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Autore: Sophie Isabella Nikolaevna    26/01/2011    1 recensioni
Due cugini e due cugine, in tempi diversi, ma nello stesso luogo.
In mezzo ai campi dove il Sole tramonta color del fuoco. Fantasmi e antiche amicizie, ricordi nella musica e giornate di nebbia dimenticate.
Estati e autunni scanditi da presenze nascoste. Memorie di vecchie case.
NB: questa è una RACCOLTA. I capitoli NON seguono un ordine logico. Guardate i titoli e leggete semplicemente quello che vi ispira di più.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Il Guardiano Nero del Tramonto
Parte 1


Era una calda sera di agosto, una delle tante calde sere di agosto che ci sono state nella mia vita. Anche se il sole stava tramontando e non picchiava più forte come nel pomeriggio, la stradina asfaltata delimitata da fossi sulla quale io e mia cugina eravamo sedute a gambe incrociate era ancora bollente. Attorno a noi, campi di grano già arati con qualche sprucco secco e dorato che spuntava, qualche albero scuro, frondoso e solitario, e la vecchia casa abbandonata. Dovevamo fare attenzione nello stare sedute per terra perché alcune pagliuzze provenienti dalle erbacce che crescevano sull'orlo dei fossi si infilavano dappuertutto: nelle scarpe, sotto i vestiti, nei capelli. E c'erano anche dei semini appiccicosi che si attaccavano ai vestiti e non ne volevano sapere di andarsene. Davanti a noi stava la vecchia casa abbandonata. Ogni anno veniva a mancarne un pezzo, e quella primavera un'intera stanza del piano di sopra era crollata, mettendo a nudo la parte destra dell'abitazione.

Tenevo un cuscino stretto fra le braccia e ridevo a crepapelle, mia cugina faceva lo stesso.
"E pensa se", disse tra le risa, "pensa se una mattina ci alziamo e ci ritroviamo nel fosso!".
"
Nel fosso?! E come ci saremmo finite?".
"Ci avrebbe buttate dentro tua nonna!".
Le risate esplosero nuovamente.
Olly mi rubò il cuscino.
"Ridammelo!".
"No!".
Mi buttai a recuperare il cuscino, ma Olly si scansò prontamente. Mi allungai ancora di più e riuscii ad afferrare quel grande e sofficie batuffolo bianco, ma così facendo spinsi Olly nel fosso e, visto che ero aggrappata al cuscino, precipitai con lei, in una babele di risate scalcagnate e strilli.
"Ahio! Mi ha punto un'ortica!".
"Anche a me!".
Non ero mai stata a testa in giù in fondo ad un fosso, con mia cugina e un cuscino. Guardai con furia omicida le bolle che mi si stavano cominciando a formare sulla caviglia sinistra. Io odiavo le ortiche. C'era una sola cosa che odiassi di più delle ortiche, qualcosa che, mi accorsi con orrore, dentro quel fosso proliferava: le zanzare.
"Usciamo subito di qui, Olly!".
Non ero tranquilla, anche se prima di uscire mi ero cosparsa di anti-zanzare dalla testa ai piedi, ed emanavo un odore talmente pungente da farmi starnutire (e a dirla tutta, ormai ero convinta che il mio fisico avesse assimilato l'anti-zanzare, tanto me ne ero messo quell'estate).
"No, aspetta! Non salire", rispose Olly, sporgendosi a guardare la strada. Mi sporsi anch'io.
Una bicicletta si stava avvicinando, cigolante. Olly l'osservava nervosamente.
"Sarà il vecchietto delle galline! Forza, torniamo su", dissi, apprestandomi a risalire a livello del mare.
Olly mi bloccò e mi mise una mano sulla bocca:
"Sssh!".
Mi rassegnai. A volte mia cugina aveva queste... strane idee. Le piaceva inventarsi cose su quella campagna, anche solo per giocare.
Osservammo insieme la bici e il suo guidatore che si avvicinavano.
La prima cosa che pensai fu: 'ma non ha caldo?'.
