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Autore: Laura Sparrow    25/01/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1
Ultime da Tortuga


A Ettore bastò individuare quell'unica, fugace apertura nella difesa del suo avversario, e lo colpì con un pugno che gli affondò nello sterno. L'uomo si piegò su sé stesso con un gemito strozzato, le gambe gli cedettero e crollò sul pavimento sporco, boccheggiando per respirare.
Dalla folla radunata attorno alla piccola arena si levarono all'unisono grida di vittoria e di delusione: Ettore sembrò non accorgersene neppure, e rimase in piedi davanti all'uomo che aveva atterrato, squadrandolo con tutta calma. Quello, lentamente, si rialzò sulle ginocchia tenendosi il petto con una mano, quindi quella libera fece un cenno convulso: piuttosto vago, in verità, ma tutti all'interno dell'arena sapevano che cosa significava. Il tipo ne aveva avuto abbastanza. La vittoria era ancora una volta di Ettore.
Il cancelletto si aprì, e due uomini dall'aria annoiata aiutarono piuttosto frettolosamente il perdente ad uscire; qualcuno fra gli spettatori fece passare una bottiglia ed Ettore ne tracannò un sorso, poi, prima di restituirla, fece una giravolta con le braccia alzate verso il pubblico, godendosi i suoi incitamenti.
- Dio, odio quando fa così!- gemette Faith al mio fianco: aveva afferrato il cancelletto divisorio dell'arena con tanta forza da affondare le unghie nel legno.
- Oh, andiamo, se la sta cavando piuttosto bene. - replicai, sebbene in parte condividessi la sua preoccupazione per il nostro amico. Sedevamo nella prima fila degli spalti allestiti attorno alla piccola arena: Jack era di fianco a me, e come al solito sembrava perfettamente a suo agio. Al contrario di me e Faith, che non risparmiavamo urla e incitamenti, lui osservava l'incontro con blanda curiosità, come si sentisse già tintinnare nelle tasche il denaro che aveva scommesso sul nostro tenace pirata. Io invece avevo il compito di rassicurare Faith sul fatto che avrebbe riavuto suo marito tutto intero.
- Un altro sfidante!- improvvisamente da un angolo del locale si alzò un vociare che divenne via via sempre più forte. - Un altro sfidante! Un altro! Scommesse, fate le vostre scommesse, signori!-
Un altro contendente, il terzo di quella serata, si stava facendo avanti accompagnato da un gruppo di uomini che gridavano e gli battevano pacche sulle spalle. Il nuovo arrivato si stava togliendo la camicia, quindi per qualche momento non riuscii a vederlo in faccia.
Quando liberò la faccia dalla stoffa, mi accorsi che non era giovane come mi aspettavo, ma poteva tranquillamente avere qualche anno più di Ettore. Aveva una selva di scompigliati capelli di un colore strano, fra il castano e il rossiccio. “Irlandese.” mi trovai a pensare quando lo guardai entrare nel ring. I lineamenti del suo volto erano marcati e squadrati, con un accenno di barba ispida sul mento, la fronte sfuggente.
Gli spettatori vocianti passarono una bottiglia anche a lui, e lui se ne scolò un sorso in tutta calma, squadrando Ettore che, dal canto suo, lo attendeva senza fretta. Fra la gente seduta sugli spalti cominciarono a girare dobloni e foglietti di carta: tutti stavano freneticamente piazzando le nuove scommesse. Solo in quel momento notai gli occhi del nuovo avversario: erano stranamente grandi, scuri e... liquidi. Non avrei saputo in che altro modo descriverli.
- Sei pronto?- domandò ad Ettore, restituendo la bottiglia. Il pirata mosse le braccia per sciogliere i muscoli, muovendo un passo verso di lui. - Quando vuoi. -
- Bene. -
I due contendenti si avvicinarono l'uno all'altro; le urla e gli incitamenti della folla crebbero, al pari del motivetto frenetico strimpellato dalle chitarre e dal violino che non avevano smesso un solo istante di suonare durante tutto l'incontro.
- Oddio... - bofonchiò di nuovo Faith, preoccupata: stavolta però non le feci caso; guardando quei due, avevo la sensazione che quell'incontro sarebbe stato interessante.
Talmente rapido che non avrei nemmeno saputo dire quando si fosse mosso, l'irlandese sferrò un primo gancio, immediatamente parato con altrettanta energia. Ettore rispose. L'avversario parò di rimando.
Ad un tratto si avventarono l'uno sull'altro, e per un breve istante si martellarono di colpi a distanza ravvicinata: l'irlandese riuscì a colpire Ettore al collo con quelli che mi sembrarono più schiaffi che pugni, ma sembrarono sortire il loro effetto. Il pirata sobbalzò, i due si separarono.
Era stata una prova, ovviamente: si stavano ancora studiando. Improvvisamente l'irlandese si fece avanti di nuovo e sferrò quattro pugni in rapida successione, e tutti quanti cozzarono contro i gomiti che Ettore opponeva ostinatamente al suo avversario. La folla rumoreggiò. I due contendenti fecero qualche passo indietro, girandosi attorno come due cani litigiosi: Ettore grondava di sudore, ma i muscoli tesi delle sue braccia e delle spalle parlavano chiaro.
C'era da dire, però, che in quanto a muscoli neanche il suo avversario scherzava: era molto più basso di lui e non era affatto altrettanto massiccio, ma aveva due spalle da lottatore, braccia robuste e un fisico asciutto. Niente a che vedere con quei rissosi omaccioni con le pance da birra, nelle quali spesso ad Ettore bastava affondare un paio di pugni ben assestati per vederli crollare come alberi tagliati.
- Sei bravo. - sentii che lo sconosciuto diceva ad Ettore, mentre gli si avvicinava ancora, con la guardia alzata. Poi sferrò un pugno al petto, che il pirata parò. Un attimo dopo, la mano libera salì in un gancio repentino che Ettore non riuscì ad anticipare né a schivare: il pugno serrato lo colpì alla mascella, facendolo letteralmente ruotare su sé stesso e incespicare, finendo quasi in ginocchio.
