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Autore: Lady Vibeke    30/03/2011    4 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. PERSEFONE

 

You've been seeing things
In darkness, not in learning
Hoping that the truth will pass
No life underground, wasting never changing
Wishing that this day won't last

– Something Must Break, Joy Division –

 

 

 

Regan era a dir poco scombussolata. Un momento prima era stata alla mercé di tre loschi figuri assieme a Lucius, un momento dopo si era ritrovata lunga distesa su un duro pavimento di marmo con lo stomaco sottosopra, i capelli tutti sparsi disordinatamente attorno a lei.

Era una stanza buia e di forma circolare, rischiarata da grosse torce affisse alle pareti ai lati di ciascuna delle sette porte che si affacciavano verso il centro.

– Che ci fai laggiù, tu? –

Alzò lo sguardo: Lucius e Shin la stavano guardando con delle espressioni di puro diletto. Shin si chinò e le offrì una mano per rialzarsi.

 – Grazie – mugugnò lei. Afferrò la mano di Shin senza pensarci; fece per tirarsi su, quando accadde la stessa cosa che era accaduta la prima volta: la sensazione di un’ustione, come fuoco sulla pelle. Lasciò andare Shin e ricadde carponi, reggendosi la mano con il respiro spezzato.

– Regan ­– Lucius si precipitò da lei e la raccolse come se fosse stata una bambola di stracci. – Che c’è, adesso? –

Regan guardò prima il palmo della propria mano, sano e intatto, e poi Shin, che ricambiò atterrito.

– Mi dispiace. Avevo dimenticato… –

– Ti fa male? – si accertò Lucius, studiando inutilmente la sua pelle in perfetta salute.

– È già passato. Dove siamo? – domandò lei. Preferiva di gran lunga cambiare argomento.

– A Shjarna – rispose Shin. La sua voce riecheggiò tra i muri di pietra. – Alla sede del Nucleo di Brenner – Lo sguardo gli cadde sul fianco sanguinante di Lucius, lasciato scoperto dal mantello che nella fuga era finito arrotolato sull’altra spalla. – Ti hanno ferito. –

– Niente di grave, è solo un taglio che si è riaperto. Portiamo dentro Regan. –

Lei ormai aveva fatto l’abitudine ad attaccarsi a Lucius per passare da una parte all’altra di quei Portali. Mentre si avvicinavano a una delle sette porte, Regan si accorse che c’erano dei simboli incisi sulle placche circolari affisse al centro di ciascuna di esse; davanti ai suoi occhi, una rosa sbocciava in morbidi petali su un fondo d’argento.

– In teoria non potremmo usare questo passaggio, ma è meglio che nessuno ci veda. Persefone ci ha lasciato la porta aperta – bisbigliò Shin, e infatti, appena spinse, la porta si aprì. Andò prima lui, e lei e Lucius lo seguirono, mano nella mano. Sbucarono su un piccolo atrio, al capo opposto del quale si distendeva un lungo corridoio dai muri chiari, un tappeto rosso scuro a foderare il pavimento.

C’era una poltrona, in un angolo, accanto a un mobile che ospitava un’impressionante serie di fiale di cristallo in cui erano sigillati fiori di ogni varietà e colore, tenute in piedi da spirali di metallo: rose rosse, rose bianche, gigli, finissimi bucaneve… Regan rimase colpita soprattutto da una rosa di un rosso molto scuro i cui petali erano tinti, sull’orlo frastagliato, di sfumature di un nero incredibilmente intenso.

Sulla poltrona sedeva una donna. Indossava un bell’abito dalle tonalità autunnali che ben si accompagnavano ai folti capelli scuri e agli occhi gentili che a Regan ricordarono subito, nella forma, nel colore e nell’espressività, quelli dei fratelli Edelberg. Era bellissima, con un viso pallido perfettamente ovale e labbra rosate. Il collo bianco era cinto da una catenella, da cui pendeva un anello d’argento troppo grande perché lei lo potesse portare su un dito. Somigliava a quello indossato da Castalia.

Sembrava che la donna li stesse aspettando. Fece per alzarsi e Shin si precipitò subito ad aiutarla; quando fu in piedi, Regan capì il perché: il tessuto morbido del vestito si era teso sulla curva pronunciata dell’addome, palesando una condizione che prima era passata inosservata. Nonostante la gravidanza avanzata, comunque, la donna aveva un portamento nobile e una leggerezza invidiabile.

– Grazie, Shin – disse, con una melodiosa voce da ragazzina.

Era un demone, ma la bontà d’animo che Regan percepiva in lei, la generosità, la sottile sensibilità, erano più simili a quelle degli angeli.

– Persefone – Lucius si esibì in un affaticato inchino di reverenza persino superiore a quella che aveva riservato alla regina delle ninfe.

– Sono felice di vedervi tutti e tre, e sommariamente interi – disse lei, sorridendo con calore. – Iniziavo a temere che Shin da solo non ce l’avesse fatta. –

– Come facevi a sapere che eravamo in pericolo? – volle sapere Regan, ora che le veniva in mente.

Shin chinò colpevolmente il capo mentre si avvicinava a Lucius per aiutarlo a tenersi in piedi. Tutto il sangue che aveva perso lo aveva reso debole e malfermo sulle sue stesse gambe.

– Libra vi stava sorvegliando da qualche giorno – confessò. – Avevo un brutto presentimento… vi chiedo scusa. –

– Chi è Libra? –

– Un gufo, la sua Guardiana ­– rispose Lucius, soffocando un debole gemito sofferente tra una parola e l’altra. – Che a quanto pare ci ha cavato da un gran bell’impiccio. –

– Avevo appena invitato Shin a fermarsi per la cena, quando è apparsa lei a cercare soccorso – disse Persefone. – Volete farci l’onore di unirvi a noi? Naturalmente dopo che Lucius avrà smesso di spargere gocce di sangue sui tappeti del mio palazzo. –

Le labbra di Lucius riflessero il sorriso scherzoso di Persefone.

