Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: ferao    16/04/2011    10 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buon Dio, il capitolo 20. Non pensavo che ci sarei mai arrivata.
*si commuove*
Ormai quasi quattro anni fa ero solo una fanwriter alle prime armi, e ho iniziato la prima stesura di questa storia senza avere in testa una trama ben definita né un punto d’arrivo. Lo si può vedere dallo stile dei primi capitoli, che tra l’altro sono stati modificati a partire dal 2009: uno stile che spero vivamente sia cambiato, visto che non riesco a rileggere i primi dieci capitoli senza provare un piccolo fastidio.
Era nata come una piccola bimbaminkiata, in sintesi. Ora non lo è più, o almeno non credo.
Ora ce l’ho a cuore, questa storia. Sono riuscita a dare un ordine a tutto nella mia mente; sto incastrando gli ultimi pezzi, anche quelli che non si lasciano incastrare, e finalmente sono soddisfatta, nonostante tutto ciò mi stai succhiando via tempo, energie e ore di sonno.
Ad ogni modo ho preso lo sprint, finalmente, quello sprint che mi mancava da secoli, e sono contenta. Davvero.
Però… c’è un però. È vero, ho scoperto che scrivere capitoloni lunghi mi viene più facile e mi soddisfa di più, ma con questo sistema… siamo quasi arrivati alla fine. Eh già.
Adesso che mi stavo riaffezionando a questa long, accantonata e messa da parte per così tanto tempo, sto per concluderla. Diamine.
Controllo l’indice dei capitoli che ho scritto in fondo alla pagina Word come guida, per avere uno schema di lavoro, e non ci credo. Altri tre, quattro… cinque, se proprio riesco ad allungare il brodo. E poi basta.
Santa Cacca di Doxy, sta davvero finendo.
Parrà strano, ma mi dispiace. Faen.
Faen. Faen, faen, faen.
 
*si asciuga le lacrime*
 
…però ho già pronti i seguiti, quindi non sperate di liberarvi di me e dei miei personaggi tanto facilmente… *ghigno malvagio*
 
 
 
 
Ué! No, dico, dove pensate di andare? A leggere il nuovo capitolo? No no no, assolutamente no.
Non azzardatevi a farlo, faen. C’è una cosa che dovete AS-SO-LU-TA-MEN-TE fare prima di questo. NON OSATE leggere il capitolo 20 senza passare prima di qua: "Di libri e di altre sciocchezze"
Cos’è? È una delle cose più meritevoli di essere lette che la sottoscritta abbia mai trovato finora. È una raccolta bellissima, originalissima, scritta meravigliosamente da un autore (sì, un autore MASCHIO, finalmente!) che dire che è bravo è come dire che Potter porta una sfiga mostruosa. Cioè, riduttivo.
Leggete leggete leggete. Non azzardatevi a tornare qui prima di aver letto TUTTA la raccolta (ci si mette poco, vedrete) e magari di aver lasciato un commento al buon dierrevi, che saluto di quore (con la Q) anche se spero che non passi mai di qui a vedere questa storia, perché mi farebbe vergognare il fatto di mostrargli quanto poco valgo rispetto a lui ^__^
(Al gruppo delle recensitrici fedeli: voi leggete più di tutti, perché poi vi interrogo u__u)
(…e fu così che non rimasero nemmeno le recensitrici fedeli, come i dieci piccoli indiani…)
 
 
 
 
 
 
Avete letto? E avete lasciato la recensione?
No? Beh, tranquilli, fate con comodo. Vi aspetto.
 