La folla sembrò ammutolire ed esplodere nell'istante di un respiro, e le mani di Faith si serrarono bruscamente sul mio braccio, rischiando di ridurmelo in poltiglia.
- Dio mio!- ripeté, senza fiato, con gli occhi strabuzzati.
- Faith!- protestai, senza riuscire a strappare il braccio dalla sua morsa. Ettore intanto barcollava, con le mani premute sulla mascella. Dopo qualche attimo che sembrò eterno, si raddrizzò e si rimise in guardia, sfidando l'irlandese a farsi avanti di nuovo: ora però ogni traccia di divertimento era scomparsa dal suo viso, rimpiazzata da una cupa determinazione. Anche la gente radunata lì attorno si era fatta più silenziosa: non era questo che era abituata a vedere, di solito gli scontri non duravano più di qualche gancio bestiale sferrato a tutta potenza, prima che il più debole o il meno attento dei due avversari crollasse. Uno scontro fra pari era proprio qualcosa che ancora non si era visto.
Fu Ettore il primo a contrattaccare, caricando a testa bassa e opponendo all'avversario il gomito, mentre il pugno libero andava a colpirlo allo stomaco: l'irlandese incassò, si piegò, e prima che Ettore potesse tirarsi indietro lo colpì di nuovo al viso, con un crocchiare sordo di nocche che si scontravano contro lo zigomo.
I due si separarono bruscamente, barcollando entrambi, uno con le mani al petto, l'altro sulla faccia; quando Ettore si raddrizzò con gesto lento, scorsi l'ammaccatura sanguinante sotto le sue dita.
- Falli smettere!- protestò Faith, girandosi verso di noi con gli occhi sbarrati. - Jack! Di' ad Ettore di smettere, ora sta esagerando!-
Seduto dov'era, Jack allargò le braccia con aria impotente. - Faith, non ho voce in capitolo. - replicò, come a volersi scusare davanti allo sguardo accusatore della mia amica. Inoltre, pensai io mentre lo scrutavo di sottecchi, aveva fatto scommesse con troppa gente in quella stanza per poter fermare alcunché proprio ora.
All'irlandese non sfuggì il nostro scambio di battute, e per qualche momento lo vidi guardare nella nostra direzione prima di tornare a fissare Ettore.
- Stai facendo preoccupare i tuoi amici, laggiù. Possiamo finirla qui, basta che lo dici. - lo sentii dire al pirata, a voce bassa ma perfettamente chiara. Ettore sembrò stupito da quell'offerta e per un attimo lo vidi sgranare gli occhi, con la mano ancora premuta sul viso... poi però i suoi occhi si strinsero di nuovo, e lui si rimise in guardia con gesti lenti e misurati, recuperando la sua posizione davanti all'avversario.
- Non è finito niente. - replicò, secco. - Abbiamo cominciato, e adesso andremo fino in fondo. -
Gli spettatori sembrarono accogliere le parole di Ettore con un certo entusiasmo, cominciando a gridare: “Avanti!” e “Finiscilo!” anche se non capii quale dei due stessero incitando. Io trattenni il respiro: dalle espressioni di Ettore e dell'irlandese era chiaro che la prossima mossa sarebbe stata quella decisiva.
Stavolta fu lo sconosciuto ad attaccare per primo, e i colpi seguenti furono talmente rapidi che realizzai che era finita solo con qualche attimo di ritardo.
L'irlandese colpì Ettore con due pugni al petto che avrebbero dovuto mandarlo al tappeto, ma il pirata resistette, limitandosi ad arretrare di due passi. Poi abbrancò l'avversario con un braccio e, immobilizzatolo contro di lui, affondò una scarica di colpi tremendi dritti tra le sue costole, facendolo piegare su sé stesso come se fosse stato un pupazzo di stracci. Accompagnato dallo slancio dei suoi stessi colpi, lo spinse fino alla murata dell'arena e lo sbatté contro il legno, lasciandolo poi cadere a terra.
L'irlandese si afflosciò e giacque sul pavimento, completamente inerte.
Tutti i presenti, noi tre compresi, rimasero in un ammutolito silenzio per qualche secondo, poi la folla esplose in un boato di urla ed ovazioni, ed io ripresi a respirare liberamente.
- Andata! Scusatemi un secondo, gentilmente... - Jack si alzò vittoriosamente dalla gradinata e svicolò rapido tra la folla per raggiungere il bancone, a cui tutti stavano accorrendo per riscuotere le proprie scommesse vinte. Io e Faith invece aspettammo che venisse aperto il cancelletto, per sgusciare in mezzo alle persone che si affollavano attorno e raggiungere Ettore all'interno dell'arena.
Il pirata rivolse soltanto un vago cenno di vittoria, col pugno alzato, a tutti quelli che rumoreggiavano intorno a lui, per poi restarsene a riprendere fiato a capo chino, appoggiato alla recinzione. Faith lo raggiunse come una furia, brandendo un panno pulito e una bottiglia che aveva tenuto da parte apposta, ma quando il pirata rialzò gli occhi per guardarla stava sorridendo apertamente.
- Vi siete godute l'incontro?- ci domandò in tono assolutamente tranquillo, ben sapendo che questo avrebbe fatto infuriare ancora di più la mia amica.
- Oh, non immagini quanto. - rispose infatti lei, in tono minaccioso. Inzuppò lo straccio col contenuto della bottiglia e si avvicinò a lui. - Chinati, e guai a te se ti sento fare storie. -
Sempre ridacchiando sotto i baffi, Ettore si piegò per mettersi all'altezza di Faith e lasciò che gli ripulisse la brutta ammaccatura che aveva sotto l'occhio destro: per quella sera aveva incassato parecchi colpi, ma adesso che l'incontro era finito sembrava stare bene. Alla fine si riprendeva sempre.
