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Autore: Evil Daughter    16/04/2011    13 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Premessa, quando ci sono sorprese vi avviso: chi non ha voglia di leggere, prima di chiudere la pagina, può raggiungere il fondo di questa. Ma, ad ogni modo, per capire cosa significa quel che ho disegnato vi consiglio di leggere.


 

Standby

Capitolo III – La scimmia guarda, la scimmia ruba.


 

Una giornata iniziata con una brutta piega non poteva che continuare ad accartocciarsi sempre più, diventando angusta ed estenuante.

Entrare in un puzzolente fast food risultò essere una piacevole ma purtroppo breve liberazione, per la sfortunata Bulma. Interessata non al suo uomo ma costretta ad intrattenerlo.
Trascorrere l’intera mattinata girovagando tra le strade del centro di West City, al fianco della persona che più era d’intralcio alla sua esistenza, era stato insostenibile; atroce nel sentirsi obbligata a stringergli il braccio per ricevere un po’ di calore e non morire d’ipotermia acuta a causa del clima artico che stava paralizzando la città. E cristallizzando la sua magra silhouette.
Incontrare la prima bettola svendi carne marcia, fritti in plastica e liquidi da disfunzione pancreatica, le era parso come avvistare un’oasi nel deserto: ottima per scaldarsi, calmare lo stomaco e soprattutto per tenere la bocca impegnata, dialogando il meno possibile con Yamcha.
Da quando avevano messo il naso fuori casa lo spilungone aveva mostrato nervi a fior di pelle, farfugliava cose incomprensibili ed era scosso da un’agitazione pronta a farlo scoppiare in un qualunque momento.
Ammutolirsi, secondo la scienziata, era l’unico modo per non urtare quella scatola di turbamento, fragile e non adeguatamente imballata, che il suo ragazzo si stava trascinando pericolosamente dietro.
Ingoiare schifezze e respirare lezzi nauseabondi erano tariffe accettabili, pur d’evitare una rovinosa collisione con essa.

Ma il momento di scampo durò poco: finito di rifocillarsi, i due abbandonarono la calda e maleodorante oasi, proseguendo la traversata in macchina.

Dove iniziarono i guai.


Yamcha adorava i motori, ricalcava perfettamente il cliché del maschio terrestre, e anziché avere un’autovolante d’ultima generazione preferiva possedere un’automobile: una due posti sportiva, con un telaio rosso fiammante, adatta per non passare inosservati. 
Questa quattro ruote gli permetteva di gustarsi meglio la strada: ascoltare l'auto chiamare le marce, impugnare il cambio scalando dolcemente per soddisfarla; tenere il piede, spingendolo leggermente sul pedale dell’acceleratore, era come appagare i desideri d’una donna vogliosa... e a lui il sesso piaceva.
Guidare era altresì una valvola di sfogo per lo stress: lo rasserenava trasmettendogli superiorità e controllo, quello che, in quel momento, sentiva assolutamente mancargli. Aveva bisogno di correre, ad alta velocità, sempre di più.

A Bulma capitava spesso d’assistere alle perdite di testa del ragazzo, era abituata alle sue corse pazze, e sopportava. Talvolta, d’estate, sfrecciare con la capote abbassata sentendo il sole torrido sulla testa e un rinfrescante vento fra i capelli, le risultava addirittura piacevole. Ma non in quel momento, senza caldo né sole, e quando si rendeva conto di amarlo sempre meno vedendolo muoversi da idrofobo e accorgendosi che per lui fermarsi ai semafori rossi cominciava ad essere facoltativo.
Un topo in trappola senza via di fuga: era la sensazione abbreviata che la scienziata percepiva all’interno del piccolo abitacolo dell’auto.
La scatola fragile era pronta a ribaltarsi per travolgerla; ne avvertiva l’imminente pericolo. Non si sbagliava.


Chi c’era seduto accanto a lui? O meglio ancora, in cosa si era trasformato?
Quesiti che, incessantemente, grattugiavano i nervi di un Yamcha disperso.

Solo biscotti.