Alla guida della bici c'era un giovane uomo, vestito con i pantaloni lunghi e la felpa con il cappuccio tirato su. Io e Olly eravamo in canottiera, pantaloncini e infradito.
La bici e il suo proprietario erano una sagoma scura in movimento: nera la bicicletta, neri i vestiti del ragazzo e nera la sua pelle. Però, osservai con una certa inquietudine mano a mano che costui si faceva più vicino, il colore della pelle non era il classico marrone molto scuro brutalmente definito "nero". Quell'uomo aveva la pelle nera per davvero. Le cornee dei suoi occhi erano gli unici punti bianchi, e le iridi erano di un grigio sfaccettato e risplendevano come pietre preziose lavorate finemente.
Quella particolarissima creatura ci sorpassò e puntò sempre dritto. Oltrepassò il piccolo pollaio poco lontano da noi, si recò oltre il vigneto, oltre la casa dei Giovannini, poi fu troppo distante e non lo vedemmo più.
"Visto che non era il vecchietto delle galline?", disse Olly togliendomi finalmente la mano dalla bocca.
"Aveva la pelle nera!", esclamai sconvolta, "e gli occhi? Hai visto il colore degli occhi? Ed era vestito come se fosse novembre... ci sono trentacinque gradi!".
"Appunto", rispose Olly, serissima.
Silenzio.
"Dove credi che sia andato?", chiesi, "laggiù in fondo, prima della ferrovia, abitano solo i nonni Ghelli...".
"Allora la nonna della Laura Ghelli è in pericolo!", sussultò Olly, "fortuna che la Laura sta a Manzolino centro...".
"In pericolo? Che ne sai che quell'uomo è pericoloso? Magari è malato e ha freddo, si è messo delle lenti a contatto e ha la pelle tanto scura da sembrare nera", dissi, sapendo di essere poco convincente soprattutto perché io stessa non credevo alle mie parole. Non opposi dunque resistenza quando Olly mi prese per mano e mi trascinò in un battibaleno fuori dal fosso. Nell'altra mano avevo ancora il cuscino, tutto pieno di erbacce.
Olly mi portò di corsa nella vecchia stalla di casa sua, che era quasi lì di fronte, e svelta l'aprì con le chiavi di suo nonno. Sapevo cosa voleva fare: prendere le bici e inseguire il losco figuro.
"Fortuna che le ruote le ho gonfiate 'stamattina! Tu prendi quella di mia madre", decretò mentre portava fuori la sua bicicletta bianca.
Dopo qualche secondo sfrecciavamo come saette lungo la stradina asfaltata, che dopo un centinaio di metri tornava ad essere di ghiaia.
Passammo veloci accanto al vigneto popolato dalle lucciole, lasciando scie nella ghiaia. Superammo la casa larga e gialla dei Giovannini, il loro boschetto, poi arrivammo finalmente ai campi di proprietà dei Ghelli. La stradina iniziava a salire, e in cima alla lieve pendenza un pergolato di pietra ci separava dalla ferrovia. Proprio a ridosso di questo pergolato, stava la casa dei nonni Ghelli.
Una bici nera era parcheggiata fuori.
"E' la sua!!!", disse Olly con voce strozzata. Sistemammo le nostre biciclette nel fosso, in modo da tenerle nascoste, ed entrammo nel cortile dei Ghelli. Era piccolo e rettangolare, il lato destro delimitato dal muro giallo della casa, che era, al contrario della nostra e di quella dei Giovannini, più alta che larga. Di quel luogo ricordavo i pomeriggi passati con Olly, la Laura Ghelli e i due figli dei Giovannini a giocare con l'infinità di giocattoli che i nonni Ghelli tenevano in casa. Una volta la Laura Ghelli aveva trovato un cucciolo di pipistrello, in quel cortile, e avevamo dovuto fare attenzione che i loro gatti non se lo mangiassero. Avevano anche dei pulcini, che tenevano un grande scatolone.
"Secondo te dove può essere andato?", sussurrai.
