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Autore: _Shantel    03/04/2011    11 recensioni
Liceo scientifico L.
Prendete Alice, liceale di diciotto anni che vive in un mondo fantastico; aggiungete Davide, il bello-e-dannato della scuola che è il suo sogno proibito: sommate anche Federico, il migliore amico di Alice, di cui lei si invaghisce; infine moltiplicate per Edoardo, il fidanzato immaginario della ragazza che assume le fattezze dell'affascinante "Blaine", uno gigolò. Risultato?! Un gran pasticcio per la povera Alice da lei stessa creato, senza immaginarsi quello che poteva succedere. Ma in questo caos riuscirà anche a scoprire l'amore per la prima volta. Già perchè, come dice lei stessa...
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C A P I T O L O 1

Chi non muore si rivede


Ero piegata sul tavolo con le mani nei capelli e continuavo a guardare l'orologio per paura che l'ora più terribile della giornata fosse già arrivata. Mancava un minuto preciso per l'arrivo di Carla D'Osvalda, conosciuta ai più come lo sciacallo per le torture che faceva subire alle sue vittime prima di finirle con un doloroso 2. Il rumore insopportabile delle sua scarpe sudaticce si sentiva già da chilometri di distanza. Guardai impaurita la mia compagna di banco, nonché migliore amica nell'ambito scolastico, alias Benedetta che contraccambiò quello sguardo.
L'avevo conosciuta il primo giorno di liceo, nell'auditorium, durante il discorso del preside. Eravamo sedute vicine ed entrambe eravamo terrorizzate da quel nuovo mondo che presto sarebbe diventata la nostra quotidianità. Per fortuna, scoprimmo di essere in classe insieme e da quel giorno la considero la mia migliore amica, anche se non so se sia contraccambiato. Nonostante fosse speciale per me, nemmeno lei sapeva che in realtà ero una sfigata patentata.
Lo sciacallo entrò in classe con dei libri in mano che erano più grossi di lei e si posizionò dietro la cattedra che quasi la copriva interamente. Sembrava docile con quell'aspetto minuto, ma in realtà era un mostro. Le sue interrogazioni e verifiche erano molto peggiori dei giochi sadici dell'Enigmista! E, purtroppo, sarebbe rimasta anche l'anno prossimo, il tanto atteso quinto anno di liceo. A meno di un malore improvviso o un incidente con l'auto di una ragazza appena patentata che rispondeva al nome di Alice Livraghi. Stavo lavorando a quel piano progettando il tutto durante le inutili ore di storia dell'arte.
Carla ci osservava con quegli occhi rugosi e infuocati, scorrendo il dito indice sul registro. Aiuto! Avevo paura! Primo perchè non volevo essere interrogata in matematica e secondo perchè non volevo diventare come lei a 45 anni, così flaccida e brutta.
«È già pezzata» commentò Benedetta, senza farsi sentire «Come cacchio fa a sudare così a Gennaio?!» continuò schifata.
«Magari ha qualche problema ormonale» ipotizzai.
Benedetta, in arte Germa, per la sua straordinaria somiglianza con Stefani LadyGaGa Germanotta, alzò entrambe le sopracciglia, guardandomi dubbiosa. Smorzai una risata sul nascere, facendo uscire dalla mia bocca un verso simile ad uno starnuto. Lo sciacallo alzò lo sguardo dal registro e mi guardò arcigna, facendomi passare quel breve momento di ilarità.
«Un problema ce l'ha di sicuro» riprese Benedetta una volta che la D'Osvalda tornò a guardare il registro «Ma non ormonale. È da troppo che non vede un uccello. Se lo ha mai visto» sghignazzò solitaria. A me non faceva ridere per nulla dato che mi sarei ritrovata nella stessa identica situazione di Carla: 40 anni vergine.
«Visto che ha così tanta voglia di ridere, perchè non viene fuori interrogata signorina Sago» tuonò lo sciacallo, smorzando la risata di Benedetta che fu visibilmente percorsa da un brivido di terrore. Sospirai sollevata. Mi dispiaceva per Germa, ma come dicevano i latini mors tua, vitas mea o una cosa del genere. Il latino non era affatto il mio forte, non mi piaceva perdere tempo con una lingua morta. Mi rilassai sulla sedia, scivolando in avanti pronta a godermi quell'ora di relax, sorridendo e sospirando beata.
«Livraghi! Crede di essere a casa sua?»