– Ti siamo debitori. –

 

 

– Persefone è il Coordinatore del Nucleo di Brenner, che ha sede centrale proprio in questo palazzo – stava spiegando Shin a Regan, davanti al fuoco di un salottino accogliente. La donna aveva fatto chiamare dei curatori, che si stavano occupando di Lucius nella stanza accanto.

– Lavori anche per lei? –

– Lavoro per chi ne ha bisogno – fu la modesta risposta di Shin, che fissava assorto le fiamme. I suoi capelli erano così chiari da confondersi quasi con la sua pelle in quella luce dorata. – Ma non mi trovavo qui per lavoro, stavolta. –

– Visita personale? –

– Per così dire. –

Regan tacque. La giovane età di Shin contrastava fortemente con l’espressione adulta che avevano i suoi occhi, la compostezza marziale dei suoi atteggiamenti; la purezza che traspariva in lui non aveva nulla a che spartire con mani sporche di sangue o pensieri immondi: era qualcosa che andava oltre il concepibile, il paragonabile. Ne era intrisa la sua anima, si intuiva nitidamente come fosse stata parte dei suoi lineamenti.

– Shin, quelle persone… –

– I Ladri di Anime? –

– Sì – Regan tentennò. Le era rimasta una sgradevole sensazione riguardo a quei tre. – Che cosa sono, esattamente? –

Dopotutto, se Lucius, che si vantava di essere tanto bravo a combattere, non era riuscito a tenere loro testa, dovevano essere discretamente temibili. Era pur vero che erano stati in tre contro uno, ma Lucius si era battuto con valore, quindi ci doveva essere qualcosa che loro avessero e che a lui mancasse.

Un’ombra incupì il bel viso di Shin.

– Credo non esistano individui peggiori dei Ladri di Anime – sospirò, e la guardò come se gli pesasse affrontare le parole. – Per la maggior parte sono solo emulatori di tecniche che apprendono da chi nasce con il dono di saper vedere l’anima delle persone. È una facoltà rara che si presenta in una piccolissima percentuale di demoni. Alcuni si portano dentro questo dono ignari, altri ne sono consci, e allora possono scegliere se svilupparlo e, se sì, in che modo. –

Regan ascoltava senza battere ciglio, respirando appena.

– L’Accademia della Domus Aurea riserva dei posti esclusivi per queste persone. Seguono un percorso di formazione particolare, al termine del quale ricevono il titolo di Liberatori di Anime –

Regan trovava quel titolo molto più rassicurante di quello dei Ladri.

– Come dice il nome, i Liberatori liberano le anime dei deceduti per morte violenta, in modo che non si consumino assieme al corpo e possano ritornare alla Madre, come vuole il corso della vita. Sai, se l’anima non è espressamente richiamata dalla Madre, non riesce a separarsi da sola da un corpo morto prematuramente. I Ladri, invece, fanno il contrario: uccidono coloro che possiedono anime di grande potenziale e se ne appropriano per trarne un profitto personale, e spesso lo fanno nel modo sbagliato: brandelli di anima rimangono legati al corpo, altri si disperdono durante la cattura… – Sulla sua fronte bianca si segnò una lieve ruga dolente, gli occhi si chiusero dal disgusto. – Derubano l’energia vitale altrui, capisci? E la vendono al migliore offerente, oppure la sfruttano per accrescere il proprio potere. –

L’orrore cresceva in Regan man mano che Shin proseguiva. Le vennero i brividi, anche se la stanza era abbondantemente riscaldata, e lui se ne dovette accorgere, perché quando tornò a guardarla, lo fece con più morbidezza.

– Se ti stai chiedendo se l’hai scampata bella, la risposta è sì – scherzò in un tono leggero che nascondeva un sottofondo di indubbia serietà. – È una fortuna che ci fosse proprio Lucius con te –

Quell’osservazione fece sovvenire dell’altro a Regan. Lucius li aveva sentiti; aveva sentito che quegli uomini stavano arrivando molto prima di quanto chiunque altro avrebbe potuto. Faceva parte dei molteplici talenti di cui andava fregiandosi?

– I più abili di loro sanno scomporre un’anima in mille piccoli frammenti e leggerli uno a uno come frasi riportate nero su bianco in un libro. Sono in pochi a poter arrivare fino a tal punto, ma quei pochi sono temibili quanto il Male in persona. Non hanno scrupoli; sanno rubare i ricordi e sfruttarli a proprio vantaggio, o drappeggiarsi un’anima addosso e così vestirsi dell’aspetto di colui a cui quella stessa anima è stata trafugata. Potresti trovarti a parlare con un impostore mascherato da tua madre, il tuo migliore amico, la persona che ami… e non avresti modo di rendertene conto –

– Per la prima volta è quasi un sollievo non avere una madre, o un migliore amico, o… – Regan lasciò cadere il discorso a metà. – È per questo che non è facile ucciderli? –

Shin annuì gravemente.

– Si fanno scudo con le vite che hanno sottratto. Le conservano in quei cristalli che tengono appesi al collo, è da lì che attingono il loro potere. –

– Lo avevo immaginato. –

La porta alle loro spalle si aprì. Ne entrò Lucius, con addosso una camicia bianca pulita che gli si andava un po’ stretta sul torace e l’aria rilassata di uno che era appena tornato da una scampagnata; dietro di lui entrò Persefone, assieme a un uomo altissimo e altrettanto magro dai penetranti occhi azzurri che teneva in braccio una bambina bella come il sole che non dimostrava più di una decina di anni, paffuta e rosea, pressoché identica alla donna.

­– Mio marito, Lord Idar Westert, Comandante della divisione locale dell’esercito della Lega, e nostra figlia Hemel – li presentò Persefone, splendente di orgoglio.

