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Autore: ferao    09/04/2011    10 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Sangue





Percy osservò perplesso la pergamena col simbolo del Ministero che Adams gli aveva consegnato.
- Perché dovreste comparire davanti alla Commissione? Vi sono forse arrivati i questionari?
- No. A quanto abbiamo capito, queste convocazioni sono arrivate anche ad altri dipendenti, tra quelli rimasti intendo… - rispose Adams con amarezza.
- Credo sia collegato a questo, allora. - Percy gli porse il documento che aveva finito di rileggere in ascensore. - Adesso per i dipendenti ministeriali richiedono quattro generazioni di Purosangue.
- Quattro?! Ma… Ma è quasi impossibile! - esclamò Adams inorridito, gli occhi fuori dalle orbite. - Cos’è, vogliono forse che il Ministero si svuoti? È… Diavolo, è folle…
Scosse il capo più volte, incredulo.
- E… E hanno chiamato anche te?
- No. Forse a voi è arrivata la convocazione perché i vostri casi sono dubbi…
- Dubbi?! - gridò Adams, saltando in piedi. - Devono solo… solo osare a…
Tacque di botto, come preso da un’idea. Si fece restituire la convocazione e la rilesse attentamente; quando si soffermò su una riga, qualcosa gli si ruppe dentro.
- Hai ragione, capo - esalò, con un tremito. - Il mio caso è dubbio.
Ricadde sulla sedia, e nascose il viso tra le mani.
- Ma… Ma tu puoi dimostrare di essere Purosangue, vero? Voglio dire…
- Sì, posso. Il mio albero genealogico è perfetto fino a sei generazioni fa.
- E allora cosa…
- Preferirei non parlarne ora, capo. Dopo.
Poi tacque, tenendo sempre il viso tra le mani. Percy rinunciò a fargli qualsiasi domanda.
In tutto ciò, Audrey aveva taciuto; il suo sguardo era rivolto verso un punto imprecisato del pavimento. Percy se ne accorse.
- Audrey… Ti senti bene?
La ragazza serrò gli occhi e digrignò i denti. Di tante cose che avresti potuto dire, Percy Weasley, hai scelto la più inutile e la più stupida.
No che non mi sento bene, cazzo.
Sono fottuta.
Sono morta.
- Ehi…
Riaprì gli occhi, e rivolse uno sguardo vacuo al suo compagno.
- No, non sto bene. Non sto bene per niente.
Sospirò, mentre Percy aggrottava le sopracciglia.
- Sei preoccupata? Ma vedrai che…
- Perce… Te ne sei dimenticato? Io non ho un albero genealogico.
 
Percy sgranò gli occhi, mentre la sua mente elaborava all’istante le possibili conseguenze di quell’affermazione.
Diamine, se ne era scordato: i Bennet non avevano un albero genealogico; c’era stata un’interruzione, nel passaggio dai Saknussem alla famiglia attuale, e quella interruzione rendeva impossibile per Roman (e adesso anche per Audrey) dimostrare di essere discendente di maghi e non di Babbani.
Cavolo.
Oh cazzo.
- Non ho un albero - continuò Audrey, con voce incolore. - Tutto quello che ho è un cognome Babbano, un fottuto cognome Babbano di cui sono sempre andata fiera. Evidentemente la signora Umbridge si ricorda della nostra conversazione a Natale, anche se deve essersi scordata del fatto che le ho detto chiaramente che mio padre era Purosangue…
Anche Adams la stava guardando, adesso.
Audrey era davvero nei guai, in guai enormi. La Umbridge e la Commissione non andavano tanto leggeri con le persone che convocavano: presentarsi a loro senza un albero genealogico, poi, equivaleva a una condanna.
Equivaleva ad Azkaban. Con tutto ciò che questo comportava.
- Ma… - balbettò Percy, mentre una paura mai provata prima si impadroniva di lui. - Ma… vedrai che… Insomma, puoi dimostrarlo in altro modo, no? Tu… Tu sei una strega, e… e…
- Anche i Nati Babbani e i Mezzosangue sono maghi e streghe, - mormorò Adams, - ma questo non è bastato…
Schiaffò con gesto rabbioso la convocazione sul tavolo di fronte a sé, mentre gli occhi vuoti di Audrey tornavano a rivolgersi verso il pavimento.
Percy si sentì stringere le viscere da dieci mani: avrebbe voluto provare a confortarla, a dirle che sarebbe andato tutto bene, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe stato così, e questa certezza lo stava uccidendo.
Per l’ennesima volta si sentì impotente, debole, incapace. Non sapeva cosa fare, non sapeva cosa dire…
Avrebbe voluto almeno riaccendere una scintilla negli occhi di Audrey, quegli occhi così belli e così paurosamente vuoti. Lesse di nuovo la convocazione a giudizio dei suoi dipendenti, e disse la prima, stupida cosa che gli venne in mente.
- È vero - domandò, - che ti chiami Gioràn?
Sentendo storpiare il proprio secondo nome, Audrey si rianimò, riacquistando un po’ del suo spirito. Sobbalzò e rivolse un’occhiataccia a Percy.
- Si pronuncia Iòran - rispose pronta. Lo aveva detto decine di volte, nella sua vita, a decine di persone diverse.
Ma ti pare… Stupidi inglesi, come fanno a trasformare “Jorunn” in “Gioràn”?! Santo cielo…
- Ah… Scusa… è che non l’ho mai sentito prima…
- Lo so. Lo sbagliano tutti. Voi inglesi avete questa irritante tendenza a pronunciare le parole straniere a modo vostro…
Eccola lì, la sua Audrey. Combattiva e permalosa se le toccavi le sue origini nordiche.
Percy tirò un sospiro di sollievo. Sei tornata. Meno male.
- Hai ragione, scusami… - continuò, visto che quell’argomento la faceva reagire. - Però ammetterai che è un nome insolito. Voglio dire, non sembri un tipo da… da Jorunn
- Non prendermi in giro, - ribatté la ragazza, piccata, - è un nome norvegese bellissimo. La nonna Saknussem si chiamava così. - Sorrise debolmente. - Zio Roman dice che ho i suoi occhi…
Un’altra stretta alle viscere. Merlino, come poteva fare per aiutarla?
Doveva farlo; non c’erano discussioni. Come vivere senza di lei, altrimenti?
Se già si sentiva morire vedendo i suoi occhi - gli occhi di Jorunn Saknussem - spenti dalla disperazione, come poteva sopportare di saperla ad Azkaban?
 
 
Per un bel po’ tutti e tre rimasero in silenzio. Adams e Audrey mantenevano un silenzio desolato, mentre Percy pensava febbrilmente a un modo per aiutare la ragazza.
Niente albero, niente prove; cosa faccio?
Cosa mi invento?
Però aspetta… Norvegia… Norvegia… Nor…
E se magari… Ma se…
Ma sì!
Si sbatté una mano in fronte, così forte che rischiò di rompersi gli occhiali e fece saltare sia Audrey che Adams.
Percy, sei un super imbecille. Super, super imbecille.
Un Vermicolo avrebbe molto più buonsenso, porca Circe.
- Ho un’idea.
- L’avevamo capito… - mormorò Adams.
- Cavolo, che cretino. Io… Io ci lavoravo, diamine, come ho fatto a non pensarci subito?
Continuò a tenersi la mano in fronte, e iniziò a camminare avanti e indietro parlando tra sé.
- Di sicuro lei… Se poi le dico che… Altrimenti… Cavolo, lei è norvegese… Lo farà, sicuro… Attestato… Giorno… Non ci vorrà mica un mese…
Nonostante il momento non fosse esattamente dei più distesi, vedere Percy blaterare e girare per l’archivio con la mano sulla fronte e gli occhiali storti produsse un effetto irresistibilmente comico su Adams e Audrey.
- Fa sempre così, quando ha un’idea? - bisbigliò Adams, trattenendo una risata.
- Non lo so, è la prima volta che assisto a una scena del genere… - rispose Audrey, allibita.
- Sul serio?
- Sì.
- Pensavo che dopo cinque mesi di convivenza si imparasse tutto su una persona…
- Non quando convivi con lui.
Adams annuì comprensivo, mentre Percy, finalmente, si fermava.
- Ho un’idea - ripeté.
- Fin qui ci eravamo arrivati…
- Sapete dove lavoravo, prima di arrivare qui? Al Dipartimento per la Cooperazione Magica Internazionale! - esclamò Percy, senza badare ad Adams. Questi e Audrey lo fissarono, senza capire.
- E… allora?
- E allora, Bennet, hai davanti a te uno dei pochi che possono ancora avere qualche contatto col Ministero della Magia norvegese. - Prese fiato. - Qualche anno fa ho… fatto un favore a una che lavora lì…
Altro che favore… Se lo sapessero, forse, ci ingabbierebbero a vita… Ehm! Controllati!
- … e posso chiederle di darmi una mano. Posso provare a farti pervenire l’albero dei Saknussem e…
- E poi?! - strillò Audrey. - Cosa succederà, poi? Quel fottuto albero dice solo che Roman e Klaus sono figli di Eivind e Jorunn, ma non c’è scritto da nessuna parte che io sia una Saknussem!
- Beh, intanto è un punto di partenza - commentò Adams, interessato. - Credo sia una buona idea, capo; fatti mandare l’albero, poi vedremo di inventarci qualcosa.
- Inventarci?! Ma siete impazziti, voi due?!
Audrey iniziava a infuriarsi. Se Lucy Bennet fosse stata lì, avrebbe potuto notare che sua figlia stava entrando a tempo di record nella fase Banshee.
- Ma non vi rendete conto di quanto sia pericoloso, dannazione? Gli alberi genealogici che conserviamo in archivio sono proprietà dei Ministeri, non possono essere presi e mandati da un Paese all’altro così! Si rischia la galera, cazzo! Voi… Voi non vi metterete nei guai per me! Tu non ti metterai nei guai per me, idiota! - strillò puntando il dito contro Percy. - E tu - il dito fu puntato verso Adams, - non lo asseconderai, è chiaro?
I due uomini la fissarono, basiti, mentre Audrey raccoglieva le sue cose e usciva dall’archivio, furibonda.
 