 
 
 
 
 
 
Tutto fatto? Benissimo!
Ora potete leggere il nuovo capitolo.
Ma prima…
AVVERTENZE (che stavolta torno mettere a inizio pagina perché… perché sì, ecco):
1) “Rosci e cani pezzati, ammazzali appena nati”: proverbio diffuso in quel di Roma (ma forse anche altrove in giro per l’Italia) che è indice di una sorta di tradizionale malignità contro le persone dai capelli rossi, considerate cattive sin dalla culla. È OVVIO che NON condivido, anche perché il mio amato fidanzato Babbano ha a sua volta i capelli rossi ^_^
Tuttavia era perfetto per il contesto in cui l’ho inserito. Nel capitolo lo troverete parafrasato, ma ugualmente riconoscibile.
2) Stavolta sono riuscita a inserire un pizzico di follia in più nel capitolo, grazie all’aiuto dell’indispensabile Lucy Bennet (santa donna! Che farei senza di lei?); forse però, in effetti, un po’ troppa follia, visto che siamo sempre nel periodo “lutti-dolore-tragggedia-e-tempi-bui”. Non pensate che me ne sia dimenticata, eh. Però, insomma, a scrivere di quel periodo ci ha già pensato la Rowla, mentre io… io sto solo scrivendo di Percy e Audrey; voglio dire, okay, ci sono i Mangiamorte sguinzagliati in giro, a Hogwarts succede quello che succede, il malefico Potty Potter sta facendo lo “stravede” (per chi mastica un po’ di romanesco)… però Percy e Audrey si sono dovuti separare, e, cosa più importante, stanno per avere un bambino. Quindi, anche per non dare vita agli ennesimi monologhi di tristezza et disperazione in cui mi sono prodotta negli ultimi capitoli, mi sono soffermata più su di loro che su tutto il resto, anche se mi rendo conto che questo può portare forse a qualche incongruenza con la storia originale. Sorry.
3) Visto che ho notato un po’ di persone abbastanza interessante alla parola faen, vi lascio qui il link a un video molto istruttivo e interessante che spiega (in inglese) il corretto uso di questo utile termine, nonché l’esatta pronuncia e persino l’etimologia:  "Faen!"
Guardatelo, sia per farvi una cultura, sia perché lo speaker è piuttosto carino e potrebbe tranquillamente essere un Bennet, per come lo vedo io ^_^
4) Tornando alla signora Bennet, credo che potreste trovare i suoi principi un po’… contraddittori tra loro, considerato che quando si è ritrovata il povero Percy in mutande a casa della figlia non ha fatto una piega. Non stupitevi, però. Lo sapete benissimo, che è pazza, quindi non fatemi ripetere cose ovvie.
4) Il Ministero poteva controllare i camini dei dipendenti? (*Dubbio atroce…*)
In fondo, sono maghi… quindi possono, no? Non mi ricordo, ma… secondo me possono. Il dubbio rimane però…
Diciamo di sì, okay? Mi accettate questa licenza poetica? Daaaai, siate buoni… non siate pignoli e rompiscatole come Percy! Non avete idea di quanta ansia mi metta, lui: quando scrivo se ne sta sempre lì appollaiato come un gufo a controllare che non scriva sfondoni (ma qualche errore riesco a farlo lo stesso, alla faccia sua!) e che non lo tratti troppo male nella storia. Quando ho descritto il pranzo dei Bennet gli è quasi preso un infarto, e ho creduto che me ne sarei finalmente liberata; purtroppo, invece, è ancora vivo e vegeto, sempre lì a sbirciare il mio computer per lanciarmi occhiatacce e togliermi punti quando sono troppo cattiva nei suoi confronti. Ogni tanto, quando esagero, mi tira persino uno scappellotto. Eccolo, infatti.
*incassa lo scappellotto*
Si permette queste cose solo perché sa che non posso eliminarlo del tutto, in rispetto al Canon e a ciò che ha scritto la Rowla. Dipendesse da me sarebbe sparito dalla circolazione da un bel pezzo…
*altro scappellotto*
