Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: ferao    07/02/2011    10 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il capitolo più lungo che abbia mai scritto, e il mio preferito. Spero vi piaccia, e che vi ricordiate ancora di questa sciocca storiella.

 Una brezza lieve

Per molto tempo a venire, anche quando le cronache erano ormai intasate dalle future battaglie e vittorie, la comunità magica avrebbe ricordato il tremendo acquazzone che si scatenò il 24 dicembre di quell’anno. Già dal mattino, le prime avvisaglie del maltempo avevano fatto presagire una romantica nevicata che avrebbe reso ancora più magico il Natale. Invece, fu un incredibile temporale a rendere indimenticabile la serata, con scrosci di pioggia fitta e fredda sin dal primo pomeriggio.
Per fortuna, i maghi sono maghi, e se anche non usano i loro poteri per controllare il tempo, possono rimediare agli inconvenienti che esso produce: così, attorno al Ministero fu creata una speciale cupola antipioggia, trasparente e gigantesca, che serviva a permettere agli eleganti dipendenti, alle loro accompagnatrici ingioiellate e impellicciate e agli accompagnatori in smoking di raggiungere la sala da ballo senza infradiciare i costosi abiti.
Niente e nessuno avrebbe impedito al Ministero della Magia di sfigurare, quella sera; la stampa magica d'Inghilterra aveva l'abitudine di scrivere lunghi pezzi di commento al tradizionale Ballo di Natale, e un misero acquazzone tropicale non avrebbe evitato quella tradizione.
Mai, mai far sfigurare il Ministero.

Il grande Atrio era stato adibito, per l’occasione, a sala da ballo. Non tutti i dipendenti venivano invitati, ma quelli che quella sera sarebbero venuti, non avrebbero riconosciuto il posto dove arrivavano al lavoro tutti i giorni: i camini erano stati chiusi e addobbati con ghirlande natalizie; i freddi mattoni erano stati sostituiti per l'occasione da pannelli di mogano, così come il pavimento era diventato parquet. Completavano l'atmosfera lampadari dalle luci soffuse e alberi di Natale. La fontana dei Magici Fratelli era stata spostata (nonostante le resistenze del consigliere Dolores Umbridge) per far posto all’orchestra.
Mancavano solo gli invitati. Che arrivarono tutti intorno alle otto, otto e mezza; contenti, soddisfatti, rilassati. Soprattutto rilassati. Tranne, ovviamente, due tipetti di nostra conoscenza.
Eh beh, d'altra parte questa storia parla di loro due, no?
 

Audrey non si sentiva per niente a suo agio.
Cavolo!

Le piaceva vestirsi elegante, le piaceva molto. Il suo fisico non era snello né perfetto ma le piaceva, e non aveva difficoltà con tacchi e gonna; aveva anche un buon gusto (sicuramente migliore del suo senso dell'umorismo).
Fu proprio il suo buon gusto a farle capire che il suo abito era il meno adatto alla situazione.
Super cavolo!
Vicino a tutte quelle Auror, mogli di Auror, dirigenti e mogli di dirigenti, si sentiva letteralmente penosa: l'abitino chiaro e semplice che aveva scelto sembrava fatto apposta per cozzare con i visoni e i tailleurs che la circondavano. Ed è solo per pietà verso la nostra amica che non parlo dei gioielli.
E che diamine!
Avrebbe voluto mimetizzarsi con le pareti, ma il mogano glielo impediva. Iniziò allora a chiedersi perché mai aveva accettato di andare a quel cavolo di ballo. Lei, un'archivista!
Sarebbe stata la barzelletta del mese. Mega cavolo.
E dove cavolo sta quel cavolo di Weasley?
 

Ok, posso dirvelo: non era proprio cavolo la parola che pensava Audrey, ma ci andava vicina.

