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Autore: ferao    24/03/2011    11 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Cara Charme, io ti avevo avvisata: è palloso, verboso e al 90% Percy-centrico. Mi spiace
Ora che lo sapete anche voi, lettori, vi prego di attivare la vostra modalità "depressione", o in alternativa fuggire altrove.
Non dico altro, ci sentiamo alla fine del capitolo.


Cuore d'asino

 
Beh, immagino che tutti voi sappiate che non si vive di solo amore.
Ogni tanto ci vuole anche una bella e sana discussione, possibilmente tale da far arrabbiare a morte entrambi i litiganti e farli diventare violacei per lo sforzo di urlarsi a vicenda tutti gli improperi possibili.
L’argomento principale delle discussioni fra Percy e Audrey era la differenza di posizioni riguardo l’azione del Ministero. Conosciamo tutti ormai il pensiero di Percy: la sua tendenza a giustificare il Ministro in ogni circostanza era estremamente irritante, e ad essa Audrey reagiva con violenta schiettezza, sbattendogli davanti al muso tutte le falle che la politica del cavolo del ministro Scrimgeour presentava.
Fortuna che Audrey sapeva poco o nulla di quanto era successo tra Percy e la sua famiglia, altrimenti avrebbe avuto un altro argomento ancora con cui sostenere le proprie tesi, o peggio.
I litigi giravano sempre attorno alla convinzione di Audrey circa la fondamentale inutilità delle azioni del Ministero, teoria negata costantemente e con forza da Percy.
- Vorresti farmi credere che arrestare Stan Picchetto è stato davvero un “duro colpo all’organizzazione dei Mangiamorte”?!
- Non fare la stupida! Dobbiamo commettere anche azioni impopolari, se questo può servire a qualcosa!
- E a cosa sarebbe servito, signor So-Tutto-Io?
- Dimmelo tu, visto che conosci ogni cosa! In fondo ci sei dentro, no? Ci lavori, no?
- Sono fiera di non collaborare a schifezze del genere!
- Se non collabori non puoi nemmeno lamentarti! Meglio quello che faccio io piuttosto che dar retta a un ragazzino con manie di protagonismo!
- Cretino!
- Testa di rapa!
- Ottuso!
- Stupida!
- Sarò anche stupida, ma tu sei troppo intelligente per farti circuire da quella gente!
- Non mi faccio circuire!
- Invece sì!
- No!
- Sì!
Si andava avanti in questo modo per un po’, finché non rimanevano entrambi senza voce; allora uno dei due si scusava, e facevano pace.
Almeno finché il Ministro non prendeva un nuovo provvedimento discutibile. Audrey riattaccava a lamentarsi, e Percy cadeva nelle sue provocazioni.
 
 
Un bel giorno, tuttavia, Percy si rese conto che non esisteva più nessun argomento con cui controbattere a Audrey.
Nessuno. Non più.
Come tutti i testardi e gli ottusi, aveva dovuto sbattere forte contro il proprio errore per riuscire ad accorgersene.
O meglio, per iniziare ad accorgersene.
Incominciò un ventoso mattino di metà giugno, una giornata davvero strana. Il mattino di quel giorno Percy si era ritrovato a verbalizzare un interrogatorio quanto mai eterodosso.
Solitamente era incaricato di stilare i verbali dei processi ufficiali, o almeno di quelli cui presenziava il Ministro, il quale interveniva in casi di particolare gravità.
Aveva assistito invece solo a due interrogatori, ma ne aveva ben chiara la dinamica. Si trattava di una pratica giudiziaria posta in essere per reati di particolare gravità prima della celebrazione del vero e proprio processo: l’ufficiale addetto agli interrogatori poneva inizialmente delle domande di rito sulle generalità (nome, età…), dopodiché aveva inizio la procedura vera e propria, il cui momento culminante era sempre quello in cui venivano mostrate all’interrogato le prove che avevano portato a lui. Potevano essere foto, documenti, testimonianze… qualsiasi cosa. Gli venivano mostrate, di modo che gli fosse possibile smentire o chiarire le apparenze, o crollare inesorabilmente con una confessione in piena regola.
Semplice, ordinato, regolare. Nel segno della giustizia, senza dubbio.
Ma questo valeva per i primi due interrogatori cui Percy assistette. Non per il terzo.
 
Percy non amava particolarmente le aule giudiziarie: gli mettevano addosso una strana sensazione, un disagio inesprimibile. Non che fosse un tipo impressionabile, anzi; però… Però le aule giudiziarie non gli piacevano, ecco.
Era come se… se ci rimanesse dentro la traccia di tutti quelli che ci erano passati. I loro odori, le loro voci, il sudore, le lacrime. I gemiti, i tremiti, la paura. La disperazione, la rassegnazione.
Percy non era un tipo impressionabile, ma odiava le aule giudiziarie.
Sembravano fatte apposta per far sentire colpevoli le persone. E lui aveva molti motivi per sentirsi così.
 
