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Autore: Stupid Lamb    19/12/2010    16 recensioni
“Non voglio niente, Davide. Non devi metterti nei guai per me.”
“Ma tu… tu sei povera.”
“Lo so, ma questo non è un tuo problema. Hai già fatto molto per me. Non devi preoccuparti, chiaro?”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7

Capitolo 7

 

2010

 

Camila pensa di aver fatto tre grandi sciocchezze nella sua vita.

La prima, quando alle scuole elementari rubò un rotolo di carta igienica e due merendine dagli zaini dei suoi compagni di classe. Aveva fame, e sua madre non comprava carta igienica da settimane, ormai. Quel colpo di testa costò caro alla sua famiglia. La scuola si rese finalmente conto delle loro condizioni disagiate, e anche se allora avevano ancora un tetto sulla testa, gli assistenti sociali li tennero d’occhio per un anno; ciò che Camila ottenne, invece delle merendine e della carta per soffiarsi il naso perennemente gocciolante, furono una serie di rimproveri da parte di sua madre (non per aver rubato, ma per essersi fatta beccare) e uno schiaffo da parte del padre. Aver portato a galla la loro povertà significava, per lui, l’obbligo di cercarsi un lavoro, e l’uomo non voleva saperne. Finse di provarci per qualche mese, ma poi mollò. Lui e la sua famiglia si trasferirono nella vecchia Golf, e da quel giorno Camila non toccò più una merendina all’albicocca. Anche adesso, quando usa la carta igienica, ripensa a quell’episodio e a ciò che ha determinato.

La seconda sciocchezza Camila la fece quando sposò Umberto. Rimpiange spesso quel giorno, anche quando cerca di pensare alle cose positive che da esso sono derivate. Il pensare dura poco, però, per cui il suo matrimonio resta una sciocchezza.

La terza sciocchezza ha avuto luogo dieci minuti fa, quando si è chiusa nella sua camera e ha deciso di riempire due sacchi neri di vecchi giornali e di volantini trovati nella metropolitana. La terza sciocchezza, secondo Camila, comprende anche il momento successivo, quando ha ammesso il suo maldestro giochetto a Davide e gli ha chiesto di andare in un posto appartato per parlare.

Cosa mi è passato per la testa? E’ un ragazzo. E’ il ragazzo di Alessia. Cosa ho nel cervello, segatura?

Davide ha accettato subito di parlarle, e Camila sa perché l’ha fatto: l’ha riconosciuta; sa che è lei la ragazzina di 17 anni fa, e vuole una conferma.

“Il palazzo ha un parco sul retro,” gli dice Camila. “Puoi aspettarmi lì? Io devo buttare questi,” aggiunge, prendendo i sacchi leggeri dalle sue mani.

“D’accordo,” risponde lui, annuendo senza smettere di guardarla. “Posso prima spostare la mia macchina? E’ nel parcheggio… se la lasciò lì Alessia capirà che non sono andato via.

Camila non aveva pensato a questa eventualità, e il fatto che ci abbia pensato lui le procura una strana sensazione dentro. Come se il ragazzo sapesse che parlare con Camila può essere pericoloso, soprattutto per la sua storia con Alessia.

Da un lato, si sente sollevata al pensiero che lui cerchi di salvaguardare la convivenza con le coinquiline. Dall’altro, Camila teme che Davide sia semplicemente mosso dal bisogno di curare i propri interessi e arginare l’eventuale gelosia di Alessia.

In un modo o nell’altro, pensa alla fine, è meglio che lui sposti l’auto dal parcheggio.

 

Il parco del condominio è unico nella sua specie. Camila lo adora, e se avesse più tempo a disposizione si occuperebbe di coltivare le aiuole piene di erbacce. Il palazzo non ha un portinaio, e gli appartamenti sono popolati da studenti, per cui a nessuno interessano piante e fiori.

Camila getta i sacchi nel contenitore enorme della raccolta differenziata e, stretta in un cardigan color lavanda, accede al parco tramite un cancelletto nero. Prima di entrare si guarda attorno, cercando l’auto di Davide, ma non la vede.

Cammina sul sentiero di cemento largo tre metri, approfittando della luce proveniente dalle finestre che affacciano sul parco. Quelle del suo appartamento, per fortuna, guardano sul parcheggio, dal lato opposto. I lampioni della strada l’aiutano a scoprire la figura di Davide, in piedi accanto ad una magnolia.

“Ciao,” gli dice, sentendosi una stupida per il tipo di saluto scelto.

“Ciao. Ho parcheggiato lì,” ribatte lui con un sorriso. Indica il muro che separa il parco dalla strada. “L’auto è in strada. Ho scavalcato il muro,” spiega. “Non ho una macchina invisibile.”

Lei ride nervosamente, stringendosi ancora di più nella lana calda.