La mia attenzione, invece, fu attirata dall'irlandese che ancora giaceva per terra. Non aveva aperto gli occhi da quando Ettore l'aveva mandato al tappeto, e nemmeno si era mosso: sembrava che l'avesse lasciato completamente privo di sensi. Prima che potessi avvicinarmi a lui, però, i due uomini di prima mi passarono davanti senza tanti complimenti e afferrarono l'uomo svenuto per le braccia, per poi trascinarlo fuori dall'arena con la stessa delicatezza che avrebbero avuto per un sacco di patate; li guardai farsi strada in mezzo agli avventori con il loro strano carico al seguito, e poi mollarlo in un angolo privo di gente, allontanandosi da lui nel più totale disinteresse.
La cosa era curiosa. Effettivamente, avevo già visto alcuni sconfitti venire portati via dall'arena privi di sensi, ma di solito c'era sempre qualcuno pronto a raccattarli, o almeno a svegliarli con una secchiata d'acqua in faccia. L'irlandese invece restò abbandonato nel suo angolo, e subito la massa della gente che lasciava l'arena me lo nascose alla vista.
Dietro di me, Faith ed Ettore stavano battibeccando, come facevano sempre dopo un incontro.
- Dillo, lo fai apposta? Perché sembra proprio che tu lo faccia apposta a farmi spaventare! Che cosa mi toccherò fare, un giorno o l'altro? Ricucirti? Riattaccarti qualche pezzo?- brontolava la giovane, strofinando la guancia barbuta del pirata con una delicatezza che era in netto contrasto con l'asprezza delle sue parole. Ettore si limitava a sorridere a mezza bocca, accettando di buon grado le cure della moglie. - Perché no? Potrebbe sempre capitare, e faresti meglio a tenerti pronta... - la stuzzicò ancora, tanto per divertirsi.
- Non dirlo nemmeno per scherzo. - mormorò Faith, con un lampo di preoccupazione, poi tolse lo straccio bagnato dal viso di Ettore.
Feci per dire qualcosa, ma ancora una volta, quasi involontariamente, mi trovai a voltarmi verso l'angolo dove i due uomini avevano lasciato l'avversario di Ettore. Così, dato che i due erano ancora piuttosto concentrati l'uno sull'altra, io uscii dal cancelletto e, fendendo controcorrente la massa di gente che ora si dirigeva chiacchierando verso l'uscita, raggiunsi l'angolo della sala: era in ombra, perché l'unica finestra era una grande vetrata dalle imposte spesse che gettava la maggior parte della luce sul piccolo riquadro delimitato dall'arena. E in quell'ombra c'era lui.
L'avevano lasciato seduto contro il muro, le gambe e le braccia spalancate e flosce come quelle di un burattino senza fili. Il busto nudo era imbrattato di polvere e sudore, la sua testa rossiccia era reclinata contro la spalla sinistra, inerte: avvicinandomi e stringendo gli occhi per abituarmi al passaggio dalla luce alla penombra, mi accorsi di una chiazza scura sul mento barbuto dell'uomo. Un rivolo di sangue gli usciva dalle labbra e, goccia a goccia, stava colando sul petto.
Per un attimo avvertii un fastidioso nodo alla gola, e il brivido freddo della paura. “Mio Dio, dimmi che non l'ha ammazzato...” mi ritrovai a pensare, senza riuscire a decidere che fare. C'era rimasto secco sul serio? Per questo i due lo avevano lasciato lì, senza curarsi di rianimarlo? E, dato che loro avevano lasciato perdere la cosa, voleva dire che eravamo autorizzati a lasciarla perdere anche noi?
Inghiottii la saliva e allungai una mano verso l'irlandese, appoggiando due dita sul suo collo: lì per lì non sentii niente, poi mi convinsi a premere un po' più forte, affondando i polpastrelli nel muscolo teso. Solo allora, con un certo sollievo, sentii una lieve pulsazione.
- Non ha proprio una bella cera, non trovi?-
La voce di Jack a meno di un passo da me per poco non mi fece fare un balzo per la paura, ma mi limitai a voltarmi di scatto, ritraendo la mano dal collo dell'irlandese svenuto. Jack era proprio dietro di me -chi l'aveva sentito arrivare?- con le braccia incrociate dietro la schiena, e si sporgeva di lato per guardare l'uomo accasciato sul pavimento con aria incuriosita.
- E' quello che stavo pensando. - replicai, un po' seccata per essermi lasciata sorprendere in quel modo. - Perché lo hanno trascinato qui? E' svenuto ed è ferito... e non è morto, anche se a guardarlo prima non ci avrei scommesso. -
Jack mi passò davanti e si inginocchiò davanti all'irlandese, chinandosi a squadrarlo da capo a piedi come se stesse cercando di guardarlo da ogni angolazione. Poi fece una smorfia, si strinse nelle spalle e si tirò indietro, voltandosi verso di me. - Non è messo bene, no. Temo che Ettore ci sia andato giù pesante, questa volta... certo è che il nostro amico testarossa, qui, ci ha appena fatto guadagnare un bel gruzzolo, con la sua sconfitta. -
- Jack, non dovremmo... che so, cercare di svegliarlo?- alzai le spalle, sentendomi vagamente a disagio. Il capitano mi fissò con aria interrogativa per un momento, poi si girò verso l'uomo e gli agitò le mani davanti alla faccia come se volesse ipnotizzarlo.
- Svegliati!- declamò, con voce profonda. Dopo essere rimasto a guardarlo per qualche attimo, si voltò di nuovo con un sogghigno. - Niente da fare, temo che non voglia collaborare. -
Sbuffai, alzando gli occhi al cielo. - Non sei divertente!- commentai, girandomi e cercando con lo sguardo Faith ed Ettore, che in quel momento stavano uscendo dal cancelletto dell'arena.