 

Nel frattempo, a casa sua, quel caz... cavolo di Weasley sbraitava, mentre un cumulo di vestiti gli piombava addosso.
Forse, voi che conoscete la precisione e la pignoleria di Percy Weasley, non ci crederete. Eppure la sua precisione aveva un limite. L’armadio.
Odiava sistemarlo, odiava riporre i vestiti. Era un compito che una volta lasciava volentieri a Molly, e dopo a Penelope, ma se doveva farlo lui era un dramma. D’altronde, quando basta un incantesimo d’Appello per trovare l’abito che cerchi, perché devi metterti a sistemare il guardaroba?
So cosa state pensando: dev'essere bello essere maghi...

Riemergendo dalla pila di vestiti che gli era planata addosso, Percy iniziò a cercare l’abito da cerimonia. Lo trovò e lo indossò; lo tolse, e lo stirò con un incantesimo. Lo rimise, cercò le scarpe, notò che gli stavano strette ma poi si rese conto che le stava solo infilando al contrario.
Cavolo.
“Calma”. Era nervoso. Nervosissimo.
“Calma Perce… Respira… Non è niente, solo una stupida festa.”
In verità, era una settimana che si ripeteva quelle parole.

Una festa. Solo una festa.
Non era la prima volta che partecipava al Ballo della vigilia. Buona musica, buoni alcolici, belle donne. Come sempre.
Solo che stavolta aveva un appuntamento. Un po’ strano, forse chiesto un po’ male, ma pur sempre un appuntamento. Ed era agitatissimo.

Nemmeno fosse il primo… Eddai Weasley, sembra che tu abbia ancora quindici anni! Riprenditi!
Diede un’occhiata veloce all’orologio, e in meno di un secondo uscì di casa. Era in maledetto ritardo.
Cavolo!
Audrey lo stava aspettando da più di un quarto d'ora. Sperò solo che non avesse trovato un'altra compagnia.
Cosa che, purtroppo, era successa. Ma non è quello che pensate voi.

 - Lei dev’essere la nuova archivista, dico bene?
Audrey fece un gran sobbalzo - sperava di essere riuscita a mimetizzarsi meglio - poi si voltò verso la persona che l’aveva interpellata.
Riconobbe la donna (ma la si può chiamare donna?) avvolta in un tremendo vestito rosa confetto: era Dolores Umbridge. Non ricordava esattamente che posto avesse nel Ministero ora: aveva però saputo dei danni che aveva compiuto ad Hogwarts, e della nuova campagna anti Nati Babbani che stava programmando.
Cavolo!

- Dice bene, signora…
- Il suo nome, cara?
“Cara?”
Cara dillo a tua sorella, rospa! – Mi chiamo Audrey Bennet. Lei è Dolores Umbridge, giusto?
La rana rosa fece un gran sorriso, che avrebbe ucciso un diabetico tanto era mellifluo e zuccheroso.
– Giustissimo, signorina Bennet. Strano cognome, il suo… Discende dai Babbani?
Audrey strinse i denti. D'altra parte, dove meglio che al Ministero della Magia poteva trovare persone pronte a indagare sul suo cognome?
- Credo proprio di no. Mi chiamo così perché mio padre, mago Purosangue – e sottolineò quest'ultima parola - fu adottato da una famiglia Babbana, i Bennet appunto. Ha mantenuto il cognome dei genitori adottivi per una sorta di… gratitudine.
Con suo enorme sollievo, la Umbridge sembrò soddisfatta. – Beh, la gratitudine verso i Babbani è qualcosa di… insolito, ma tutti abbiamo le nostre piccole fissazioni, no? - e concluse la frase con un orrido risolino.
“Certo, come c’è chi è fissato con la purezza del sangue”. Si trattenne a stento dal dirlo, ma mantenne un buon contegno, e dopo qualche altra frase di circostanza la ranocchia bipede se ne andò, lasciando Audrey di nuovo sola.
La ragazza guardò la pendola, sconsolata. Ci fosse stato almeno Adams, ma non si era fatto vivo. E il capo tardava di mezz’ora. Dove diamine…
- Mi perdoni per il ritardo, sono davvero mortificato.
Come se l'avesse evocato col pensiero, Percy le comparve accanto. Aveva praticamente corso dall'ingresso alla parete contro cui si era addossata Audrey.
Il sorriso raggiante di Audrey lo ripagò della gran corsa. (Eh, il romanticismo...)
- Nessun problema, signor Weasley… Ho fatto un po’ di conversazione con la signora Umbridge.
Il viso di Percy si rabbuiò. Detestava quella donna. Era il tipo di persona che lo disgustava profondamente. Spesso Percy aveva fatto battute sui Babbani, o li aveva scherniti, ma la Umbridge esagerava. Non gli piaceva il modo in cui parlava dei maghi Nati Babbani, gli dava i brividi.
- Spero che non le abbia dato fastidio… - disse a Audrey. – Sa, è un tipo un po’ strano…
Audrey fece un gesto vago. – Non si preoccupi. Si è solo informata sulle mie origini, e credo di aver passato l’esame - commentò, non senza sarcasmo.
Percy si sentì più tranquillo. Si era accorto che il cognome di Audrey non apparteneva a nessuna famiglia magica conosciuta, ma sperava che comunque non avesse problemi. Se così fosse stato, invece, la Umbridge l’avrebbe tampinata fino a risalire ai suoi antenati della notte dei tempi.
- Bene, meglio così. - Sorrise. - Detto tra noi - e abbassò un po’ la voce, avvicinandosi a Audrey, – non voglio avere nulla a che fare con quella donna, e le consiglio di fare altrettanto.
- Seguirò il suo consiglio più che volentieri, capo.