“Prima di iniziare a parlare, posso dirti una cosa?” chiede lui.

“Sì.”

“Vorrei dirti ‘Grazie’ per aver… difeso… credo che sia la parola giusta… per aver difeso il nome di mia sorella a tavola.”

Camila abbassa gli occhi, ripensando per un attimo a come si è lasciata andare dopo la telefonata di Davide. E’ in quel momento che ha deciso di parlargli in privato.

“Tu non sei come Alessia,” gli dice. “O almeno così sembra.”

“Cosa vuoi dire?”

“Alessia è molto superficiale. Tu non lo sei.” Gli parla senza guardarlo in faccia. “Alessia è crudele, a volte.”

“Con te?” ribatte lui. Il tono della sua voce costringe Camila ad alzare gli occhi. “Con te? E’ stata crudele con te?”

“Pensa che sia pazza,” dice scrollando le spalle. “Non è crudeltà?”

“Quella è ignoranza,” risponde Davide. “Tu non sei pazza.”

“Sì. Ma se dopo un anno continui a farlo, pur sapendo che non lo sono…

“Allora è stupidità. E forse anche crudeltà,” conclude lui.

Eppure state assieme, vorrebbe dirgli. Hai appena detto che è ignorante, stupida e forse crudele.

“Di cosa vuoi parlarmi?”

All’improvviso Camila non si sente così tanto sicura come prima. A tavola, quando Davide ha messo la parola fine alla presa in giro su Priscilla, Camila ha visto qualcosa. Un segno, un piccolissimo segno, che le ha fatto pensare ‘Non è come lei. Posso fidarmi. Posso dirgli la verità’.

Ma ora, ora non è più sicura. Sembra che Davide non abbia problemi a frequentare una ragazza superficiale, stupida e (forse) crudele.

“Niente,” gli dice con un filo di voce. “Ho sbagliato a… lascia perdere, me ne torno dentro.”

Fa per voltarsi, ma lui l’afferra per l’avambraccio prima e per la mano poi.

“No!” esclama Davide. “Non andartene!”

L’attira a sé per costringerla a rimanere, e quando Camila si ferma lascia la sua mano.

“Non puoi fare così,” le dice. “Non puoi prendermi in giro.”

“Non ti sto prendendo in giro.”

“Allora parliamo. Cosa vuoi dirmi? Siamo soli, adesso.” Si guarda attorno. Il buio li circonda, ad eccezione di un piccolo lampioncino rotto, sommerso da un cespuglio giallastro.

“Non so se posso fidarmi di te.” Lo dice a voce bassa, sperando quasi che lui non l’abbia sentita.

Quando lo guarda negli occhi, vede un leggero sorriso sulle labbra di Davide. I capelli biondi sono più lunghi sulla fronte. Un ciuffo solitario riposa su un sopracciglio.

“Non ho mai raccontato a nessuno di te.” La voce del ragazzo è bassa quanto la sua, ma gli dà i brividi. Le parla sapendo chi è. Sapendo che non ha fatto che mentire, per tutto il giorno.

“All’inizio perché non volevo cacciarmi in un guaio,” continua. “E poi perché mi piaceva… mi piaceva avere un qualcosa di mio. Un segreto importante.”

Si guardano senza fiatare per un minuto. Forse un’ora.

“Mi dispiace di non essere più tornata al campo.” Le prime parole ad uscire dalle sue labbra sono le ultime che Camila avrebbe voluto dire. Aveva anche pensato ad un discorso, mentre riempiva i sacchi di cartacce, ma ora ciò che pensa è ciò che più l’ha segnata 17 anni prima. Il dispiacere per non essere ritornata a dire ancora grazie. Il senso di colpa per aver preso così tanto da quel bambino senza aver potuto dare nulla in cambio.

Ma Davide ora sorride, e Camila non se ne spiega il motivo.

“Sei tu,” dice, senza che il sorriso lo abbandoni.

E’ proprio felice.

“Sei tu. Se la stessa Camila. Ti ho riconosciuta subito,” dice con una punta di orgoglio. “Camila, con una L.”

Lei si sente in imbarazzo.

“Sono io.”

Davide sta per aprire di nuovo la bocca, ma si blocca quando sia lui che lei sentono della musica. Si guardano attorno, in particolar modo Davide.

Camila guarda in alto, sapendo cosa cercare.

“Arriva da lì,” gli dice, indicando la finestra aperta di un palazzo confinante. “Chi vive in quella casa ascolta sempre qualcosa. Quando il vento è a favore sembra che ci sia uno stereo qui sotto.

Si volta verso Davide, il quale non ha smesso di guardarla. Forse non ha neppure sentito ciò che ha detto sulla musica.

“Perché hai negato di essere tu?” le chiede. “E’ per Alessia? Pensi che io possa dirglielo?”

“Sì.”