Si era dovuto recare al Ministero prestissimo, prima delle sette: un orario inconsueto per un interrogatorio, ma forse faceva parte delle misure speciali adottate in quel periodo.
Nell’aula Interrogatori era già presente l’ufficiale addetto, che sbadigliava e si stiracchiava stravaccato su una sedia, le gambe appoggiate alla scrivania. Quando vide entrare Percy, gli rivolse un sorriso sghembo.
- Buongiorno, giovanotto! Weasley, giusto? - esclamò, gioviale. - Hanno mandato te a quest’ora infame del mattino?
- Beh, - rispose Percy, andandosi a sedere accanto a lui dietro la scrivania, - a quanto pare ero l’unico disponibile…
- Devi essere un tipo che non ama dormire. - L’ufficiale sbadigliò di nuovo, senza coprirsi la bocca.
- Di’ un po’,- riprese, - hai mai assistito a un interrogatorio, ragazzo?
- Oh, sì - rispose in fretta Percy, fiero di mostrarsi preparato. - Due volte, l’anno scorso; e credo di conoscere la procedura piuttosto bene…
- Se hai assistito a degli interrogatori l’anno scorso, la procedura di oggi ti sembrerà un po’… diversa - lo interruppe l’ufficiale, ridendo. - In compenso ci metteremo meno tempo, vedrai.
A Percy quella frase suonò strana, ma non replicò. Quell’individuo aumentava il suo disagio, invece che diminuirlo.
L’ufficiale sbuffò, guardando l’orologio da polso. - Speriamo che si sbrighino, questi Auror sono veramente…
Non ebbe modo di esprimere il proprio pensiero al riguardo, perché la porta dell’aula si era spalancato e un Auror che Percy non conosceva aveva portato dentro una donna, costringendola a sedersi dinanzi a loro.
Anche a distanza di un anno il ragazzo sarebbe stato in grado di evocare con esattezza quel volto: una signora di mezza età, capelli sale e pepe e occhi chiari; avrebbe potuto essere sua madre.
Alla donna non era stato dato quasi il tempo di pettinarsi, e sul viso leggermente segnato di rughe c’erano ancora dei residui di crema da notte.
Mentre la signora si guardava attorno, confusa e intimorita per quella convocazione improvvisa e senza motivazione, Percy lesse tra sé il documento che l’Auror gli aveva appena porto: l’accusa che pendeva su di lei era di commercio clandestino di manufatti oscuri e collaborazione con i Mangiamorte.
Piuttosto grave, soprattutto in quel periodo.
Prese tra le mani il blocco e la penna per stilare il verbale, e si accorse solo in quel momento che, al contrario, l’ufficiale non aveva portato nulla con sé; gli parve strano, ma non commentò.
L’Auror tornò verso la porta e rimase lì, in piedi; la donna superò il momento di smarrimento e iniziò a guardare alternatamente l’ufficiale e Percy, prima di rivolgersi a quest’ultimo.
- Che succede? Perché mi hanno portata qui? Io…
- Può parlare con me, signora Stapleton - la interruppe l’ufficiale, un po’ irritato dal fatto di non essere stato preso subito in considerazione. - Sono l’ufficiale O’Brien - interloquì poi, cambiando tono di voce e divenendo affabile e cortese.
La donna si volse verso di lui, ma dovette trovarlo comunque poco rassicurante, perché guardò di nuovo Percy. Probabilmente, il vederlo così giovane le ispirava maggior fiducia.
- Io… Non capisco, perché sono qui?
- Signora, - proseguì O’Brien ignorandola, ma sempre gentilmente, - dobbiamo solo farle qualche domanda, non si preoccupi.
- Posso almeno avvisare i miei figli? - chiese di nuovo la donna a Percy - Potrebbero preoccuparsi se…
- Lei è Diana Moira Herston, coniugata Stapleton, giusto? - O’Brien non si curò affatto della richiesta della donna; Percy distolse finalmente lo sguardo da lei e iniziò a prendere nota.
La signora Stapleton tuttavia seguitò a guardarlo, mentre rispondeva alla domanda. - Sì, sono io.
- Nata a Bristol il 15 luglio 1949?
- Sì, ma perché…
- Signora Stapleton, -  esordì O’Brien, con tono professionale, - voglio che le sia chiaro che questo è un interrogatorio ufficiale che prelude al giudizio vero e proprio. Lo scopo di questo interrogatorio è giungere alla verità al fine di garantirle un giusto ed equo processo. Ha compreso, signora Stapleton?
Finalmente la signora Stapleton si volse verso O’Brien. Percy alzò lo sguardo dal foglio, mentre attendeva la sua risposta. La confusione negli occhi di quella donna era immensa.
- Ma… Non capisco, scusi, ma quale processo, io…
- Risponda alla domanda, prego - la fermò l’ufficiale, con un tono di voce improvvisamente più aspro. – Ha compreso?
Messa in difficoltà, la signora Stapleton guardò di nuovo Percy, come aspettando un suggerimento; lui non sapeva bene cosa fare, era la prima volta che un’interrogata si rivolgeva a lui. Le fece solo un cenno con la testa, per invitarla a rispondere. La donna deglutì, prima di dire che aveva compreso.
- Signora Stapleton, - riprese O’Brien, tornando all’atteggiamento incoraggiante, - lei è accusata di commercio di oggetti proibiti e collusione con i Mangiamorte. Come si definisce al riguardo?
La donna spalancò gli occhi: la confusione lasciava il posto alla sorpresa più genuina. Tornò a rivolgersi a Percy.
- Cosa… Cosa vuol dire? Come sarebbe? Io non ho mai…
- Signora Stapleton, risponda alla domanda, prego - ripeté O’Brien.
- … Mai fatto una cosa del genere, come è possibile, c’è un errore…
- Signora Stapleton, - si inserì allora Percy, un po’ incerto ma con voce tranquillizzante, – ci dica solo se si definisce colpevole o non colpevole…
- Signor Weasley, lei si limiti a scrivere, prego - lo interruppe O’Brien, seccato; guardò poi di nuovo la signora Stapleton: l’espressione gentile era scomparsa, lasciando il posto a una durezza di viso e di voce impressionanti.
- Allora, signora, si definisce colpevole o no?
- I-io… No, no, certo che no! - esclamò la donna in fretta.
- Lei afferma, in un interrogatorio ufficiale, di non aver commesso i reati di commercio clandestino di manufatti oscuri e di collusione con i seguaci di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?
- Io non ho mai fatto nulla del genere! - gridò la signora Stapleton, indignata. - Sono una persona per bene, io! Ho un negozio di alimentari, non…
- Signora Stapleton, sa che mentire a un ufficiale addetto agli interrogatori è un reato, che andrà ad accumularsi con gli altri da lei commessi?
- Ma io non ho fatto nulla! - La signora Stapleton appariva ora esasperata. A Percy sembrava sincera, ma aspettava il momento in cui l’ufficiale avrebbe mostrato le prove…
Ma dove diavolo sono queste prove?
Un dubbio pressante si insinuò nella mente di Percy.
Dovevano esserci; il Ministero non avrebbe mai permesso un interrogatorio senza che ci fossero almeno degli indizi determinanti. Non era mai successo, mai. Le prove dovevano esserci.
Che aspettava allora O’Brien a mostrarle?
E perché non ha niente con sé?
- Lei afferma di non aver fatto nulla, - seguitò l’ufficiale, - tuttavia io so benissimo che non è così. Lei mi sta mentendo.
- No, no, glielo giuro, è la verità! - strillò allora la signora Stapleton, alzandosi in piedi. L’Auror che l’aveva accompagnata si avvicinò e la costrinse di nuovo a sedere.
- Signora Stapleton, le ho già detto che è inutile mentirmi. Se confessa potrà avere un giudizio più clemente, glielo assicuro; ma se continua a negare sarà sottoposta ad una pena aggiuntiva…
- Le prove! - gridò la donna, impaurita e al contempo molto lucida. - Dove sono le prove? Non potete avere nulla contro di me, io sono innocente!
Si stava ora difendendo con grande fierezza; Percy smise di scrivere e guardò O’Brien, pensando che questi fosse ormai obbligato a mostrare le prove di quanto affermava. Quello però fece uno strano sorriso, e disse pacatamente:
- Bene, signora Stapleton. Visto che non desidera collaborare con un incaricato del Ministero, io, ufficiale Francis O’Brien, dispongo l’arresto cautelare e la reclusione ad Azkaban in attesa di giudizio, la cui data le sarà notificata entro dieci giorni come previsto dal Regolamento delle Aule Giudiziarie. È tutto. Pensaci tu, Norman.
- Cosa?! NO! - gridò la signora Stapleton volgendosi verso Percy, disperata, mentre l’Auror l’afferrava per un braccio e la conduceva fuori. - No, no, non è vero, non è vero, non avete le prove! Non avete le prove! I miei figli, i miei figli… No, no, no!
La porta chiusa dell’aula Interrogatori non impedì alle urla di raggiungere Percy e O’Brien dal corridoio.
L’ufficiale non disse nulla, finché l’eco dell’ultimo urlo non svanì; poi si stiracchiò, con evidente soddisfazione.
- Bene, - fece, - come promesso, abbiamo già finito. Ti offro un caffè, ragazzo?
 