- Che… diavolo le è preso?
- Credo sia solo spaventata, capo.
Percy rimase a fissare la porta da cui Audrey era uscita, disorientato.
- Io… Io… Non capisco, è tutto quello che posso fare per lei, non…
- Infatti secondo me è un’ottima idea. - Adams si appoggiò alla scrivania, e Percy lo imitò andandogli accanto.
- Però Audrey ha ragione. È rischioso. E se poi non sappiamo che farcene dell’albero genealogico incompleto?
Adams tacque. Lui aveva la soluzione, naturalmente, ma la cura poteva essere peggiore del male.
- Tu… potresti sempre Garantire.
- Cosa?
- Non hai mai studiato Magisprudenza, vero?
- Mi sarebbe piaciuto, ma non avevo i mezzi…
- La Garanzia - spiegò Adams, - è un istituto piuttosto antico, e poco usato: consiste nella possibilità, per una persona del Ministero, di dare la propria parola riguardo alla situazione di un soggetto, se la posizione di questi è dubbia. Sarebbe proprio il caso di Audrey, se ci pensi…
- Quindi si Garantisce quando…
- Quando non ci sono prove, esatto. La Garanzia serve, in soldoni, a prendere tempo per continuare a cercare le prove in difesa dell’accusato. Sembra semplice - aggiunse Adams, mentre il viso di Percy si rischiarava,- ma spesso è solo una trappola: il Garante si gioca la faccia e la reputazione, e se nel tempo stabilito non riesce a dimostrare che la persona su cui ha posto la Garanzia è effettivamente innocente… Beh… Diciamo che le conseguenze non sono tra le più rosee, ecco. Per questo viene usata solo in casi estremi.
Casi estremi, reputazione. Al diavolo.
Se parlava subito con Grete lei poteva attivarsi, e se non ce l’avesse fatta entro il diciotto settembre avrebbe potuto comunque guadagnare tempo…
Ebbe per un breve istante l’impulso di abbracciare Adams. Come avrebbe fatto senza di lui? Era così calmo, così ragionevole, così pieno di risorse…
Ed era anche lui nei guai; Percy se ne ricordò all’improvviso.
- Adams, adesso puoi dirmi perché anche il tuo caso sarebbe dubbio? Tu hai un albero genealogico…
Adams strinse i denti. Non avrebbe mai voluto affrontare quell’argomento; se lo avesse fatto sarebbe piombato nella paura e nello sconforto.
D’altronde, però, quel ragazzo aveva tutto il diritto di sapere.
- Il mio caso non riguarda lo stato di sangue, capo.
Alzò gli occhi tristi su Percy. - Leggi meglio la convocazione.
Percy ubbidì, ma non ci trovò niente di strano; finché i suoi occhi non tornarono sulla stessa riga che aveva colpito Adams.
Oh cavolo… Ma come…
- Tu… - sussurrò. - Tu credi che sia per…
- Inizio a crederlo, sì.
- Ma… Ma non è possibile, cosa c’entra? Tu… Insomma, non…
- La pulizia, evidentemente, non riguarda solo il sangue. Vogliono che il Ministero sia… privo di imperfezioni.
- Ma… Ma come… come diamine fanno a sapere che…
Si zittì. In fondo, pensò Percy, per quanto fosse stato attento, Scrimgeour sapeva benissimo di lui e Audrey; evidentemente le persone importanti del Ministero avevano un modo per venire a conoscenza di certe cose…
- E… E allora come farai?
Adams sospirò. - Mi inventerò qualcosa.
- Non c’è nulla che io possa fare per te? Voglio dire… Se Garantisco per Audrey posso farlo anche per te, non lascerò che ti mandino ad Azkaban per… per…
- Non puoi farlo.
- Ma certo che posso! Io devo!
- No. Non puoi. - Adams sospirò di nuovo. - Si può usare una sola Garanzia in un giudizio, per uno solo degli imputati.
- E allora?
- La convocazione mia e di Audrey è unica; significa che non si tratta di due processi, ma di uno solo. Quindi, se la matematica non mi inganna, hai una sola Garanzia da giocarti.
Fissò Percy negli occhi. - E se non la usi per Audrey giuro che ti ammazzo, ragazzino.
 
 
 
 
 