Convinzione scarna a cui il ragazzo s’aggrappava per non sprofondare nella buia voragine della sua cieca gelosia.
Bulma, la sua Bulma, non era più la stessa persona d’una ventina di giorni prima. Tempo passato dal loro ultimo incontro.
Da logorroica brevettata che era, ora lei stava chiacchierando quanto una mummia e i suoi occhi prendevano tutte le possibili traiettorie tranne quella giusta per guardarlo. Anomalia che, sommata a quanto già era accaduto e aveva scoperto, acuiva ancor più i dubbi sulla fedeltà certa – forse non più così certa – della sua fidanzata.
Quel silenzio perpetuo lo stava davvero infuriando.
«Dove vogliamo andare, adesso?»
Le si rivolse con tono acido, desiderava visceralmente romperle il guscio muto in cui s’era rannicchiata e domandarle che cosa le stesse accadendo.
Bulma quasi si spaventò. Non voleva rispondergli, d’istinto gli avrebbe detto di fermare l’auto e di lasciarla in un qualsiasi posto ma, attualmente, stava tentando di dominare gli impulsi. Per i suoi standard, avevano combinato già abbastanza e aggravare le proprie condizioni era da evitare.

Quel che Bulma non voleva, oltre le domande indiscrete, era una lite con lui; ed intimorita dalla guida spericolata, con l’analogo temperamento esagitato, la scienziata continuava a tacere raggomitolata in una recalcitrante reticenza.
Sempre per avere meno contatti, restava avvolta nel cappotto nonostante i riscaldamenti dell’automobile accesi, che pompavano calore ed appannavano i finestrini. Non voleva spogliarsi, avere tanti strati di tessuto addosso corrispondeva a stargli più lontana, ad essere maggiormente protetta dalla scatola fragile.
Possibile che un vassoio lasciato cadere – ammesso che si fosse accorto del gesto – lo turbasse a tal punto?
Quel che Bulma non immaginava era il pasticcio che le aveva combinato la mamma.
Più lei rimaneva zitta più lui s’arrabbiava, lasciando crescere la tensione con una forza direttamente proporzionale.


«Apposta… per Quello … per Quello.»

Fu un sussurro, ma lei lo sentì nitidamente.
Si girò verso di lui e notò che muoveva le labbra mormorando parole ora indecifrabili.
Fare un collegamento con quanto aveva ciancicato fu semplice.

Ce l’ha con me, ovvio… Però,“quello”…
A chi si riferiva?
Non avrà mica... Impossibile!


Magari, l’unica cosa ovvia, è la tua paranoia. Ti fai suggestionare troppo dai sensi di colpa.

Ecco, continuava a piacerle sempre meno: sperò fosse una sua impressione, ma lui stava stritolando il volante dell’auto. Lo stringeva talmente forte che le mani, tese, erano diventate bianche nel punto in cui afferravano lo sterzo. E aveva le braccia scosse da strani tremolii.
Contemporaneamente, davanti a loro, comparì una brutta curva a gomito. Yamcha, nel vederla, non rallentò: gli andò contro con un tachimetro dalla lancetta pericolosamente pendente verso destra.
Sì, Bulma voleva scendere subito.
Controllò di aver allacciato bene la cintura di sicurezza, preparandosi allo schianto, poi chiuse gli occhi in attesa di sentirsi lacerare dalle lamiere e dal parabrezza che sarebbe andato in pezzi.
Brutta fine per una dea come lei.

Vegeta, avrei voluto trascorrere più tempo con te, non stancarti troppo. Addio.

Ma non accadde nulla. Lo spilungone scapestrato riuscì a dominare l’auto: diminuì la velocità appena prima di svoltare, e ripartì dando nuovamente parecchio gas.

«Yamcha potresti calmarti? Stai… stai andando troppo veloce.»
Non riuscì a trattenersi dall’ammonirlo; per un attimo s’era vista nei necrologi del giorno successivo.
«Calmarmi?! E perché, sono forse agitato? Guarda che se non ti piace il giretto puoi dirmelo. Puoi dirmi dove vorresti andare, da chi vorresti che ti portassi... e a chi stai pensando, quello… vorrei saperlo.»
Spinto da un’altra ondata di rabbia fece un sorpasso invadendo la corsia opposta, sfiorando di poco un frontale con un veicolo proveniente dall’altro senso di marcia; provocando alla sua ragazza l’ennesimo infarto.
Bulma l’aveva sentito biascicare ancora, ed anche se non era riuscita a comprendere bene quel che aveva detto, ormai era andata: pronta ad essere travolta, la scatola s’era aperta e non le restava che rassegnarsi. Con quell’andatura un incidente era inevitabile.