Ahia. Questo faceva male.
5) “Moll Flanders” è un bellissimo romanzo di Daniel Defoe; a Audrey è piaciuto un sacco, e anche a me ^_^
Da notare, comunque, la scarsissima fantasia che hanno questi due per i nomi... bah!
6) Grafia da Guaritore = grafia da medico, ovvero brutta grafia.
7) “Tutti i giorni della mia vita”: nella formula attuale del matrimonio concordatario (per capirci, quello che celebrate in chiesa, col prete e tutto) si dice: “…in salute e in malattia, in ricchezza e povertà per tutti i giorni della mia vita”. Non c’è più la dicitura “finché morte non ci separi”. Per questo non ho usato quest’ultima frase, ma l’altra.
8) Il fonetolo non è uno dei sette nani, ovviamente. È che la parola feletono è troppo inflazionata oramai.
9) A questo indirizzo (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9172940) c’è il link per testare il livello di Mary Suaggine dei nostri personaggi originali. Naturalmente non potevo esimermi, e sono lieta di annunciare che Audrey ha superato alla grande il test rivelandosi, udite udite, niente meno che una Anti-Sue, con il clamoroso punteggio di 8!
Inutile aggiungere che sono schifosamente orgogliosa della mia piccola Aud ^_^
(Invece il povero Adams è un Quasi-Sue, ma vabbè, ci può stare. Lui è lui, insomma).
10) Per citare una recensione (ad un’altra storia, però) della solita Charme (ma ciao! Ricorda che dopo ti interrogo!) in questo capitolo ho messo un po’ di “Oh, una nuova vita sta nascendo, blablabla… lagne varie”. Ne sono consapevole, ma non mi dispiace affatto. Accontentatevi. I miei protagonisti sono una coppietta giovane alle prime armi e con una gravidanza inaspettata sul collo, un po’ di pazienza, per Giove. Pori cèi, non è mica facile, eh!
11) A parte ciò, in questo capitolo troverete OOC, paturnie mentali e melensaggini a go-go; mi spiace. Non piacciono nemmeno a me, ma sono in un periodo così, vedo tutto a fiorellini… roba strana, gli ormoni femminili.
Ed è ovvio che non sono soddisfatta del capitolo, ma non serve che ve lo ripeta. Soprattutto il finale mi sembra estremamente patetico, ma che volete che vi dica… sono gli ormoni, ahimé.
12) È sicuro al 99% che il prossimo capitolo arrivi dopo la santa Pasqua, perché sarò parecchio impegnata in questi giorni; in effetti non avrei nemmeno dovuto scrivere questo capitolo, perché mi sarei dovuta concentrare sulla fanfiction per i play off di Quidditch da consegnare entro – brrr! – lunedì. Però il pensiero dei miei venticinque lettori (sé, magari…) che attendono (?) con ansia (?!) il nuovo capitolo di questa long mi ha mossa a compassione. Vorrà dire che stanotte farò – come al solito – le ore piccole cercando uno straccio di idea che non verrà.
Faen.
13) Dimenticavo: visto che qualche volta le battute dei personaggi mi vengono in mente in inglese (esempio: quando Percy balbetta e dice di continuo “voglio dire..”, io immagino che dica “I mean…”) per questo capitolo avevo in testa un bel gioco di parole che però in italiano non rende per niente. Ho giocato infatti sull’assonanza tra “ginger” (modo colloquiale per indicare i capelli rossi) e “ginger bread” (biscotti allo zenzero… sapete, quelli a forma di omino. Ne ho mangiati a chili, quando sono andata in Inghilterra con gli scout, e sono deliziosi!)
Nonostante in italiano non suoni, l’ho inserito lo stesso (anche perché i nostri protagonisti sono inglesi, remember!). Per chiarirvi le idee, però, vi metto la versione in italiano e quella nel mio approssimativo inglese, anche se ho qualche dubbio sulla costruzione sintattica della prima frase. (Quindi correggetemi, se ho sbagliato).
 