- E tu non sei un buon pubblico!- mi gridò dietro lui, mentre raggiungevo i due a passi svelti. Faith aveva ancora in mano la bottiglia mezza vuota che aveva usato per disinfettare le ferite di Ettore; quando le fui accanto gliela presi di mano, agitandola un po' per verificare che dentro ci fosse rimasto qualcosa.
- Faith, Ettore, seguitemi. - le spiegazioni potevano aspettare: mentre i miei due amici, senza capire la mia fretta, mi venivano dietro, io tornai all'angolo dove avevo lasciato Jack e l'irlandese. Sotto lo sguardo stupito di tutti, mi chinai sull'uomo svenuto e gli versai in faccia tutto il contenuto della bottiglia: doveva essere un qualche rum annacquato; il liquore ambrato lo inzuppò da capo a piedi, ma questo non provocò nessuna reazione.
Jack si protese a dare un'annusata, e storse il naso. - Pessimo. Cristo, dire che così è sprecato è quasi dire tanto... se non si sveglia neanche con questo allora è davvero messo male!-
- E' questo che mi preoccupa. - sospirai, posando a terra la bottiglia vuota. - Faith, vieni a dargli un'occhiata. -
Un po' riluttante, Faith si scostò dal fianco di suo marito per esaminare l'irlandese: restammo tutti a guardarla in silenzio per un po', mentre lei si accertava che respirasse, cercava eventuali ferite alla testa e con estrema cautela gli raddrizzava il collo. Vidi la sua espressione incupirsi mentre scrutava il sangue scuro che gli colava dalle labbra, e farsi ancora più grave mentre gli tastava le costole con le dita: quando alzò gli occhi aveva messo su il cipiglio severo che aveva tutte le volte che veniva chiamata a fare il suo dovere di medico. - Ha preso un brutto colpo, credo che abbia qualche costola incrinata. Ed è anche un brutto segno che non si sia ancora svegliato, se c'è del sangue nei polmoni la cosa potrebbe diventare complicata. -
Sul viso di Ettore per un attimo balenò un lampo di preoccupazione. - Ma se la caverà?-
- Non se lo lasciano qui, di certo. Dove sono gli uomini che erano con lui? Perché nessuno l'ha aiutato?- la mia amica si guardò attorno, come cercando qualcuno che venisse a reclamare il nostro sfortunato irlandese, ma ormai nell'arena non era rimasto più nessuno: c'era giusto un ragazzetto intento a spazzare il pavimento dell'arena, totalmente disinteressato a quello che stavamo facendo noi cinque nell'angolo.
- Ehi, tu!- lo chiamò Ettore, alzando la voce. Il ragazzetto si girò e, alla vista dell'uomo massiccio che aveva appena fatto piazza pulita di tutti i suoi avversari solo pochi minuti prima, sobbalzò e arretrò, intimidito. - Hai visto gli uomini che erano entrati insieme a questo qui?-
- Sono andati tutti via, signore. - rispose il ragazzetto senza guardarlo in faccia, chiaramente ansioso di chiudere la conversazione.
- Ma come? Senza aiutarlo? E il tuo padrone che ti ha detto? Da quando butta via gli sconfitti come sacchi di immondizia?- insistette il pirata, ma sotto le sue domande il ragazzo si limitò a farsi piccolo piccolo e tornare freneticamente al suo lavoro, voltandoci le spalle.
- Io non so niente, signore. Il capo ha detto di lasciarlo lì, e io di certo non lo tocco. -
Non aggiunse altro, e sembrò disinteressarsi completamente della faccenda. Ettore guardò l'irlandese svenuto ancora per un attimo, poi si voltò verso Jack. - Capitano, chiedo il permesso di portare quest'uomo a bordo. -
- Perché?- replicò lui, con un'alzata di spalle. - Non possiamo fare granché per lui, ci sarebbe solo di intralcio. -
- Lo so, ma se lo portiamo a bordo Faith può cercare di curarlo. - insistette il pirata. - Solo finché non si rimetterà. Non posso lasciarlo qui. -
Sorrisi tra me mentre li ascoltavo: Ettore era ben strano per essere un pirata; pur avendo navigato agli ordini di un capitano come Beatrix Barbossa, in qualche modo veniva sempre fuori quella sua strana, innata lealtà. Sotto sotto ero convinta che avesse a che fare con una sua radicata concezione dell'onore: non avevo dimenticato che, quando eravamo stati prigionieri sulla nave del suo precedente capitano, lui aveva cominciato a darci fiducia da quando Faith aveva prestato aiuto ad un ferito della sua ciurma. Ettore era fatto così: non abbandonava le persone, se sentiva di dover loro qualcosa. Probabilmente era stata la nascita del suo legame con Faith a spingerlo ad opporsi al suo capitano, fino a rinnegarlo.
Jack ci pensò su per qualche istante, squadrando ora Ettore ora l'irlandese svenuto, mentre si carezzava pensosamente la barba, quindi fece un cenno di assenso allargando le braccia. - Fai come vuoi. Portatelo a bordo e fate tutto quel che potete per rimetterlo in sesto. Nel migliore dei casi saranno due braccia in più nella ciurma, comprendi? Avanti, ora, tiratelo su. -
Senza bisogno dell'aiuto di nessuno, Ettore si chinò sull'irlandese e se lo caricò sulle spalle come se non pesasse nulla. - Faith. - fece un cenno col capo alla mia amica, e lei si mise di fronte a lui per fargli strada mentre uscivano dal capannone dove si era tenuto l'incontro.
Una volta fuori, in strada, ci accolse una penetrante puzza di marcio e di polvere da sparo; il consueto odore di Tortuga. Non c'era molta gente per le strade ma, a parte questo, la città era immersa nel suo consueto caos serale, e la notte era appena iniziata.
Ettore, col suo insolito carico sulle spalle, e Faith si separarono da noi e si diressero verso il porto; io e Jack invece ci ritrovammo soli davanti alla porta ancora spalancata del capannone, col baccano degli ubriachi che veniva dalle strade e dalle porte aperte delle bettole.