No, cara! Prima che si apra sul serio la tua di testa, spargendo ovunque il suo contenuto con un QI favoloso, tenta di calmarlo! Ne va della tua vita.

Sfracellarsi con un’auto per delle piccole incomprensioni, effettivamente, era da stupidi. Lei era intelligente invece.

«Per me un posto vale l’altro»
Esordì, fredda, gelida come il tempo che tirava, doveva stare attenta e mostrare maggiore entusiasmo se voleva render credibile la farsa a cui stava dando adito.
Lo spilungone, piuttosto, fremeva dal bloccarla in un angolo per farle il quarto grado. Tuttavia, non voleva cedere alla gelosia, non voleva credere al quadro che gli si era palesato sotto gli occhi.
Era la sua donna, poteva fidarsi di lei e quelli erano…
Solo biscotti.
Aumentare la velocità risultava indispensabile.

«Portami… Portami in un luogo speciale»

Glielo chiese con una voce tremula, da supplica, non le parve sua.
Il ragazzo finalmente arrestò l’auto, frenando bruscamente e rischiando un tamponamento a catena.
Una richiesta inaspettata, la osservò pensieroso. Stava riflettendo su quanta sincerità potesse esserci, giacché s’era mostrata tanto scostante a stare con lui.
Gli venne un lampo: forse poteva riassumere il controllo della situazione, l’autorità sulla sua Bulma che sembrava aver smarrito. Al pensiero increspò un sorriso più simile ad un ghigno.
Decise d’accontentarla.

Bulma lo vide quietarsi e tirò su un bel respiro. Aveva fatto centro, evitando un inutile spreco di vite, soprattutto della propria.
Poi però, si sentì afferrare la mano sinistra – quella con le unghie che aveva precedentemente conficcato nel sedile per tenersi meglio al momento dell’impatto – Yamcha l’avvicinò alle labbra per stamparci sopra un flebile bacio.
Questo la riportò nuovamente a cavalcare le increspate onde del disagio, dove non c’erano appigli a cui sorreggersi.


 

  ~ ~ ~



In mezzo alla moltitudine disordinata di strade intasate dal traffico, piene dei fumi tossici dello smog, accecate dalle tante luci psichedeliche e sovrastate dagli enormi grattacieli che s’innalzavano a perdita d’occhio; solo un posto poteva essere considerato unico, speciale a loro: era un misero luna-park ai margini della metropoli dell’ovest, vicino alla provinciale Nicky Town. Luogo dove avevano trascorso il loro primo appuntamento da fidanzati.
Yamcha ancora ricordava quando, con estrema facilità, era riuscito a vincere per lei un anellino al tiro a segno, uno di quelli da bigiotteria con le pietruzze colorate; non era prezioso, lei poteva permettersi una valanga di gioielli tale che a lui non sarebbero bastate nemmeno sei vite di duro lavoro per poterglieli comperare, però, ella lo aveva accettato lo stesso come fosse stato un tesoro.
Lo spilungone riusciva a ricordare persino il visetto da ragazzina felice col sorriso radioso che lei gli aveva mostrato.
Sì, lì poteva metterla alla prova, verificare se era la Bulma di sempre, accertandosi che quello a cui stava assistendo era solo una delle sue solite crisi lunatiche e che presto gli avrebbe tirato un orecchio per sgridarlo ed ordinargli di guardare unicamente lei.
Quel luna-park era perfetto anche per darle quello che voleva darle; a momenti non gli dispiaceva più per come si era comportata.
Farlo in un posto simbolico come quello l’avrebbe fatta sicuramente capitolare e tornare fra le sue braccia.



S’era letteralmente scavata la fossa, la zappa le era arrivata dritta sui piedi.
Nemmeno ci aveva pensato all’eventualità che potesse portarla in quel vecchio luogo, credeva che lui l’avesse cestinato dalla memoria.
Erano anni che non ci andavano, e le diceva male: nonostante la stagione invernale il luna-park stava aperto, e c’era pure parecchia gente. Per la maggior parte erano coppiette d’adolescenti in amore, persi a passeggiare nel parco o seduti a scambiarsi leziosità sulle panchine. Vedendoli, Bulma provò a rispecchiarsi in essi ma non si riconobbe in nessuno di loro: i tempi della spensieratezza giovanile erano finiti. A questo Yamcha non c’era arrivato.