Inutile e impotente. Ecco come si sentiva.
Cavolo.
L’idea di non poter aiutare Adams e di non essere sicuro di riuscire ad aiutare Audrey lo stava facendo impazzire.
Cavolo!
Doveva parlare con Grete, e di corsa; avrebbe prima risolto il problema di Audrey, e poi pensato ad Adams.
Per tutta la mattinata Percy dovette rimanere insieme a quest’ultimo al Ministero; la ragazza invece non si fece più viva, se ne era tornata dritta a casa tanto era furibonda (o meglio, come diceva Adams, spaventata).
Alla sera, finalmente, Percy riuscì a trovare il modo di comunicare con la sua collega norvegese. Non potendo usare il camino di casa sua, perché Audrey si sarebbe sicuramente opposta, prese in prestito quello di Adams.
Non si soffermò a osservare l’arredamento della casa, come avrebbe fatto solo un paio di mesi prima: si diresse dritto verso il camino, mentre Adams si piazzava pochi passi dietro di lui, curioso.
- Signora Skjalgsson? È in casa?
Nessuna risposta. Percy provò di nuovo, un po’ più forte. - Grete?
Finalmente, nel fuoco comparve il viso di Grete Skjalgsson, una bella signora bionda sulla quarantina.
- Faen! Chi è adesso? - chiese, un po’ scocciata.
- Scusi se la disturbo, signora Skjalgsson…
La donna strinse un po’ gli occhi, poi sorrise nel riconoscerlo.
- Ah, god kveld! Tu sei…
- Percy Weasley, del Ministero della Magia inglese. Si… ehm… ricorda di me? Ci siamo conosciuti tre anni fa, a Belfast…
- Come non ricordo di te? - rise la donna, parlando a fatica in inglese. - Era il convegno di febbraio per modifica di trattato sulle importazioni, ja?
- Proprio quello. Lei ha un’ottima memoria, signora Skjalgsson.
Speriamo di no! Non potrà mica ricordarsi anche di quello…
Grete sorrise di nuovo, ma stavolta era un sorriso malizioso al massimo grado.
- Grazie, ma memoria non c’entra. Non posso mica scordarmi di piccolo inglese che veniva a rimboccarmi le coperte la notte…
Percy sentì che tutto il sangue nel suo corpo abbandonava membra e organi e si trasferiva nel viso e nelle orecchie. Non aveva valutato quanto sarebbe stato imbarazzante parlare di nuovo con Grete, dopo quello che era successo tre anni prima.
In fondo, era stato solo un errore di gioventù, diamine; capita a tutti!
Certo, di sicuro capita a ogni diciottenne di andare a letto per quattro notti di fila con una delegata del Ministero norvegese col doppio degli anni…
Sentì che Adams si stava producendo in un attacco di tosse eccessivamente rumoroso, ma gli fu grato lo stesso per quel piccolo gesto di discrezione. Capo, io non so niente, non ho sentito niente, non sono nemmeno qui.
Anche Grete si accorse del suo imbarazzo, e scoppiò in una grossa risata. - Scusa, lille, dimenticavo che voi inglesi siete poco dins… disb… dibis… non so parola…
- Disinibiti? - tentò Adams, istintivamente. Fu fulminato da un’occhiataccia di Percy, e decise di allontanarsi fischiettando.
- Ja, quello. Comunque, perché mi dai del lei e hai testa in mio camino? Successo qualcosa?
- Sì, Grete; ho bisogno di un aiuto da parte tua.
- Riguarda cosa state facendo con Nati Babbani? - Grete divenne seria. - Sai che mio Ministero vuole chiudere le frontiere con Regno Unito? Tra pochi giorni neanche potremo inviare né ricevere posta. Che combinate lì?
- Posso dirti la versione ufficiale, non quella ufficiosa, purtroppo. Ad ogni modo, ho un serio problema e speravo potessi aiutarmi.
- Se posso farò, kjære. Dimmi.
- La mia compagna è stata convocata in giudizio e deve presentare l’albero genealogico…
- Ma chi, Penelope?
- No, no. Ora sto con un’altra… è mezza norvegese, tra l’altro, e…
- Sapevo che tu preferivi norvegesi! - rise Grete. - Si vedeva come ti piacevano, tre anni fa…
- Grete, per favore! - emise Percy, di nuovo in imbarazzo. Un nuovo colpo di tosse di Adams giunse dal fondo della stanza.
- Scusa, lille. Allora?
- Suo padre è stato adottato dai Babbani, e non riusciamo a farlo risalire ai suoi veri genitori. Mi servirebbe il suo albero genealogico, o almeno una copia; si trova nel tuo Ministero.
Grete si irrigidì. - Tu vuoi che… prendo un albero? Ma…
- Lo so, lo so che è difficile e rischioso, e se non vuoi farlo lo capisco. Ma… Se non lo presenta, Audrey, voglio dire, la mia compagna finirà in galera senza possibilità di repliche. Ti prego, Grete.
La donna rimase in silenzio, pensierosa. - Facciamo così: adesso sono in compagnia di un idiotisk che lavora in archivio, posso convincere lui di aiutarmi. Però non so quanto ci vorrà. Quando è il giudizio?
- Il diciotto settembre.
Grete storse il naso. - Troppo poco. Serve tempo, e non so nemmeno se riesco a spedirlo. Però provo, okay?
- Va benissimo, Grete. Takk.
- Di nulla. Come è cognome?
- Saknussem. Devo risalire a Eivind e Jorunn Saknussem. Il padre di Audrey si chiamava Klaus e ha un fratello, Roman.
- Saknussem. Godt. Ti faccio sapere.
- Grazie davvero, Grete, grazie infinite…
- Non ringraziare, elskede. Faccio in nome della nostra vecchia amicizia - e stavolta Grete gli sorrise senza malizia.
 
Finito che ebbe di parlare con Grete, Percy si volse a guardare Adams. Quest’ultimo sembrava molto interessato al soffitto di casa sua.
Adams conosceva benissimo se stesso; sapeva che, se avesse guardato Percy in faccia in quel momento, la battuta sarebbe uscita spontaneamente dalle sue labbra senza che potesse farci nulla.
Capo, lei ha proprio uno strano concetto di “cooperazione internazionale” …
Sì, gli avrebbe dato del lei, per aumentare l’effetto comico e l’imbarazzo del ragazzino.
Visto però che il momento non era proprio tra i più adatti, seguitò saggiamente ad osservare il soffitto.
- Adams… - ruggì Percy, cercando di suonare minaccioso - Tu non sai niente, chiaro?
- Niente di cosa? - domandò Adams indifferente.
- Lo sai, di cosa.
- So di non sapere, capo.
Percy non colse la citazione, per cui si limitò ad annuire; dopodiché uscì di corsa, le orecchie in fiamme.
Merlino, quanto era imbarazzante!
 
 
 
Grete non si fece viva prima del diciotto settembre; ciò contribuì ad aumentare la tensione di Percy, e non solo.
Più la data del giudizio si avvicinava, più Audrey diventava irrequieta e intrattabile. Era talmente tesa che aveva iniziato a vomitare tutte le mattine, e soffriva ormai di continui mal di testa; tanto che alla fine Percy riuscì a convincerla ad andare a farsi visitare da Rhett (Guaritore come suo padre) e a farsi dare qualcosa per combattere quell’ansia continua.
Anche Percy era nervoso, nervosissimo, ma cercava di non darlo a vedere; se Audrey non riusciva ad essere forte doveva provare ad esserlo almeno lui. Come poteva sperare di aiutarla, altrimenti?
Voi direte: ma il cuore d’asino? Beh… Grazie al cielo se n’è dimenticato, per ora.
Anche Adams faceva come lui: se era teso, in quei giorni, non lo diede affatto a vedere; sembrava solo un po’ più pallido del normale, per il resto era il solito Adams, disponibile, gentile e affabile.
Ogni tanto, però, qualcosa si spegneva dentro ai suoi occhi, e d’improvviso non sembrava più lui, ma una brutta copia di se stesso, come un sosia o un manichino che lo imitasse.
Aveva paura, Adams; aveva paura per sé, e aveva paura per Audrey.
Fu uno strano triangolo, quello tra Percy, Audrey e Adams prima del diciotto settembre: ciascuno temeva per se stesso o per gli altri, o entrambe le cose.
Solo Audrey iniziò ad avere più paura degli altri, dopo che Rhett l’ebbe visitata.
Una paura estrema.
 
 
- Hai detto che vomiti? - aveva chiesto Rhett.
- Tutte le mattine.
- E i mal di testa? Sono continui?
- Praticamente sì. Prendo l’aspirina, ma non basta.
- Aud, quando la smetterai di usare medicine Babbane?
- Quando smetteranno di farmi effetto…
Rhett aveva sospirato, poi le aveva prescritto una pozione. Prima di firmare la ricetta però si era bloccato, colpito al volo da un’intuizione.
- Senti… Come va tra te e Percy?
Audrey lo aveva guardato stranita. - Perché?
- Tu rispondimi. Allora?
- Beh… Noi… Bene, credo…
- Avete rapporti regolari?
A quella domanda inaspettata la ragazza aveva spalancato gli occhi, avvampando.
- Aud, sono il tuo Guaritore, non tuo cugino. Dunque?
- Noi… Beh… S-sì…
- E immagino che tu usi… contraccettivi Babbani, giusto?
- Scusa, Rhett, vuoi piantarla con queste stupidaggini e dirmi perché mi fai queste domande?
- Aud, secondo te perché ti senti così male?
Audrey aveva avuto un sussulto, a quella domanda. Era più che sicura che i suoi malesseri derivassero dall’ansia per il processo; di questo, però, non aveva parlato con nessuno dei Bennet, e non intendeva farlo neanche con Rhett.
Si era limitata quindi ad alzare le spalle. - Sono un po’ tesa in questo periodo, penso sia per quello. Però sto bene, davvero: è Percy che esagera a preoccuparsi, come al solito…
- Da quant’è che stai così? Che vomiti e hai mal di testa?
Aveva alzato di nuovo le spalle. - Oggi è il quindici, saranno… dieci giorni, undici forse.
Rhett aveva abbassato lo sguardo sul foglio della ricetta, e quando l’aveva rialzato aveva un’espressione stranissima.
- Mi serve un campione di sangue, Aud. E anche uno di urine.
Non serviva una laurea in Guarigione per capire che Rhett aveva qualcosa di ben preciso in mente. Audrey, tuttavia, ci arrivò un po’ tardi, quel giorno. E quando ci arrivò, la sua paura schizzò alle stelle.
Salì ancora più su, quando Rhett confermò che, sì, era quello che pensava.
 