 

Seguì il silenzio. Nessuno dei due sapeva più cosa dire. Sembravano una coppia alle prime armi, quando ancora si devono imparare nella teoria le regole dell’amore.
Percy avrebbe voluto salutare i suoi colleghi, ma sapeva che avrebbe dovuto portare con sé la sua dama, e non voleva che si spargessero pettegolezzi infondati su di lui e la sua dipendente.
Si mise a osservare la sala. Sapeva che suo padre non era lì, era a casa a festeggiare il Natale con sua madre e i suoi fratelli. Eppure, a Percy non sarebbe dispiaciuto trovare la sua chioma rossa, identica alla sua, in mezzo a quella folla.
Pensò allora di fare un commento sull'abbigliamento di Audrey. Era quasi una vita che non faceva una cosa del genere, ma ricordava come si faceva. Non è difficile fare complimenti a una donna quando impari come si fa, è un po' come andare in bicicletta.

- Ehm... - fece. – Bel vestito.
Ah, fantastico. Davvero un maestro della seduzione.
- Oh! - si stupì invece Audrey. (Comprensibilmente: aveva passato mezz'ora a maledire il proprio abito, e il complimento di Percy le pareva stranissimo).
- Oh! - ripeté. – Oh, ehm... grazie. Non è proprio il massimo ma...
- Le sta molto bene. Davvero. Trovo che la, ehm... - Qual era il tasto giusto con le donne? Ah sì, l'età! - ...ringiovanisca.
Un enorme punto interrogativo si disegnò sulla fronte di Audrey. Ma se io ho vent'anni, adesso quanti ne dimostro? Quindici?

Percy si accorse della gaffe, perché si affrettò a dire, arrossendo: - No, cioè, volevo dire... Non volevo dire che...
- Non importa, – disse lei, – la ringrazio.
In fondo voleva solo farle un complimento, e Audrey apprezzò il tentativo. Mentre Percy si maledisse mille volte: come aveva potuto dimenticare che si può dire a una donna che sembra più giovane solo dai quaranta in su?
Cavolo!
 