Percy non lo sentì nemmeno. Non si era mai sentito così impotente, così confuso.
Quello… Quello era un interrogatorio?
E in quale universo, scusa?
Lui aveva sentito tutto; aveva scritto tutto. Il poco che si erano detti O’Brien e la signora Stapleton era lì, nero su bianco.
In base a cosa l’ha fatta portare via?
Dov’era la confessione? Dov’era la ritrattazione? Dov’era la difesa?
Dov’erano le prove?
Quel… Quel cretino di O’Brien aveva commesso un errore, un terribile errore! Perché, perché aveva fatto recludere quella donna? C’era forse qualcosa che Percy non sapeva?
 
- Weasley, mi hai sentito?
Percy si riscosse. Si rese conto di stare fissando la porta da cui la signora Stapleton era stata costretta ad uscire.
- S-sì… Scusi, ufficiale, ma… - non sapeva come formulare la sua domanda.
- Ma… Non ho capito bene come…
- Non dirmelo - lo fermò O’Brien, mentre si alzava e si avviava verso la porta. - Stai per chiedermi come mai ho svolto l’interrogatorio così, giusto?
Percy lo raggiunse di corsa, chiudendo poi la porta dietro di sé.
- Lo chiedono tutti quelli che assistono a un interrogatorio di nuovo tipo. Non sai che le procedure sono cambiate, rispetto all’anno scorso?
Stavano percorrendo il corridoio a lunghi passi; Percy faticava a star dietro all’ufficiale. Scosse la testa.
- È passata una circolare, lo scorso novembre; per interrogatori che riguardano casi di collusione coi Mangiamorte non è più necessaria la fase delle prove e tutto il resto: basta il sospetto.
- Cosa?! - esclamò Percy basito, forse con un tono di voce troppo alto. – Il sospetto?!
- Esatto - rispose tranquillo l’ufficiale. – In questo modo, le persone vengono portate a giudizio più rapidamente: d’altronde, per casi gravi come la collaborazione coi Mangiamorte non è il caso di mettersi a perdere tempo cercando prove dando a queste persone il modo di difendersi, ti pare?
No, a Percy non pareva proprio. Il suo cervello iniziò a formulare strani pensieri, a una velocità incredibile.
Niente prove, niente difesa.
Per i casi più gravi.
Queste persone.
Più rapidamente.
In base a cosa?
- E… Mi scusi se glielo chiedo, - articolò, cercando di rimanere tranquillo, – ma… in base a cosa ha… ritenuto di mandare a processo quella donna?
L’ufficiale stava ormai per uscire dal Ministero; si voltò verso Percy e fece un sorriso furbo, toccandosi il naso.
- Fiuto, ragazzo, fiuto! - Rise. – Sono più che certo che quella tizia mentiva, lo sento nelle ossa. La cosa migliore è proprio questa: posso mettere a frutto l’esperienza accumulata in dieci anni senza dovermi mettere a cercare le prove di ciò che so già.
- Va bene, però… - Non va bene per niente, non va bene per niente, cazzo! - … quello che volevo dire è… Se non ci sono prove, come siete arrivati alla signora Stapleton?
L’ufficiale sbuffò, vagamente irritato; aveva fretta di tornarsene a casa a dormire, probabilmente.
- È partita una denuncia dal suo vicino di casa. Ora, scusami ma devo…
- E come fa a sapere se quella donna è davvero colpevole? - riprese a chiedere Percy, a voce ancora più alta. – Come può esserne certo, se non ha le prove? Come fa ad essere sicuro che il suo vicino non mentisse? Come fa a dire che quella donna va processata se non sa…
- Senti, ragazzino, - sbottò l’ufficiale, stavolta decisamente arrabbiato, - non pensare di venire a insegnarmi il mestiere, chiaro? Ho solo applicato la legge che il Ministero ha approvato. Del resto non mi curo.
Uscì con passo affrettato, senza salutarlo.
 
Percy invece non riuscì a muoversi da lì. Mille pensieri si stavano affollando nella sua mente, generando una terribile confusione in cui però si stagliava, chiarissima, un’unica convinzione:
Non può essere vero.
 
Passò il resto della mattinata a frugare nell’archivio in cerca della circolare menzionata da O’Brien, preso da una foga e un’inquietudine che non aveva mai conosciuto. Inizialmente Audrey si offrì di aiutarlo, ma dovette desistere dopo un po’: lui non la sentiva nemmeno, troppo concentrato a scrutare ogni singolo foglio che gli capitava dinanzi.
Lo scorso novembre. Il Ministro aveva emesso centinaia di circolari dirette ai dipendenti, da quella data. Poteva essere finita ovunque.
Aprì raccoglitori, sfogliò fascicoli, cercò e cercò, perché doveva vederlo coi suoi occhi, che il Ministero aveva deciso di permettere che una donna (ma quante altre, oltre a lei?) fosse mandata ad Azkaban senza prove.
 
La trovò, alla fine. Era in un raccoglitore che aveva già controllato, e in cui aveva guardato di nuovo solo per scrupolo.
Seduto in terra a gambe incrociate, con gli occhi ormai distrutti per averli sforzati a decifrare scritture minuscole e brutte grafie, lesse.
Vista la necessità di giudizi celeri e condanne certe, si esentano gli Ufficiali Addetti agli Interrogatori dalla ricerca di prove indiziarie a carico dei soggetti indagati per i reati di: Concussione con Seguaci di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, Istigazione e Associazione a scopo di Sostegno di Voi-Sapete-Chi ed altri ad essi assimilabili per via analogica. Si terrà conto, al fine dell’arresto cautelare e della detenzione ad Azkaban in attesa di giudizio, delle sole denunce e della discrezionalità degli Ufficiali.
 