 
Quindici, sedici, diciassette settembre.
Nessuna notizia da Grete; Percy non faceva altro ormai che chiedere continuamente se fosse arrivata posta per lui in ufficio. Aveva seriamente paura che la Norvegia avesse già chiuso le frontiere e impedisse le comunicazioni: se così fosse stato, anche Garantire per Audrey sarebbe stato vano, visto che non poteva comunque provare che lei fosse Purosangue da quattro generazioni. Non solo vano, ma ancora più dannoso: sarebbero finiti entrambi ad Azkaban, in quel caso.
Di nuovo quel senso di totale inutilità, di impotenza. Percy non riusciva più a ragionare freddamente: ogni minuto della sua giornata era costellato di preoccupazione per Audrey, per cosa le avrebbero fatto, per cosa lui non avrebbe potuto fare. La ragazza poi sembrava davvero devastata; nei primi giorni riusciva ancora a confortarla, dicendole che sarebbe andato tutto bene, che ci avrebbe pensato lui, ma ormai quelle parole non le bastavano più.
I suoi occhi restavano spenti e vacui tutto il giorno.
Percy avrebbe voluto che lei parlasse almeno con sua madre, Lucy: ma Audrey insisteva a dire che non voleva spaventarla, che stava meglio da sola, che non aveva bisogno di lei…
Come se non sapessi che non è vero. Diamine, Aud…
Sei così diversa da me; perché allora commettiamo gli stessi sbagli?
 
La mattina del diciotto settembre fu la più afosa di quel mese. L’estate dava gli ultimi colpi di coda, e quell’anno c’era stato un caldo insolito a Londra.
Solo Audrey aveva freddo, un freddo tremendo.
Era nell’Atrio, e aspettava Percy appoggiata a una parete, stringendosi addosso una felpa. Come al solito, si erano diretti separatamente al Ministero.
Come al solito. Chissà se succederà ancora?
In quelle due settimane non aveva pensato, nemmeno per un attimo, a quello che sarebbe successo quel giorno. Si era rifiutata di farlo.
Aveva vissuto come in uno stato di semisordità: tutto le arrivava ovattato, irreale.
Chissà se mi faranno stare ancora con te?
Per questo non ne aveva voluto parlare con nessuno, nemmeno con sua madre. Sapeva che, parlandone, quell’incubo sarebbe diventato reale.
Chissà se potremo tornare a casa insieme, di nuovo?
Un incubo, un incubo. Per lei, per Adams. E adesso, anche per quello…
Già. Quello.
Chissà se potrò mai dirtelo?
Chissà che mi dirai?
Adesso che la prospettiva di non tornare più a casa, quel giorno, diventava terribilmente vicina e reale, Audrey si rese conto che non poteva, non poteva andare ad Azkaban. Non poteva.
Perché non aveva ancora avuto il coraggio di dire quella cosa a Percy.
Non gliel’ho detto. Non posso andarmene.
Finalmente intravide Percy in mezzo all’Atrio. Smise di pensare e andò da lui.
 
La strada per le aule giudiziarie era lunga, ma non sembrò mai così breve.
- Dov’è Adams?
- Credo sia già lì ad aspettarci…
- Stai tranquilla, Bennet.
Stai tranquilla. Percy le diceva sempre di stare tranquilla. Ma come, come?
Come faccio a stare tranquilla? Non te l’ho ancora detto…
Scesero i pochi gradini uno davanti all’altra. Nel corridoio c’erano già una decina di persone, molte delle quali erano familiari a Percy: erano fattorini, impiegati, persino un Indicibile… Tutti casi sospetti, tutti lì a cercare di dimostrare una purezza di sangue quasi impossibile.
Percy rabbrividì. C’era qualcosa di strano, lì. Non era la solita sensazione che provava nelle aule giudiziarie, era qualcosa come…
E lo vide.
Sentì Audrey gemere, dietro di sé, e le si mise accanto per stringerle un braccio. Non ci si doveva disperare, davanti ai Dissennatori.
 
Sempre tenendola per un braccio la portò verso le prime sedie disponibili, e la fece sedere accanto a sé.
- Audrey… - mormorò, così piano che solo lei poteva sentirlo.
- Audrey, andrà tutto bene, te lo prometto. Tutto bene…
Lei non lo guardò neanche. I suoi occhi erano sempre vuoti e lontani. Si risvegliò solo quando Percy, ignorando inaspettatamente le occhiate curiose delle persone attorno, le passò un braccio attorno alle spalle.
- Te lo prometto, non ti faranno niente; andrà tutto bene…
Non può più andare bene. Non può.
Diamine, se erano vicini, quei Dissennatori. Ma perché erano lì, perché ce li tenevano?
Sempre col braccio a circondare Audrey, Percy si guardò intorno cercando Adams. Fu però lui a trovare loro: l’uomo li raggiunse di lì a cinque minuti, stringendo convulsamente tra le mani la copia del suo albero genealogico.
- Bello spettacolo, no? - mormorò, accennando con la testa ai Dissennatori. - Perfetto per preparare le persone ai processi… Le persone normali, almeno; e noi non lo siamo, vero, Audrey? Noi siamo migliori.
Audrey fece una piccola smorfia, alzando un angolo della bocca. Adams era davvero un prodigio: nemmeno i Dissennatori riuscivano a piegarlo del tutto. Lei invece…
Il sangue.
Non pensi al sangue?
… iniziava a fare pensieri strani.
Si strinse ancora di più nella felpa, e sentì la mano di Percy aumentare la presa sulla sua spalla. Caro, caro Percy…
Non lo vorrà.
Il sangue. Il sangue.
Ancora un pensiero strano, un pensiero non suo. Lo scacciò subito.
Adams si rivolse a Percy. - Notizie?
Il ragazzo capì subito cosa intendeva dire. - Nessuna. Credo che… seguirò il tuo consiglio.
Adams annuì. - Una sola, capito?
- Sì.
- E se… se va male…
- Non importa. Non potrebbe andare peggio di così, comunque.
Restarono in silenzio per quasi un’ora. Tutti, in quel corridoio, tacevano.
Le uniche voci appartenevano alla Umbridge, che a intervalli quasi regolari chiamava nell’aula gli interrogati, e a Percy, che all’incirca con la stessa frequenza sussurrava a Audrey: - Tutto bene, andrà tutto bene…
Lo disse talmente tante volte che alla fine non ci credette più nemmeno lui.
 
Quasi tutti entrarono, pochi uscirono da soli; molti venivano accompagnati dai Dissennatori.
- Ernest Adams e Audrey Bennet!
Un tremolio improvviso impedì a Audrey di alzarsi subito. Percy le strinse di nuovo il braccio, e la costrinse dolcemente a tirarsi su; Adams invece era entrato subito nell’aula, a testa alta.
Dopo di lui entrò Percy. E si sentì gelare.
Ancora Dissennatori. Decine di Dissennatori.
Adams era bianco come un cencio, ma fece uno sforzo e li ignorò con indifferenza quasi regale, andandosi a mettersi in piedi di fronte alla commissione per consegnare la bacchetta. Percy si voltò invece a guardare Audrey, che immobile sulla soglia fissava i Dissennatori raggelata.
- Audrey, - bisbigliò, - guardami…
Il sangue, il sangue…
- Audrey, ascolta…
Non ti vorrà, non ti vorrà.
- Bennet.
Finalmente riuscì a smettere di guardare i Dissennatori, e si volse verso Percy.
- Bennet… Pensa… a qualcosa di bello. Va bene? Qualcosa… di bello. Non pensare ad altro, capito?
Di bello. Qualcosa di bello.
- Capito, Bennet?
Audrey annuì, e finalmente entrò nell’aula.
La Commissione era stata rimpolpata, dopo l’“incidente” avvenuto nei primi di settembre e conclusosi con la fuga di buona parte dei Nati Babbani. Insieme alla signora Umbridge, a Yaxley e a Mafalda Hopkirk che verbalizzava c’erano altre quattro o cinque persone, tra cui, notò Percy, l’ufficiale O’Brien e l’uomo alto che era insieme a Rookwood il due agosto.
- Bene, signorina Bennet, vuole farci il favore di mettersi qui di fronte, prego? E non dimentichi di consegnare la bacchetta…
Per un breve istante Percy riuscì, non visto, ad afferrare la mano di Audrey prima di allontanarsi da lei e sedersi nei posti riservati a spettatori e testimoni. Sperò con tutte le forze che quel gesto quasi infantile bastasse a non farla crollare, non lì, non in quel momento… Non davanti a loro
- Dunque, Adams e Bennet: i due archivisti, dico bene? Beh... - la Umbridge fece un breve risolino. - Andiamo in ordine alfabetico, ovviamente. Signorina Bennet, lei può aspettare lì; si segga, signor Adams.
Adams obbedì docilmente, andandosi a mettere sul sedile degli interrogatori. Stranamente le catene non lo strinsero.
L’uomo ebbe il tempo di voltarsi a guardare prima Audrey, accasciata su una panca alla sua destra, e poi Percy, sistemato a sinistra, poco dietro di lui. Dopodiché il giudizio iniziò.
- Lei è Ernest Friedrich Adams?
- Sono io.
- Figlio di Algernon Adams e Lisbeth Schuster?
- Proprio così.
- Impiegato al Ministero della Magia con la qualifica di archivista?
- È il mio ritratto. - Alcuni dei maghi della Commissione sbuffarono divertiti.
- Il suo albero genealogico? - chiese la Umbridge, un po’ irritata da quella tranquillità. Adams fece per alzarsi e consegnarglielo, ma lei Appellò la pergamena e l’aprì. La passò poi a Yaxley, che la fece girare tra gli altri membri.
- Una genealogia invidiabile, signor Adams - chiocciò la Umbridge, con un sorriso lezioso. - Ben sei generazioni di puri maghi e streghe. Invidiabile.
L’influsso dei Dissennatori iniziava a farsi sentire su Adams, ma lui riuscì lo stesso ad accennare un sorriso cortese. - Lei è troppo gentile.
- Un sangue quasi totalmente puro. Non sono molti a poter vantare questo privilegio.
- Adesso mi lusinga, signora Umbridge.
- Se tutti fossero come lei, - proseguì la donna, - questa Commissione non avrebbe motivo di esistere. Un vero peccato, sa?
Adams avrebbe voluto tacere, ma non riuscì a trattenersi. - Che cosa? - chiese.
- Che un mago con un sangue come il suo debba finire ad Azkaban.
 