Mi irrigidii quando mi chiamò. Subito tornai a sedermi composta e le sorrisi bonaria sbattendo più volte le ciglia per risultare più dolce, adottando la strategia del gatto con gli stivali. Solitamente con il professor Ghida, insegnante di filosofia, funzionava sempre. Secondo Benedetta era efficace perchè quell'uomo era troppo vittima del fascino femminile, si accontentava di qualsiasi donna bella o brutta che era. Il requisito minimo per passare il Ghida's test era di avere una vagina. Io, quella volta, avrei dimostrato che si sbagliava di grosso, che erano i miei occhioni dolci ad ammansire qualsiasi bestia feroce, perfino la D'Osvalda.
«Venga a fare compagnia alla sua amica» mi disse con un sorriso tirato e finto quanto la faccia del preside Pierangelo Muccara. Ok, funzionava solo con ghida.
Mugolai qualcosa di incomprensibile persino a me stessa e strascicando le All-stars mi diressi alla lavagna. Incrociai le braccia, appoggiandomi ai primi banchi mentre assistevo silenziosa e tesa al massacro di Benedetta. Che diamine! Quella donna pretendeva troppo da noi! Era già tanto che riuscivamo a fare due più due. Anche se i dubbi che qualcuno non ne fosse in grado c'era, come ad esempio Giulio, il mio compagno di classe che aveva tutte le materie insufficienti, soprannominato the mad per le sue uscite non proprio normali. Una volta, interrogato in storia, si era alzato, aveva unito le mani ai fianchi e aveva urlato Kamehameah! concludendo la sua performance con un rutto. Sospeso per tre giorni.
Cominciai a mangiarmi le unghie come facevo sempre in situazioni di grandi stress. Le avevo accuratamente sistemate il giorno prima dannazione! Una volta che decidevo di curarmi le unghie, perchè solitamente mi costava troppa fatica, la D'Osvaldo mi interrogava. Lo faceva apposta, ne ero certa!
«Sago lei è un ignorante in matematica!» esplose la professoressa «Quattro! Vada a posto!» indicò perentoria il suo banco.
Ecco, bene! Toccava a me. Allarme antincendio perchè non scatti?! Una volta che serviva un'inutile prova di evacuazione non la facevano mai. Mi avvicinai lentamente alla cattedra in modo da rubare secondi preziosi alla mia figura di merda. E non solo perchè mi sarei mostrata una capra davanti a tutti, come al solito, ma anche per l'umiliazione che mi avrebbe propinato quella donna. Era frustrata, di sicuro. E il fatto che quella delusione derivava da una scopata mai fatta mi terrorizzava eccome. Sarei diventata un'acida professoressa di matematica che sfogava la sua frustrazione su poveri alunni innocenti e magari tra questi ci sarebbe stata un'altra Alice Livraghi, che sarebbe diventata anch'essa un'acida e così via. Un circolo vizioso. Forse se avessi organizzato un incontro con il Ghida sarebbe diventata una donna allegra e solare. Era brutta, certo, ma, essendo donna, superava il test del professore di filosofia. Cercavo di stare calma, nonostante mi guardasse se mi volesse sbranare e automaticamente cominciai a indietreggiare.
«Esercizio numero 10» mi disse allungandomi il suo libro.
Lo lessi ma ai miei occhi appariva arabo. Mi grattai la testa guardandomi attorno come un cerbiatto sperduto in cerca di un volontario che mi salvasse, ma tutti, compreso Giulio “the mad” erano impauriti dalla Carla. Scrissi i dati alla lavagna, come prima cosa, lentamente e rendendo i numeri il più ciccioni possibili così da perdere un sacco di tempo.
«Livraghi se continua con questo ritmo la mando al posto con un 2!» sbraitò la frustrata.
«Relax baby!»
Appena mi accorsi di non aver solo pensato la frase che maggiormente adoperavo nella vita comune, mi morsi la lingua. Lo sguardo della sciacallo era incandescente. Parlavo troppo e a sproposito. Le sorrisi, mostrando i denti, mormorando un imbecille Scusi prof. Inutile dire che il resto dell'interrogazione fu un massacro, con domande ignote su argomenti inesistenti, partoriti dalla mente malata della D'Osvalda ed esercizi impossibili perfino per un neolaureato in matematica. Sospirai quando vidi un bel tre panciuto comparire sul libretto. Una macchia indelebile nel mio curriculum scolastico.


«Stai calma Ben!» le dissi mentre la mia amica sosia di Lady Gaga, anche se mora, prendeva a pugni la macchinetta.
«Mi ha fregato i soldi!» si giustificò, prendendola a calci «Stupida macchinetta!» gracchiò poi, sospirando e allontanandosi.