- […]Non faccio altro che imbottirmi di biscotti allo zenzero! […]
- Temo sia colpa mia… Sai, i capelli rossi…
 
- […] I do nothing but stuffing with ginger breads! […]
- I think it’s my fault… You know, ginger…
 
Non è colpa mia: è semplicemente un esempio del terribile pseudo-umorismo di Percy, il quale, lo ricordiamo, «non riconoscerebbe una battuta di spirito neanche se ballasse nuda davanti a lui con il copriteiera di Dobby in testa».
*scappellotto*
Ahia. Fai piano, dannazione!
 
Ehm, scusate.
Buona lettura!




Quella parte di me






 
Audrey Bennet non si arrabbiava facilmente, nemmeno con uno come Percy (e questo significa tanto, tantissimo); quando lo faceva, però, ci metteva tutta la forza che aveva, e allora conveniva fuggire.
Lucy Bennet, degna madre di tanta figlia, era persino peggio di lei.
Quando, il diciotto settembre, la signora Bennet si era vista piombare in casa Audrey con le valigie in mano e il viso pieno di lacrime, aveva subito pensato che quel dannato figlio di buona donna l’avesse abbandonata. Ed era così furiosa che stava per andare di persona da Percy a farlo pentire di essere nato; per fortuna Audrey riuscì a fermarla in tempo: la convinse a rimanere in casa e le raccontò tutto per filo e per segno, di come avesse rischiato di andare ad Azkaban e di come Percy le avesse dato una mano.
A sentire che il caro Percy aveva salvato la sua bambina da un pericolo così imminente, la rabbia della signora Bennet smise di essere rivolta contro di lui e si concentrò sulla figlia: perché Audrey l’aveva tenuta all’oscuro di tutto?
- Volevi forse farmi morire di pena? Potevi finire ad Azkaban e io non lo avrei saputo! Ma che diavolo ti è saltato in testa, Aud! Sei un’incosciente! Un’irresponsabile! È questo il modo di…
Dopo mezz’ora, Audrey era riuscita a raccontare la parte finale delle sue disavventure: doveva aspettare altri cinque giorni, poi la Umbridge avrebbe pronunciato la sentenza definitiva.
- Umbridge! Un’altra buona donna figlia di buona donna! Lo diceva sempre Klaus, che quella lì va evitata come il vaiolo di drago! E la lasciano giudicare! Uno scandalo! Un abominio! Un…
Passò un’altra mezz’ora, e finalmente Audrey riuscì a tirar fuori la cosa che le pesava di più: se ne era dovuta andare di casa su richiesta di Percy.
- Allora è davvero colpa SUA! - tuonò la signora Bennet. - Lo sapevo! “Capelli rossi e cani pezzati vanno uccisi appena nati”! Quel farabutto! Quell’imbecille! AH! - saltò in piedi e afferrò la bacchetta. - Stavolta vado davvero a cantargliene quattro!
- Mamma, per favore… - A Audrey stava salendo il mal di testa, come sempre quando si ritrovava a dover discutere con sua madre arrabbiata. - Lo ha fatto per me. Ha detto che adesso inizieranno a controllarlo, visto che si è esposto per me e che la sua famiglia non appoggia il Ministero, e non vuole che io ci vada di mezzo. Tutto chiaro, adesso?
- Oh!- Lucy ci pensò su un istante. - Oh… Sì, tesoro, sì, adesso è chiaro…
La rabbia svaporò come se non ci fosse mai stata. Lucy posò la bacchetta, e andò ad abbracciare la figlia seduta sulla sedia di fronte a sé.
- Scusa, non avrei dovuto dubitare di Percy, quel caro ragazzo…
- C’è anche un’altra cosa, ma’…
- … è ovvio che ti vuol bene, cosa sono andata a pensare… ma dimmi pure, piccola mia.
Audrey prese fiato. Okay, era il momento di dire a sua madre quella cosa. Ma da dove cominciare?
Cavolo, se è difficile… Però devo dirglielo. Lo capirebbe comunque da sola, quindi meglio togliersi il dente subito.
… Come faccio?! Mi ucciderà!
Decise di prenderla alla larga, per sicurezza.
Molto larga.
- Mamma?
- Sì?
- Tu mi vuoi bene, vero?
Lucy la guardò perplessa. - Ma… Certo, Aud, certo che ti voglio bene…
- Mamma?
- Sì?
- A te non ha fatto piacere che io sia andata a convivere con Percy, vero?
La signora Bennet storse il naso. - Lo sai che sono un po’ all’antica; per me puoi anche andare coi ragazzi, ma convivere… Avrei preferito che tu lo facessi dopo sposata, ecco.
- Ma mi vuoi bene lo stesso, vero? Anche se ho fatto una cosa non in linea coi tuoi principi, giusto?
- Sì, Aud, te l’ho già detto!
- Mamma?
Lucy sospirò. - Sì?!
- Ne ho fatta anche un’altra.
- Un’altra… che?
- Un’altra cosa non in linea con i tuoi principi.
- … Ti sei drogata?!
- Sono incinta.
Passò un inquietante silenzio tra le due. Audrey si rese conto che, forse, non era stata una buona idea dirglielo così.
La signora Bennet era impallidita vistosamente; dopo otto secondi emise le parole che a fatica era riuscita a mettere insieme in quel lasso di tempo.
- In… In… in che senso, scusa?!
Audrey si sbatté una mano sulla fronte, rassegnata.
Inizio a credere che l’anima gemella di Percy, in verità, sia mia madre…
 