Su un’altra persona, una frase del genere avrebbe sortito qualche effetto; Adams, però era preparato. Aveva già capito; sapeva già cosa volevano da lui, cosa gli avrebbero chiesto, e anche come sarebbe finito quel processo. C’era un’unica uscita possibile, purtroppo.
E Adams non era il tipo da far storie
Non restava che fare la propria parte; tanto, speranze non ce n’erano, a che valeva fare il bravo e fingere di volerli assecondare mentre giocavano con lui come il gatto con la preda?
Quei bastardi non se lo meritavano.
Si inumidì le labbra. - Immagino c’entri qualcosa la Nuova Commissione per l’Etica e la Morale, giusto?
Il sorriso della Umbridge si fece, se possibile, ancora più grande e falso. - Purosangue e anche acuto. È proprio vero che lei ha un solo difetto, signor Adams.
Percy non stava perdendo una parola di quello scambio di battute. Incredibile: Adams aveva intuito giusto. La sua convocazione non riguardava lo stato di sangue, ma la sua omosessualità.
Sono davvero arrivati a tanto?
Mai, mai era accaduto, nel mondo magico, che quello fosse considerato un reato. Mai.
Ora, invece…
Doveva davvero assistere allo scempio che avrebbero fatto di quell’uomo?
 
Audrey invece non riusciva ad ascoltare.
Circondata dai Dissennatori, lontana da Percy e dalla sua stretta confortante, la mente della ragazza aveva ripreso a formulare pensieri strani.
Come il sangue. Sai quanto sangue si perde?
Tanto, tanto…
E poi perdi anche quello.
Lo perdi. Puff. Sparito.
E non l’hai detto a Percy.
Percy. Percy le aveva detto di pensare a qualcosa di bello.
Bello, bello… Il loro primo bacio: un assaggiarsi timido e incuriosito, sotto la cupola antipioggia.
Il secondo, ancora sotto la pioggia, ma stavolta bagnati fradici e tremanti di freddo, stretti come se non dovessero separarsi mai più.
Bello, bello…
Lui ti lascerà.
La bellezza si infranse.
 
- Difetto? Mi definisca “difetto”, per favore.
La Umbridge rimase un attimo senza parole, sentendo il tono con cui Adams le aveva rivolto quella frase. Era calmo, pacato; sembrava non avere nessuna paura. Questo non le piacque.
- Sono io a fare le domande, signor Adams. - Fece una breve pausa.
- Ammette dunque le sue inclinazioni deviate?
- No.
La Umbridge aggrottò le sopracciglia. - No?
- No. - Adams prese fiato, resistendo all’influenza dei Dissennatori che, per un attimo, stava per avere la meglio su di lui.
- Mi dispiace, signor Adams, ma il Ministero è in possesso di prove che…
- Ammetto - la interruppe Adams, - di aver compiuto una scelta di vita; e ammetto di averla portata avanti con sobrietà e discrezione.
- Non è la discrezione che ci interessa, signor Adams, - ghignò Yaxley, - ma proprio la sua scelta…-
- Scelta di cui non mi pento - ribatté, faticosamente. - Scelta per la quale non ho mai preteso approvazione o sostegno. Scelta che non ho sbandierato in nessuna occasione, in nessun luogo, per nessun motivo, proprio per rispetto a chi non la pensa come me.
- Signor Adams, la sua autoassoluzione è irrilevante per questa commissione. Siamo qui per giudicare la sua moralità, non il modo in cui si è nascosto.
- La moralità si giudica in base ai comportamenti.
- La moralità si giudica in base ai fatti, - sibilò la Umbridge stringendo i denti, - e la sua pederastia è un fatto.
- Sono omosessuale, non pederasta - ghignò allora Adams. - Ai pederasti piacciono i ragazzini. La vedo poco informata, cara signora…
- Ne so quanto basta! - esclamò la Umbridge, poi si contenne. Inspirò, e tornò a mostrare il suo sorriso dolciastro. - Omosessuali, sodomiti, pederasti, deviati, invertiti. Voi siete anche peggio dei Nati Babbani. Voi avete il sangue puro e lo insozzate con le vostre luride pratiche da animali.
- Gli animali si accoppiano per necessità, - ribatté pronto Adams, - gli umani perché lo vogliono.
- Adesso basta! - strillò di nuovo a Umbridge, al colmo dell’irritazione. Dismise del tutto il sorriso falso e scrutò Adams minacciosa, imitata da Yaxley e da altri della commissione.
- Ernest Adams, lei ha appena ammesso di fronte alla Nuova Commissione per l’Etica e la Morale di essersi macchiato del reato di sodomia. Ha inoltre ripetutamente insultato e provocato la sottoscritta, presidente di questa Commissione. Ha altro da aggiungere?
- In verità, sì - fece Adams. Non era strano, essere così tranquilli davanti alla propria fine?
Beh, lui lo era. La tranquillità di chi non ha speranze.
Tanto è tutto finito, ormai; meglio chiudere in bellezza, no, vecchio mio?
E allora dai, un ultimo sforzo per farci ricordare da questa gente.
- Signora Umbridge, lei ce l’ha molto con me, e lo capisco. Sono però orgoglioso di affermare che, a differenza di lei, - e abbassò un po’ la voce, - almeno io ho scopato, nella mia vita.
 
Per un momento Percy pensò che Adams fosse veramente impazzito. Che diamine gli era venuto in mente? Dire una cosa del genere di fronte a persone che hanno potere di vita o di morte su di te!
Un pazzo, un pazzo, oddio, lo ammazzeranno, lo ammazzeranno, sicuro come la morte che lo ammazzeranno…
Nella commissione non tutti erano riusciti a sentire ciò che Adams aveva bisbigliato, e si guardavano tra loro sconcertati. La Umbridge invece era stata colpita in pieno da quelle parole insolenti: sembrava sul punto di avere un colpo apoplettico. Era diventata completamente bianca, e le mani tozze avevano iniziato a tremolare dalla rabbia.
Provò ad aprire la bocca, ma non riuscì ad emettere nulla, tanto la furia si era impadronita di lei. Alla sua destra Yaxley la osservava preoccupato, non sapendo cosa dire né cosa fare: era la prima volta in assoluto che un imputato si comportava in quel modo, una cosa da pazzi, da pazzi…
Alla fine la donna sbatté le mani sul banco con forza inaudita, e si alzò in piedi urlando.
- Ad Azkaban, a vita! Fuori… Fuori da qui… Fuori! Azkaban a vita! A vita!
- No!
 