Discrezionalità. Una parola complicata, che stava a significare un concetto tanto semplice.
Significava che non c’erano limiti, o quasi, alle decisioni degli ufficiali. Avrebbero potuto esserci miriadi di prove di innocenza, o non esserci affatto prove di nessun tipo: in ogni caso, un qualsiasi ufficiale O’Brien poteva decidere senza problemi che una tale signora Stapleton, denunciata da chissà chi e chissà perché, andava mandata ad Azkaban e processata, se lo riteneva.
Poteva farlo, con prove contrarie o in assenza di prove. Poteva, e basta. La legge del Ministero lo permetteva.
Ma quale legge?
Dov’era l’ordine, dov’era il rigore in quel sistema?
Percy era pronto ad appoggiare e a difendere il Ministero contro qualsiasi attacco, anche contro Audrey, perché per lui rappresentava l’ordine, la legge al di sopra di tutto; per quell’ordine, per quella legge era pronto a sacrificarsi, per quello che sentiva essere un bene superiore.
Ma - di nuovo - dov’era l’ordine, dov’era la legge, dov’era il bene in un sistema che permetteva che una qualsiasi signora Stapleton, forse innocente, fosse gettata in galera senza che qualcuno si scomodasse a dimostrarne la colpevolezza?
 
Non ci credeva, non ci credeva. Lesse le poche righe della circolare tre, quattro, cinque volte; credendoci sempre di meno.
È vero?
È vero che lo permettiamo?
È vero che abbiamo lasciato l’innocenza e la colpevolezza delle persone in mano a gente come O’Brien?
E la legge dov’è? Dov’è l’ordine?
È vero?
L’interrogatorio della signora Stapleton era una prova più che tangibile del fatto che sì, era vero.
 
 
I miei figli, i miei figli…
Per il resto della giornata, quelle parole urlate dalla signora Stapleton accompagnarono i pensieri di Percy.
I miei figli, i miei figli…
Chissà quanti figli aveva, quella donna. Dovevano essere piccoli, per stare ancora in casa con lei; o forse avevano già finito Hogwarts, chissà.
Potevano anche avere la sua età.
Alle sette di mattina dovevano essersi svegliati, e non l’avevano più trovata in casa. Magari invece erano stati buttati tutti giù dal letto dagli Auror, ed erano riusciti a darle un saluto frettoloso.
Un ultimo saluto, forse.
I miei figli, i miei figli…
Tutto per una denuncia del vicino. E se quella denuncia fosse stata falsa?
Se il vicino avesse inventato la storia del commercio clandestino, per qualche ragione?
Era possibile?
E in quel caso, cosa succedeva?
Cosa succede se un innocente va in prigione?
Cosa succede se la colpa è del Ministero?
 
La parte razionale di Percy cercò automaticamente, per tutto il giorno, di dare un senso a ciò che aveva visto. In fondo, non gli era mai giunta notizia di persone innocenti giudicate colpevoli in tribunale; quelle misure cautelari così severe erano di certo volte al bene dei cittadini; magari erano scorrette per quanto riguardava l’applicazione pratica, ma contenevano di certo una logica intrinseca. Il Ministero non fa mai nulla per nulla.
Mi preoccupo troppo. È evidente che le prove saranno raccolte in tempo per il vero e proprio processo. Sì, è così di sicuro. Finora è stato così, questa cosa non è cambiata.
Sì sì, è così.
Deve essere così.
Il Ministero non permetterà che si faccia altrimenti.
Non può.
 
Il dubbio, però, rimase.
Tutt’ad un tratto, il suo ordine di idee era stato mandato in confusione dalle urla di una donna e da una strana legge. Potrà sembrare strano, per uno come lui; insomma, era pur sempre Percy Weasley, il ragazzo che aveva avuto abbastanza pelo sullo stomaco da troncare i rapporti con la propria famiglia per non rinunciare alle prospettive di carriera che il Ministro gli aveva offerto.
Uno così non dovrebbe crollare davanti a un (probabile) caso di errore giudiziario.
E invece sì.
Perché Percy Weasley aveva un cuore d’asino e uno di leone.
 
Quando era molto piccolo, aveva chiesto a suo padre il significato di quello strano modo di dire; era rimasto piuttosto impressionato dall’idea che una persona potesse avere due cuori, appartenenti tra l’altro a due animali. Arthur aveva sorriso davanti a quello strano dubbio, e si era messo pazientemente a spiegargli.
- Vedi, Perce, è solo un modo di dire. Significa che gli esseri umani sanno essere sia coraggiosi e forti come leoni, sia impauriti e insicuri come asini. In alcuni momenti però può succedere che un uomo si senta leone ed asino nello stesso istante, e abbia coraggio e paura allo stesso tempo. Capirai quando sarai grande – aveva concluso, dando a Percy un buffetto sulla guancia e ridendo della sua espressione confusa.
Ora Percy era grande, e capiva. Capiva benissimo.
Si sentiva diviso a metà, spaccato proprio come se avesse due cuori, due anime; non erano nemmeno ben distinte tra loro, anzi, ad ognuna appartenevano elementi diversi e discordanti.
Una credeva nel suo lavoro e nel suo Ministro, l’altra nelle urla della signora Stapleton e nell’evidente assurdità della circolare che aveva letto.
Il suo cuore di leone era fermo sui propri ideali e sulla propria posizione, il suo cuore d’asino vacillava pericolosamente.
Il suo cuore di leone era pronto a pretendere spiegazioni, il suo cuore d’asino aveva paura a chiederne.
Il suo cuore di leone avrebbe rinunciato al suo posto di lavoro quello stesso giorno; il suo cuore d’asino no.
- Tutto bene, capo?
Si riscosse. Erano solo le due e mezza; quella maledetta giornata non sarebbe mai finita.
Guardò verso Audrey, la cui voce lo aveva risvegliato dalle sue riflessioni.
- Sì, Bennet, tutto bene…
L’occhiata che gli rivolse Audrey era piuttosto eloquente: non se l’era bevuta, ovvio. Tuttavia la ragazza non commentò.
- Volevo ricordarle che deve andare dal Ministro, tra un quarto d’ora…
Il Ministro. Già. Ci mancava solo questo.
Doveva andare dal Ministro a depositare il verbale stilato quella mattina.
- Me lo ricordo, grazie.
Magari, gli sussurrò il suo cuore di leone, mentre Audrey richiudeva la porta, puoi parlarne con il Ministro, dirgli dei tuoi dubbi. Lui ti saprà spiegare ogni cosa, in fondo sei il suo assistente, vedrai che ti capirà… Devi riuscire a capire se nel sistema c’è qualcosa di sbagliato, devi farlo, perché tu hai venduto l’anima per questo, e se il sistema è marcio devi uscirne, non è per questo che lavori, non lavori perché la signora Stapleton vada ad Azkaban: tu lavori per il bene di tutti, anche per il tuo, sì, ma la politica è il bene di tutti, non di alcuni a discapito degli altri, e devi capire se è così… se è così devi starne fuori, tu non sei così marcio, non devi esserlo…
Si sentì sempre più convinto, ascoltando quella voce interiore. Non c’era una parola che non fosse vera.
Lui… non poteva, non voleva credere che al Ministero si permettessero abusi contro persone di cui non si provava la colpevolezza; ma se davvero era così, allora il Ministero poteva fare a meno di lui. Non era per quello che stava lavorando, non era per quello che si era dannato l’anima a vent’anni.
Non era per quello che era disposto a sacrificarsi.
 