Una delle cose che meno sopportava Benedetta era perdere le sue amate monete per colpa di una macchinetta, tirchia com'era. Spendeva solo per lo stretto necessario e trovava inutile lo shopping. Talmente era attaccata ai soldi che, pur di non spendere la ricarica, mi squillava in modo che io la richiamassi. E io non digerivo affatto questo atteggiamento, ma avevo cominciato a sopportarlo.
Io la seguii a passo svelto verso una meta a me ignota, cercando invano di calmarla. Benedetta si diresse verso le scale percorrendole con velocità. Il mio essere bradipo mi fece perdere la sua scia e per poterle stare dietro caddi dalle scale, prendendo una culata dolorosa e staccandomi un braccio che era rimasto attaccato al corrimano nell'inutile tentativo di rimanere in piedi. Già quella caduta da Paperissima era un'umiliazione abbastanza pesante, soprattutto durante l'intervallo, ma come se non bastasse il destino si divertiva a prendersi gioco di me. In quel momento, in quell'esatto istante, il ragazzo più bello della scuola, il latin lover, il mio sogno proibito, Davide Saronno mi passò accanto, abbracciato alla sua nuova fiamma bionda e riccioluta. Ero una delle tante ragazze innamorate di lui e una delle poche che lui non cagava. Due erano le possibilità: o non sapeva che entrambi popolavamo quel pianeta o mi aveva scambiata per un uomo. Nonostante il mio seno piccolo e quasi inesistente, era chiaro che fossi una ragazza, per cui sicuramente la prima ipotesi era quella più accreditata. Lui frequentava il quinto anno e la prima volta che lo vidi era quando andavo il seconda liceo, durante la giornata sportiva, che giocava a pallavolo. Fu facile scoprire il suo nome, tutti conoscevano Davide Saronno in quella scuola.
Rise, molto probabilmente aveva assistito a tutta quella scena comica. Mi superò e sentì quella specie di Guendalina Blabla chiamarmi sfigata. Stupida oca con il dono della parola! L'unica cosa positiva era che Davide sapeva dell'esistenza di una goffa ragazzina ignorata fino a quel momento. Mi rialzai, sistemandomi i jeans scuri e cercando di pulirmi dal marciume che si annidava in quella scuola. Corsi via, imbarazzata raggiungendo finalmente Benedetta seduta sul muretto che costeggiava la rampa per disabili.
«Dove eri finita?» mi domandò.
«Ho avuto un incidente» deglutii, ripensando alla mia figura di merda
Benedetta annuii e tornò a guardare davanti a sé. Era da quando aveva messo piede in classe che era elettrica. Inizialmente pensavo che la causa fosse l'interrogazione di matematica, ma ora mi stavo ricredendo.
«Si può sapere che hai?» le domandai, quasi scocciata.
«Ho preso un quattro in matematica» cominciò ad elencare. Alzai le sopracciglia. E io cosa avrei dovuto fare per quel tre? Uccidermi?! No, per quello ci avrebbe pensato mia madre «La macchinetta mi ha fregato i soldi e ieri mi sono lasciata con il mio ragazzo!» appoggiò il mento sulle mani sconsolata.
Roteai gli occhi. Perchè, dico e ripeto e sottoscrivo, perchè si finiva sempre a parlare di ragazzi?!
«Mi dispiace» dissi solamente, cercando di mostrarmi interessata. Che potevo sapere io di come si soffriva per la perdita di un amore? Nulla. Ed ero anche la meno consigliabile per consolare un cuore infranto.
In quel momento arrivò anche Claudia, una ragazza del terzo anno amica di Benedetta che conoscevo per corrispondenza, con il suo solito panino delle undici tra le mani.
«Che ti prende Germa?» domandò con voce cupa e roca.
«Mi sono lasciata con Marco!» le rispose «Claudiano!»
Benedetta odiava essere chiamata Germa perchè odiava essere paragonata alla sua sosia. Così aveva coniato il soprannome Claudiano per la sua amica per via della sua voce mascolina. E non aveva tutti i torti. La prima volta che la incontrai ero nel bagno della scuola a fare i bisogni e sentivo Ben parlare con un maschio. Ero sconvolta! Un uomo nel bagno delle donne?! Quando uscii imprecai contro quel ragazzo che era entrato nel nostro bagno chiamandolo maiale. Quando poi domandai dove fosse andato, Claudia alzò la mano facendomi capire che l'uomo in questione era lei. Le mie figure di merda non possono contarsi sulle dita di dieci mani.
«Tempo due settimane ne hai già un altro!» ribattè Claudia ridacchiando.