Naturalmente, la conversazione non andava avanti.
Audrey provò, da brava inglese, a parlare del tempo. Purtroppo, una volta esaurito l'argomento “acquazzone titanico”, nessuno dei due seppe più cosa dire. E siamo allo stesso punto di prima.
Tutti gli altri invitati stavano chiacchierando, in attesa che il ballo iniziasse. Nessuno era andato a salutare Percy, e Audrey se ne accorse. Evidentemente il suo capo non godeva di grande popolarità tra i dipendenti del Ministero.
Dopo cinque minuti di silenzio, a Percy venne finalmente un'idea.
- Che ne dice se prendo da bere?
Anche la ragazza colse la palla al balzo.
- Sì, più che volentieri. - Non amava bere, ma amava ancora meno non sapere cosa fare e cosa dire.
E magari da brilla sarò un po' più tranquilla...
Mentre il capo girava cercando il tavolo dei drink, cercò di sentirsi più sollevata ma non ci riuscì. Non era la presenza di Percy a farla agitare; anzi, si era sentita subito meglio quando lo aveva avuto accanto.
No, c’era dell’altro… Era quello che Adams le aveva detto. “Gli uomini come il capo hanno tutti questa caratteristica: si sentono come dentro una vetrina”.
Guardò Percy, che ancora girovagava per la sala: era lì, eppure sembrava lontanissimo, distante anni luce. Più che da una vetrina, sembrava separato da lei da un muro di cemento.
“Non so se ho la testa abbastanza dura per abbatterlo”.
Ripensò al giorno del suo colloquio di lavoro. Era freddo, scortese, distaccato. Ma lei non aveva visto solo quello: lei ci aveva preso un caffè assieme, lo aveva visto sorridere e lo aveva visto triste; non era solo il suo inguaribile romanticismo, Audrey sapeva che c'era qualcosa dentro Percy Weasley, qualcosa di tenero e buono, che gli faceva fare quei grandi sorrisi e stare in imbarazzo vicino a lei, che gli faceva fare quelle grosse gaffe (lui! Il super-preciso!) e lo faceva essere triste per settimane, solo per il timore di averla ferita.
Sapeva che c'era, quella cosa tenera e buona, e avrebbe fatto saltare in aria tutte le vetrine del mondo per averla.
È vero, questi sembrano dei propositi da buona samaritana; in effetti, tutto quello che avrebbe dovuto fare era diventare buona amica di Percy.
Naturalmente era impossibile. Il problema era che, a lei, Percy piaceva.

Era attraente, come persona e come uomo. Audrey stava bene in sua compagnia, e avrebbe voluto passare molto, moltissimo tempo con lui, e non solo per parlare.
E che diamine: è una ragazza di vent'anni che si sta prendendo una bella cotta per un ragazzo che conosce da tre mesi; dev'esserci per forza un motivo?
Nel frattempo, Percy era riuscito a prendere due bicchieri e stava tornando. Lei lo guardò, e lo vide bello. Era bello
. Quando si trovava con lei, diventava bello.
Impacciato, intimidito, insicuro. E come la guardava, come se davvero la trovasse bella.
Era bello.
E non era lei a volere che lo fosse. Lo era davvero.
Fidatevi di me.

 

Da parte sua, Percy pensava solo a non fare brutte figure con quella ragazza.
Cavolo, era la prima con cui stava così bene. E non statevi a fossilizzare sul fatto che non riusciva a spiccicare parola con lei. Stava bene.
Si fidava di lei. Voleva esserle amico, amante, voleva conoscerla. Il suo unico problema era che non sapeva da dove iniziare.
Si era scordato come si fa. Era stato troppo tempo con Penelope per ricordare com'è conquistare una donna, e le sue amanti se le era prese per noia, sua o loro.
Audrey però era diversa. Con lei era come tornare adolescente. Il problema dell'adolescenza, è che ci dimentichiamo com'è. Cerchiamo a tutti i costi di uscirne, e non impariamo le cose che ci sarebbero utili nella vita. Ad esempio, cosa dire a una ragazza che ti piace e con cui vai a una festa.
Cosa dovresti dirle, se ciò che pensi guardandola è solo che è bella e che sa di mela?

 

L’orchestra arrivò in gran ritardo sui tempi previsti, sempre a causa del diluvio. La musica fu ben accolta dagli invitati, il cui umore era ormai sceso a livelli più bassi dei sotterranei della Gringott.
I nostri due amici avevano finito i loro bicchieri, e si limitavano ancora a guardarsi.
Che noiosi. Avevano aspettato quel ballo per una settimana, e ora facevano i pesci nell'acquario. Bah.
Per fortuna, alle prime note della musica, Percy si ricordò che quello era un ballo, e il suo animo Grifondoro tentò di sfruttare il diversivo.
- Le va di ballare? - chiese a Audrey a bruciapelo.