Regan si affrettò a salutare come aveva imparato a fare. Idar le sorrise; era un uomo attraente, con un accenno di barba chiara sul mento e attorno alla bocca, la testa rasata sui lati e al centro una striscia di lunghi capelli biondi raccolti sulla nuca. Hemel, vergognosa, si nascose invece nel collo del padre, il quale le diede una piccola pacca indulgente. Regan intravide tra le sue vesti la Stella della Lega.

Qualcosa si incrinò nel suo cuore. A dispetto di tutte le attenzioni che finora Lucius non le aveva mai fatto mancare, si sentì improvvisamente sola. L’assenza ricordi di una famiglia le causava un profondo disagio, come se non avere delle basi su cui fondare la sua intera vita rendesse privo di valore anche tutto il resto.

Sfiorò con lo sguardo la guancia morbida di Hemel abbandonata contro la spalla di Idar, le cui braccia la avvolgevano amorevolmente, e la mano di Persefone che poggiava con dolcezza sul suo pancione prominente, e per la prima volta, per quel che ricordasse, provò invidia.

 

 

Dopo l’impatto non esattamente positivo con Castalia, conoscere un Coordinatore come Persefone fu insieme un sollievo e una sorpresa. Mentre la prima ce l’aveva scritto in faccia che era una guerriera che occupava una posizione di rilievo, la seconda le ricordava di più Eleonora: così semplice, umile e femminile, non aveva niente che facesse pensare a lei come a un’importante figura politica.

Erano in un’elegante sala da pranzo, con camerieri che andavano e venivano con ricche portate e bottiglie di vino rosso. Persefone sedeva a capotavola, Idar alla sua destra, la piccola Hemel a sinistra, abbarbicata su una pila di cuscini, e sembrava assolutamente in pace con il mondo. Regan sedeva accanto a Hemel, Shin di fronte, e Lucius occupava l’altro capo del tavolo.

– Ho mandato Rok ad avvertire Eleonora che per stanotte resteremo qui, così non si preoccuperà. –

Regan smise di masticare e gettò un’occhiata incerta ai presenti.

– Tranquilla – la rassicurò Lucius, intuendo la sua perplessità. – Loro conoscono questo Segreto. –

– Che razza di Segreto è se lo conoscono tutti? –

– Non tutti – la corresse lui. – Solo loro e un’altra persona. A parte te, ovviamente. –

Regan suppose si riferisse a Castalia.

– Ci sono notizie da Medilana? –

Persefone si passò educatamente il tovagliolo sulle labbra.

– Ce ne sono, ma ritengo non sia il caso di discuterne a tavola. –

Consumarono il resto della cena in una piacevole conversazione che saziò un po’ della sete di sapere che Regan nutriva.

– Un tempo era raro che gli scranni del Consiglio fossero occupati da donne – le stava raccontando Idar. – Oggi abbiamo cinque Coordinatori donne su sette che nonostante la relativamente giovane età si stanno dimostrando delle guide molto migliori degli uomini più anziani ed esperti di loro –

La sua mano appoggiava su quella della moglie, a cui aveva rivolto uno sguardo adorante.

– Come mai questo improvviso cambio di tendenza? –

– Le donne sono più equilibrate e meno avide degli uomini, e spesso anche molto più ricche di buonsenso – le rispose Lucius.

– Ma Lady Westert è così giovane… –

Persefone scoppiò in una piccola risata argentina.

– Ti stupirà sapere che non sono io il Coordinatore più giovane dell’attuale Consiglio. E dammi del tu, te ne prego –

Regan faticava a immaginarsi qualcuno di più giovane di lei a capo di una delle Terre.

– L’abilità di proteggere e guidare un popolo e gestire i suoi problemi non risiede nell’età, ma nell’animo di chi viene scelto. E comunque, gli anziani idonei a questi incarichi sono tutti morti – disse Lucius con leggerezza.

– Come viene scelto un Coordinatore? –

– Per elezione, naturalmente – intervenne Shin. – Metà del giudizio spetta al popolo, e l’altra metà al Consiglio. A trentasette anni, raggiunta la maggiore età, si guadagna il diritto di votare il candidato favorito. A meno che tu non abbia qualche provvedimento disciplinare che ti pende sulla testa. In alcuni casi le autorità posso vietare il voto a individui che vengono bollati come immeritevoli. –

– Ed è una cosa irrevocabile? –

– La buona condotta è l’unico modo per ottenere una sospensione della pena. –

– Bisogna essere dei nobili per accedere a queste cariche? –

– Non necessariamente – Lucius bevve un sorso di vino. – Castalia, ad esempio, è il Coordinatore Generale, la più alta carica della Lega, e proviene da una famiglia di contadini. È anche vero, però, che spesso il popolo tiene conto di eventuali legami con le vecchie famiglie regnanti, nel bene e nel male. –

Evidentemente, Persefone doveva appartenere a una di quelle famiglie che erano ricordate nel bene.

Dopo cena, a ciascuno fu assegnata una stanza, nello stesso corridoio. Quella di Regan era piccola, ma molto accogliente, con un bel letto a baldacchino e un angolo adibito alla toeletta. C’era un asciugamano appoggiato sul mobile a cassettone e una camicia da notte molto elegante. Si rinfrescò volentieri, passandosi le mani insaponate sulle braccia, sul collo e sul viso. Voleva togliersi di dosso l’odore di quell’uomo, le impronte che aveva lasciato su di lei e che finora era riuscita a ignorare, lasciandosi distrarre da tutto il resto.

La Terra di Brenner era già sopita al di là della finestra, nelle sue immense distese di colline e prati smeraldini, e le brughiere punteggiate di laghi e striate di torrenti e rii si affacciavano silenziose sul cielo nero.