- Ebbene... - fece Jack, congiungendo le dita delle mani con fare solenne e scoccandomi un'occhiata. - Mentre i nostri amici fanno il loro dovere di buoni samaritani, dove ce ne andiamo noi questa sera?-
- Possiamo raggiungere gli altri alla Red Rose? So che Valerie voleva andare a trovare Daphne; credo che abbia appena avuto il bambino. -
La Daphne di cui parlavo era una giovane donna che Valerie aveva conosciuto tempo prima, quando ancora lavorava come locandiera, ed erano diventate amiche. Era anche una prostituta della Red Rose, che a dirla tutta non era un brutto posto in confronto al resto di Tortuga: nelle ultime settimane, nelle quali avevamo letteralmente fatto avanti e indietro dal porto della città, avevo avuto occasione di passare per quel bordello più volte. Lì vivevano le uniche amiche che Valerie avesse mai avuto prima di essere arruolata da me sulla Perla. Avevo perfino cominciato ad apprezzare quel posto: non era affatto cupo e sudicio come le altre case di piaceri, e nemmeno la clientela era altrettanto losca; un bordello di lusso, insomma. Tramite Valerie, anch'io avevo conosciuto Daphne e avevo stretto amicizia con lei: era già in gravidanza avanzata quando l'avevo vista per la prima volta, e ora, stando a quanto mi aveva riferito la mia amica, doveva avere da poco dato alla luce il suo bambino.
Alla mia richiesta, Jack si limitò a scrollare le spalle. - Cose da donne. - scherzò, con un tono di sufficienza fatto apposta per punzecchiarmi.
- Ci vado anche da sola, se vuoi. - replicai prontamente, sogghignando.
- Scordatelo. - il capitano ricambiò apertamente il sorriso, mentre con un gesto sottilmente possessivo mi circondava le spalle con un braccio e mi conduceva con sé.
La Red Rose era un edificio grande e quasi elegante, dalle mura color crema, dove l'umidità aveva scrostato l'intonaco solo in pochi punti: davanti all'ingresso -un largo portone spalancato in cima a quattro scalini- stavano alcune donne in abiti vaporosi e variopinti, tutte intente a salutare in modo più che vivace un gruppo di marinai che stavano passando per la strada a bordo di un carro. Noi evitammo l'entrata principale, svicolando di lato all'edificio e raggiungendo la porta posteriore delle cucine: lì, nel vicolo, trovammo Will seduto su una panca.
- Ma guarda chi si vede!- fece Jack a mo' di saluto mentre ci avvicinavamo. - Per curiosità, come mai sei qui fuori, quando è così palese che si sta meglio dentro? Sembri in punizione. -
Will alzò gli occhi al cielo, ignorando la frecciata. - Valerie ed Elizabeth sono entrate a cercare Daphne, io sono rimasto qui con David. Non mi sembrava il caso di portarlo dentro. - accennò al fondo del vicolo, e solo in quel momento il bambino saltò fuori da un sacco vuoto dentro il quale si era infilato, agitando le braccia come un matto.
- Buh!- ci gridò, tutto contento, col faccino rosso e i lunghi capelli chiari tutti scarmigliati.
Jack si portò le mani al petto e si ritrasse da lui, con aria adeguatamente impressionata. - Terrificante. Ora, William, ti prego, possiamo entrare? Se non ti spiace devo accompagnare la mia signora, e stare seduti di fuori è un'ipotesi talmente triste che non voglio neanche prenderla in considerazione, comprendi? Ti assicuro che per il tuo marmocchio è molto meglio questo bordello che la Sposa Fedele!-
Sorrisi e tirai una gomitata a Jack, per poi rivolgermi a William. - Will, portalo dentro senza problemi: tienilo d'occhio e vedrai che non incapperà in niente di sconveniente!-
Il giovane sembrò sul punto di rifiutare, ma poi cedette e prese per mano David per seguirci. Era buffo vederlo in queste situazioni: quando lo guardavo, a volte ancora non sapevo se stavo guardando il giovanotto silenzioso ed educato che Elizabeth mi aveva presentato anni e anni prima, o il capitano pirata che era appena diventato. Will era reduce dal suo primo mese come capitano, e se la stava cavando egregiamente: buona parte dei nostri viaggi dentro e fuori da Tortuga, in quelle settimane, erano stati proprio per reclutare abbastanza uomini per la nuova ciurma. Entrambi, sia Will che Elizabeth, si erano guadagnati in fretta il rispetto e l'obbedienza dei loro uomini, forse grazie anche all'influenza del burbero e inimitabile Trentacolpi, unico rimasto della vecchia ciurma di quella che era stata la Queen Anne's Revenge di Barbanera: l'arzillo vecchietto aveva chiarito fin da subito che chiunque si trovasse su quella nave doveva fedeltà al “capitano Turner”, e se qualcuno si fosse messo in testa strane idee gli avrebbe fatto mettere la testa a posto insieme ad una o due delle sue “ragazze”, preferibilmente Diamante e Rubinia, quelle delle grandi occasioni. Nessuno della ciurma aveva fatto il difficile.
In seguito, Will era rimasto una giornata intera ad arrovellarsi per trovare un nome degno della sua nuova nave: non era un'impresa da poco; ci voleva un nome appropriato, particolare, e che non fosse la brutta copia di “Perla Nera”. Ci si era rotto la testa per ore e ore: voleva qualcosa che lo rappresentasse, ma che simboleggiasse anche la sua ritrovata libertà.
Poi, all'improvviso e quasi per caso, la folgorazione. Così semplice! Così ovvio!
Così, da poco più di un mese, la Sputafuoco navigava al fianco della Perla Nera, e i nostri arrembaggi combinati erano stato molto fruttuosi.