Dopo quindici minuti era lì, davanti alla porta dell’ufficio del Ministro.
Teneva stretto tra le mani il verbale, come un amuleto. Non aveva bisogno di altro: conosceva ogni singola parola raccolta in quelle poche pagine, ogni verbo, virgola, pausa; e tutto portava a una sola domanda.
È vero, Ministro, che distruggiamo gli innocenti per salvare quelli che forse non lo sono?
Un cuore di leone, si sentiva solo un cuore di leone, in quel momento. Pronto a fare la cosa giusta, anche se significava lasciare il Ministero, anche se significava tornare strisciando dalla sua famiglia.
E chissà, magari anche Audrey sarebbe stata contenta. Quel pensiero lo riscaldò più di tutto il resto.
Girò piano la maniglia; non gli serviva più bussare, ormai.
Scrimgeour era appoggiato alla sua scrivania, assorto nella lettura di una pergamena. Come Percy mise piede nell’ufficio, alzò la testa e gli sorrise.
- Allora, Weasley, com’è andata stamattina?
Ecco. Era quello il momento.
Era l’istante perfetto: quello in cui avrebbe dovuto parlare col cuore in mano, lì, subito, davanti al Ministro che tanto stimava e da cui si sentiva stimato, parlare e dire quanto ingiusti fossero per lui quel sistema, quella ricerca di una falsa giustizia e quella fretta di mandare le persone in galera, lo sa, Ministro, la signora Stapleton ha dei figli, e loro forse nemmeno sanno dove sia la madre adesso…
Ma non disse niente.
Niente.
Restò lì, coi suoi fogli in mano, un po’ imbarazzato. Spostò il peso da un piede all’altro e deglutì due volte, prima di rispondere:
- Non male.
Il Ministro non smise di sorridere, mentre aggiungeva:
- Ne ero sicuro. Sapevo che sarebbe stato interessante, per te, assistere a un interrogatorio. In fondo, - soggiunse, - uno nella tua posizione deve poter fare tutte le esperienze possibili, ed è ora che inizi a pensare seriamente alla tua carriera, ragazzo…
Dov’era, dove diamine era finita quella sicurezza, quella decisione che sentiva pochi istanti prima? Chi gliel’aveva portata via?
Dov’era il suo cuore di leone? Pochi minuti prima si sentiva spezzato a metà e nonostante ciò pronto a tutto.
Ora un solo cuore batteva in lui. Un cuore d’asino.
Niente, non riusciva a dire niente, mentre Scrimgeour continuava a parlare di lui e di ciò che avrebbe potuto fare in futuro. Nessuna delle belle parole che aveva preparato uscì dalla sua bocca. Rimase lì, finché il Ministro non gli prese il verbale dalle mani e non lo congedò.
Un cuore d’asino aveva, un cuore d’asino. Che lo rendeva semplicemente impotente di fronte alla necessità di fare la fottuta cosa giusta.
Aveva un cuore d’asino: per quello era rimasto lì, senza riuscire a dire nulla; per quello sarebbe rimasto lì, al suo posto, nel Ministero.
 
 
Tornato a casa, quando finalmente quella maledetta giornata sembrava finita, trovò Audrey già lì ad aspettarlo.
Audrey… Sembrava che sapesse tante cose di lui. Le intuiva, semplicemente. Spesso Percy non doveva nemmeno spiegarle come si sentiva, lei lo capiva lo stesso. Avevano fatto decisamente dei passi avanti, rispetto allo scorso dicembre.
Possibile che Audrey sapesse anche del suo cuore d’asino?
Lo sapeva, lei, che razza di uomo era? E se lo sapeva, perché gli stava ancora accanto?
Perché rimanere insieme a una persona senza coraggio, senza abbastanza forza e coerenza da prendere una decisione, una, che fosse giusta?
- Ehi…
Audrey lo stava guardando, e sorrideva. Rispose a quel sorriso: era, di certo, la prima cosa veramente bella che quella giornata gli regalava.
La seconda fu il suo profumo di mela mentre si avvicinava e si sollevava sulle punte dei piedi per baciarlo.
- C’è della posta per te, è appena arrivata…
 
Audrey non sapeva del suo cuore d’asino. Sapeva però benissimo che c’era qualcosa di cui Percy non voleva parlare, e questo qualcosa era la sua famiglia.
A Capodanno Percy le aveva accennato a una qualche discussione che c’era stata tra lui e i suoi parenti, ma poi non aveva più menzionato quell’argomento. Le poche volte che Audrey si era lasciata sfuggire qualche domanda era diventato evasivo, e alla fine la ragazza ci aveva rinunciato del tutto.
Tanto prima o poi me ne parlerà…
Pensò questa cosa anche quella sera, mentre porgeva la lettera indirizzata a Percy a quest’ultimo.
Audrey non l’aveva aperta, ma era curiosa: era raro che in quella casa circolassero lettere che non provenissero dal Ministero o dai Bennet; quella invece era strana. La grafia con cui era stato scritto l’indirizzo era diversa da qualunque altra conosciuta da Audrey: rotonda, poco marcata, leggermente tremolante.
Percy sembrava invece conoscere molto bene quella grafia, perché come prese la busta tra le mani divenne serio.
- Ah - fece, atono, - sì, grazie.
Audrey lo guardò stranita, mentre lui lasciava cadere la lettera su un tavolo e si toglieva il soprabito.
- Beh? - domandò, dopo qualche secondo. - Non la leggi?
- Non serve, - mormorò Percy, - so già cosa contiene.
- Chi te la manda?
- Non è importante.
- Allora - domandò Audrey, con una strana idea in mente, - non ti dispiace se la leggo io, vero?
Prima che Percy potesse fermarla, Audrey aveva afferrato la busta e l’aveva aperta.
- Dammela subito! - strillò lui, mentre cercava inutilmente di sfilargliela dalle mani.
- E perché? A te non interessa, a me sì - rispose Audrey, allontanandosi velocemente e brandendo la busta aperta a debita distanza da lui.
- Audrey, smettila subito, capito? Non voglio che tu la legga!
- Cos’è, hai un’amante? - ridacchiò lei.
- No, ma ho avuto una pessima giornata, e se non mi dai subito quella lettera tu avrai una pessima serata!
- Te la do solo se prometti di leggerla, qui e subito.
Percy sbuffò. Perché doveva mettersi a fare la ragazzina proprio in quel momento?
Diamine, finora era riuscito a evitare che Audrey trovasse le lettere che sua madre gli mandava; Percy non voleva nemmeno  leggerle, sapeva fin troppo bene cosa ci avrebbe trovato dentro. E non voleva che Audrey sapesse del suo rapporto (o non-rapporto?) con gli altri Weasley. Non voleva, punto e basta: non si sentiva ancora pronto ad affrontare quell’argomento con lei.
E adesso, invece, quella squinternata si permetteva di intromettersi in quel modo negli affari suoi!
Sbuffò di nuovo, esasperato.
- Bennet - sibilò - non fare la stupida. È la mia posta, e ci faccio quello che voglio, chiaro?
- Beh, finché ce l’ho in mano io è la mia posta, e visto che tu hai detto che non ti interessa la leggo io.
- No! Dammela, dannazione, giuro che la leggo, ma dammela!
La ragazza rimase sorpresa da tanta veemenza, e Percy ne approfittò per acciuffare di corsa la lettera e aprirla.
Un cartoncino cadde a terra, ma non se ne accorse. Si limitò a leggere le poche righe che Molly Weasley aveva vergato con la sua inconfondibile grafia.
Tuo fratello Bill si sposa. Sarei tanto felice se venissi al matrimonio.
Mi manchi.
Mamma.”
 