Attorno al palazzo di Persefone si dipanava la città di Shjarna, ricca ma modesta capitale, fatta di pochi palazzi nella zona centrale e una moltitudine di pittoresche casette splendidamente tenute, con i loro tetti di colmi di paglia, nella periferia. Le strade in selciato avevano luminarie insolite, migliaia di piccoli lumicini che fluttuavano a mezz’aria lungo i cigli, emanando una luce incredibile, date le esigue dimensioni. Regan non aveva mai visto nulla di simile; erano di grande effetto e a lei sarebbe piaciuto da morire poter uscire e camminarvi in mezzo, ma, per l’appunto, morire non sarebbe stato una buona idea, e Lucius di certo non ne sarebbe stato contento, dopo tutta la fatica che aveva fatto per tenerla in vita. Si ripromise che un giorno, però, si sarebbe regalata una degna passeggiata per quelle vie che la attiravano tanto.

Si spazzolò i capelli senza badare troppo a quel che faceva. Continuava a pensare a quanto era successo sulla strada per Aurin, a come Lucius sembrava aver fiutato l’arrivo dei Ladri di Anime e a come Shin fosse apparso dal nulla e li avesse portati via entrambi con tale facilità.

Si era sentita così inutile e impotente…

Decise che avrebbe supplicato Lucius di aiutarla a disseppellire i suoi poteri al più presto. Sapeva che lui ne sarebbe stato in grado.

Guardò le fiamme delle candele che vibravano di fronte a lei dalla cassettiera. Era riuscita spegnerne una, a casa di Lucius, ma tuttora non le era chiaro se avesse ordinato al fuoco di morire o all’aria di sopraffarlo. Aveva semplicemente chiesto che la candela si spegnesse.

Secondo Lucius, il controllo degli elementi doveva essere naturalmente insito in un demone, soprattutto se, come lei – o così aveva detto Antares – si trattava di demoni Puri, privi di qualsiasi contaminazione di natura angelica. Era rimasta quasi delusa da questa notizia, perché se non altro, se fosse stata una Mista, si sarebbero facilmente spiegate un bel po’ di cose, compresa la sua difficoltà ad esercitare i propri poteri e persino quello che aveva fatto in quel vicolo a Kauneus, curando la bestiola ferita. Invece, se possibile, ora la situazione era peggiorata: delle strabilianti doti che avrebbe dovuto sfoggiare, non c’era che una pallida ombra.

Le parole di Antares le rimbombavano ancora nelle orecchie.

“Chi ti ha ferita, bambina?”

Si portò una mano al petto. Le sembrò strano sapere che c’era del dolore, in lei, di cui non era nemmeno consapevole. Che fosse proprio quello la chiave di tutto?

Fuori, la luna era già alta nel cielo. Era piuttosto tardi. La Nuova era prossima, ma lei, nonostante tutto, non era stanca, o non abbastanza da avere sonno. Sentiva del trambusto nella stanza accanto, quella di Lucius, quindi doveva essere ancora sveglio anche lui. Non lo avrebbe disturbato a lungo; voleva solo dargli la buonanotte e, ora che ci pensava, anche domandargli come mai quei Ladri di Anime lo avessero chiamato in quel modo. Stava già per bussare alla porta, quando udì delle voci provenire dall’interno. Erano troppo fievoli e attutite perché potesse discernere più di qualche parola sparsa, ma poteva riconoscerle facilmente: una, com’era ovvio, era quella vivace e rassicurante di Lucius; l’altra era quella dolce e vellutata di Shin. Chissà che cos’avevano da dirsi, a quell’ora.

Provò ad appoggiare con cautela l’orecchio alla porta, ma il legno era troppo spesso e loro parlavano a voce troppo bassa, forse proprio per evitare di essere sentiti.

Faceva freddo, lì fuori, nel corridoio, e lei era a piedi nudi. Un rumore di passi in lontananza la convinse che era inutile restare lì a tentare invano di origliare; avrebbe fatto meglio a tornarsene a letto e rassegnarsi. Era stata una giornata già sufficientemente pesante.

Quando chiuse gli occhi, si addormentò quasi subito, ma fu un sonno agitato quello che la accompagnò per tutta la notte. Sognò se stessa con normalissimi occhi blu e normalissimi capelli biondi, abbandonata in un angolo a singhiozzare, e Prince Edelberg chino su di lei a cercare di confortarla. L’angoscia che provò, osservando quella scena dall’alto, era più reale di quella che un qualsiasi incubo avrebbe mai potuto suscitare.

 

 

C’era solo un piccolo candeliere a tre braccia acceso in un angolo; gran parte della luce proveniva da fuori, dai raggi bianchi della luna che brillava con insolita intensità in una notte forse troppo nera, troppo impenetrabile senza le sue stelle.

Shin era nervoso, anche se aveva fatto del proprio meglio per non darlo a vedere. Lo era stato fin da quando le sue mani si erano posate sul viso di Regan, giorni addietro, causandole tutto quel dolore. Si era tormentato con l’interrogativo del motivo di quell’effetto assurdo: la sua capacità di leggere nel pensiero era sempre stata innocua, per quanto efficace, e per questo era sempre lui a trattare i casi delicati. Quando, un paio di giorni prima, si era occupato dei prigionieri di Radislav, esausti ed emaciati, nessuno di loro aveva subito conseguenze; nessuno di loro aveva urlato e aveva avuto la paura di Regan negli occhi. Si era sentito un mostro quando lei aveva sollevato lo sguardo sofferente verso di lui, come a chiedergli perché avesse voluto farle del male.

Si guardò le mani aperte, senza sapere cosa pensare. Nessuno sapeva spiegarsi come fosse potuto accadere.

Stava in piedi di fronte alla finestra, scrutando il vuoto pensosamente, mentre Lucius, alle sue spalle, sedeva sul letto a torso nudo, detergendosi le ferite con un macerato di aloe vera e malva. Era piuttosto malconcio, ma Shin non ricordava di averlo mai visto del tutto sano, da che lo conosceva.

