Capitolo 7
(WILD)
(WILD)
Tre mesi dopo.
Wake Initiated Lucid Dreams.
Kail legge un’ultima volta quelle quattro parole sulla pagina davanti a sé , poi chiude il libro e lo posa sul comodino. Socchiude le palpebre e si mette in ascolto: non si sente un’anima viva. I suoi sono di nuovo fuori, il suo cane si è messo tranquillo in cuccia, il telefono è staccato e il cellulare spento.
Fuori, la prima neve scende dal grigio cielo novembrino e soffoca qualunque rumore molesto sotto la sua coltre candida.
È ora.
Kail si infila il maglione, chiude la porta di camera sua a chiave e calcia via le pantofole. Si stende sul letto, a pancia in su.
Si appoggia il disegno dell’Ombra e la versione incompleta, malamente rilegata di Blood Tribute all’altezza del petto e ci incrocia sopra le mani.
Fa un bel respiro.
“Vorrei vedere mio fratello.” Dice, a voce alta e chiara. Deve sembrare convinta. No, deve essere convinta, perché in un WILD tutto parte quando si è ancora svegli. “ Devo parlare con lui. Ho bisogno di parlare con lui, a qualunque costo. Perciò…” si umetta le labbra. “…perciò lo sognerò. Stavolta lo raggiungerò e gli parlerò perché sarà il mio sogno e posso fare quello che voglio.”
Si interrompe. Guarda il soffitto.
“E vorrei ricordare tutto quello che succederà.” Aggiunge.
Poi tace, si concentra su suo fratello, su Yash e su sé stessa. Ciò che ha detto all’aria le rimbomba nella mente. Ad occhi aperti, rilassa il corpo e rallenta il respiro.
Aspetta.
I pensieri riempiono la sua mente come acqua che stilla in una tazza vuota. Lentamente passano da dentro di lei a intorno a lei. Uno per uno la salutano e l’abbandonano.
Finché è il vuoto. La pura, semplice consapevolezza di sé.
Kail riesce a sentire il battito del proprio cuore. Il suo respiro è tanto lento, tanto profondo da essere impercettibile. Le mani che ha posato sul torace sono pesanti come piombo: è in piena paralisi ipnagogica. Non potrebbe muoversi neanche volendolo, priva di controllo com’è sui propri muscoli.
È insieme terrificante e magnifico.
È il mio sogno. Il mio sogno. Parlerò con lui, perché lo voglio. Lo raggiungerò, perché è ciò che desidero fare.
Chiude gli occhi. Per un po’ – una manciata di secondi o un’eternità?- c’è solo il buio, e la sua stessa voce che ripete come un mantra le parole “sogno”, “Yash” e “fratello.” Poi, lente, le immagini scaturiscono dall’oscurità, come la luce del sole dopo una galleria.
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