 
Passarono quattro giorni, e Grete non si fece viva.
Per quanto fosse stordito da tutto quello che gli era accaduto in così poco tempo, Percy riusciva ancora a provare paura. Paura per quello che sarebbe successo se non avesse presentato l’albero genealogico di Audrey alla Umbridge.
Azkaban. Per entrambi.
E aspettavano un bambino.
 
Più ci pensava, meno lo realizzava.
Ed era ancora più difficile da credere, in assenza di Audrey.
Aspettavano un bambino.
Sembrava un sogno, una fantasia. Una bugia.
Aspettiamo un bambino.
Da quando aveva chiesto a Audrey di andarsene erano passati solo quattro giorni, e in quel lasso di tempo Percy non era riuscito a pensare ad altro. Cercava in tutti i modi di capacitarsene, di rendersi conto che sì, era vero, ma non ce la faceva.
Aspetto un bambino.
Diamine, che follia. Proprio in quel momento… perché?
Perché proprio quando stavano rischiando entrambi Azkaban, perché proprio quando aveva dovuto lasciare Audrey da sola?
Perché?
 
 
In quei quattro giorni erano cambiate parecchie cose.
Audrey si era dimessa; non riusciva più a stare in archivio, davanti alla scrivania vuota di Adams, pensando ai Dissennatori che si aggiravano nelle aule giudiziarie poco più sotto. Percy aveva accettato le dimissioni a malincuore, perché il Ministero era l’unico posto dove avrebbero ancora potuto vedersi senza problemi, ma la capiva. Anche lui, potendo, se ne sarebbe andato subito.
Ma non poteva.
Nonostante Audrey fosse abbastanza convinta che le sue supposizioni fossero idiozie e che lui si fosse solo lasciato prendere dalla “sindrome del perseguitato”, su una cosa Percy aveva sicuramente ragione: la Umbridge, o chi per lei, pensava di poter arrivare ai Weasley attraverso di lui, e lo stava facendo controllare.
In sostituzione di Audrey e Adams gli erano arrivati in archivio due personaggi che di sicuro, nella loro vita, avevano fatto tutto tranne che mettere le mani fra fascicoli e documenti; tuttavia li aveva dovuti assumere per forza, perché “raccomandati caldamente” da qualcuno abbastanza in alto da poterselo permettere.
Non ci volle molto, a Percy, per capire la vera funzione di quei due. Non serviva molta fantasia, visto che divenne quasi normale, per lui, incrociarli sotto casa sua, la mattina quando usciva e la sera quando rientrava; nemmeno poté stupirsi quando si accorse che la sua posta, al Ministero, veniva regolarmente aperta e richiusa, prima di essergli consegnata. Questo lo fece temere più di tutto: se quei due si fossero ritrovati tra le mani l’albero di Audrey, non ci sarebbero state più speranze. Gli alberi genealogici cartacei venivano gelosamente custoditi nei Ministeri, spedirne e riceverne uno originale erano reati di un certo peso.
Forse era per questo che l’albero non era ancora arrivato: forse Grete si era tirata indietro, aveva avuto paura… o forse la Norvegia aveva già chiuso le frontiere…
Perché, altrimenti, quel fottuto albero non era ancora arrivato?
Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare?
Stava diventando tardi, troppo tardi…
 