Lo avevano gridato insieme, istintivamente. Sia Audrey che Percy erano in piedi, in due parti opposte dell’aula, a gridare quel “no” disperato.
La Umbridge quasi non se ne accorse, ma Yaxley ed altri si sporsero a guardare i due ragazzi.
Dopo quei “no”, cadde il silenzio. I membri della commissione aspettavano che Dolores Umbridge dicesse qualcosa; la donna però stava ancora cercando di controllare la propria esplosione di furia.
Ci volle qualche secondo, ma alla fine la Umbridge recuperò la calma. Ignorò totalmente Audrey, e guardò verso Percy.
- Ha detto qualcosa, signor Weasley? Oppure desidera parlare in difesa di questa... persona?
E lì arrivò la tentazione.
Fu forte, fortissima. Al diavolo, adesso ti frego io, stronza, Garantisco per lui, voglio vedere cosa puoi fare, puttana… Garantisco per Adams, e andate a farvi fottere, tutti quanti, voi e le vostre menate sulla purezza…
Percy ce l’aveva lì, sulla punta della lingua. Prima di riuscire a parlare, però, fu fermato dallo sguardo di Adams.
Uno sguardo che valeva molto più di mille parole.
Puoi aiutare solo uno di noi, cretino. Pensa a Audrey.
Si sarebbe pentito di non aver aiutato Adams, ma non avrebbe mai potuto perdonarsi il fatto di non aver salvato Audrey. E nemmeno Adams lo avrebbe perdonato.
Deglutì, e sentì il sudore colargli lungo la schiena nonostante il gelo dell’aula.
- No. Non ho nulla da dire.
Abbassò lo sguardo per non incrociare gli occhi increduli e delusi di Audrey.
Scusa, Aud, scusa, scusa, non puoi capirlo adesso, scusa, mi dispiace, mi dispiace…
- Molto bene, - esalò la Umbridge con voce acuta, quasi senza fiato, - stando così le cose, io, Dolores Umbridge, presidente della Nuova Commissione per l’Etica e la Morale, condanno Ernest Adams alla reclusione ad Azkaban per i reati di sodomia e oltraggio alla Commissione. Fuori!
Mani mostruose attorniarono Adams, che non riuscì a trattenere un gemito di terrore.
Percy assistette a quella scena come al rallentatore, incapace di pensare ad alcunché, impossibilitato a dire qualcosa, qualsiasi cosa. Era tutto così assurdo, così irreale, così impensabile…
Finché Adams non lo guardò di nuovo, un attimo prima di uscire. Lo guardò, e le sue labbra si mossero a malapena.
- Va bene così, tranquillo… Va bene così.
Poi la porta dell’aula si rischiuse dietro di lui.
 
 
Percy rimase lì, in piedi, a fissare la porta.
Quando avrebbe rivisto Adams? Lo avrebbe mai rivisto?
No, no, no, perché… Non è giusto, no, no…
- Bene, - gracchiò la Umbridge, dopo un minuto di silenzio totale, - se i miei colleghi sono d’accordo direi che possiamo proseguire col giudizio. Signorina Bennet, prego.
Percy si riscosse. Non aveva potuto fare nulla per Adams; l’uomo si era praticamente sacrificato perché lui pensasse a Audrey, ed era quello che doveva fare.
Vecchio mio, mi dispiace tanto, ma ora penso a lei, scusami, scusami…
Mentre la ragazza, tremante, si sedeva sul seggio degli interrogatori, Percy si avvicinò al palco della commissione.
Dall’alto la Umbridge lo scrutò. Aveva ripreso il solito falso sorriso, e sembrava più che mai una rana gigante.
Ma io non sono una mosca.
Il Patronus della donna gli passò vicino, e Percy trattenne l’impulso di disperderlo con un gesto della mano.
- Vuole dirci qualcosa, signor Weasley? - domandò la Umbridge, nuovamente mielosa.
- Sì. - Percy si sistemò gli occhiali col suo solito gesto, e riprese coraggio. - Mi assumo l’incarico di difensore d’ufficio di Audrey Bennet.
- È… insolito- chiocciò la Umbridge. - La signorina non è una sua dipendente?
- Proprio per questo me ne faccio carico. Secondo il Regolamento delle Aule Giudiziarie, possono costituirsi difensori d’ufficio o testimoni della difesa i parenti più prossimi, i coniugi e tutti i soggetti aventi un legame diretto e di superiorità con l’accusato, come il tutore, il Preside della scuola o il datore di lavoro - snocciolò Percy, sentendosi sempre più sicuro.
- Lei conosce bene la nostra legge, signor Weasley - rispose la Umbridge con un risolino. - E va bene, la Commissione riconosce il suo ruolo. Vogliamo iniziare?
Percy guardò Audrey. Non gli era mai sembrata così piccola, così indifesa: sembrava una ragazza forte e decisa, ma ora se ne stava lì, rannicchiata e terrorizzata. Fragile, da proteggere.
Farò qualsiasi cosa per te, lo sai.
Sistemò nuovamente gli occhiali.
- Sì. Cominciamo.
 
 
Per fortuna che Percy era intervenuto per parlare al posto suo, perché Audrey non sarebbe stata in grado di pronunciare una parola.
Se Adams era riuscito, con uno sforzo immenso, a mantenere il controllo della sua mente, quella di Audrey sembrava invece totalmente in balia dell’influsso dei Dissennatori. Non faceva che pensare al sangue.
Sangue, sangue… Sai quanto sangue può perdere una donna?
Quei pensieri… non erano suoi. Lei… Lei era giovane, sana, sarebbe andato tutto bene…
Sai quanto poco ci vuole, per perderlo?
No, no, non era vero. Smettila di pensare a queste cose e ascolta Percy, piuttosto…
L’anno scorso è successo a Edna, ricordi? Ha perso tanto sangue, tanto sangue… Il pavimento di zia Magda era pieno, pieno di sangue…
Oleg non aveva mai avuto così tanta paura, l’ha portata di corsa all’ospedale ed era tutto sporco di sangue, sangue…
L’aveva detto anche Rhett. Era sana, stava bene. Non sarebbe successo.
“Edna ha un problema, per lei è più difficile… Ma tu sei sana, sei giovane…”
Succederà, lo sai che succederà.
E se non succederà, lui ti lascerà.
Perché, perché proprio adesso quei pensieri? Perché non pensava ad Adams, povero Adams, che male ha fatto, non è giusto, chissà che gli faranno, Adams, Percy ha lasciato che…
Lui ti lascerà. Lui non vuole un figlio, non te lo ha mai detto ma tu sai che è così, ti lascerà, e lo perderai, perderai entrambi…
… Povero Adams, chissà se si sarebbero rincontrati ad Azkaban… Ma lei ci sarebbe andata?
Alzò lo sguardo e vide Percy. Stava parlando; cercò di capire, diceva qualcosa su un’adozione, un padre…
Non vuole essere padre. Tu lo sai, non te l’ha mai detto ma tu lo sai.
Lo perderai, perderai entrambi…
Ed è colpa tua.
No, no, non doveva cedere, non doveva fare quei pensieri; Percy l’amava, l’amava, glielo diceva sempre che l’amava…
È colpa tua, che ti affidi ai metodi Babbani. È colpa tua se lui avrà un figlio che non vuole. E ti lascerà.
Non l’avrebbe lasciata, per nulla al mondo. Non sarebbe successo. Lui l’avrebbe salvata, adesso, lui…
Lui non può fare nulla per te. Andrai ad Azkaban. Ti lascerà. Perderai il bambino.
Si prese la testa tra le mani, abbandonandosi alla disperazione più nera.
 