Benedetta la guardò torva, ma il camionista non aveva tutti i torti. Germa cambiava uomini alla velocità della luce e non riuscivo a capire come lei potesse avere così tanti ragazzi ed io essere a quota zero. Ero molto più carina di lei, almeno con i capelli corti non sembravo un uomo. I misteri della vita.
«Stai per caso insinuando che sono una sgualdrina?» domandò Benedetta stizzita.
«Io non ho insinuato niente» ribattè Claudia con nonchalance.
«Ma lo hai pensato!» la punzecchiò.
L'amica dai capelli rosso fuoco sorrise sorniona, seguita poi a ruota da Benedetta, che le diede un lieve schiaffo sul braccio.
«Lo so che lo sono!» ridacchiò divertita «Ma che ci posso fare se amo il sesso?»
«Come darti torto!» esclamò Claudia, quasi in estasi.
Le guardavo ridere e, poco convinta, mi unii a loro, annuendo come una babbea. In realtà non ero affatto divertita, ma scioccata! Come poteva Benedetta essere così felice di essere considerata una passeggiatrice?! Il sesso rendeva davvero così stupidi? Oppure era così bello da volerne fare in continuazione? Scossi la testa, estraniandomi dai loro discorsi e cominciando a guardare Davide attaccato alla colonna poco distante con me. La mia fantasia volò. Mi immaginavo tra le sue braccia al posto della riccioluta, che mi baciava sensualmente, con le sue mani sulle mie natiche. Mi immedesimai fin troppo nella parte che mi parve di sentire davvero le sue mani sulle mie flaccide chiappe. Ma chi volevo prendere in giro? Era impossibile perfino in una fantasia erotica che Saronno si avvicinasse a me. Non rispecchiavo la sua donna ideale: non avevo un gommone al posto delle labbra, niente tette gonfie e nessun culo alto e sodo. Affranta, sospirai rumorosamente attirando l'attenzione di Benedetta e Claudia che, terminati i loro stupidi discorsi, mi guardarono dubbiose.
«Che sospiro!» commentò Claudia.
«Da innamorata!» aggiunse Benedetta «Sei innamorata?» mi domandò poi con un sorriso malizioso e un sopracciglio alzato.
Sbarrai gli occhi. Che cosa avrei dovuto rispondere? Non volevo apparire una sfigata, così me ne uscii con una sciocchezza enorme.
«In realtà sì» sorrisi imbarazzata, mentre mi maledicevo mentalmente. Anche se tutto sommato non era una vera e propria bugia. In fondo avevo una cotta per Davide.
«Chi è?» domandò con voce stridula Benedetta prendendomi le mani.
Sentii il mio cuore andare a trotto nel petto, era come se avessi una carica di cavalli nel torace. Non potevo dire che ero cotta e stracotta di Davide, sarebbe stato troppo chiaro che era solo un amore platonico. Dovevo dare libero sfogo alla mia fantasia.
«Non lo conosci» mi limitai a dire telegrafica.
«È di questa scuola? Quanti anni ha? Come si chiama? È bello?» partì a raffica Claudia.
La campanella suonò e mentre tornavamo in classe dopo l'intervallo dovetti raccontare tutto. Tutte le bugie. Dicevo le prime cose che mi passavano per la testa, sperando di non dimenticarmele in un futuro.
«Si chiama» deglutii, passando a rassegna qualsiasi nome «E» mi interruppi. Che nome cominciava con quella stupida lettera?! Edmondo, Erasmo «Edoardo»
Mai conosciuto un Edoardo in tutta la mia vita! Avrei potuto scegliere un nome più adatto ad un fidanzato immaginario, sembrava più un nome da nonno!
«Quanti anni ha?» insistette Claudia prima di entrare in classe.
«22» tentennai.
La rossa mi guardò sospettosa con le labbra arricciate come se avesse capito che quelle erano solo menzogne. Poi sorrise raggiante e mi strinse le mani.
«Poi voglio conoscerlo!» squittì, nonostante la voce da camionista.
Le sorrisi mentre lei entrava in classe. Sapevo che mi stavo cacciando in un mare di guai. Presi a camminare velocemente, raggiungendo la nostra aula. Il professor Giusti era già in classe e ci guardò torvo, indicando poi i nostri banchi con un cenno meccanico del mento.
«Ma state insieme?» mi domandò Benedetta mentre il professor Giusti spiegava l'Orlando Furioso.