Se Percy avesse letto le lettere precedenti avrebbe saputo che quella era la più breve mai scritta da Molly. Tuttavia non si curò della brevità; doveva prima digerire il contenuto del messaggio.
Bill si sposava. Cavolo.
Di già?
E con chi?
Quando mai si era fidanzato uno come lui? Per quanto ricordava, Bill non era proprio il tipo da “figli-e-famiglia”, anzi!
Cavolo…
Chissà quante altre cose erano cambiate, in sua assenza…
- Chi è William, Percy? Un tuo parente?
Percy alzò lo sguardo su Audrey. Aveva raccolto il cartoncino e lo stava osservando.
- Questo è un invito a un matrimonio: c’è scritto che William Weasley si sposa con Fleur Delacour… Sono tuoi parenti?
Fleur Delacour? Ma dai, la biondina francese del Torneo Tremaghi! Il mondo è davvero piccolo…
- Percy?
- Sì. Lo sposo è mio fratello.
Fece una smorfia, vedendo la faccia sorpresa di Audrey.
- Uno dei miei tanti fratelli.
Si avvicinò e le prese l’invito dalle mani. L’osservò un momento, poi lo strappò.
Strappò anche la lettera, senza che Audrey riuscisse a dire qualcosa.
Ecco, di nuovo, la parte - in un certo senso - coraggiosa di lui. Quella che lo faceva rimanere saldo e fermo nelle sue convinzioni. Non era il momento di tornare dalla sua famiglia, di sicuro non sarebbe stato gradito a quel matrimonio, quindi la risposta non poteva che essere no, grazie tante mamma ma no, ho una sola parola e andrò avanti sulla mia strada, tu aspettami che prima o poi tornerò ma non adesso…
No, no, no. Ho deciso.
Guardò di nuovo verso Audrey, e si stupì nel vederla così triste.
- Non mi parlerai mai di loro, vero, Percy?
E di nuovo sentì sparire tutto il coraggio. Tutta la determinazione si dissolse come una bolla di sapone, come quel pomeriggio davanti a Scrimgeour.
Rimase solo con la sua stupida paura, come quel pomeriggio. L’idea di parlare a Audrey della sua famiglia lo fece rimanere muto, come se un tremito interiore gli impedisse di parlare e gli legasse la lingua e il cuore. Il suo cuore.
Un cuore d’asino, sempre e comunque.
Non rispose alla domanda, ma non ce n’era bisogno. Audrey aveva capito benissimo.
 
 
 
Non ne parlarono più. Audrey non gli fece più alcuna domanda sulla sua famiglia.
Cavolo, non credevo stesse così male. Ma che diamine ha combinato?
Il fatto che Percy non si confidasse con lei la metteva a disagio, ma cercava di non pensarci; faceva parte di quegli atteggiamenti negativi che Audrey stava imparando a sopportare in quei mesi di convivenza.
Deciderà lui quando parlarmene. Prima o poi me ne parlerà.
Non voleva calcare la mano, con Percy; soprattutto riguardo a un argomento che apparentemente lo faceva stare così male.
Sapeva che doveva essere delicata con lui, perciò non gli chiese più nulla. Non gli fece più nessuna domanda, riguardo ai suoi genitori, o alle lettere che riceveva e non leggeva, o al matrimonio di suo fratello.
Non faceva domande, e aspettava una risposta.
 
 
Ho già detto, però, che quell’estate fu felice per entrambi.
È vero, lo confermo; e ciò che ho detto finora non smentisce questa verità.
Per quanto riguardava loro due, Percy e Audrey erano al massimo della felicità; purtroppo, era tutto ciò che girava attorno a loro a non essere felice.
E non sarebbe migliorato.
 
Arrivò quel maledetto trenta giugno; maledetto, in tutti i sensi.
Percy non aveva fatto in tempo nemmeno ad entrare in ufficio che il Ministro lo aveva chiamato nel suo, di corsa. Insieme a lui c’erano altre quattro o cinque persone, pezzi grossi che Percy conosceva solo di vista.
Scrmigeour non perse tempo coi discorsi introduttivi, come faceva di solito. Fu subito chiaro e lapidario.
- Silente è morto, i Mangiamorte sono entrati a Hogwarts ieri notte. Ora, capirete tutti che, vista la gravità della situazione, noi…
Percy non sentì le ultime parole. La sua testa aveva iniziato a ronzare.
Silente? Morto? Mangiamorte a Hogwarts?
Ma a Hogwarts ci sono…
Il cuore mancò un battito.
Ci sono Ron e Ginny, cazzo.
Oddio.
No.
- Weasley, tutto bene?
Un uomo di cui non ricordava il nome, vicino a lui, lo aveva riscosso dai suoi pensieri con una leggera spinta.
No, no, che non va bene, cazzo, no…
Perché non ho saputo niente, perché…
- Weasley?
Adesso anche il Ministro lo stava fissando, e gli altri uomini. Percy era diventato mortalmente pallido.
- Weasley? Hai bisogno di qualcosa?
- I-Io… - balbettò. Calma. Mantieni la calma.
- I-Io… No, no, tutto bene, solo… Ci sono state altre vittime, oltre al professor Silente? - domandò in un soffio.
- Non abbiamo ancora la stima esatta dei danni, ma è probabile. Di sicuro ci sono stati dei feriti, sono già stati ricoverati al San Mungo. Dunque, come dicevo, per il funerale noi…
Al diavolo il funerale, al diavolo tutto. Ron e Ginny, cazzo.
Una paura tremenda lo attanagliava, la paura che fosse successo loro qualcosa.
I Mangiamorte… C’erano di sicuro i Lestrange, tra loro. E Greyback, cazzo, Greyback.
Che potevano fare Ron e Ginny contro gente così?
E lui… lui non sapeva niente, niente, cazzo.
Niente.
Oddio.
A tutto quello che diceva il Ministro Percy annuì meccanicamente, senza ascoltare, senza pensare.
Si rese conto, alla fine, di aver accettato di far parte della delegazione che avrebbe partecipato al funerale di Silente, di lì a due giorni.
Non gli importò. Non gli importò di nulla.
Cazzo, Ron e Ginny.
E non so se gli è successo qualcosa.
 