Jack batté quattro colpi sulla porticina, e qualche istante dopo da dentro si sentì un cigolio sonoro e si aprì uno spiraglio. Si affacciò un uomo dalla pelle nera, che riconobbi come uno di quelli che lavoravano nelle cucine: ci riconobbe a sua volta e, dopo averci fatto un cenno d'assenso, borbottò uno sbrigativo: - Entrate. - facendosi da parte per lasciarci passare. Facemmo il nostro ingresso nelle cucine, dove delle giovani ragazze, alcuni negri e anche qualche monello sui tredici anni si occupavano di cucinare e pulire: passammo in mezzo alla folla ed attraversammo un piccola porta chiusa solo da una tenda, per ritrovarci in una saletta altrettanto gremita. Ora la maggior parte degli occupanti erano donne in abiti succinti e alcuni sguatteri che correvano dappertutto come palline impazzite: eravamo ad un passo dalle vere e proprie sale del bordello, attraverso un arco potevo vedere l'ingresso e il corridoio rivestito di tappezzeria rossa. In mezzo a tutta quella gente, una donna impartiva istruzioni col cipiglio di un capitano che dava ordini ai gabbieri.
Jane Bondies, la proprietaria della Red Rose, aveva una certa età ma era ancora una donna bella e forte come la roccia: indossava un vaporoso vestito nero e scarlatto, non meno appariscente di quelli che indossavano le sue ragazze dedite ad un altro tipo di affari, e i suoi capelli castani striati di grigio erano raccolti in una severa crocchia sulla sommità del capo.
Era lei a gestire tutti gli affari: la Red Rose rimaneva pur sempre un bordello, certo, ma miss Bondies ne aveva fatto il suo regno e la sua fortezza; in quel bordello nessuna prostituta sarebbe mai morta di freddo, di fame o di malattia.
- Chiama qualcuno che ripari quella finestra, quei dannati ubriachi l'hanno fracassata un'altra volta. - stava dicendo in tono sbrigativo ad un ragazzo, mentre noi ci avvicinavamo accompagnati dall'uomo che ci aveva fatti entrare. - E qualcun altro si occupi di pulire le latrine. Ah, e voi due... - si rivolse a due ragazze. - Accompagnate subito Helena in infermeria, e non voglio sentire storie. Non ha un briciolo di criterio, con la febbre che ha!-
- Miss Bondies!- la chiamò il negro. - Abbiamo altre visite. -
- Cosa c'è adesso, altri perdigiorno ubriaconi? Ditegli che qui si accettano solo quelli con i soldi!- replicò lei, voltandosi. Quando ci vide, però, spalancò gli occhi con sorpresa.
- Quelli che entrano dalla porta posteriore solitamente non sono perdigiorno ubriaconi, mi pare di ricordare. - rispose Jack con un sorriso, allargando le braccia e accennando un inchino.
Miss Bondies ci venne incontro, il viso illuminato da un sorriso gioioso. - Oh, siete voi! Che piacere rivedervi, capitano Sparrow... - fece a sua volta una riverenza. - Milady, e... qual è il vostro nome, signor...?-
- William Turner. Piacere mio. - si presentò Will, con David al fianco.
- Sempre felice di vedere facce nuove da queste parti. Oh, è adorabile!- aggiunse la donna, chinandosi a dare un buffetto sulla guancia a David. Dopodiché tornò a rivolgersi a me: da quando l'avevo conosciuta, miss Bondies sembrava avere cominciato a nutrire una grande ammirazione per me, Faith e Valerie; stando a quanto avevo sentito, eravamo diventate una specie di leggenda tra le ragazze della Red Rose. Per loro, noi eravamo delle eroine, donne che andavano per mare e combattevano come gli uomini. Facile immaginare come la cosa potesse sembrare straordinaria alle ragazze di un bordello. - Cosa posso fare per voi?-
- Sono qui per una visita di cortesia; so che Valerie ed Elizabeth sono venute per vedere Daphne, le posso raggiungere?- risposi.
- Ma certamente!- miss Bondies si voltò per richiamare una giovane ragazza dal succinto vestito rosso. - Dorothy! Per favore, accompagna i nostri ospiti da Daphne. Quella ragazza ha un sacco di visite oggi!-
La giovane di nome Dorothy ci si accostò, sorridendo apertamente: era un'altra recente conoscenza all'interno della Red Rose; era davvero molto giovane, con lunghi boccoli neri e un viso tondo con due graziose fossette ai lati della bocca. Non avevo dubbi che fosse piuttosto richiesta dagli avventori.
- Prego, venite con me. - disse vivacemente, prendendo a braccetto Will. Quest'ultimo, colto totalmente alla sprovvista e ora bloccato da entrambe le parti con David per mano e la giovane appesa all'altro braccio, avvampò improvvisamente, e Jack si lasciò sfuggire una risatina.
- Dorothy, questo qui è sposato e ha un bambino al seguito, se non l'hai notato. - le fece presente il capitano, indicando David con un gesto pigro. Dorothy si limitò a fare un sospiro vagamente deluso, ma non lasciò il braccio di Will -cosa che lo fece arrossire ancora di più- mentre ci guidava verso i dormitori. Le stanze migliori dell'edificio erano logicamente riservate ai clienti, ma tutto il piano inferiore era adibito a dormitorio per le donne che vivevano nel bordello: la stanza di Daphne era un distaccamento dell'infermeria, dove le convalescenti potevano avere un po' di tranquillità ed intimità. Dorotyhy bussò e, dopo un attimo, una voce assonnata ci disse di entrare.
La camera era piccola ed era occupata da due letti semplici: in uno giaceva una donna profondamente addormentata, che russava piano dando la schiena al resto della stanza, nell'altro stava seduta Daphne, una giovane dai capelli biondi e i tratti delicati. Le sue guance pallide erano chiazzate di rosso, ma sorrideva; portava una camicia da notte un po' troppo larga che faceva sembrare ancora più esile la sua figura minuta, e tra le braccia teneva un fagottino che solo dopo qualche istante riconobbi come un neonato.
Sedute ai piedi del suo letto, proprio sul bordo, c'erano Elizabeth e Valerie, che si voltarono verso di noi non appena sentirono aprirsi la porta.