 
- E cosa le fa credere, signor Weasley, - commentò la Umbridge, dopo che Percy ebbe spiegato la situazione di Audrey, - che questa commissione si accontenti della sua testimonianza? Per tutti abbiamo richiesto un albero genealogico completo; perché mai dovremmo fare un’eccezione per la sua dipendente?
- Vi ho detto che l’albero è attualmente irreperibile, ma esiste - ribatté Percy, duro. - Come avrebbe potuto la signorina Bennet presentarlo, se non poteva nemmeno recuperarlo?
- Possiamo darle credito - intervenne Yaxley, - sul fatto che sia Purosangue, visto che il seggio non l’ha incatenata. Tuttavia dobbiamo vedere il suo albero genealogico. Lei capisce, - aggiunse con un ghigno, - se iniziamo a fare delle eccezioni qualcuno potrebbe approfittarne…
Percy sospirò, ricominciando a sentire paura. Quindi esisteva, per la commissione, un mezzo certo per sapere se chi avevano davanti era Purosangue o meno. Figli di puttana. Lo sapete che Audrey è Purosangue, non vi basta ancora?
No. Non gli bastava, evidentemente. La sentenza di Audrey era già scritta, come quella di Adams. A quei… pazzi non importava davvero del sangue, della morale o di altre scemenze: volevano solo che alcune persone soffrissero; possibilmente le persone più deboli.
E non era forse debole Audrey in quel momento? Così piccola, così sola, circondata dai Dissennatori…
Strinse i pugni e i denti. Gli restava solo una cosa da fare.
Sentì il gelo di un Dissennatore proprio accanto a sé, e cercò di pensare a qualcosa di felice.
Torneremo a casa insieme, tra poco. Io e te, Audrey.
- In questo caso, - emise, tra i denti, - appongo la mia Garanzia su Audrey Bennet.
 
Tra i membri della Commissione si diffuse un mormorio. Molti non sapevano nemmeno cosa fosse, la Garanzia.
Yaxley e Mafalda Hopkirk si scambiarono uno sguardo dubbioso, ma la Umbridge osservò Percy con interesse.
- Lei conosce davvero bene la nostra legge, signor Weasley.
- Mi piace tenermi informato, signora Umbridge.
Un ennesimo, insopportabile sorrisetto.
- Lo sa che se non riesce a recuperare l’albero genealogico della qui presente Audrey Bennet, entrambi finirete ad Azkaban?
- Lo so benissimo.
- E sa anche - un sorriso più largo, - che sarò io a stabilire quanto tempo avrà per reperirlo?
Di nuovo il sudore freddo. Dannazione. Avrebbe potuto dargli anche solo due giorni, o uno solo…
Vedi, cosa ti aspettavi? Sono dei pazzi, questi, pazzi…
- Non credo - riuscì a rispondere, con voce un po’ più acuta, - che sia nell’interesse della commissione il mandare ad Azkaban due persone di sangue puro. Come il signor Yaxley ha fatto notare, il seggio non ha incatenato la signorina Bennet, per cui il suo stato di sangue è certo; per quanto riguarda me, posso procurarvi il mio albero genealogico in qualsiasi momento, ma dubito che sia necessario.
- Conosciamo tutti la sua stirpe, signor Weasley - borbottò la Umbridge - Esecrabile, ma pura.
- Per l’appunto. - Percy riprese fiato, mettendo insieme le parole. Calmo, devi stare calmo.
- Come ha dimostrato poco fa, signora Umbridge, Azkaban è un luogo adatto per chi tradisce il proprio sangue, per chi sporca la propria dignità di mago con comportamenti deviati o per chi addirittura si permette di rubare la magia…
Audrey mi ammazzerà per aver detto queste cose. Mi ammazzerà. Cavolo, mi ammazzerà dieci volte, e avrà ragione.
- … e lei, signora Umbridge, ce ne ha appena dato una dimostrazione più che soddisfacente; le chiedo quindi, in nome della giustizia, di concedermi un tempo ragionevole per dimostrare la purezza di sangue della signorina Bennet, onde impedire che…
- È stato chiaro, signor Weasley, grazie - lo interruppe la Umbridge, interessata. Percy riprese di nuovo fiato: era riuscito a blandirla con tutte quelle stupidaggini. Audrey mi ammazzerà; ma l’unico modo per ragionare con questa gente è dire loro quello che vogliono sentire.
- Avrà cinque giorni, a partire da oggi, per sfruttare la sua Garanzia. Le sembra un tempo ragionevole, signor Weasley?
Cinque giorni non erano niente, ma Percy non era sicuro di poter osare ancora. Si limitò a chinare la testa in segno di assenso.
- Spero vivamente che riesca a farcela, signor Weasley…
Percy alzò gli occhi sulla donna, e rabbrividì quando ne incrociò lo sguardo.
- Sa, - proseguì lei, - sarebbe davvero terribile se il figlio dell’Indesiderabile Arthur Weasley finisse in prigione… Non trova?
Ecco. Lo avevano incastrato.
 
Era chiaro, chiaro come il Patronus che gli stava davanti. Era stato un cretino ad esporsi così; la Umbridge aveva trovato un modo per colpire i Weasley e aveva colto la palla al balzo.
Probabilmente pensava che, mandando Percy in galera, avrebbe danneggiato Arthur e sarebbe riuscita a controllarlo. Merda.
Percy sapeva benissimo che così non sarebbe stato, ma… Come spiegarlo a quella donna?
Merda.
E c’era anche un altro piccolo particolare da aggiungere: se anche Grete fosse riuscita a farsi bastare quei cinque giorni, lui era fregato. Si era esposto per un caso di discendenza sospetta con cui non aveva nessun legame apparente, se non quello lavorativo; lo avrebbero tenuto d’occhio, d’ora innanzi, molto più di prima. Se poi avessero scoperto che lui e Audrey erano qualcosa di più che capo e dipendente, beh… Sarebbe potuto andare tutto molto peggio.
Se davvero pensavano che Percy avesse ancora qualche collegamento con la sua famiglia, lo avrebbero colpito usando lei. E non poteva assolutamente permetterlo.
Merda…
Realizzò tutto in un paio di secondi. Alla mente umana basta pochissimo per rendersi conto del male che subisce.
Percy prese di nuovo fiato, lasciando che l’aria gelida gli ferisse i polmoni. Confermò che cinque giorni andavano bene, e, dopo aver aiutato Audrey a rialzarsi, uscì da quel maledetto posto.
 
Dovette sorreggerla, mentre salivano i gradini; Audrey non riusciva nemmeno a tenersi in piedi.
Il sangue… Perdi sangue…
Ed era pallida, santo cielo se lo era. Percy non pensava che sarebbe stata così male vicino ai Dissennatori.
La ragazza riprese un po’ di colore solo quando si trovò nell’Atrio, ben lontana da quel gelo.
Fu lì, in mezzo alla gente, che scoppiò in lacrime. Non ne poteva più, non ne poteva più di pensare quelle cose, di sentirsi così male… perché mai doveva pensare che lo avrebbe perso, che li avrebbe persi, perché…
Si rese conto confusamente che Percy la stava abbracciando. Rimase sorpresa: non era da lui un gesto del genere, in mezzo a tutta quella gente; non ci stette a pensare troppo però. Aveva bisogno di lui, bisogno di sentirsi dire che sarebbe di nuovo andato tutto bene, di sapere che non l’avrebbe lasciata...
- Non lasciarmi, per favore, per favore… Mi dispiace, non lasciarmi… - singhiozzò, disperata.
- Non ti lascio, tranquilla. Va tutto bene. Non ti lascio - ripeté lui, stringendola in mezzo all’Atrio.
Che diamine ti hanno fatto, Aud?
- Non ti lascio, lo sai. Non ti lascio.
 