 
La sera del ventidue settembre, la vigilia della scadenza della sua Garanzia, Percy Weasley capì che la lettera che aspettava non sarebbe mai giunta.
Seduto nel suo ufficio, solo, a pochi passi da quelli che ormai chiamava “le sue spie”, sentì all’improvviso tutto lo sconforto accumulato in quei pochi giorni cadergli addosso, e soffocò. Non era riuscito a salvare Adams, non era riuscito a salvare Audrey; aveva lasciato che distruggessero le loro vite, e ora anche la sua, e quella del suo bambino…
Si prese la testa tra le mani; la sentiva scoppiare, andare a fuoco, mentre l’enormità di quella situazione gli si presentava finalmente davanti agli occhi in tutta la sua accecante chiarezza.
Avevano una vita, lui e Audrey. Avevano un futuro. Stavano diventando una famiglia.
E lui, per la sua incapacità, aveva rovinato tutto, tutto.
Era solo colpa sua. Tutta colpa sua. Era stato debole e incapace, come al solito.
Come sempre. Colpa sua, sua, sua.
Rimase a lungo così, la testa tra le mani, e non si accorse subito che uno dei nuovi archivisti era entrato senza bussare.
- Signor Weasley, - annunciò questi, riscuotendo Percy  - è appena arrivata una lettera per lei.
Una lettera a quest’ora?
Non può essere, non può essere…
Ti prego, fa’ che lo sia.
Le sue spie facevano un lavoro davvero pessimo: nonostante fosse stata richiusa a dovere, si vedeva che la busta era stata dissigillata in precedenza. Fece una smorfia.
Se me l’hanno portata significa che non è quella che aspettavo.
Non è lei, non è lei.
Hanno vinto.
Disse all’archivista che poteva andare, ma quello, indifferente, non si mosse da davanti la scrivania. Percy decise di ignorarlo. Avevano già vinto, ormai, che differenza poteva fare?
Estrasse la lettera e l’aprì, e per qualche secondo restò sconcertato. Che… diamine era?
La calligrafia era familiare, ma la lingua era assolutamente incomprensibile. Per un folle momento pensò che fosse norvegese, ma in quel caso lo avrebbe riconosciuto; non lo parlava, ma aveva sfogliato qualche documento bilingue anni prima, nel periodo in cui aveva conosciuto Grete, e qualcosa gli era rimasto in mente.
Quello… No, non era norvegese, né tantomeno inglese. Erano solo lettere mischiate a caso.
Adesso si mettono anche a farmi gli scherzi?
Lanciò un’occhiata all’archivista, che ricambiò con espressione vacua. No, non erano stati loro, decisamente.
Quando però gli occhi di Percy si posarono di nuovo sul foglio, qualcosa era cambiato.
Sotto il suo sguardo incredulo, le lettere iniziarono a spostarsi, formando frasi di senso compiuto in inglese.
Trattenne il fiato, mentre leggeva tra sé le parole un po’ sgrammaticate di Grete Skjalgsson.
 
Ho incantato la letera, così puoi leggerla solo tu. Non rispondere, non serve.
Scusa ritardo, ho avuto provlemi, spero che sono ancora in temppo.
L’albero è la busta, basta uno semplice “Finite Incantatem”. Mi sono permessa fare innesto de famiglia Bennet, ho trovato da noi il doccumento di adozione. Non devi fare nulla, tutto fatto.
Lykke til, lille.
 
 
Lykke til. Buona fortuna.
Non aveva più bisogno di fortuna, ormai. Aveva tutto ciò che gli serviva.
In uno slancio di gioia si strinse la lettera al petto. Tutto andava bene, finalmente, tutto sarebbe andato bene, tutto, tutto…
- Posso sapere - fece la voce antipatica del nuovo archivista, - che cos’è, signor Weasley?
Percy lo guardò, e fece un sorriso strano, beffardo.
- Una lettera d’amore - rispose.
 