- Ehi, che piacere rivedervi. - mi fece Daphne, rivolgendomi un sorriso stanco.
Elizabeth lanciò uno sguardo dietro le mie spalle e, vedendo Will con David, si accigliò. - Will, ti avevo detto di tenere David fuori!- gli fece, in tono di rimprovero.
William posò una mano sulla spalla del figlio, con gesto protettivo. - L'avrei fatto, ma hanno insistito. E comunque, qui ai piani di sotto non vedrà niente di sconvolgente. - scherzò, con un mezzo sorriso. Fortunatamente, Dorothy si era decisa a staccarsi dal suo braccio prima che venisse aperta la porta. Con un sospiro, Elizabeth fece un cenno al bambino e quello la raggiunse trotterellando per farsi sollevare e mettere a sua volta a sedere sul bordo del letto.
- Vi lasciamo sole. - mi disse Jack, facendo per richiudere la porta dietro di loro.
- Quando esco ti voglio trovare lì dalla porta... da solo!- lo avvisai, puntandogli un dito contro a mo' di ammonimento; lui sfoggiò il più smagliante dei sorrisi e mi mandò un bacio, prima di chiudere la porta dietro lui e Will.
- Ciao, Daphne. Sono passata solo per vedere come stavi... - dissi, avvicinandomi al letto. - E' un brutto momento?-
La giovane scosse il capo e mi fece cenno di venire più vicino, sistemandosi meglio il neonato in grembo. - No, no: lui ha appena finito di mangiare e io sono solo un po' stanca. Vieni. Non mi aspettavo di vederti. -
- Solo perché sono un capitano, non vuol dire che nego una visita ad un'amica!- sorrisi, mettendomi a sedere sul primo angolo libero di letto che trovai.
- Devi ancora conoscere Richard. - saltò su Valerie non appena mi sedetti, indicando il bambino. - Faglielo tenere, Daphne. -
Realizzai che cosa volesse dire solo quando la giovane si sporse verso di me e mosse il fagottino nella mia direzione, invitandomi a prenderlo: appena me ne resi conto, mi feci istintivamente indietro e scossi il capo. - No, guarda, non... -
- Non fare storie. Non puoi essere l'unica qui a non avere avuto il piacere!- Valerie zittì i miei tentativi di protesta, e Daphne continuò a porgermi il suo bambino col sorrisetto di chi la sa lunga. Ora non potevo più sottrarmi. Sentendomi improvvisamente tesa come se avessi dovuto prendere in mano delle braci accese, mi avvicinai a Daphne e cercai di mettere le braccia esattamente come le stava tenendo lei, mentre lei mi passava il bambino in tutta tranquillità. L'attimo dopo, avevo il neonato tra le braccia.
Era talmente piccolo da sembrare quasi irreale; avevo la sensazione che se avessi allentato la stretta, anche solo di poco, mi sarebbe potuto scivolare tra le mani e cascare per terra come una monetina. Ad un tratto il bambino socchiuse le palpebre e mi trovai a fissare due occhietti di un azzurro sbiadito; ero quasi certa che se il bimbo avesse potuto parlare, in quel momento mi avrebbe detto qualcosa tipo: Chi sei e perché diavolo mi stai tenendo in braccio tu?!
Uno scoppio di risate mi riportò bruscamente alla realtà, anche se ancora non osavo muovermi di un millimetro per non disturbare la creaturina estranea che tenevo in braccio.
- Puoi anche respirare, ogni tanto. - mi canzonò Valerie, senza smettere di ridere.
- E puoi anche muoverti: guarda che non si impressiona così facilmente!- rincarò Daphne.
- Lei invece sì, a quanto pare. - rise Elizabeth a sua volta, con le mani posate sulle spalle di David che si allungava, curioso, per scrutare il neonato.
- Molto divertente. - sbottai, azzardandomi a spostarmi appena verso la madre. - Adesso puoi riprenderlo, prima che lo rompa, o lo faccia esplodere, o quello che è?-
Questo le fece ridere ancora, e Daphne si riprese gentilmente il piccolo Richard, che tornò a sonnecchiare più tranquillo sul suo grembo. Valerie mi scoccò uno sguardo divertito. - Non voglio vedere cosa succederà quando ne avrai uno tuo. - commentò in tono malizioso.
Le sue parole ebbero su di me un effetto del tutto inaspettato: ad un tratto mi trovai ad avvampare fino alla radice dei capelli, e cominciai a sentirmi a disagio come se mi mancasse l'aria. - Non mi sono mai posta il problema, e non credo che me lo porrò. - tagliai corto, senza incrociare lo sguardo di nessuno. Conoscevo quella sensazione, e sapevo che era dovuta a tutta quell'attenzione non desiderata, e ad un argomento di cui non volevo parlare. Daphne sembrò accorgersi del mio disagio, perché distolse gli occhi da suo figlio e li rialzò su di noi per cambiare completamente discorso.
- Avete saputo degli ultimi trambusti in città? Ah, no, probabilmente no... passerete molto più tempo al porto che in città. - si corresse da sola, facendo un cenno con la testa. - E' comparsa una nuova grande banda, guidata da un uomo che si chiama Robert Silehard. Ha acquistato moltissimo potere in pochissimo tempo e sempre più banditi si stanno mettendo sotto il suo comando, attratti dal guadagno. Si sta facendo conoscere in fretta, su questo non c'è che dire. -
- In bene o in male?- domandò Valerie, che ascoltava le notizie con aria corrucciata.