Lucius indossava le sue cicatrici come ornamenti preziosi. Non temeva mai di mostrarle, di accettare ciascuna di essere come un segno di imperfezione, di distrazione, di inferiorità rispetto a chi gliele aveva inferte. Ognuna di loro era stata un passo di miglioramento, un monito scritto su di lui che lo aiutava a ricordarsi ciò che aveva passato e che preferibilmente avrebbe evitato di passare di nuovo, marchi indelebili di una tempra conquistata a caro prezzo. Shin lo conosceva abbastanza bene da sapere che tutti quegli sfregi sul suo fisico erano nulla rispetto a quelli che portava incisi nell’anima.

– Stai ancora pensando a quello che è successo con Regan. –

Shin si voltò lentamente; Lucius lo sogguardava nel buio aranciato, la pelle bianca coperta di schegge lucide ancora più bianche, troppe per essere contate.

– Non devi fartene una colpa. Lei non è come gli altri. –

– Lo so – sospirò, senza tuttavia sentirsi meno colpevole.

Lucius sollevò un sopracciglio.

– Lo sai? –

Un sorrisino amareggiato passò sulle labbra di Shin.

– Credevi che non l’avrei sentito? Che non me ne sarei accorto? –

– Affatto – replicò Lucius, soddisfatto della risposta ottenuta. – Mi domandavo, anzi, cosa ne pensassi di quello che sta succedendo. –

Shin, che si era aspettato un’uscita simile, non ebbe bisogno di rifletterci sopra. Lo aveva già fatto, a lungo, ed era giunto a poche, approssimative conclusioni.

– Non puoi proteggerla da solo. –

Sortì il preciso effetto previsto: Lucius lasciò cadere la pezzuola che teneva in mano nella bacinella del macerato di erbe e nell’azzurro chiaro dei suoi occhi si accese un improvviso interesse, ma non lo interruppe.

– Non sappiamo nemmeno da chi o cosa deve essere protetta – proseguì quindi Shin. – I Ladri di Anime non sapevano chi fosse, e l’uomo che tu hai affrontato alla Corte portava insegne ignote, giusto? –

– Giusto. –

– E se lei si trovava alla Corte, era perché Desmond la voleva proprio lì, e per un motivo ben preciso. –

Lucius aggrottò la fronte. Si appoggiò con i gomiti alle ginocchia e indagò Shin con attenzione.

– Tu sai qualcosa che io non so. –

Shin non annuì, né negò. Incrociò le braccia e ricambiò lo sguardo.

– E tu? –

Lucius non si scompose, ma non riuscì a nascondere un accenno di stupore.

– Io so quello che le mie facoltà mi consentono di sapere, nulla più – dichiarò, asciutto.

A Shin sfuggì una risatina leggera.

– Quindi in pratica sai più di tutta la Lega messa insieme. Con la scusa che è un’innocente, Castalia ha sottovalutato il significato che Regan può avere in questa storia del crollo della Corte, e ha fatto molto male, anche se non so ancora perché. –

Dall’espressione di Lucius, si poteva facilmente intuire che fosse della stessa identica opinione. Erano in alto mare: tutto ciò che avevano erano sensazioni, supposizioni, ipotesi senza fondamenti. Mancavano informazioni concrete che dessero un senso concreto a tutto quanto.

– Io credo di avere un’ipotesi – gli rivelò Lucius.

– Davvero? –

– Mentre eravamo nel Bosco di Aurin una Myrka si è posata sulla sua mano. –

Shin sgranò gli occhi.

– Come hai potuto permetterle di arrivare fino alle Myrkae? –

– Regan era sul sentiero. È stata la Myrka ad andare da lei. E l’ha punta. –

Un brivido di istintivo orrore scosse Shin lungo tutta la spina dorsale, prima che il suo cervello potesse rendersi conto che era impossibile che Regan fosse stata punta da una farfalla il cui veleno era tra i più letali al mondo e fosse vissuta abbastanza a lungo da emettere anche solo un singhiozzo di dolore.

– Dovrebbe essere… –

– Morta. Già – Lucius non sembrava meno attonito di lui. – Eppure l’hai vista… è più in forma di me e te messi insieme. –

– Credi che sia immune ai veleni? –

– Sicuramente non sono le Myrkae che sono diventate innocue dall’oggi al domani. –

– Abbiamo una traccia, allora! – esclamò Shin, rincuorato. Qualche tassello iniziava a sistemarsi in modo sensato. – È possibile che fosse questa la ragione per cui Desmond la teneva alla Corte. –

– Per questo avevo pensato che potesse aver assoldato Gerjen e soci per recuperare Regan. Sono in affari da sempre, lui e i Ladri di Anime. Ma non ha senso che un uomo astuto come Desmond mandi dei farabutti come quelli a cercare una cosa tanto preziosa… sa perfettamente che loro riconoscono il valore di un’anima anche cento passi di distanza. –

– A meno che Desmond non fosse ignaro di questo aspetto e gli interessasse solo recuperare il suo antidoto vivente. –

Calò un silenzio gravido di riflessioni

– La domanda ora è: se Regan possiede una caratteristica così rara e preziosa, il cavaliere che ho avuto il sommo piacere di incontrare alla Corte vuole ucciderla per una di queste ragioni, entrambe, o c’è dell’altro? –

C’erano troppi interrogativi aperti e troppe poche risposte. Il primo spunto di inizio che avevano trovato non aveva fatto altro che aprire altre vie, altri dubbi, e di questo passo non sarebbero mai venuti a capo di niente.

– Mi chiedo anche come mai né il cavaliere senza nome né Desmond si sono ancora fatti vivi, a questo punto. Desmond ha spie ovunque, non può non aver ancora scoperto che Regan è con noi. –

– Già – Lucius si passò stancamente una mano tra i capelli. – E non possiamo contare su aiuti da parte di nessuno. Regan è già abbastanza in pericolo, senza che tutte le Sette Terre sappiano di lei. Ora come ora non mi posso fidare nemmeno dei membri della Lega stessa –

Shin non poteva biasimarlo. La Lega era tutto ciò su cui si basava la giustizia all’interno del Mondo Occulto, il fulcro fondamentale che governava le Terre e, dopo la caduta delle Monarchie in seguito alla Grande Rivolta di secoli prima, tutto il popolo riponeva piena fiducia in essa e nella rettitudine dei suoi membri, ma purtroppo non tutti era degni di questa fiducia. Era lunga, nella storia, la lista dei traditori, degli infiltrati e delle talpe che avevano cercato di minare al delicato equilibrio al suo interno.

