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Autore: MedusaNoir    17/02/2011    2 recensioni
Narcissa, Andromeda, Bellatrix: le tre sorelle Black. Il loro Natale non è gioiso come quello degli altri maghi, intorno a loro vedono solo nero. Ci sarà una possibilità di rinascita anche per loro? Oppure ormai è tutto finito?
Prima classificata al contest "Tutti i colori del mio Natale~150 prompt" di Mafra e HarryPotterianaDOC.
NB: Il giudizio verrà messo nell'ultimo capitolo.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Capitolo II – Andromeda

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Quello non era il primo Natale senza albero per Andromeda.

La famiglia Black non era solita festeggiare riempiendo la casa di addobbi e facendo cucinare agli elfi domestici tavolate di dolci. Ricordava di quando era solo una bambina e la sorella maggiore era appena tornate da Hogwarts per le vacanze di Natale: i suoi genitori sedevano ai due lati della sala da pranzo, immobili nella loro compostezza, alzando lo sguardo ogni tanto solo per chiedere a Bellatrix come si trovava a scuola. Sua sorella era, fin da piccola, l’emblema del Male: sedeva e mangiava educatamente, rispondeva alle domande come una ragazza adulta e non una semplice undicenne, ma per tutta la cena aveva tenuto sul volto un sorriso strano, allo stesso tempo felice e malefico; fissava il piatto avida, ma come se il suo desiderio non fosse per la pietanza, che non dava nemmeno segno di notare: era persa nei suoi pensieri oscuri, proibiti, ma Andromeda non immaginava nemmeno lontanamente quanto lo fossero.

Narcissa sedeva accanto a lei, lanciando fugaci occhiate alle finestre come per sperare di finire in tempo per uscire a vedere se quell’anno sarebbe caduta un po’ di neve; fremeva sulla sedia come la bambina che era, ricevendo sguardi severi sulla madre che sembravano rimproverare: - Guarda tua sorella com’è educata, impara da lei - .

E poi c’era lei, Andromeda, così simile a Bellatrix, ma insieme così diversa, dai lineamenti meno marcati e i capelli poco più chiari. Quel giorno, osservando il ghigno orribile di Bellatrix e la durezza negli occhi della madre, si era chiesta cosa facesse lì, in quella oscurità. Si portò la mano al volto, tenendola per qualche momento sul graffio che la bacchetta di sua madre le aveva inferto quel pomeriggio: era ancora profondo, pulsante quasi; sentiva il dolore fino in fondo all’anima.

Andromeda aveva avuto l’imprudenza, imperdonabile per la famiglia Black, di fermarsi a giocare con due bambine Babbane mentre i genitori entravano a Diagon Alley; Narcissa aveva visto che la sorella era rimasta indietro, ma non aveva detto niente, fissandola soltanto con infantile invidia perché poteva rotolarsi nella neve. Quando i suoi si erano accorti della scomparsa, avevano mandato l’elfo che li accompagnava a cercarla: la notizia che Andromeda fosse in compagnia di due Babbane avevano fatto andare in furia la signora Black che, corsa fuori dal Paiolo Magico, aveva trascinato la figlia per un braccio spaventando le altre due, finché fu abbastanza sicura che nessuno la vedesse per lasciarle sul volto una punizione esemplare.

 

 

Decine di anni dopo Andromeda si riportò istintivamente la mano alla guancia, esattamente dove sua madre le aveva lasciato un segno per punirla. C’era voluto tempo per allontanarsi dalla famiglia Black, ma quel gesto apparentemente senza motivo aveva scatenato la sua voglia di scappare dall’oscurità che le regnava intorno. Sua madre non l’aveva punita perché stava giocando con due Babbane: era una bambina, non poteva averle riconosciute immediatamente non-streghe; la bacchetta era stata mossa quando lei, ai rimproveri della madre, aveva chiesto cosa ci fosse di male a divertirsi con dei Babbani.

- Questo - , le aveva detto fissandola negli occhi. – E’ l’unico modo che hai per divertirti con i Babbani. Torturali, o se non vuoi ignorali, ma non ripetere un’altra volta che non li avevi riconosciuti perché sono uguali a noi. E’ proibito! - .

Cosa aveva fatto di male? Andromeda se l’era chiesta per moltissimo tempo, fino a cominciare a ragionare di testa propria, infischiandosi dell’opinione dei genitori: questo l’aveva cancellata dall’albero genealogico, ma allo stesso tempo le aveva dato una nuova famiglia, ben migliore della prima.

Sua figlia Ninfadora stava cullando tra le braccia il piccolissimo Teddy Lupin, nato da poco; gli cantava una tenera ninna nanna, stringendoselo al petto ogni volta che un brivido di paura le attraversava il corpo. L’unica cosa che restava in quel momento del nonno della creatura, Ted Tonks, era la sua bacchetta; non quella di tasso, che il Ministero gli aveva sottratto, ma la sua prima bacchetta. Era divisa a metà nel mezzo: Ninfadora c’era caduta sopra quando stava imparando a camminare; Ted ci aveva scherzato su, ma non aveva mai voluto buttarla, considerandola sempre come una parte di sé.

Ted non c’era e Andromeda non aveva nessuna idea di dove fosse; a dire la verità, non poteva neanche giurare che suo marito fosse ancora vivo. Inspirò forte, stringendosi nelle braccia: quello era sicuramente il suo più nero Natale. La neve cadeva fuori, in giardino, e un nuovo arrivato che si aggrappava con le manine alle dita della madre avrebbe riempito una casa di tenerezza; ma non era così a casa Tonks, dove l’aria che si respirava era solo di paura e morte.

La porta si aprì e le due donne trasalirono, poi Ninfadora poggiò il bambino tra le braccia di Andromeda per correre incontro a suo marito; la madre li vide abbracciarsi con le lacrime agli occhi. Era successo qualcosa? Chi era morto? Remus la salutò con lo sguardo, senza aggiungere altro: Andromeda capì che non si trattava di suo marito.

Dov’era Ted? Era ancora vivo? Sarebbe tornato dalla sua famiglia? Migliaia di interrogativi si formavano nella mente della donna, che aspettava, invano.

Guardò la tavola quasi spoglia dove avrebbero cenato quella sera, accanto a cui erano state sistemate solo tre sedie: il Natale non avrebbe potuto essere più oscuro.

   
 
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