Naturalmente, non ebbe il coraggio di mandare una lettera a casa, per sapere, per chiedere informazioni. Non ce la faceva.
Come al solito, il suo cuore d’asino aveva vinto. Non aveva nemmeno il coraggio di scrivere per domandare informazioni sui suoi fratelli.
Preferì macerarsi nell’attesa, finché Roman non gli mandò dal San Mungo la lista degli studenti feriti gravemente.
Nessun Weasley; lo stesso nell’elenco dei morti.
Una giornata passata ad aspettarsi il peggio, perché non riusciva a scrivere una lettera a sua madre.
Una maledizione, il suo cuore d’asino; e non se ne sarebbe liberato tanto presto.
 
Audrey insistette per accompagnarlo al funerale; aveva conosciuto Silente, a Hogwarts, e la notizia della sua morte l’aveva molto rattristata.
Percy avrebbe preferito che lei non l’accompagnasse, ma alla fine dovette cedere.
- Di’ che mi porti in quanto tua segretaria, o inventati un’altra balla…
- Non preoccuparti, non credo che qualcuno farà storie per una persona in più.
Infatti; quasi nessuno si accorse che l’archivista Audrey Bennet si era aggregata alla delegazione ministeriale che accompagnava il Ministro a Hogwarts, il giorno del funerale di Albus Silente.
Seduta poco distante da Percy, Audrey poté osservarlo, e si rese conto che non guardava verso la bara di Silente né verso il lago: i suoi occhi erano puntati verso una coppia di mezza età con i capelli rossi piuttosto distante da lui, che quindi non poteva vederlo. Audrey ebbe un sobbalzo, quando vide che una delle due persone era l’uomo che aveva incontrato nell’ascensore del Ministero mesi prima, l’uomo che aveva scambiato per il capo.
Non dirmi che quello è suo padre…
Sembrava proprio di sì. Audrey non riusciva a vedere l’espressione sul viso di Percy, ma si sentì più che sicura del fatto che il suo compagno stava guardando i suoi genitori.
Ma perché non va da loro? Che diamine hai combinato, Percy?
La coppia non si era accorta dello sguardo del figlio; si stavano sostenendo a vicenda, lei in lacrime, lui più composto. Accanto a loro sedevano i due gemelli che Audrey aveva già conosciuto la prima volta che era uscita con Percy, e vicino ad essi un ragazzo con i capelli lunghi e profonde cicatrici sul viso, e una bellissima ragazza bionda.
Chi erano? Audrey sentì vivo e pungente il desiderio di conoscere quella parte della vita di Percy che lui le precludeva; perché, perché non voleva parlargliene?
Perché si vergognava di fronte a lei? Non sapeva che aveva imparato ad accettarlo, che lo avrebbe capito, che gli voleva bene comunque, qualsiasi difetto avesse?
Non aveva capito che lo amava, dannazione?
Percy sentì su di sé lo sguardo di Audrey, e si voltò verso di lei. Lesse la curiosità e la pena sul suo viso, e il suo cuore tremò di nuovo.
Come, come spiegarle che razza di persona era davvero?
Non ne aveva il coraggio.
Solo un cuore d’asino, ancora e ancora.
Un cuore d’asino, un cuore d’asino, un cuore…
Ma poi, ce l’aveva davvero un cuore?
Osservò ancora la sua famiglia, da lontano.
Forse no.
 
 
 