 
- Siediti, ti preparo qualcosa.
- Non serve. Sto bene, adesso.
Percy sospirò, scuotendo la testa. A casa loro Audrey si era sentita decisamente meglio, e aveva perso quell’aria vuota che aveva al Ministero. Non si poteva dire, però, che stesse bene.
- Faccio un tè, va bene?
- Perché non hai aiutato Adams?
Percy chiuse gli occhi. Non aspettava altro che quella maledetta domanda.
- Non potevo. Lo avrei fatto, ma non potevo.
- Perché?
- Potevo Garantire solo per uno di voi; ho scelto te. Adams me l'ha chiesto.
Non si dissero altro, mentre l’acqua si riscaldava e iniziava a bollire. Percy la versò in due tazze e prese due bustine di tè.
- Non ci sarebbe della camomilla?
Una bustina di tè e una di camomilla. Vedi che devi calmarti, amore…
Si sedettero, e fecero ancora silenzio. Si sentivano entrambi storditi, come quando si ricevono talmente tanti colpi in testa che alla fine non se ne sente più il dolore. Tutto era distante, lontano, come se ciò che era successo solo mezz’ora prima fosse vecchio di settimane, o fosse solo un sogno. Come se Adams non fosse stato trascinato via dai Dissennatori quello stesso giorno, e Audrey e Percy non rischiassero di finire ad Azkaban di lì a cinque giorni.
- Sono dei mostri… - mormorò il ragazzo a un certo punto. - Dei mostri. Io… Mi dispiace tanto, io avrei voluto…
- Lo so - lo interruppe Audrey. - Lo so. Scusami.
Si guardarono. Avevano due facce da sopravvissuti. Ma per quanto ancora?
Quanto possiamo sopravvivere ancora, così?
- Audrey, io… Devo dirti una cosa…
- Anch’io.
- Ah… Va bene, dimmi prima tu.
- No, posso aspettare.
Percy inspirò, chiudendo gli occhi. Ecco la parte più dura, la parte più difficile. Quella che non sarebbe mai dovuta venire, e che invece stava diventando inevitabile.
Separarsi.
- Audrey, ascolta. Oggi io… mi sono esposto per te, e… penso di essere diventato un bersaglio. La mia famiglia… - cercò le parole - ... non ha mai appoggiato il Ministero, e ora meno che mai. La Umbridge pensa di poter arrivare a loro controllandomi, e… e se scopre che stiamo insieme potrebbe… farti del male, ecco. Quindi… Quindi oggi stesso te ne torni da tua madre.
Audrey trattenne il fiato e spalancò gli occhi, sconcertata.
- Tu… Tu vuoi che… E perché, scusa? Solo perché pensi che…
- Non lo penso, ne sono sicuro. Non hai sentito cos’ha detto la Umbridge alla fine? Sono il figlio dell’Indesiderabile Arthur Weasley. E… E finché mi sei vicina sei anche tu un bersaglio. Per favore, - implorò, prevenendo la raffica di obiezioni di Audrey - lo so, pensa pure che io sia un cretino, o che…
- Percy…
- … O che non sappia quello che dico, ma più mi stai lontana più sono sicuro che…
- Percy…
- … Non ti succederà niente di male, quindi per favore…
- Percy, sono incinta.
- … Vai subito a… cosa?!
 
Otto secondi. Sapete quanto sono lunghi, otto secondi?
Provate a contarli. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto.
Non finiscono mai.
Immaginate adesso otto secondi di completo, perfetto, totale silenzio. Sembrano ancora più lunghi, adesso, no?
Ora, in otto secondi di silenzio si ha tutto il tempo di pensare a qualcosa di intelligente da dire, e persino al tono con cui dirlo.
Otto secondi sono tanti, no?
Beh, non per Percy.
- In… - pigolò, dopo otto secondi. - In… In che senso, scusa?!
Se a un uomo (normale) occorrono otto secondi per pensare a cosa dire, a una donna basta una frazione di secondo per offendersi.
Se è Audrey, poi, molto meno.
- Come sarebbe a dire in che senso?! Quanti altri sensi conosci?!
- Ma… - farfugliò Percy. - Ma… Io… Tu… Ma… Cosa… Come… E me lo dici adesso?!
- Tu mi hai detto adesso che vuoi che me ne vada di casa!
- Ma… Ma noi… Tu… Ma come… Come?!
- Vuoi davvero che te lo spieghi, Perce?
- Ma… Ma… è mio?!
L’idiozia di quella domanda fece capire a Audrey che quel dialogo stava scadendo nel demenziale.
- Perce, o la pianti di dire cose ridicole o ti faccio smettere io. Di chi altri dovrebbe essere? Ho la brutta abitudine di essere fedele, sai… E comunque, non è questo il punto.
No, infatti; il punto era un altro. Adesso dovevano riuscire a farsi mandare l’albero genealogico, e, soprattutto, Audrey doveva andarsene da lì. Assolutamente.
- Aud… Io… Io… Scusami, ma… ma così è peggio. Molto peggio.
- Perché? È così grave che non voglia separarmi da te proprio adesso?
- Ma… Cavolo, Bennet, non capisci? Tu… Io non posso pensare che… che tu sia in pericolo per me, soprattutto visto che sei… sei…
- Incinta.
- Sì. Ecco. - Sospirò. - Tu non… non puoi… Ti prego, per favore, vai da tua madre, fallo per me.
Fallo per noi.
Audrey si morse un labbro e chinò il capo. - Niente può farti cambiare idea, vero?
- Stavolta no. Però - aggiunse in fretta, vedendo che Audrey si asciugava una lacrima, - non è mica per sempre, insomma… Appena sarà possibile noi…
- E quando sarà possibile, Perce?
Non rispose. Non c’era risposta possibile, a quella domanda.
Restarono muti, senza guardarsi, mentre l’acqua nelle tazze si raffreddava.
 
Non era vero, come pensava Audrey, che Percy non avrebbe voluto un figlio. Anzi.
Se non fosse successo in quel momento, in quei giorni, in quella situazione, sarebbe stato il ragazzo più felice della Terra. Non l’aveva cercato, è vero, ma era suo. Suo e di Audrey. Il sangue di lei e quello di lui si erano mescolati, si erano fatti carne ed era… meraviglioso. Magico.
Ma non era il momento, non era il tempo.
E il pensiero che Audrey aspettava un bambino da lui rese Percy non felice ma, se possibile, ancora più preoccupato e impaurito.
 
Stavano arrivando i tempi peggiori.







*Indossa l'elmetto da Sturmtruppen e alza la barricata*
Sì, va bene, odiatemi! Non dite però che non vi avevo avvertito!
Vado subito alle avvertenze, anche se non credo che riusciate a leggerle dopo questo capitolo biblico (scusate se è lungo, ma mi sentivo ispirata ^_^):
1) Immagino non serva chiarire che quello che Dolores dice ad Adams non rispecchia la mia idea sugli omosessuali, vero? Cioè, non avrete mica pensato che io creda quelle cose?? Se lo avete fatto, sparite da qui, significa che non avete ancora capito a chi va la mia simpatia.
2) "So di non sapere". Mi rifiuto categoricamente di dirvi chi è l'autore di questa frase.
3) Il fatto che gli inglesi (o meglio gli anglofoni) tendano a pronunciare le parole come gli pare a loro è pura verità. In bocca a loro, un semplicissimo sine die latino diventa saine dai. Inquietante. Li odio u_u
4) Tanto per continuare sulla scia delle citazioni non volute: già una recensitrice (ciao, Charme! So che stai leggendo!) mi aveva fatto notare che, nel capitolo 15, tra i proverbi snocciolati da Percy ce n’era uno, “Il mattino ha l’oro in bocca”, che ricordava in maniera inquietante il film “Shining”; pochi giorni fa, invece, sfogliando dopo anni dall’ultima lettura uno dei miei romanzi preferiti, ho scoperto che un O’Brien (ricordate? L’inquisitore bastardo che manda ad Azkaban la povera signora Stapleton) esisteva già. Ed era egualmente bastardo, se non di più,infinitamente di più.
Che romanzo era? “1984”, di Orwell. Eh già, proprio lui.
Perfetto, no?
Ormai il mio cervello va per conto suo, e lo lascio fare.
5) Come avrete intuito, la sottoscritta non sa una ceppa di norvegese; neanche una parola. Per i termini usati dalla simpatica Grete Skjalgsson (la quale deve la propria esistenza a un mio momento di pura follia) mi sono affidata a internet e al traduttore Google. Spero non passi nessun norvegese autentico, sennò sono fregata.
Piccolo dizionario dei termini usati:
Elskede: un vezzeggiativo, qui usato in chiave ironica (tipo “amore”)
Faen: imprecazione generica (tipo “cazzo”)
God kvald: buona sera
Godt: bene
Idiotisk: stupido
Ja: sì
Kjære: caro
Lille: piccolo
Takk: grazie
6) Avete visto? Stavolta non mi sono lamentata del capitolo! Faccio progressi, eh?
7) Come al solito un grosso grazie e un bacio bavoso (?!?) a tutti i lettori, preferitori, seguitori, ricordatori e alle mie recensitrici. Vi adoro, ragazze: siete le pazze migliori del mondo.
Ho visto anche che vicino al bottone "Mi piace" c'è un numero, in alcuni capitoli (nell'ultimo addirittura un 2): ora, la sottoscritta è orgogliosamente priva di Facebook, quindi non ho idea di che cippa significhi quel numeretto, ma lo prendo come un segno di apprezzamento. Grazie ^_^

Okay, torno a barricarmi, non vorrei che mi arrivassero veramente i Mangiamorte a casa... (o peggio la Umbridge...)
A presto
Ferao
   
 
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