento.
Nessun uomo meritava di vedere la propria vita soffocata dall'ossessione, lui era una persona solitamente priva di qualsiasi legame compulsivo con la rabbia e le manie di persecuzione, nonostante gli avessero detto, spesse volte durante la vita ad Hogwarts, che si comportava da maniaco facendo volare la sua squadra sotto la pioggia; Oliver Baston era stato, fino a circa un mese prima, un giovane uomo sano ed equilibrato, fino al giorno in cui aveva incontrato quell'innominabile di Daphne Greengrass.
Lei era ovunque, la vedeva in ogni luogo, la trovava in ogni frase sgradevole che sentiva per la strada, in ogni donna bionda che incontrava sul suo cammino, come quella che era proprio li davanti a lui, in quella stanza fumosa e che non poteva fare a meno di fissare, il suo sguardo era calamitato e la nebbia, questa volta, c'entrava poco. Scarpe nere con il tacco, lunghe gambe velate da calze di seta nere come quelle che aveva sempre tentato di far comprare a Penny, corto ed aderente vestito nero su un corpo esile, labbra rosse e ben disegnate, strette attorno ad una sigaretta. Labbra familiari, troppo familiari. Quando capì fu troppo tardi, Lei l'aveva già visto e i suoi occhi verdi, allungati come quelli di un gatto malvagio erano già fissi su di lui, le labbra non erano più ammalianti, ma piegate in quel ghigno mefistofelico e fastidioso.
Quell'essere di sesso femminile riusciva a racchiudere in un ghigno una montagna di egocentrismo e lui non riusciva a capacitarsi ancora, di come mai facesse a sopportare tutta quella presunzione, come potesse avere amici, amori, famiglia. Ogni suo più piccolo gesto, passo, e movenza erano estremamente simili all'arroganza tipica dei felini, animali che lui non aveva mai sopportato.
Oliver Baston odiava i gatti e, di conseguenza, Oliver Baston odiava Daphne Greengrass che era, per l'ennesima volta, troppo vicina a lui. Ferma, immobile e silenziosa, ma più comunicativa nel suo silenzio di tante donne che aveva conosciuto, ogni sua più piccola smorfia nasceva da un pensiero ben preciso, poteva vederlo, lui stesso era fatto così. La fronte si arricciò indispettita sui suoi grandi occhi scuri, estremamente più comunicativi di quanto non fossero quelli che si trovava di fronte; tentò di muoversi, di sorpassarla come fosse un cacciatore avversario, ma la nebbia si era fatta più fitta, quasi come un muro di gomma, e gli era impossibile avanzare.
La
sensazione di essere in gabbia lo attanagliò nuovamente alle
viscere
e alla smorfia infastidita delle sue labbra rispose nuovamente,
implacabile come un'ossessione, il ghigno della Greengrass.
Tentò di
fare un passo avanti, sperando che lei si spostasse, ma non fece
nient'altro che indietreggiare in modo che lui potesse camminare, ma
che la distanza fra loro non cambiasse mai; alle sue spalle
incominciava ad intravedere il gruppo dal quale si era allontanata:
Zabini, Nott, ragazzi che non conosceva e che la guardavano come se
fosse una dea.
Non riusciva a capire cosa ci trovassero in lei,
nel suo corpo e soprattutto nel cervello malato che l'aveva messo
più
di una volta negli ultimi giorni in difficoltà; riusciva a
sollevarlo solamente il fatto che lui avesse amici sinceri, cosa che
era praticamente sicuro mancasse a lei.
Lui aveva i Gemelli,
Katie, Angelina, Ernie; nel momento stesso in cui pensò allo
scozzese lui si materializzò, tirato a lucido e con un
bicchiere di
super alcolico in mano, non fece in tempo a chiamarlo a se che questo
si avvicinò alla Greengrass. Sapeva che lui la trovava
affascinante,
ma non pensava si conoscessero così tanto, vide tutto in una
sequenza muta: lui che le si avvicinava, che la stringeva per la vita
e le tendeva il proprio bicchiere di liquore, come se Oliver non
fosse li, non potesse vederli. Si sentiva un voyeur, ma più
la
nebbia si stringeva attorno a lui più la coppia, le labbra
che si
incatenavano con un ché di lussurioso, le mani di lui che si
intrecciavano ai capelli biondi come se ne dipendesse la vita, erano
l'unica cosa che riusciva a vedere. Invadevano il suo campo visivo,
la sua mente e i suoi pensieri e per qualcuno abituato a spaziare
nell'aria, questo era insopportabile, quasi quanto la sensazione di
essere stato tradito dal suo migliore amico, che provava in quel
momento.
Ogni bacio ed ogni carezza erano quei serpenti che gli
salivano lungo le braccia, le gambe, che gli stringevano alla gola e
gli toglievano il fiato e monopolizzavano la sua mente; in breve
tempo sentì il vuoto nella testa e un ronzio nelle orecchie
che si
stoppò solo quando lei si voltò verso di lui.
Verde nel marrone,
Slytherin contro Gryffindor, trionfo contro orgoglio: quello sguardo
era pieno di tronfia vittoria, lei stava silenziosamente urlando che
era riuscita a rubargli qualcosa, il suo migliore amico, una parte
della sua vita.
Gli
salì il sangue agli occhi, la parola rabbia lampeggiava
nella sua
testa, nella sua tasca la bacchetta in Castagno bruciava, come se
fosse stata percorsa dalla stessa scarica elettrica che possedeva il
corpo del suo mago. Pensare alla vendetta, prendere la bacchetta e
scagliarle contro uno Stupeficium furono una cosa sola, come se il
veleno che lei gli aveva passato con un solo sguardo l'avesse
posseduto.
Odiarla, schiantarla e svegliarsi seduto nel bel mezzo
del suo letto, con le gocce di sudore che scivolavano lungo il torso
nudo e con la faccia ancora sconvolta dalla rabbia, furono la
naturale epifania della comprensione: era stato tutto solo un
incubo.
Si alzò, sconvolto, nella notte buia che gli invadeva la
stanza, quasi fosse una naturale prolunga di quell'incubo che gli
invadeva ancora la mente; difficilmente avrebbe dimenticato quello
sguardo, quelle sensazioni che non ammetteva nemmeno con se stesso,
quello sguardo verde che lampeggiava dietro le sue palpebre quasi
più
delle Avada a cui aveva assistito nella sua vita.
Daphne Greengrass era la sua maledizione senza perdono, ma se Harry Potter aveva sconfitto un'Avada, lui poteva sconfiggere lei.
Daphne Greengrass l'avrebbe pagata.
*°*°*°*°*°*°
Un
bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono,Lily.
p.s. per chiunque voglia, lascio il link al prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1