Che palle le domande! Le odio le odio le odio! Ma una tazza di latte e cavoli tuoi la mattina, no?! Pensai, ma non lo dissi. Non mi piaceva mentire, mai. Ma in questi casi ne andava della mia immagine da adolescente! Se si veniva a scoprire il mio mondo fantastico sarei diventata lo zimbello della scuola. Sospirai, ormai la speranza che lei si fosse dimenticata, svanì.
«Sì, più o meno» mentii.
«Ma è bello?» continuò, disinteressate alle occhiate dell'Umberto Giusti Furioso.
Saperlo!
«Sì, più o meno. C'è di peggio, ma anche di meglio» rimasi sul vaga, in modo da non aver più problemi.
«Come vi siete conosciuti?» continuò imperterrita.
Rotei gli occhi, sbuffando. Lei mi guardò contrariata, arricciando le labbra come era solita fare quando era arrabbiata od offesa per qualcosa.
«Scusa se sono una scocciatura» cominciò irritata «Ma tu non mi racconti mai niente, devo cavarti le informazioni con la forza!»
«Scusa» le dissi.
Benedetta mi accarezzò il braccio e mi sorrise, incitandomi a rispondere alla sua domanda.
«Livraghi, Sago volete anche un tè con dei biscotti?!» domandò arrabbiato Giusti.
«Non sarebbe male» mormorai, dimenticandomi dell'udito da supereroe del professore.
«Non faccia dell'ironia, Livraghi!»
Per il resto della lezione Ben smise di sommergermi di domande stupide. E incomincia ad amare il professor Giusti che mi aveva salvato dalle sue grinfie. Avrei potuto fargli una torta, ma avrei rischiato di avvelenarlo.
Con la voce del professore in sottofondo, mi immersi nuovamente nel mio mondo. Tanto Edoardo, ben presto, avrebbe levato le tende dalla mia mente, come era avvenuto per Nicolò, Sebastiano e Riccardo, i tre miei ex fidanzati senza volto che nessuno, nemmeno io, aveva mai visto. Dovevo trovare una scusa per sbolognarlo, una scusa credibile. Una cosa ardua! Non sapevo perchè due potevano lasciarsi, l'unico che mi veniva in mente era il tradimento ma che palle! Sempre la solita scusa! Non volevo fare la parte della povera ragazza distrutta perchè il suo uomo era andata a letto con un'altra. Bè, per qualche mese avrei finto di avere questo fantomatico fidanzato, ci avrei pensato in seguito.


All'uscita da scuola, cercai di parlare di tutto fuorchè di ragazzi. Trovavo interessante parlare perfino dell'Eredità! Claudia e Benedetta mi assecondarono, stranamente. E camminavo talmente veloce per arrivare il prima possibile nel cortile che mi domandai che fine avesse fatto l'altra parte di me, ossia il bradipo che quando ero piccola si era insinuato nel mio corpo e lo usava come dimora. Sorrisi sgargiante quando arrivammo davanti allo scooter di Ben, almeno mi sarei liberata di lei per un po'.
«Ciao ragazze» ci salutò indossando il casco «Ci sentiamo su Facebook»
«Ok» dissi «Ciao Germa!»
Lei mi fulminò con lo sguardo e io le feci la linguaccia. Poco dopo anche Claudiano mi abbandonò salendo sulla macchina di suo padre che tutti i santi giorni la riaccompagnava a casa. Anche io volevo andare in auto, e invece ero costretta a prendere quel lurido vasetto di sarde, meglio nota come Linea 30.
Raggiunsi la fermata sull'altro marciapiede insieme ad un'altra ventina di persone, per lo più appartenenti alle specie di truzzi e bimbeminkia. Di loro non conoscevo nessuno, se non Davide, anche se non personalmente, con lo zaino portato su una spalla che rideva insieme ai suoi amici. Mi incantai nel guardarlo in tutta la sua statuaria bellezza. Adoravo i suoi capelli neri e quella barba da uomo vissuto. I suoi occhi azzurri come il mare mi trafissero e cominciò a ridere, sicuramente mi aveva riconosciuta nella ragazzina goffa che aveva creato un cratere nelle scale. Nascosi il viso sotto la sciarpa, troppo imbarazzata in quel momento per continuare a camminare a faccia scoperta.
Ballonzolavo, cercando di ricavare calore. Faceva troppo freddo per i miei gusti, lo odiavo, a meno che non nevicava. Il gelo con la neve era tutt'altra storia. Senza di essa, non aveva motivo di esistere. L'autobus arrivò poco dopo, già quasi completamente colmo di gente. Respirai profondamente, pronta ad affrontare quell'ennesimo viaggio come una sardina.