– Non posso darti torto. –

– Conosci le dovute eccezioni, in ogni caso. –

– Voglio sperare di rientrarvi – scherzò, ma Lucius gli rispose con una serietà inattesa:

– Sei il secondo della lista. –

Non c’era bisogno di domandare chi ci fosse al primo posto. Sapevano tutti a chi era eternamente devoto.

– Il secondo… quale onore – ironizzò, mascherando una qual certa commozione. Era un bambino quando aveva incontrato Lucius per la prima volta ed era uno dei pochi a conoscere la sua vera storia; questo li aveva sempre resi molto vicini l’uno all’altro, soprattutto perché Shin lo considerava un fratello maggiore e molto spesso, se non fosse stato per lui, si sarebbe sentito completamente solo al mondo.

– So che anche tu ti sei accorto di qualcosa – riprese Lucius, occhi negli occhi con lui. – E qualunque cosa sia, concorderai con me che, assieme a questa serie di misteriose circostanze, abbiamo motivo di preoccuparci. –

Ne avevano. Ne avevano eccome. Shin aveva sondato una paura recondita nello spirito di Regan, qualcosa che c’era ma le dormiva nel petto, muta, immobile, ma in perenne agguato, e lei probabilmente nemmeno ne era consapevole. A dire la verità, c’erano fin troppe cose di cui lei non fosse consapevole e questo la rendeva non solo doppiamente in pericolo, ma anche doppiamente pericolosa per sé stessa. Shin non sapeva fino a che punto fosse il caso di tacerle ciò che lui aveva scovato in lei, ma se Lucius stesso aveva tenuto per sé ciò che sapeva, allora lui avrebbe fatto lo stesso, fino a che, se non altro, non fosse stato necessario fare altrimenti.

– Cosa pensi di fare in merito ai nuovi sviluppi che ci ha riferito Persefone? –

Lucius si sfregò il viso tra le mani con un gemito esausto.

– Non mi stupisce che Castalia non mi abbia avvisato. In ogni caso nei prossimi giorni farò in modo di capitare a Medilana. Non sarà piacevole, ma se può aiutare Regan a recuperare qualche ricordo… –

Shin era incerto, ma si disse che probabilmente aveva ragione Lucius; se Regan avesse ricordato qualcosa, sarebbe stato più semplice risalire alle sue origini.

– A volte ho l’impressione che quasi lei preferisca tenersi la sua amnesia – rifletté Lucius. Aveva un’aria assente e preoccupata.

– È spaventata da quello che sta succedendo, e ha paura di rimanere sola –

– E tu questo come lo sai? –

Shin voltò le spalle al suo sguardo insinuante e si riservò di non rispondere.

– Posso aiutarti a proteggerla – affermò, risoluto. – E faremmo meglio a cercare di insegnarle a usare i suoi poteri. –

Lucius tacque a lungo, le mani incrociate davanti al viso, immerso in riflessioni che Shin poteva ben indovinare. Era qualcosa di più di un mistero da sbrigliare. C’era qualcosa di grosso in mezzo, qualcosa di cui qualcuno, da qualche parte là fuori, era perfettamente a conoscenza, e loro, fintanto che avessero ignorato di cosa si trattasse, sarebbero stati in netto svantaggio. Shin avrebbe solo voluto sapere da che parte cominciare per poter sbrogliare tutti quei nodi.

– Abbiamo un problema in più, adesso – continuò. – Ora che i Ladri di Anime sanno di lei, faranno di tutto per averla, e tu sai fino a dove sono disposti a spingersi per mettere le mani su un’anima come la sua, e immacolata, per giunta. –

– Tu ed io a quanto pare siamo i soli ad aver visto in Regan qualcosa di più che una ragazzina dai colori bizzarri – esordì Lucius, con voce priva di tono. – Tranne ovviamente chi le sta tanto assennatamente dando la caccia. Se vogliamo venire a capo di questo enigma, dobbiamo collaborare. –

Shin assentì con fermezza.

Lucius si alzò e lo raggiunse, fronteggiandolo solenne.

– Io ti dirò cosa so io che tu non sai. Tu mi dirai cosa sai tu che io non so. –

 

 

Regan fu svegliata dal bruciore della luce del sole negli occhi ancora chiusi.

Impiegò diversi istanti a fare mente locale di dove si trovasse, come e perché. Si accorse di essere quasi del tutto scoperta; appena provò a muoversi, tutti i muscoli e le giunture del suo corpo si ribellarono, dolenti per la fatica del giorno precedente e per il freddo preso durante la notte.

Si sciacquò il viso e si rivestì a fatica, raccogliendosi i capelli nella solita treccia, come le aveva insegnato Angina, calzò gli stivali e uscì di soppiatto. Non era sicura che fosse abbastanza tardi da non rischiare di disturbare il sonno di nessuno.

