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Autore: Sophie Isabella Nikolaevna    14/04/2011    0 recensioni
Due cugini e due cugine, in tempi diversi, ma nello stesso luogo.
In mezzo ai campi dove il Sole tramonta color del fuoco. Fantasmi e antiche amicizie, ricordi nella musica e giornate di nebbia dimenticate.
Estati e autunni scanditi da presenze nascoste. Memorie di vecchie case.
NB: questa è una RACCOLTA. I capitoli NON seguono un ordine logico. Guardate i titoli e leggete semplicemente quello che vi ispira di più.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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FLAMMAE EVOCATAE SUNT

 

Quel luogo perseguitava i miei sogni e i miei pensieri da quando ci ero entrata per la prima volta, l’estate di quattro anni fa, avevo appena undici anni. Era un luogo proibito e dannato, in cui la mia famiglia non voleva che andassi. Ma io e mia cugina ci entravamo di soppiatto, stando attente a non farci vedere, e ne uscivamo di corsa dopo un’ora o a volte un’ora e mezza, guardando se per caso qualcuno era lì e ci vedeva.

Era la casa abbandonata che stava ad un centinaio di metri dalla nostra casa di campagna. Era cadente e ormai sul punto di crollare. Era grottesca e oscura, malridotta e terribilmente affascinante. Magica e maledetta.

Io e mia cugina ci entravamo e ci sistemavamo in una stanza al piano di sopra, quella che si era conservata meglio ma anche la più buia: l’anta della finsetra era incastrata, e non si poteva aprire. Ci mettevamo sedute lì, accendevamo una candela, bruciavamo sopra alla fiamma le erbe che coglievamo dai nostri giardini e invocavamo gli spiriti. Il gioco della seduta spiritica era ricorrente nei nostri pomeriggi di sole da undicenni.

Poi entrambe crescemmo e arrivò l’anno in cui io avrei compiuto quindici anni e lei quattordici. La casa era ogni anno in condizioni peggiori, ed erano passate quattro lunghissime estati dall’ultima volta in cui vi avevamo messo piede. Aveva passato tempeste e calori insopportabili ed era ancora in piedi, ma sarebbe durata poco.

Proprio perché lo sapevamo decidemmo di entrare un’ultima volta in quiel luogo pericoloso, dimora di spiriti inesistenti, frutto della fantasia di due bambine. Portammo la candela, le erbe e i fiammiferi.

Ci inoltrammo nella casa badando che non ci fosse nessuno nei paraggi, salimmo le scale consumate e arrivammo alla stanza buia. Osservai con un brivido il soffitto, constatando che una trave stava per staccarsi. Il pericolo era dell’aria… Ci sistemammo al centro, sedute l’una di fronte all’altra, accendemmo la candela e bruciammo alla sua fiamma le piante che avevamo portato, che emanarono un fortissimo profumo di alloro e salvia, per poi ridursi a quattro briciole di carbone. L’odore era ancora nell’aria, però.

Fu allora che udimmo i passi. Proseguivano, lenti e sommessi, lungo il corridoio.

Ci guardammo terrorizzate, poi Olly si coprì gli occhi. Io invece li sbarrai e mi voltai verso la porta.

Il suo viso era orribile, ustionato, sfigurato e contratto in un ghigno. Un occhio gli mancava ed era vestito solamente con una tunica mezza bruciacchiata. Da dietro di lui comparve una bambina, i capelli ricci mezzi bruciati, il viso annerito e il vestito sontuoso di broccato rosso stracciato.

“Ci avete chiamato?”, chiese l’uomo con voce cavernosa. Io e Olly non avemmo la forza di rispondere e restammo semplicemente lì, basite, di fronte alle forze che avevamo risvegliato.

Improvvisamente un rumore alle nostre spalle ci fece sobbalzare. Una creatura era dietro di noi e avanzava strisciando. Era una donna con ormai pochi capelli e le braccia ustionate, il viso scarno e due tizzoni ardenti al posto degli occhi.

Il terrore ci impediva di scappare. Eravamo bloccate, incollate al pavimento.

Improvvisamente una mano rovente mi avvinghiò la caviglia, e notai con orrore che la donna infuocata e strisciante mi aveva raggiunta e stava tentando di dirmi qualcosa. La sua bocca si aprì, i suoi occhi mi fissarono e la loro luce si fece più cupa e minacciosa.

Flammae evocatae sunt. Et flammae vos interficient.”, disse con voce strozzata. Le fiamme sono state evocate, e le fiamme vi uccideranno.

Mi divincolai dalla presa di fuoco della donna, che mi lasciò andare ma mi graffiò il calcagno. Fu come se delle frecce infuocate mi si fossero conficcate nella gamba.

La bambina soffiò in direzione della candela che stavamo usando e che era rimasta accesa. Anziché spegnersi, la fiamma improvvisamente si propagò per tutta la stanza, spandendosi sul pavimento e risalendo le pareti.

Fu come un’esplosione.

Mi coprii il viso con un braccio e con l’altro presi Olly vicino a me.

In un breve attimo di lucidità, mentre il fuoco mi stava per raggiungere, intravidi la finestra chiusa. Quando si è nel panico l’adrenalina aumenta in noi, ho sentito dire.

Sferrai un pugno fortissimo all’anta, che finalmente si aprì, uscendo dai cardini, e cadde a terra. Mi assicurai di avere Olly ben stretta a me e, visto che era l’unica via di uscita, mi buttai.

Non avevo calcolato quanto l’impatto con il suolo avrebbe potuto essere violento.

Dopo una frazioen di secondo nel vuoto, mi ritrovai accartoccita a terra, un dolore lancinante al ginocchio destro e al palmo della mano, sempre destra. Olly, poco lontana da me, si teneva stretta una spalla e sembrava non riuscire più a muovere il braccio sinistro.

“Corriamo”, mormorai a fatica e, sebbene il ginocchio mi facesse male, partii a razzo, seguita a ruota da mia cugina. Corremmo per tutta la stradina asfaltata, ci sembrava di non toccare terra da quanto andavamo veloci. Soltanto quando arrivammo davanti al cancello del mio giardino ci fermammo.

“Secondo te erano…” chiese Olga in mezzo a respiri affannosi, “…anime dell’Inferno?”.

Non avevo il fiato per risponderle. Mi voltai verso ciò da cui eravamo scappate.

Un tramonto di fuoco illuminava il cielo e il sole rosso e schiacciato era ormai sul punto di sparire dietro l’orizzonte. E, proprio davanti all’astro, la casa in cui da bambine avevamo giocato e sognato ardeva da cima a fondo, le fiamme si stagliavano maestose verso il cielo e una colonna di fumo nero tingeva il tramonto dei colori della morte.

Iniziai a sentire le voci preoccupate dei miei genitori chiedersi da dove veniva quel fumo e, soprattutto, dove accidenti erano finite Laura e Olga.

Presi mia cugina per mano, mi voltai di nuovo e camminammo verso casa.

   
 
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