«Alice!» sentii urlare, ma non mi voltai. Sicuramente si stavano rivolgendo ad un'altra Alice. Io non conoscevo praticamente nessuno di quella scuola.
«Alice Livraghi!» cantilenò la stessa voce di prima, in tono scocciato.
Sbuffai e mi voltai a destra e a sinistra vedendo un ragazzo seduto sul sedile che sventolava una mano. Mi feci strada tra la folla cercando di non essere vittima della forza centripeta, ma, ovviamente non avvenne. Rischiai di cadere più volte, sbattendo anche contro Davide.
«Scu-scusa» balbettai.
«Dovresti stare più attenta» mi disse con un sorriso, la prima volta che sentivo la sua meravigliosa voce.
Boccheggiai, sentendo che stranamente l'aria fredda di Gennaio stava diventando ardente. Cercai di fare un mezzo sorriso, ma credo che ne uscì una smorfia ridicola. Mi allontanai da lui e raggiunsi finalmente il ragazzo biondo che mi aveva chiamato, sedendomi al posto della sua cartella che occupava il sedile accanto a lui.
«Fede!» esclamai, abbracciandolo, riconoscendolo solo in quel momento. Non avrei mai potuto dimenticare i suoi biondi capelli ribelli. Federico Abbate era stato un mio compagno delle medie, lo avevo considerato il mio migliore amico finchè le nostre strade non si erano divise per via del liceo. Erano quasi cinque anni che non lo vedevo né lo sentivo e mi fece piacere ritrovarlo su quell'autobus. Cambiato, notevolmente cambiato, a partire da quelle spalle larghe che portarono la mia mente a fare dei pensieri impuri.
«Sei...» mi interruppi per guardarlo con un sorriso e gli occhi stupiti. Federico si passò una mano tra i capelli con fare da figo, credendo che gli avrei detto che era diventato l'uomo più bello del mondo, ma non era affatto così «Sei uguale a Ibra!» esclamai.
Mi guardò con gli occhi ridotti a due fessure, incrociando la braccia.
«Hai lo stesso naso!» lo indicai eccitata.
Federico si passò le dita su quella canappia che si ritrovava in mezzo alla faccia e mi guardò torvo. Io gli sorrisi dolcemente, una sorta di perdono che lui accettò sorridendomi di rimando, scuotendo la testa.
«Allora, come va la scuola?» mi domandò, cambiando argomento.
«A parte che oggi ho preso un 3, per il resto va bene» alzai le spalle «Tu?»
«Abbastanza bene» rispose.
Entrambi frequentavamo il liceo scientifico, solo che lui aveva preferito quello di Milano. Dico, perchè mai farsi il mazzo mezz'ora tra autobus e metropolitana per andare ad un liceo che c'era anche vicino al nostro paese? Quando lo venni a sapere, mi infuriai con lui e chiusi qualsiasi rapporto. Sono un tipo che serba rancore e quel gesto lo avevo vissuto come una sorta di abbandono. Avrei voluto condividere con lui l'ebbrezza del liceo.
«Ti sei fatto di steroidi per diventare così grande e muscoloso?» gli chiesi poi, squadrandolo da capo a piedi. Aveva le gambe talmente lunghe che faceva fatica a stare seduto in quel sedile stretto. Lui scoppiò a ridere, anche se la mia domanda non era una battuta ma un vero e proprio dubbio. Anche perchè me lo ricordavo basso e rachitico.
«No! Ho cominciato a fare sport» spiegò con un sorriso, facendo diventare la sua bocca più larga di quanto già non fosse. Sport, una parola sconosciuta alle mie orecchie pigre.
«Cioè?» domandai curiosa.
«Nuoto»
Un'altra parola assente nel mio vocabolario. Ero impedita in acqua, tanto che in piscina, per non annegare, andavo in quella dei bambini o evitavo di entrare.
Ci fu un momento in cui nessuno dei due parlò, un silenzio che quasi mi imbarazzava.
«Sei ancora arrabbiata con me?» mi prese alla sprovvista con quella domanda e soprattutto con quegli occhi color nocciola che sembravano quelli di un cucciolo. Incrociai le braccia, mettendo il broncio, osservando il suo sorriso spegnersi piano piano.
«Ma no!» esclamai sorridendo «Sono passati cinque anni! Anche se ancora non riesco a capire perchè hai scelto un liceo a Milano, nonostante ce ne fosse uno a pochi chilometri da casa tua» il mio tono divenne brusco.