Nulla era cambiato: le giostre stavano tutte al loro posto, erano solo poco più arrugginite. C’erano ancora la ruota panoramica e la pesca dei pesci dove lei non era mai riuscita a vincere – possedeva una mira da far invidia ad un tiratore di coriandoli – e le file di bancarelle dove le piaceva curiosare. Pure il chiosco dei gelati, ora circondato da una scolaresca affamata che stava strafogandosi di crèpes calde, certamente più adatte al clima.

Ogni cosa era rimasta così come la ricordava.
E i ricordi la trascinavano indietro. Portandola davanti alla realtà.

Questo è il tuo uomo, quello che ami e conosci da una vita. Guardalo!

Amore.
Vita.
Tempo.
E ricordi.
Non sapeva che farsene dei ricordi, appartenevano ad un tramontato passato. Loro non erano più gli stessi, qualcosa s’era incrinato, annebbiato; forse era semplicemente lei ad essere cambiata, a sentirsi più matura.


Vegeta…
Ti stai ancora straziando, vero? 
Perché per un attimo non ti fermi a…


«Ti fa piacere essere qui?»
La sberla per farla tornare in sé, coi piedi a terra.
«Sì, molto, non credevo te ne ricordassi.»
Gli rispose entusiasta, celando abilmente la nausea che sentiva dentro: nell’aria c’era un odore dolciastro di zucchero filato, simile a quello dei dolci fatti da sua madre – i pasticcini dannati che l’avevano incastrata nella scomoda situazione che stava patendo – quel profumo le stava dando il voltastomaco.
«Come potrei dimenticare, a te era piaciuto molto venire in questo posto»
Disse lui. E borioso le catturò una mano per tirarla a sé e passeggiare insieme, come avevano fatto prima di raggiungere il fast food.
Bulma non poté sottrarsi: faceva troppo freddo, sentire calore era gradevole, l’unica cosa gradevole.
Camminando, i due capitarono di fronte al famoso tiro a segno ed il ragazzo decise di ripetere l’impresa.

Ecco il punto: Yamcha è infantile.
Ma tu reggigli il gioco, fagli vedere quanto sei contenta di essere qui con lui dopo giorni di lontananza.
Convinciti che lo ami.


«Ehi, mi farebbe piacere se riuscissi a vincere per me, come quella volta!»
Per incantarlo meglio s’era aggrappata ancor di più al suo braccio, mettendo su un viso di barbie: sorriso largo, immobile, con ciglia sfarfallanti e occhi sognanti. Un’arma impeccabile.

«Quant’è un giro?»
Domandò Yamcha, rivolgendosi all’uomo anziano e panciuto seduto dall’altra parte del bancone, accanto ad una calda stufetta, completamente immerso nella lettura del quotidiano che stringeva tra le mani.
La risposta non arrivò. Anche quell'uomo s’era arrugginito con l'intero luna-park ed era diventato più duro d’orecchi rispetto a come lo ricordavano entrambi i ragazzi.
Bulma, nel frattempo, incatenata alla presa dello spilungone, cercava con tutte le forze di non dar a vedere l’insofferenza che sembrava volesse farla esplodere: a lui, adesso, stava sudando la mano nonostante la bassa temperatura. Il ribrezzo era enorme, si sentiva appiccicosa. Voleva tornare a casa e farsi immediatamente una doccia, faticava pure dal trattenersi di battere i tacchi sul terreno coperto di ghiaia e sprofondare – il vento gelido l’aveva resa un brivido – ma di ammaccare le sue scarpe non le andava.


A quando la fine di questa ingiusta sofferenza?

Non girare la frittata! La colpa è tua che te ne vai in giro scosciata. Ed è sempre tua che hai scelto di fare la matta per stare appresso ad uno schizzato come Vegeta.