Cavolo!
E ora? Che cavolo mi invento?

- Ehm… Ecco… - Mega cavolo... - No, grazie. Avvampò, e sperò che lui capisse da solo ciò che non osava dire.
… No, grazie?
Sul viso di Percy si dipinse un’espressione delusissima.
Ma... Ma... Ma...
Audrey se ne accorse, e si affrettò a spiegare, avvampando sempre di più.

- Non è che non voglio ballare con lei! Anzi, sarebbe bello, no bellissimo, e lei è molto gentile e non me l'aspettavo... - Ma che fai, adesso, blateri? Aud, vieni al sodo! – Ma la verità è che…
- Sì, capisco, non si preoccupi – la interruppe Percy, nervoso. Si concentrò sulla punta delle proprie scarpe.
- Sul serio?
- Certo, anzi, è naturale. - Naturale un corno... Come al solito ho fatto il passo più lungo della gamba. Bravo scemo, Perce!

Audrey aggrottò le sopracciglia. - Naturale?
- Certo, perché non dovrebbe esserlo? - Ora era Percy ad avvampare. Era veramente deluso, e non sapeva più dove guardare. - Ovvio che lei si vergogni a mostrarsi con me; avrà capito da sola che non sono molto popolare qui, quindi meglio non...
- Scusi, capo, ma che cavolo dice? - domandò Audrey, dismettendo il tono educato che aveva usato fino a quel momento e riprendendo quello da archivista che usava sul lavoro.
- Come faccio a vergognarmi di essere qui con lei? Non aspettavo altro che un suo invito!

Stavolta, il punto interrogativo gigante apparve sul viso di Percy.
- ... Sul serio?
- Ma certo! - Audrey non sapeva se mettersi a ridere o indignarsi. Ma che film si fa il capo?

- Ma... Ma allora...
- Non voglio ballare solo perché... perché non posso.
Il punto interrogativo divenne enorme.
- E non posso... perché non so ballare, ecco.
Una povera cronista come me si trova in imbarazzo, nella descrizione di scene simili. Come diavolo si fa a far capire a un lettore lo stato di vergogna assoluta che provava Audrey per una piccolezza come il non saper ballare, o lo sbigottimento totale di Percy nel capire che, per l'ennesima volta, non era stato fregato da se stesso ma solo dal suo complesso di inferiorità?
Io non ci riesco, cercate di immaginare da soli.
 

Percy era letteralmente basito, e la guardava a occhi spalancati.
- Non sa ballare, Bennet?
Audrey deglutì. - No...
- Ah no?
- No.
- Sul serio?
- Sì. - Audrey si sentiva umiliata e si vergognava, ma il capo continuava a interrogarla, dopo aver recuperato una parvenza di serietà.
- E allora perché ha accettato di venire al Ballo della vigilia se non balla?
- Ma... Ecco... Lei me lo ha chiesto e... io... Insomma, ero così contenta e... - diamine, un po' più rossa e l'avrebbero scambiata per una cabina telefonica. – Mi faceva piacere sapere che... beh... che saremmo andati insieme e... - Cavolo!
- ... Mi sono dimenticata di non saper ballare.
Percy inarcò un sopracciglio, sempre più serio.
- Si è dimenticata?
- Sì... - A questo punto, credo sia inutile ribadire che Audrey si vergognava da morire. Ma invece di cercare la via di fuga più vicina, iniziò a guardarsi i piedi.
- E non sa ballare.
- No...
- Bennet...
- Sì?

- Nemmeno io.
Per qualche secondo Audrey non capì bene cosa Percy avesse detto. Poi lo guardò. Stava ridendo fino alle lacrime.
Sbuffò, e iniziò a ridere anche lei.
Risero, finché a uno dei due, o a entrambi, non venne l'idea di uscire da quel posto affollato e confusionario e di andare fuori, a vedere la pioggia infrangersi sull'enorme cupola trasparente.