«Mi sembra che tu non abbia ancora superato questo abbandono» fece le virgolette ad una parola che avevo usato io durante il nostro ultimo incontro, quando litigammo. Le virgolette mi irritavano e lui lo sapeva. Se se lo ricordava.
«Non sono arrabbiata!» continuai con voce stridula «È solo che pensavo che tu tenessi a me!»
«Andiamo!» sbottò lui, sbattendo la sua enorme mano sul ginocchio. Un suo schiaffo ti avrebbe mandato all'altro mondo a fare tanti saluti al Creatore «È solo un liceo! E se tu tenevi tanto a me, mi avresti cercato. Abitiamo vicini, ricordi?!» mi punzecchiò acido.
«Nemmeno tu mi hai cercata! Abitiamo vicini, ricordi?!» sorrisi soddisfatta.
Lui mi fulminò, scuotendo la testa e cominciando a guardare fuori dal finestrino. Non era stati certo il massimo incontrarsi nuovamente dopo cinque anni con un dialogo del genere. Incrociai le braccia al petto, lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata per vedere che cosa stesse facendo: ripeteva esattamente le mie mosse. Sorrisi quando i nostri occhi che erano tutt'altro che arrabbiati si incrociarono e lui fece lo stesso, facendomi poi un buffetto sulla guancia. Mi era mancato. Tanto.
L'autobus, arrivato all'altezza di via Cavour, svoltò avviandosi verso la mia fermata.
«Potresti prenotare la fermata?» domandai a Federico «Con il naso dovresti arrivarci» ridacchiai, indicando il pulsante sul palo di fronte a noi. Lui mi guardò offeso, indicandomi quello che aveva poco sopra la testa. Cavoli, però, un po' di autoironia non guasterebbe! Anche se io sono la prima a non ridere di me stessa, soprattutto quando mi si fa notare che ho la cellulite. Sbuffai contrariata, alzandomi e facendomi strada per arrivare allo sportello, seguita a ruota da Federico che scese alla mia stessa fermata.
Sollevai la testa guardandolo incredula, accorgendomi solo in quel momento di quanto fosse alto. E mi sentivo a disagio a camminargli accanto. Nemmeno con un tacco dodici avrei raggiunto la sua statura.
«Quanto cavolo sei alto?!» esclamai incredula.
«1.94» rispose, passandosi una mano tra i capelli biondi.
«Mi presti un po' di gambe?» ridacchiai.
«Volentieri!» esclamò lui ridendo con me.
Mi cinse una spalla spingendomi verso di lui. Il mio cuore guizzò a quel contatto. Non ero mai stata così vicina ad un ragazzo, escluso mio fratello flatulento e mio padre. Annaspavo, ma cercavo di non darlo a vedere.
«Mi sei mancata» mi confidò avvicinandosi al mio orecchio.
«Anche tu» ammisi imbarazzata.
«E scusami per prima» continuò, schioccandomi un bacio sulla guancia.
Sentivo caldo, tanto caldo, troppo. Quel contatto con un essere del mio sesso opposto cominciava a imbarazzarmi troppo e rischiava di farmi venire un attacco di cuore. Non volevo di certo morire ad un passo dai diciotto anni e soprattutto vergine! Lo spinsi via, ridendo, sentendo finalmente che l'aria cominciava a rifluire.
«Stammi lontano che mi fai sentire una nana!» esclamai, accelerando il passo. Ma, ovviamente, non servì a nulla perchè con le gambe lunghe che si ritrovava, Federico mi raggiunse in un secondo.
«Ma tu sei nana!» ribattè passandomi una mano tra i capelli e scompigliandoli.
Arricciai il naso, facendogli una linguaccia e cercando di ricomporre la mia zazzera mossa e di ridargli una forma decente. Alla scuola media, le nostre strade erano destinate a dividersi nuovamente. Già sapevo che non lo avrei rivisto mai più dopo averlo salutato, se non magari tra altri cinque anni. Una cosa che proprio non mi riusciva era mantenere le amicizie, anche se c'era stato quel riavvicinamento inaspettato e infuocato.
«Ci vediamo!» mi disse salutandomi con la mano. Io risposi sventolando la mia, guardandolo tristemente entrare in un piccolo viottolo che lo conduceva a casa.
Sospirai mentre sfregavo i piedi sullo zerbino prima di entrare in casa. Mia madre era una fissata: se non ti pulivi le suole potevi startene fuori sul pianerottolo a dormire comodamente sul tappetino pungente.
«Sono a casa!» esclamai, appoggiando lo zaino e togliendomi la giacca.
Milky, il mio gatto bianco e morbidoso, si strofinò sulle gambe lasciandomi palle di pelo grosse come arance sui pantaloni neri.