“Non preoccuparti,” risponde immediatamente. “Non le dirò niente. Non c’è problema.”

“Grazie,” gli dice, un peso in meno sul petto.

“Mi fa piacere rivederti.” Il sorriso di Davide è incollato al suo viso. “Perché non sei più tornata al campo? Che cosa hai fatto in questi anni?”

Camila riflette per un minuto sulla possibilità di raccontargli tutto. Gli anni in Germania, il ritorno in Italia, gli anni con Umberto, la nuova vita a Roma.

“Siamo partiti per la Germania,” è tutto ciò che riesce a dire. “Io e la mia famiglia. Ecco perché non sono più tornata. Mi dispiace,” ripete.

“Non dispiacerti,” dice lui, allungando una mano per toccarle il braccio. “Ci siamo rivisti, no?”

“Già…”

“Ed è di questo che volevi parlarmi? E’ per questo che mi hai chiesto di venire qui?”

Camila annuisce. “Ida e Alessia non sanno nulla di me, e voglio che le cose rimangano in questo modo.”

“Anche se ti considerano una pazza?” chiede. “Ho visto le barrette… sono tue, vero? Erano… sono… sono come quelle che ti ho portato io al campo.

“Mi piacciono,” sussurra Camila, vergognandosi delle sue parole.

“Piacciono anche a me.”

La musica che proviene dall’alto fa loro compagnia nel lungo momento di silenzio che segue.

“Ciò che loro pensano di me…” dice ad un tratto lei. “Non importa. Non mi conoscono, non sanno nulla di me, per cui… non sono importanti. Ciò che dicono e che pensano non è importante.

Ci sono altre cose che contano, però.

“Promettimi che non parlerai loro del mio passato.” Camila vorrebbe essere più tranquilla, ma si rende conto che la frase suona come una minaccia più che come una richiesta.

Davide la guarda con curiosità. “Non so niente del tuo passato,” risponde. “Come potrei raccontarlo ad Alessia e alla sua amica? E poi ti ho già detto che non dirò a nessuno di come ci siamo conosciuti.

“Grazie.”

Il prego di lui è un altro sorriso. “Perché ti sei decisa ad ammetterlo?” chiede. “Perché hai cambiato idea?”

Camila non sa come rispondere a questa domanda. Vorrebbe farlo con sincerità, ma ha paura di offenderlo. Ci pensa per qualche secondo, e alla fine cede.

“Perché quando stavamo mangiando… ho capito che non sei come lei. Che posso fidarmi di te. So che tu ed Alessia… non voglio parlar male di lei, ma…

“Io e Alessia ci vediamo da poche settimane,” risponde Davide. “Siamo amici, nulla di più.”

Sanno entrambi che sta mentendo. Davide sa che Alessia ha smesso di considerarsi sua amica la notte scorsa, e Camila sa che due amici non passano la notte assieme facendo determinate cose, tantomeno ad un volume così alto.

“Adesso devo andare,” dice Camila ad un certo punto.

“Adesso? No! Perché?! Non puoi restare un altro po’?”

Davide cerca di afferrarla ancor prima che lei si allontani, ma Camila è pronta, stavolta. Infila le mani nel jeans e fa un passo indietro.

Vorrebbe rimanere con lui. Parlargli ancora. Rispondere alle sue domande, genuine e curiose, tanto simili a quelle del bambino paffutello con in mano le ciabattine blu.

Vorrebbe, ma non può.

“Devo andare,” ripete, senza guardarlo in faccia. “Grazie per la pizza,” sussurra. “E per le scarpe di tua sorella. E per quel panino al prosciutto.” Ha un nodo in gola quando finisce di parlare.

Ripensa all’acqua fredda delle docce del campetto. Ripensa all’asciugamano grigio e alle scarpe più grandi che indossava prima dell’arrivo di Davide.

“Non devi ringraziarmi,” risponde lui. “L’ho fatto con piacere, sia allora che stasera. Immagino che adesso dovremo fingere di non conoscerci.

“Sì,” annuisce Camila. “E’ meglio in questo modo.”

“E se io volessi parlarti di nuovo? Non ci siamo detti niente, stasera. Come possiamo fare?”

I pensieri di Camila vengono scanditi dal suono del pianoforte che arriva dal palazzo accanto al parco.

Probabilmente le sciocchezze fatte non sono tre, ma quattro. La quarta esce dalle sue labbra poco dopo.

“Possiamo rivederci qui, domani sera. E parlare ancora.”

---

 

La canzone che proviene dalla finestra aperta è No Cars Go, degli Arcade Fire. La versione è quella di Maxence Cyrin.

 

So che i capitoli di questa storia sono brevi, ma non ho in mente una storia lunga, per cui preferisco somministrarla a piccole dosi.

 

Grazie ancora una volta, e tanti auguri di buone feste a tutti.

 

   
 
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