"Dividiamoci", propose Olly. Mi sembrò improvvisamente di essere in uno di quei film horror in cui gli abitanti della nuova casa si dividono per trovare il fantasma. Risultato: muoiono tutti e due, mentre se fossero stati insieme avrebbero potuto aiutarsi a vicenda.
"Non se ne parla".
La famiglia Ghelli, che conoscevo da quando ero nata, aveva sempre avuto una caratteristica: la sovrabbondanza di oggetti. Erano, sia i nonni che i genitori di Laura che Laura stessa, di quelle persone che non buttano mai via niente. Casa loro, all'interno, era un unico accumularsi di giornali, cestini, soprammobili, fogli, pupazzi, gabbie di pappagallini (sì, c'erano state anche quelle), confezioni di merendine nuove ogni giorno, giochi da tavolo, bambole, vecchi oggetti scolastici appartenuti a Laura... persino in cucina la situazione era questa, aggiungendo pomodori su pomodori, padelle di ragù e giusto un nanometro libero per ogni fornello (perennemente acceso e con sopra qualcosa di appetitoso). Insomma, una simpatica e colorata esplosione, per non parlare dell'infinita gamma di odori che si potevano sentire. Solo due parti della casa sembravano essere sacre ed inviolabili: il seminterrato e una scala.
Il seminterrato, dal momento che la casa non era molto larga, era composto da un'unica stanza ed era sempre in penombra. C'ero stata poche volte, ricordavo che i nonni Ghelli vi tenevano dei grossi pupazzi alti più di me che Laura aveva vinto a qualche fiera.
La scala, invece, si trovava sul lato della casa opposto a quello che si affacciava sulla stradina, e non vi ero mai salita. Era buia, alta e ripidissima, e l'unica volta che mi ci ero affacciata, subito la nonna di Laura aveva chiuso la porta, dicendo che era troppo pericolosa. Avevo fatto in tempo a scorgervi qualche gatto che mangiava dei croccantini caduti a terra.
"Secondo me, potrebbe essere o nel seminterrato o sulla scala", dissi.
"Allora dividiamoci, una va in un posto e una nell'altro", propose Olly.
"No, no, non ci dividiamo. Pensa se poi a una delle due succede qualcosa! Hai presente quei film...".
"Uffa, non siamo mica in un film, e poi non siamo da sole, dentro ci sono i Ghelli: se c'è pericolo, noi urleremo e loro verranno. Adesso tu vai alla scala e io al seminterrato".
Olly si allontanò in fretta verso una delle finestrine del seminterrato, che era rimasta socchiusa. L'aprì completamente e in un batter d'occhio fu dentro.
Rassegnata, mi diressi verso la porta della scala. Ovviamente, era chiusa. Passai oltre l'angolo della casa e mi ritrovai sul retro. Camminavo nel piccolo spazio che c'era fra la parete della casa e il pergolato di pietra della ferrovia, spazio che diventava quasi inesistente nel punto in cui due grosse bombole rumoreggianti - una rossa e una nera - ostruivano il passaggio. Da bambina ero riuscita a passare tra queste e la ferrovia, ma ora realizzai che non ce l'avrei fatta. Avrei potuto tornare indietro e fare il giro dall'altra parte...
Decisi invece di arrampicarmi sulle bombole. Tenendomi con le mani, in un salto vi fui sopra. Mi alzai in piedi, sentendomi importante.
Il sole era ormai tramontato e il cielo era di un color azzurro scuro, rosato all'orizzonte. I campi e gli alberi erano in bianco e nero. Soprattutto nero.
Mi sedetti e mi voltai verso la direzione in cui stavo andando, pronta a scendere.
Davanti a me trovai una sagoma interamente nera, con due iridi luminescenti.
Fu un attimo, poi l'uomo incominciò a correre.
"Ehi!", esclamai, saltando giù dalle bombole e inseguendolo. Voltai l'angolo: eccolo che attreversava il cortile, dirigendosi verso il prato e gli alberi da frutta.
"Olly! Sta scappando!", gridai, ma non mi fermai ad aspettarla: avevo una preda da inseguire.