«Senta, vorrei sapere quanto devo pagare per un tentativo.»
Niente, era sordo.
Andiamo via, andiamo via, andiamo via!
«Scusi, sto parlando con lei! Ma ci sente oppure no?!»
L’uomo d’improvviso sussultò, forse Yamcha aveva alzato un po’ troppo la voce ma stava cominciando a stancarsi.
L’anziano s’alzò, avvicinandosi a loro con fare ridicolo, sembrava muoversi come un pinguino, staccò dalla parete laterale del chiosco un piccolo manifesto e lo pose senza gentilezza sotto i loro occhi.
«È tutto scritto qui, ma dico: voi ragazzi non sapete leggere!»
Il vecchietto aveva un alito pestilenziale, puzzava di vino della peggior qualità. Yamcha indietreggiò di un passo.
«Ah… Non me ne ero accorto.»
Si difese con garbo per evitare un inutile litigio e non sentire ancora quel fetore uscire dalla bocca ingiallita del vecchio.
«Quanto sganci?»
Lo esortò scortesemente il pinguino panciuto, che sembrava non vedesse l’ora di tornare a farsi i fatti suoi. E magari di farsi qualche altro goccetto con il benestare del fegato.
«Faccio un tentativo, le pago venti zeny e può tenersi il resto.»
L’ometto paffuto lo guardò un po’ scettico, aggiungendo un impercettibile sbuffo d’incredulità, poi prese la pistola da sotto il bancone e gliela diede. Era già carica. Alla scienziata rotearono gli occhi su quell'arma soft air e ricordò la sua pistola, quella che s’era portata lungo il viaggio alla ricerca delle Sfere del Drago, la stessa che aveva usato invano contro il piccolo Son Goku il giorno del loro primo incontro; l’evento che le aveva cambiato per sempre la vita.
Dopo quell’episodio l’aveva messa da parte: non serviva a nulla possedere un ferro ammazzagente, quando vicino aveva un’invincibile guardia del corpo. Le mancavano quei tempi, lei e Goku in giro per il mondo, quando tutto era più semplice.


Ma quale tirassegno, io il tentativo lo farei mettendo un solo proiettile nel tamburo e puntandomi la pistola alla testa! 
Dove l’avrò mai messa la mia- 
Frena, la tua è un’automatica. Niente tamburo, niente giochino. E tra l'altro sei talmente fifona che non ne avresti il coraggio.

La vocina sapeva in ogni momento e in ogni modo come rimbrottarla da smontarla in tanti minuscoli pezzettini, difficili da rimettere insieme. A volte, non riusciva a capire se stesse dalla sua parte o meno.
Il ragazzo lasciò la mano di Bulma – provocandole una silenziosa esultanza – per impugnare la pistola e dare il meglio della sua puerilità.

C’erano una ventina di dischi col mirino posti in una sequenza a forma di piramide. Yamcha ovviamente li prese uno dopo l’altro, colpendo il centro di ognuno.
«Beccati!»
Il sordo matusa sgranò gli occhi dallo stupore.
«Complimenti ragazzo, che mira!»
«Visto tesoro, ho vinto!»
Disse Yamcha. Mentre a Bulma cominciava a far male sorridere.
«Allora, hai diritto a un premio. E siccome hai centrato tutti i bersagli, puoi prendere quello che vuoi.»
Annunciò il pinguino ubriacone rimasto sbalordito dalla performance di Yamcha.
Purtroppo, quel chiosco malandato era pieno di chincaglieria e non c’era molto da scegliere, l’unica cosetta che spiccava era una scimmietta peluche dal muso simpatico e con gli occhietti vispi. Ma gli faceva impressione: sembrava troppo reale. Era molto inquietante e lo infastidiva.

No, non l’avrebbe scelta.
Si voltò per chiedere direttamente a Bulma cosa desiderasse e quello che vide non gli piacque: la ragazza stava fissando esattamente la scimmietta. Pareva ipnotizzata, come se ci fosse un filo invisibile ad unirla al peluche.
«Voglio quella!»
Disse sicura di sé, lo scimmiottino le ricordava tanto Goku da bambino... e anche qualcos’altro.
Yamcha non fece in tempo a controbattere che il nonno prese la brutta scimmia dandola subito a Bulma; lei la strinse forte tra le braccia saggiandone la morbidezza.