«Ciao» una risposta svogliata provenne dal bagno da cui, poco dopo, uscì il mio fratellone-barile, occhialuto e con l'alito di cipolle, vestito solo con un paio di pantaloni, mostrandomi la pancia flaccida e le braccia tatuate. I tatuaggi per lui erano come una droga. Aveva fatto il primo a 14 anni di nascosto dai miei genitori e, ancora adesso, a 23 anni continuava a pitturarsi il corpo. Un uomo che mi faceva perdere la voglia di trovare un fidanzato. Si chiamava Raffaele, ma io preferivo Smell. Era iscritto a Farmacia, ma erano più le volte che stava a casa che in università.
«Come è andata?» mi domandò anche se non era per nulla interessato.
«Insomma» alzai le sopracciglia «Ho preso 3 in matematica»
«Somaro, somaro!» mi insultò, imitando il verso dell'asino.
«Vorrei ricordarti, Smell, che tu avevi NC in matematica» sorrisi vittoriosa quando lo vidi farsi serio.
«Il pranzo è sul tavolo» disse scocciato, grattandosi l'ombelico.
Lo guardai allontanarsi schifata andando poi in cucina dove vidi il mio pasto reale che giaceva sul tavolo: uno stupido panino al latte con una misera fetta di prosciutto cotto. Voleva per caso farmi morire di fame?! Lo sollevai scoprendo un biglietto scritto con l'orrenda calligrafia di Smell.

La tua linea mi ringrazierà :)

Appallottolai quel foglio più volte, buttandolo a terra e calpestandolo violentemente. Odioso e stupido fratello! Afferrai il panino e ne presi un morso. Inutile dire che ne divorai metà. Mi misi davanti alla porta di Raffaele sulla quale c'era un teschio con sotto scritto Keep out. Quell'allarme era per avvisare della puzza che aleggiava in quella stanza, puzza di fumo e chissà cos'altro.
«Quello ciccione sei tu non io!» urlai, sorridendo poi compiaciuta alla porta.
Entrai poi nella mia bellissima camera insieme al mio gatto. Era piccola, ma confortevole ed era colorata con tutte le sfumature del rosa, il mio colore preferito. Mi spogliai, indossando la tuta, la bellissima e comodissima tuta, spaparanzandomi sulla sedia girevole davanti alla scrivania e accesi il computer. Nell'attesa che caricava girai su me stessa, cosa che adoravo fare, anche se dopo sembrava che mi fosse scolata due bottiglie di vodka. Non che io mi sia mai ubriacata, ma credo che più o meno ci si debba sentire così, con la testa che piroetta e lo stomaco che vuole schizzare fuori.
Il mio appuntamento giornaliero con internet mi aspettava. La prima cosa che feci era accedere a Facebook, anche se già sapevo che non avrei fatto nulla se non parlare con Germa. Ma mi stupii per la richiesta di amicizia che mi era arrivata.
Federico Abbate voleva essere mio amico.
Sorrisi stupidamente vedendo la foto del profilo di Fede, lui a petto nudo - e che petto- con dietro il mare azzurro a fargli da sfondo. Non era bellissimo, anzi, tutt'altro, ma aveva un corpo dannatamente bello. Controllai il suo status: single. E la cosa mi rendeva estremamente felice.



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Buona domenica a tutti!
Allora per prima cosa devo dire che non mi aspettavo un successo tale per un corto e scarno prologo! Davvero, sono senza parole! Grazie di cuore ♥
Spero che i capitoli non vi deluderanno e che rispecchino le vostre aspettative!
Come avevo annunciato il capitolo è abbastanza corposo, spero non troppo. Se lo ritenete troppo lungo ditemelo che nei prossimi cercherò di farli più corti.
Siamo entrati nel mondo di Alice, molto lentamente perchè è una ragazza molto sensibile. Abbiamo avuto anche un piccolo stralcio dei vari protagonisti che si avvicenderanno in questa storia. E Alice ha già detto la bugia che le sconvolgerà l'esistenza, ossia di avere questo fantomatico fidanzato di nome Edoardo.
Passiamo ai ringraziamenti.
GRAZIE a pickwick, caramellina 20 e smilenii per la loro recensione.
GRAZIE a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
GRAZIE a chi ha letto solamente e siete in molti :)
Poi, vi ricordo che se volete avere un'idea di come mi sono immaginata i personaggi li troverete nel mio profilo. Ovviamente, voi potete dar loro il viso che preferite.
Un bacio a tutti, Manu ♥

   
 
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