- Dipende da che parte lo guardi. - rispose lei con un sorrisetto strano. - Comunque, girano voci strane su questa gilda di briganti: lui e i suoi sono conosciuti perlopiù nel centro della città, anche se le sue spie sembrano essere ovunque. Da come si atteggia si direbbe che si sente già padrone del posto! Ma stavo dicendo... certi dicono che un uomo da solo non può esercitare tanta influenza così rapidamente su una città. Si dice che Silehard stesso non sia che un burattino nelle mani di qualcuno che controlla la gilda dall'interno. -
- E chi sarebbe questo burattinaio nascosto?- domandai, sempre più interessata. Daphne spalancò gli occhi e con un sorriso a stento represso bisbigliò: - Streghe! Un gruppo di streghe che guidano ogni mossa di Silehard su Tortuga. -
Rimanemmo in silenzio per un attimo, poi le spalle di Daphne sussultarono lievemente mentre lei iniziava a ridacchiare, seguita a ruota da Valerie che rise alzando gli occhi al cielo. Anche io ed Elizabeth ridemmo, anche se un po' in ritardo rispetto a loro, e sapevo anche il perché. Valerie non aveva visto l'Isla de Muerta. Non aveva visto Jack trasformato in non morto sotto la luce della luna. Io avevo imparato a mie spese che le storie di fantasmi erano più reali di quanto avessi mai pensato... tuttavia, stavolta risi ugualmente, perché quella storia aveva più il sentore di una superstiziosa voce di corridoio che non di una vera e propria leggenda.
In quel momento il piccolo Richard fece notare la sua presenza con uno strillo lamentoso, agitandosi fra le braccia di Daphne: lei si chinò sul bambino e lo cullò teneramente, sussurrandogli dolci parole, allora lui si calmò e prese a succhiarsi il pollice minuscolo. Intuii che era il momento di togliere il disturbo: ci congedammo da Daphne, che ci ringraziò ancora per la visita, quindi uscimmo nel corridoio.
Jack era seduto, o per meglio dire mezzo stravaccato, su di una panca addossata al muro; al suo fianco sedeva Will, con l'espressione di chi non vede l'ora che una tortura finisca, e accanto a lui, quasi sedutagli in grembo, Dorothy si intratteneva con lui in un animato monologo al quale il giovane, a tratti, rispondeva suo malgrado a monosillabi o a cenni del capo, evitando in tutti i modi di incrociare lo sguardo della sua procace accompagnatrice. Dal canto suo, Jack li osservava di sottecchi col sogghigno strafottente di chi si sta divertendo un mondo.
- Andiamo?!- mi affrettai a domandare, fermandomi bruscamente sulla porta nel tentativo di trattenere Elizabeth all'interno della stanza. Jack annuì e si mise in piedi col suo consueto incedere dondolante, e lo stesso fece Will quasi all'unisono, con aria decisamente sollevata.
- Ve ne andate di già?- fece Dorothy, delusa, riacchiappando lesta il braccio di Will. Per quanto la situazione stesse diventando rischiosa, dovetti fare del mio meglio per non ridere: alle mie spalle, Elizabeth si schiarì sonoramente la gola, e l'attimo dopo mi aveva già superata e si era fermata in mezzo al corridoio, fissando Dorothy con espressione assolutamente letale.
- Sì, e in fretta anche. - fece per tutta risposta, in tono mortalmente calmo.
- Ci sono amici che ci faranno pagare da bere se tardiamo ancora. - aggiunse Jack con tutta tranquillità, ignorando gli sguardi assassini che si stavano scambiando le due donne e facendo a noi cenno di seguirlo. Elizabeth restò a squadrare la giovane prostituta ancora per qualche istante, poi strinse le labbra e fece un cenno col capo in modo molto eloquente, al che Dorothy lasciò andare in fretta il braccio di William. Io e Valerie, da vigliacche che eravamo, stavamo ancora trattenendo le risate.
Tutti insieme girammo sui tacchi e ripercorremmo il corridoio dal quale eravamo venuti, con David che trotterellava allegro in testa al gruppo ed Elizabeth e Will che non dicevano una parola, l'uno troppo imbarazzato e l'altra troppo indispettita. Prima che l'atmosfera diventasse troppo pesante, Will si decise a voltarsi verso sua moglie e a rompere il silenzio. - Liz, ti assicuro che io non l'ho incoraggiata. -
- Non ne ha avuto bisogno. - aggiunse Jack, con un sogghigno. L'attimo dopo si lasciò sfuggire una specie di guaito mentre il mio gomito affondava repentinamente nella sua costola sinistra.
- Infatti non era per David che ti avevo chiesto di restare fuori. - replicò lei, inflessibile. Dopo qualche momento però rinunciò a tenere il muso, e si limitò a scuotere la testa con un sospiro; per tutti fu chiaro che Will era già perdonato. - Dove sono Faith ed Ettore?- domandò infatti poco dopo, in tono molto più tranquillo di prima.
- Alla Perla. - rispose Jack, evasivo. - Avevano una piccola questione di cui occuparsi. -
E, senza aggiungere altro, lasciammo il bordello per tornare in strada, diretti all'Albatro.









Note dell'autrice:
Si riparte!
Che piacere rivedere facce conosciute: Mally, grazie per esserti riconfermata una fedelissima, spero che questo capitolo soddisfi la tua curiosità! Fannysparrow ben ritrovata e, per rispondere alla tua domanda, certo che torneranno tutti, compresi Will ed Elizabeth con tanto di David al seguito, come hai potuto vederli or ora!
Approfitto di questo spazio per un po' di pubblicità ed autocelebrazione: voglio condivedere con voi lettori un regalo bellissimo che mi è stato fatto di recente. C'è una ragazza che su internet si fa conoscere come Rivan, o Jubilo: io la conosco di persona, anche se non da molto, eppure ha voluto farmi un omaggio inaspettato quanto gradito. Perciò bando agli indugi e fate vela QUI, perché in questa pagina di pregevolissimi sketch, chi abbiamo in alto a sinistra? CHI abbiamo?! Non ditemi che non l'avete riconosciuta! Io sì, e mi sono sciolta in strilli da fangirl per un'ora.
E per meglio rendere grazie al talento di questa ragazza (fatelo, o vi mando a spasso sull'asse) godetevi anche il resto della sua Gallery.
Wind in your sails!

  
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