Verso gli alberi da frutta. Poi, lo vidi svoltare nella striscia di prato che separava due campi. Ero veloce a correre, ma lui lo era molto di più, come se avesse le gambe chissà quanto lunghe.
Correre nell'erba con le infradito non era l'ideale. Me le scrollai di dosso e restai a piedi nudi: faceva male, ma avevo molta più presa sul terreno e non rischiavo di cadere.
Improvvisamente vidi qualcosa muoversi alla mia sinistra. Mi voltai: l'uomo stava correndo sulla stradina di ghiaia. Come era possibile che fosse arrivato lì senza che lo vedessi tagliarmi la strada? Ero senza fiato, ma raggiunsi ugualmente la stradina. Scrutai l'orizzonte: non lo vedevo più. Mi fermai, esausta.
Dopo qualche secondo due mani possenti (e nere) mi afferrarono per la vita da dietro.
Mi immobilizzai. Mi aveva presa.
"Allora, che cosa vuoi?", disse in un sussurro. I piedi mi dolevano.
"E lei, che cosa voleva dai Ghelli?", chiesi con la voce che tremava.
"Voi bambine non dovreste impicciarvi di questo".
"Li conosce?".
"Conosco anche voi".
Sentii dei passi che correvano alle nostre spalle.
"E' Olly", mi disse lui.
"Mi lasci! Cosa sa lei di mia cugina?!".
Le sue mani erano fredde come ghiaccioli e dure come il marmo. In questo mi ricordava un personaggio di un libro orrendo che avevo letto, e feci una smorfia disgustata.
"So che in camera sua tiene una collezione di vecchie cartoline", disse, "l'avete guardata insieme quando eravate piccole. So che è molto gelosa delle sue cose. So che le piace essere se stessa, anche se gli altri possono criticarla".
"E di me che cosa sa?".
"Sei proprio sicura di volerlo sapere?".
Non potei rispondere: fui interrotta da un urlo di mia cugina.
"LASCIALA STARE!".
"In effetti, è inutile che stia qui a perdere tempo. Non dovreste nemmeno avermi visto... me ne vado".
"Prima mi dica lei chi è", risposi diffidente.
"Il Guardiano Nero del Tramonto".
Le sue mani sparirono, lui sparì.
Mi voltai indietro: era in fondo alla via che correva. Come faceva ad essere già là...?
"Olly", gemetti, "improvvisamente, sono molto stanca".
"Anche io", disse lei chiudendo gli occhi e barcollando.
Le mie palpebre erano così pesanti, e le gambe così fragili. La testa non poteva stare in equilibrio sul collo, no. Le braccia mi trascinavano a terra. No, per strada no: il mio destino, quel giorno, era di finire nei fossi.

La mattina dopo mi svegliai infreddolita, bagnata di rugiada e (sì) piena di punture di ortiche e zanzare. Mi alzai ammaccata. A giudicare dalla posizione del sole, era ancora molto presto, ma era probabile che mio nonno fosse già in piedi: non dovevo farmi vedere mentre tornavo a casa.
Della sera precedente avevo ricordi confusi: avevo riso e scherzato con Olly fino a tardi tenendo in mano un cuscino, poi lei me l'aveva rubato e nel tentativo di riprendermelo eravamo cadute nel fosso... e lì evidenmente ci eravamo addormentate.
"Olly!", chiamai.
La vidi spuntare dal fosso, poco lontano da me.
"Che facciamo? Torniamo a casa?", mi chiese. Alzai le spalle.
C'era qualcosa, nel ricordo che avevo della sera precedente, che non quadrava. Come se il sonno fosse arrivato in modo inaspettato, dopo avere fatto qualcosa di troppo importante...
Un paio di occhi argentati apparvero nella mia mente, per poi scomparire subito dopo. C'era qualcosa che era rimasto in sospeso. Ricordai il tramonto rosato all'orizzonte, le bombole... perché mi ricordavo delle bombole?
"D'ora in poi, al tramonto, dovremo fare attenzione", dissi, assorta. Mi sarei sforzata finché non avrei ricordato ogni cosa.
Presi Olly per mano e mi avviai verso casa.










   
 
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