Ah, è sordo quando gli fa comodo!
Pensò il ragazzo.

«Yamcha sei stato formidabile, più bravo di quella volta! Mi piace tantissimo questo peluche!»

Faceva tutto parte del copione, un copione ripetitivo ad orecchie attente; però il peluche le piaceva sul serio.
Lo spilungone non poté far a meno di ricambiare lo sguardo felice della sua fidanzata, anche se, vederla così attaccata a quella cosa pelosa, lo disgustava.
Salutarono entrambi l’uomo pinguino, lasciandolo alla lettura e alla bottiglia di vino tenuta nascosta sotto il bancone.


 

 

  ~ ~ ~



La gelosia aveva un rancido sapore, quello che sentiva invadergli la bocca.

Sei fissato, è solo un innocuo pupazzo, non quello scimmione assassino ladro di donne altrui.
Ed hai visto come ti ha sorriso Bulma, era sincera, ti ha anche detto “come quella volta” quindi se ne ricorda ancora.
Ti ama.

Auto-persuasione. Dicevano funzionasse, ma Yamcha ci stava provando con scarsi risultati.
Secondo i suoi gusti, Bulma teneva la scimmietta cattiva troppo attaccata al seno.
Comunque, lui aveva ancora il vero asso nella manica. Precisamente nella tasca.
Recuperò la mano di Bulma per porgerle una scatolina rotonda di piccole dimensioni. L’aveva tenuta nascosta fino ad allora con la smania di dargliela nel momento appropriato... che era arrivato: un altro pochetto, ed era sicuro che avrebbe visto la scimmia limonare con la sua donna.
Meglio sfoderare l’arma segreta, anziché strapparle violentemente dalle mani il maligno peluche.
«Aprila. È un regalo.»
La scienziata non sapeva come reagire, era rimasta spiazzata. La forma di quel cofanetto era inequivocabile, dentro doveva esserci sicuramente un gioiello.
Il morale le crollò in frantumi: s’era convinta di poterla scampare con un po’ di recitazione e farlo fesso e contento, invece lui l’aveva fregata.
L’aprì con coraggio e trovò uno degli anelli più belli che avesse mai visto: uno zaffiro attorniato da diamanti incastonati nell’oro.


Regalino? ... Qui c’è sottinteso un chiarissimo messaggio, una richiesta, un come ai vecchi tempi” o “siamo ancora gli stessi e potremmo essere di più”!


L’ultima delle opzioni l’angustiò terribilmente.
«Ti piace? Se ricordi il primo anello che ti regalai lo vinsi proprio qui.»
Aveva speso un patrimonio per fare bella figura, si immaginò Bulma.

Una scimmia finta da quattro soldi non può competere con questo, ho vinto io. 

Sempre l’auto-persuasione. E stavolta cominciava a funzionare.

Gola secca, non c’era più saliva, e mente completamente svuotata da batterci le mani dentro e sentirne l’eco.
Yamcha non le aveva mai regalato nulla di così prezioso in tanti anni di fidanzamento – certo, prima non possedeva un soldo bucato – e sicuramente doveva essergli costato parecchi sacrifici acquistarlo.
Si sentiva un’infame ingrata a non amarlo.
Hai toccato il fondo cara, non puoi rifiutarlo.
Perché proprio adesso se ne usciva con qualcosa adatto a… suggellare un’unione?!

Le cose accadono sempre al momento sbagliato.
«Yamcha è… Bellissimo! Sono senza parole.»
Esattamente senza amore, dovresti dirglielo.
«Ma non dovevi, chissà quanto ti sarà costato. Io… ti ringrazio! Il tuo è stato davvero un gesto adorabile.»
Oh sì, adorabile come il morso di un cagnolino malato di rabbia.
«Farei tutto per te, Bulma.»
Davvero… Anche sparire? Lo puoi fare questo?


Il ragazzo prese l’anello tra pollice ed indice per metterlo personalmente all’anulare sinistro di Bulma, in un gesto che sfiorava
inquietantemente l’apice d’un matrimonio, il loro.

Lei scacciò via l’incubo a spintoni.
Sperò che non le entrasse in nessun dito.
Sfortunatamente scivolava benissimo che quasi le stava largo.