La sede del Nucleo di Brenner era vasta, ma meno austera di quella del Nucleo di Corterra. Guardando di sotto dalle grandi finestre dei corridoi, si potevano vedere uomini in uniforme militare verde scuro andare e venire freneticamente, tutti armati di spada e tutti contrassegnati sul petto dalla stessa rosa che Regan aveva visto la sera precedente sul Portale che la aveva condotta là dentro. Suppose che si trattasse dello stemma della Terra di Brenner. Si trovava al quinto piano, quello delle camere da letto degli ospiti importanti, come le aveva spiegato Lucius. Da qualche parte ci doveva anche essere il portone a doppio battente che conduceva agli appartamenti privati di Persefone e della sua famiglia, ma Regan non avrebbe saputo ritrovarlo, adesso. Sapeva che al quarto piano c’erano le stanze personali degli ufficiali, al terzo c’erano le cucine e il convito, al secondo le sedi amministrative e al primo i dormitori di tutti gli altri membri. Quando giunse al pianterreno, scoprì che era quasi interamente adibito ad ospitare enormi aiuole di piante e fiori e vasche di marmo rosa in cui guizzavano pesci dai colori vivaci e galleggiavano carnose ninfee. Non c’erano pareti, ma solo colonne e veli bianchi a delimitare gli spazi. Regan era sbucata proprio al centro di tutto quel piccolo paradiso, ai piedi della grande scalinata che introduceva ai piani superiori. Davanti a lei c’era un’arcata, apparentemente con funzioni puramente ornamentali, ma Regan ebbe conferma di cosa fosse in realtà quando notò la rosa scolpita nella pietra di volta: era un Portale.

Un uomo e una donna apparvero dal nulla proprio al centro di esso e si affrettarono su per la scalinata senza nemmeno badare a lei. Portavano un distintivo particolare al petto che lei non ebbe il tempo di osservare. Si allontanarono parlottando fittamente, sparendo in fretta come erano arrivati.

– Non ti facevo così mattiniera. –

Regan si guardò intorno alla ricerca della provenienza della voce. Individuò Shin accanto a una delle alte colonne che separavano il palazzo dai giardini veri e propri che lo circondavano. Appollaiato su un ramo dell’albero alle sua spalle c’era un maestoso gufo bruno che la stava fissando arcigno. Libra, intuì.

– Buongiorno – salutò cordiale. Le sarebbe servito del tempo per abituarsi  all’effetto vagamente confusionale che le faceva quel ragazzo. Poteva essere il suo candore interiore, o forse la sua vivida bellezza efebica, quasi insopportabile ai suoi occhi di demone.  Era difficile credere che una creatura all’apparenza così delicata e fragile potesse nascondere un potere come quello che nascondeva lui. Regan lo aveva sentito, aveva capito quando grandi fossero le capacità di Shin; non era certo quel che si poteva dire un’esperta, ma non era stupida: era pienamente in grado di capire quando si trovava di fronte a qualcosa di straorinario.

– Non hai dormito bene? – le domandò Shin appena lei si avvicinò.

– Mi capita di avere degli incubi, a volte. –

– Incubi? – Shin si accigliò. – Che tipo di incubi? –

Regan sollevò le spalle.

– Cose senza senso, che però mi mettono angoscia. –

– Forse è qualcosa che è legato al tuo passato – rifletté lui. – Se sono cose che hai vissuto, si spiegherebbe perché ti turbano tanto. –

Non era possibile che fosse così. Conosceva Prince Edelberg da solo pochi giorni e sicuramente i suoi occhi e i suoi capelli non avevano cambiato colore da un giorno all’altro, prima che perdesse la memoria.

– No, credo si tratti di semplici immagini casuali –

– Hai parlato a Lucius di questi sogni? –

Regan negò.

– Be’, dovresti farlo – le disse Shin gentilmente. – Forse non servirà a nulla, ma so per certo che lui vorrebbe saperlo. –

Regan non rispose, ma le fece piacere sentirglielo dire. Lucius non aveva mai mancato, finora, di farla sentire importante e benvoluta. Si stava prendendo cura di lei senza alcun dovere nei suoi confronti, e questo era stato il motivo principale per cui lo stimava tanto.

In quel flusso di pensieri, si rese conto di essersi persa nella contemplazione dei lineamenti fini e leggeri di Shin. Le sembrava di guardare un quadro dipinto con troppa perfezione per essere credibile all’osservatore; troppo armoniose le forme, troppo chiaro il biondo dei capelli troppo lisci, troppo neri quegli occhi e troppo viva la luce che li animava.

– Vi conoscete da molto tempo, voi due? Tu e Lucius, intendo. –

Libra volò giù verso un ramo più basso e Shin si avvicinò per accarezzarla.

– Avevo solo diciotto anni quando lui è arrivato. All’epoca mio padre era il braccio destro dell’allora Coordinatore di Norden, Arvon Leljen, e non aveva molto tempo da dedicarmi. Mia madre, sai, è morta dandomi alla luce. –

C’era un’infinita tristezza nella sua voce, che fece stringere il cuore a Regan.

– Lucius aveva all’incirca la nostra età; capì subito che ero un bambino molto solo, ma estremamente dotato. Mi chiese se volessimo diventare amici e io ovviamente accettai. Fu fin da subito molto gentile con me. Nonostante i suoi doveri, ha sempre trovato il tempo per me. Devi sapere che lui ha una grande conoscenza del mondo, cose che tutti i libri che siano mai stati scritti non ti possono dare. Non fosse stato per lui, sarei sempre vissuto da solo. –

– Ma perché? Non avevi altri amici? Sei un ragazzo così… sì, insomma, sei una bella persona, uno che chiunque vorrebbe come amico. –

Shin sorrise malinconico.

– Sono sempre stato guardato con diffidenza da chiunque, coetanei e adulti. È risaputo che le stranezze non riscuotono un grande successo nella società. –

– Che stranezza avresti tu? Sei solo più bravo degli altri. –

Doveva essere anche qualcosa di più che semplicemente più bravo, se, così giovane, era già parte della Lega, ed era stato in grado di fermare quei tre malintenzionati a cui nemmeno Lucius era riuscito a tener testa.