 
Nonostante tutto, passò anche quel mese. Come, non si sa.
Le giornate si erano fatte di piombo; una tensione estrema pervadeva l’aria, nel Ministero e fuori, ed era sempre più difficile trovare un pezzetto di pace in quell’atmosfera così pesante.
Per Percy, pace era Audrey.
Lo so, lo so: è scontato, banale, sa di già sentito, un luogo comune. Lo so. Però non posso farci niente: era esattamente così.
Se aveste chiesto a Percy quale fosse la cosa che lo rendeva felice in quei giorni, lui avrebbe risposto “Audrey”.
Scontato, banale?
Non ci si può far nulla, mi dispiace.
E per Audrey era lo stesso. Cos’è che ti rende felice in questi giorni, Audrey? “Percy”.
Forse a vent’anni ci si può permettere di essere banali e scontati, no?
Ad ogni modo, quel mese pesante passò; passarono i giorni in cui Percy rimaneva fuori fino all’alba e correva di nuovo dal Ministro dopo poche ore, passarono i giorni in cui Audrey e Adams dovevano correre su e giù tra l’archivio e gli uffici a consegnare documenti, fascicoli e certificati di qualsiasi genere, per scopi non chiari. Passarono quei giorni talmente tesi e frenetici che non se ne vedeva la fine, quei giorni in cui ogni momento trascorso insieme, rubato al lavoro e alla preoccupazione, era un dono, un pezzetto di paradiso.
Passarono, e ne vennero di peggiori.
Noi che viviamo in un periodo lontano da quei giorni bui e sappiamo bene cosa accadde, potremmo forse pensare che quello che avvenne il primo agosto al Ministero fosse evitabile, persino prevedibile.
Beh, vi assicuro che chi in quel tempo era lì non avrebbe mai, mai potuto pensare che il Ministero sarebbe stato attaccato in modo così poco plateale e al contempo così devastante, e che la situazione sarebbe precipitata in così poco tempo.
Lo stesso Percy non avrebbe mai potuto immaginarlo, eppure il Ministero era ormai la sua seconda casa. Sempre più spesso Scrimgeour chiedeva di lui, sempre più spesso restavano fino a notte alta a discutere, a pensare, a decidere. Se anche all’inizio Scrimgeour aveva assunto Percy per la vicinanza della sua famiglia a Silente, come aveva detto Arthur, ora non lo dava a vedere, anzi: sembrava cercare sempre più l’appoggio del suo assistente, ne teneva in considerazione il parere e le idee.
Peccato che non ebbe mai modo di dirglielo apertamente.
La sera del primo agosto Scrimgeour e Percy erano rimasti al Ministero, e contavano di starci ancora per un po’. L’edificio era ormai quasi vuoto, ad eccezione forse degli Indicibili e di qualche impiegato che aveva deciso di fare degli straordinari.
L’ufficio del Ministro era quasi buio, ormai. L’unico rumore era il fruscio della penna di Percy sulla pergamena, alternato al respiro talvolta affannoso di Scrimgeour, seduto di fronte a lui, che leggeva e rileggeva i suoi documenti.
- Vuole del caffè, Ministro?
Scrimgeour alzò gli occhi stanchi su Percy. Incredibile cosa si possa fare a vent’anni: il mondo può stare in bilico su una lama, eppure si riesce ancora a pensare alle piccole cose. Come il caffè in una notte di veglia.
- No, Weasley, grazie. Se ne vuoi puoi andarlo a prendere, però. Ti sei meritato una pausa.
- Non credo mi serva, grazie Ministro.
Scrimgeour lo osservò; così giovane, e così ossequioso. Se fossero stati tutti come Weasley, lì al Ministero, probabilmente lui non avrebbe avuto tutti quei problemi da risolvere.
Il ragazzo intanto aveva ripreso a scrivere il documento a cui stavano lavorando: una richiesta di alleanza con i Giganti.
Scrimgeour fece una risata amara, e Percy alzò la testa per guardarlo.
- Non è buffo? - ghignò il Ministro senza allegria. – Ho fatto tanto per non piegarmi a Silente, per fare di testa mia, come Caramell. E ora… Ora sto semplicemente seguendo un suo consiglio. Diamine. Quel dannato vecchio starà ridendo come un matto, dall’altra parte…
Di nuovo una risata, amarissima. – Ho fatto tutto e non ho fatto niente. Ho pensato alla mia immagine e a quella del Ministero e ho trascurato le cose davvero importanti. Credevo di fare bene tutto - strinse i pugni – e mi ritrovo ad allearmi con i Giganti.
Fissò Percy: quel ragazzo lo stava guardando con un’espressione un po’ confusa, forse non si aspettava quello scoppio di confidenze. Ma era giovane, e doveva capire.
- Ormai - seguitò, – sono da solo, ed è giusto così. Questa è diventata la mia battaglia. Ho solo il rimpianto di non averla combattuta decentemente dall’inizio.
- Lei non ha niente da rimproverarsi, Ministro - mormorò allora il suo assistente. – Pensava di fare bene, ma tutti possono sbagliare.
Scrimgeour fece una smorfia. - È vero, Weasley. Ma quanti altri possono dire di aver mandato persone ad Azkaban senza né prove né processo?
- Lei… - provò a rispondere Percy, ma si fermò. Mise insieme le parole adatte e proseguì. - Nessuno può dire di aver fatto tutto bene. Nessuno. Ma lei… Lei ha la responsabilità del mondo magico inglese, Ministro. È vero, penso anch’io che avrebbe potuto evitare qualcosa, o farla meglio, ma… - si leccò il labbro, pensando. – Ma non si è tirato indietro, si è assunto le sue responsabilità, nel bene o nel male. Io penso… che non debba rimproverarsi nulla.
Scrimgeour lo osservò. Quel ragazzo era davvero sincero: non lo stava arruffianando, non cercava di compiacerlo. Così giovane, così sincero…
- Grazie, Weasley. Era ciò che avevo bisogno di sentirmi dire. Grazie davvero.
Vide il ragazzo fargli un piccolo sorriso gentile, appannato dall’estrema stanchezza.
- Ascolta, penso che la richiesta di alleanza possa aspettare domattina, che ne dici? - soggiunse Scrimgeour, sorridendo dell’espressione stupita del suo assistente. - Sei stanco, Weasley: vai a casa.
- Oh, no, - fece il ragazzo in fretta - non è necessario, sto bene…
- Avanti. Non hai una ragazza che ti aspetta a casa? - Sorrise. - Sì, l’archivista, quella carina, piccolina, con i capelli corti…
Percy arrossì. Cosa ne sapeva il Ministro di Audrey?
- Ma… Io… Sì, beh, ma…
Scrimgeour sorrise di nuovo. - Un vantaggio dell’essere Ministro della Magia è che non mi si può nascondere nulla. Un altro vantaggio è che posso decidere quando un mio dipendente deve andare a casa o rimanere qui. Vai pure, Weasley; mi hai già aiutato molto, oggi.
Lo sguardo del suo assistente tradiva la gratitudine che provava. Doveva essere davvero stanco, oppure doveva desiderare molto la compagnia della piccola archivista.
- Davvero? - domandò Percy, incredulo. - Posso… Posso andare?
- Direi di sì, e sbrigati prima che io cambi idea - rispose il Ministro, con tono stanco ma sempre sorridendo.
Il suo assistente. Così giovane, così vivo. Anche in un tempo così morto.
- Va bene, allora… - fece Percy, raccogliendo in fretta le sue cose. – Allora… Grazie, Ministro. A domani.
- A domani, Weasley. Puntuale, mi raccomando.
- Lo sarò. A domani.
- A domani.
La porta dell’ufficio si chiuse, e Percy tornò a casa da Audrey, con la sua fretta di ventenne.
Il Ministro lo invidiò, con forza. Così giovane, con un cuore d’asino, ma con tutta la vita davanti per rimediare, per cambiare.
Una vita che il Ministro stava perdendo di giorno in giorno.
Sospirò, solo nel suo ufficio.
Basta con questi pensieri, vecchio stupido. Domani sarà un’altra giornata pesante.
Domani…
Ma per Rufus Scrimgeour non ci sarebbe stato un domani. Né per lui, né per il Ministero della Magia.
Non più.
Percy non lo sapeva, e dormì sereno, abbracciato alla piccola archivista.




Bene, grazie di essere arrivati fin qui.
Come avrete capito, l'atmosfera di pace-e-amore sta andando inesorabilmente a scatafascio. Non è colpa mia, sto seguendo pedissequamente la Rowla, è lei che decide ç_ç
Se non vi siete depressi abbastanza, vi spammo questa storia, la mia ultimogenita, di cui sono estremamente fiera per le belle soddisfazioni che mi ha dato.
Se poi volete proprio farmi contenta, vi segnalo questo account, le cui storie sono state scritte da due autrici bravissime che però hanno seri problemi di autostima (una è la sottoscritta).

Dimenticavo!!!

1) Non so se esista davvero il proverbio "avere un cuore d'asino e uno di leone", ma io l'ho scoperto grazie al mitico Andrea Camilleri; nel caso non sia un vero proverbio ma se lo sia inventato lui, beh, lo ringrazio sinceramente (oltre che per aver creato Montalbano, Fazio, Augello, Catarella e tutti gli altri)
2) Grazie alle recensitrici, ai lettori, e alle svariate bimbeminkia che con le loro FF (!) mi hanno tirata su di morale in questi giorni e grazie alle quali ho capito di non potermi lamentare della mia storia(oh, come vi amo...)
Un bacio, Ferao
   
 
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