Ridi, continua a ridere e respira profondamente, crederà che ti stai emozionando. Così, brava.

Ormai, sentiva il premio come migliore attrice avvicinarsi tra gli scroscianti applausi della sua immaginaria platea. Un premio meritato.
Aveva vinto: quella era la sua Bulma, la “timida” e solare ragazza di sempre, innamorata unicamente di lui.
«Mi ami?»
Lo sapeva, lo sapeva, se l’era architettata.
Che faccio?
Rispondigli, che altro? Digli quello che vuole sentirsi dire.
«Certo, che mi domandi?»
«Dimmelo»
Voleva farla morire?
«Sono innamorata, lo sono. Dai, smettila che mi vergogno, lo sai.»
Innamorata sì, eccome, di Vegeta!
Yamcha non insistette, s’accontentò per il momento, adagiandosi tra gli allori della sua convinta gloria.
Con quell’anello l’aveva riconquistata, ne era sicuro.
«Andiamo a farci un giro lassù, ti va?»
Le indicò la ruota panoramica, sapeva che le piaceva salirci, e s’avviarono mano nella mano... o meglio: mano in una mano impasticciata di sudore.



Sì, decisamente, questa era la sua Bulma: col dolce profilo, gli occhi grandi e celesti, le mani piccole e sempre fredde, la pelle morbida e odorosa di caramella…Già, la stessa ragazza conosciuta più di dieci anni prima.
Baciandola, capì d’aver commesso un madornale errore a dubitare di lei. Mai prima d’ora s’era reso conto di quanto la desiderasse. Era unicamente sua, non l’avrebbe mai lasciata andare, mai l’avrebbe fatto.

Solo biscotti, nient’altro.


Orribile, disgustoso, estraneo.
Il contatto con Yamcha era insopportabile; violento nel sentire quella sua mano umida carezzarle le cosce; nonostante Bulma indossasse le calze, il sudore filtrava attraverso di esse lasciando fastidiose tracce di bagnato.
Resistere ed aspettare, unica difesa a sua disposizione.
Io non volevo.
Sporca dentro, addosso, dappertutto.
Non poteva ribellarsi. Era uscita con lui per rimediare, distrarlo, invece le cose erano andate a complicarsi maggiormente. Perfino un anello che non aveva potuto rifiutare e che la faceva sentire ancor più ingabbiata.
S’era rivelata una pessima trovata uscire con lui, un’idea a doppio taglio.
La salvò dall’urlare la fine del giro panoramico: con sommo sforzo si era lasciata baciare e accarezzare; e Yamcha aveva indugiato molto giocando con l'orlo della sua gonna, per farle intendere che desiderava sfiorarla più a fondo.
Quando lo vorrà sul serio cosa farai? Te ne starai zitta a lasciarti fare quello che vuole?
Doveva assolutamente farsi forza e confessare.
Yamcha, io non ti amo più. Lasciamoci.
Conciso, semplice e chiaro. Ma le mancava il coraggio.
Diglielo!


 

Continua…

Note:

1. Nicky Town è una cittadina che si trova nelle vicinanze della città dell’ovest e di Ginger Town. Fa la sua comparsa durante la saga di Cell, quando il mostro era impegnato nel suo “ciuccia energia” e quindi andava a servirsi da quelle parti. Nel manga Nicky Town non c’è, viene solo nominata una certa“città della zona 48”… Ma tanto, a qualcuno interessa?
2. A Yamcha piacciono i motori, la puntata “festa a casa di Bulma” ne dà prova, ma è prettamente per mio comodo narrativo che ho scelto di appioppargli la fissa delle quattro ruote.
3. Questo è uno dei capitoli che odio, però ha la sua modesta importanza: dovevo mettere in risalto alcuni dei difettucci dello smidollato. Almeno spero che a voi sia piaciuto.
4. Altro disegno per voi. Sì, quello è Yamcha. Ah, vedete come sono alti i tacchi di Bulma? Ditemi se non ha ragione di lamentarsi.
5. Della serie facciamoci i fatti nostri: chiedo venia per il ritardo nei confronti di chi mi stava aspettando(l’elaborazione grafica mi ha rubato un po’ di tempo). E ringrazio chi ancora ha voglia di seguirmi, e chi si è appena aggiunto!

   
 
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