– La mia stranezza è che sono un angelo – disse Shin, ma Regan non ci vide nulla di strano, almeno finché lui non aggiunse: – Sono un angelo nato da due demoni. –

 

 

– Dissero tutti che era ridicolo, quando mia madre e mio padre dichiararono che il bambino che aspettavano era un angelo – le stava raccontando Shin, cinque minuti dopo, seduto con lei sul bordo di una delle fontane. – Ovviamente la prima cosa che tutti pensarono era che mia madre avesse tradito mio padre e non volesse confessarlo. –

Regan dovette ammettere che anche lei avrebbe pensato la stessa cosa. Dalle unioni miste potevano nascere angeli o demoni, a seconda della natura che prevaleva al momento del concepimento, ma da un’unione pura di due angeli o di due demoni, poteva solo nascere un figlio della stessa razza dei genitori.

– Quando nacqui fui sottoposto a controlli di ogni tipo. Mi portarono al Tempio della Luna di Astereis e mi fecero esaminare dalla Sacra Sacerdotessa. Disse che ero un Puro, ma che ero al di fuori di ogni dubbio figlio di mio padre e mia madre. A quel punto alla gente non rimase che guardarmi con sospetto, come una specie di mostro. –

Mentre Shin si fissava i piedi senza più parlare, Regan provò per lui una forte compassione. Non c’era nulla – nulla – di più lontano da un mostro che lei riuscisse a immaginare.

– La gente è stupida. –

– Già – mormorò lui, sollevando appena la testa. – C’è quel vecchio detto che dice: eclissi di luna, gioia e fortuna; eclissi di sole, sventura e dolore. Forse ha qualche fondo di verità, visto che cos’è successo già quand’ero appena venuto al mondo. –

– Sei nato durante un’eclissi di sole? –

Shin annuì.

– La mia nutrice diceva sempre che non c’è da stupirsi che io sia quello che sia, vista la sventura sotto cui sono nato –

 – Sono solo sciocche superstizioni – sbuffò Regan. Fece una brave pausa, ma poi aggiunse: – So cosa si prova a essere guardati come un mostro –

Lo sguardo di Shin salì su di lei, la percorse dalla vita agli occhi, soffermandosi sul collo, sulle labbra, e infine negli occhi.

– Non riesco a immaginare nulla di più lontano da un mostro –

La fece sorridere.

Shin le piaceva. Possedeva la rara facoltà di capire le persone e di conseguenza sapeva sempre qual era la cosa giusta da dire e quando il momento giusto per dirla.

C’era parecchia gente che stava iniziando ad andare e venire, entrando e uscendo dal Portale, salendo e scendendo la scalinata. Erano per lo più uomini e donne vestiti di verde scuro, armati di spada e pugnale che tenevano assicurati alla cinta. Per quel che Regan appurò, tutti quanti portavano la Stella che aveva visto anche al collo di Lucius, Shin e Lord Westert.

– Ci vedremo spesso nei prossimi tempi, probabilmente – la informò. – Lucius non può farcela a proteggerti da solo e finché non scopriamo perché sei l’oggetto delle brame di così tante persone, abbiamo concordato che io potrei esservi d’aiuto. –

In cuor suo, Regan pensava che si stessero agitando troppo. Forse lei sbagliava a non temere mai nulla, ma vivere guardandosi costantemente le spalle non le piaceva come prospettiva.

– Hey, voi due! –

Lucius stava scendendo le scale, dirigendosi verso di loro, il pastrano che svolazzava a ogni passo. Quando li ebbe raggiunti, scoccò loro un’occhiatina obliqua.

– Da quand’è che siete così intimi? Devo essere geloso? –

Shin rise senza commentare. Regan si limitò a sorridere.

– Dobbiamo andare, cerbiattina – le disse Lucius. – Forse l’hai dimenticato, ma stasera abbiamo un appuntamento, io e te. –

Regan non aveva idea di cosa stesse parlando.

– La cena dagli Edelberg! – rammentò all’improvviso. – L’avevo completamente rimosso! –

– Non avevo il benché minimo dubbio – la prese in giro lui. – Volevo portarti a scegliere un bell’abito da metterti, prima di tornare a casa. La sartoria di Medilana è molto rinomata, nelle Sette Terre. –

– Oh, no, ti prego! – piagnucolò lei.

– Tu hai qualcosa che non va. Le ragazze della tua età fanno a gara a chi ha i vestiti più belli, lo sai? –

Regan si alzò borbottando qualche protesta, ignorando il sorrisetto divertito di Shin e per poco non morse una mano a Lucius quando lui tentò di scompigliarle i capelli.

– Noi andiamo, ma ci terremo in contatto in questi giorni. –

Shin annuì.

– Sai come trovarmi. Io resterò all’erta –

– A presto, allora –

Lucius e Shin si salutarono in un modo che a Regan risultava nuovo: come al solito, si portarono la mano al petto, ma poi, anziché riabbassarla, la allungarono l’uno verso il petto dell’altro. Poi lei e Lucius ritornarono di sopra.

Una volta raccolte le loro cose e congedatisi da Persefone, scesero di nuovo nei giardini interni.

– Qual è il significato di quel gesto che vi siete scambiati tu e Shin poco fa? – chiese a Lucius, mentre andavano verso il Portale.

Lucius sembrò felice di quella domanda.

– È una sorta di versione più intima del saluto classico. Vedi, portarsi la mano al cuore nel salutare è molto più di un semplice segno di cortesia verso chi ti sta di fronte; è come se con quel gesto tu dicessi “Ti parlo con sincerità e rispetto”. Quando si vuole andare oltre, ci si scambia il saluto che ci siamo scambiati io e Shin. La mano che dal tuo cuore passa a quello di chi ti sta di fronte sta a significare che hai stima di quella persona e in essa riponi la tua completa fiducia –

Regan fu soddisfatta e anche molto affascinata dalla risposta.

– Quindi adesso andiamo a fare un giro a Medilana? –

– A dire il vero no, non proprio. –

­­– Ma tu hai detto… –

– Non fare domande inutili e sbrighiamoci. –

Di fronte a quel tono perentorio, Regan non ebbe altra scelta che prendere la mano che Lucius le offriva e lo seguirlo oltre il Portale, ribollendo di curiosità.

   
 
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