 

- È così strano…
- Che cosa?
- Questo. - Audrey indicò la cupola sopra le loro teste. – Sembra di essere dentro un acquario.
- O sotto una cascata… - Percy buttò giù quello che era il quarto drink della serata.
Erano seduti su un gradino dell'ingresso; da quando avevano lasciato l'Atrio affollato erano riusciti a chiacchierare normalmente: del lavoro, della scuola, di un sacco di cose.
Percy non ricordava nemmeno di cosa esattamente avessero parlato; era distratto continuamente dallo sguardo di Audrey. Era... Beh, è strano dirlo, ma si sentiva apprezzato da quello sguardo; non giudicato, non detestato, non deriso. La parola giusta è accarezzato.
- Come fa ad essere ancora lucido, dopo tutta quella roba?
- Sono mezzo irlandese, reggo tutto. - Sorrise, tranquillo.
- Mamma mia… Se penso che mi sono dovuta fermare al primo…
Percy rise forte, stavolta. Era stata una serata bellissima. Era bello starsene lì, mentre da dentro giungeva l’eco della musica e da fuori il suono dell’acqua.
Una serata perfetta. Con la più bella e (Percy non ne dubitava minimamente) la più intelligente tra le donne presenti quella sera al Ministero. - Ci vuole un po’, per abituarsi. Anzi, è meglio non farlo.
- Perché?
- Perché potrebbero esserci dei momenti in cui vorrebbe ubriacarsi, ma non ci riuscirà. Sempre meglio non abituarsi all’alcool, per queste evenienze.
- Sembra un discorso alla Adams.
- Scommetto che sarebbe d’accordo con me!
Anche Audrey si sentiva bene. Era… contenta. Se qualcuno le avesse detto, dopo il suo colloquio di lavoro, che avrebbe passato dei momenti così belli col capo, probabilmente lo avrebbe mandato a quel paese.
Invece era contenta. Di più: felice.
E si sentiva strana. Ogni volta che era con lui, c’era qualcosa di strano. Non spiacevole, ma strano.
Ma non così strano, in fondo. Audrey ripensava solo alle parole di Adams.

Gli uomini come il capo si sentono come se fossero in una vetrina.
Aveva voglia di aprire quella maledetta vetrina. Al diavolo tutto, ecco.

- Ha freddo?
- No, sto bene, grazie signor...
- Percy. Solo Percy.
- Grazie, Percy.
- Di nulla, Audrey.
- È strano anche questo.
- Cosa?
- Chiamarsi per nome.
Impercettibilmente, Percy si era fatto più vicino a lei. Si sorrisero.

E se non hai la chiave, rompila.
Senza una parola, e con grande sorpresa di entrambi, Audrey baciò Percy.
La musica dentro cessò, la pioggia non smise di cadere.

 

Si fecero strada nel buio dell’appartamento di lei
Percy notò con piacere, nonostante la penombra, che era ordinato e pulito, proprio come Audrey
Si spogliarono con l’urgenza di due naufraghi arrivati sulla terraferma
perché lei era lì, c’era sempre stata, per lui, e l’aveva scoperta solo ora
Si baciarono, si persero e si ritrovarono, completandosi e dimenticandosi e riscoprendosi l’uno nell’altra
tutto ciò che esisteva era il suo profumo di mela
Si addormentarono stretti
e lui non aveva più paura del mattino.

 

Nell’ultimo periodo della sua vita, quando si era definitivamente allontanato da Penelope, Percy aveva visto le dense nubi della malinconia appesantire il suo cuore.
Sapeva che quelle nubi erano tante, troppe. Eppure, era più che convinto che non aveva per forza bisogno di un uragano o un vento fortissimo per spazzarle via.
Gli sarebbe bastata, per avere un po’ di sollievo, una brezza lieve, un refolo di vento, per portare via qualche ombra. Questo chiedeva, questo sperava; niente di più.
Forse, ora, quella brezza lieve era arrivata da lui; e ora dormiva al suo fianco, la testa sul suo petto finalmente libero dalle nubi.

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: ferao