 
L’albero era perfetto, perfetto. Non solo c’era tutta la genealogia dei Saknussem con i relativi incroci, ma Grete era riuscita a innestare anche il ramo inglese. Sotto a Eivind e Jorunn comparivano ora due rametti: Roman e Klaus, con aggiunta la frase “Cambio di cognome causa adozione Babbana (pratica F903E4/1949): da Saknussem a Bennet”.
Così diventava infinitamente più semplice dimostrare che Roman e Klaus non erano affatto figli di Babbani, e, di conseguenza, che Audrey non aveva ascendenti non magici. Era Purosangue anche sulla carta, alla faccia di quella troia della Umbridge e dei suoi compari.
Intelligentemente, Grete non gli aveva mandato l’albero originale ma una copia, e questo metteva Percy al sicuro anche da ulteriori inconvenienti. Non sarebbe mai stato in grado di ringraziare abbastanza quella donna; quello che aveva fatto per lui andava oltre l’immaginabile. Gli aveva ridato la vita e il futuro, senza chiedere nulla in cambio.
Se è femmina, la chiamerò Grete.
Stavolta il pensiero di Audrey e della sua… incintezza non lo rattristò minimamente.
 
Dolores Umbridge accolse l’albero genealogico con il solito sorriso forzato e lezioso, e si limitò a dire che, data l’acquisizione di quei nuovi elementi, la signorina Audrey Jorunn Bennet era prosciolta, ma tanto lei quanto gli altri discendenti dei Saknussem avrebbero dovuto dismettere il cognome Babbano e riprendere l’originale.
- È una questione di dignità - spiegò la Umbridge quando Percy chiese il motivo di quella decisione. – Nessun vero Purosangue dovrebbe mantenere l’onta di un cognome Babbano, non trova?
Le solite stronzate razziste. Al diavolo, cosa vuoi che importi, Audrey è libera, starà bene, avrà un bambino, va bene così…
Audrey non la prese altrettanto bene. La sola idea di dover cambiare cognome la fece infuriare.
- Non se ne parla neanche! - sbraitò, non appena lei e Percy si trovarono fuori dall’ingresso del Ministero.
- Perché dovrei cambiarlo? È il mio cognome! Compare su tutti i miei documenti! E poi come si permette di imporre una cosa del genere anche ai miei parenti? Non può, non può! Lurida bastarda…
Percy lasciò che si sfogasse: in cuor suo non gli importava nulla di quella storia dei cognomi, quello che contava era che si erano salvati, per miracolo. Un vero miracolo.
- … Infame, zoccola, demente, cretina, imbecille, befana, baldracca…
Era così sollevato che gli venne da ridere, sentendo la sfilza di epiteti rivolti alla Umbridge. Udendo la sua risata, Audrey si interruppe, e lo guardò stranita.
- Che cavolo ridi, tu? Non c’è niente da ridere!-
- Scusami… È che…
- Che cosa? Perce, vedi di non iniziare a fare lo scemo, per piacere! Sono furibonda!
- Lo so, lo so… Stavo solo pensando che non ti vedevo così arrabbiata dal Capodanno a casa di Roman. Ricordi?
Involontariamente Audrey fece una smorfia divertita, e smise per un attimo di essere arrabbiata. - Certo che mi ricordo… Hai seriamente rischiato di morire, quella volta.
- Però alla fine ne è valsa la pena.
La smorfia si tramutò in un gran sorriso; era il minimo, davanti a una delle rarissime frasi sentimentali di Percy.
E poi, ora che ci pensava, c’era un altro motivo per sorridere: erano in salvo, tutti e due. Anzi, tutti e tre.
Audrey fece per avvicinarsi a Percy, ma parve ripensarci.
- La ringrazio ancora, signor Weasley. Spero di rivederla presto - disse, tendendogli la mano.
Percy la strinse, capendo al volo il perché di quel saluto formale. Dietro di lui c’erano le sue spie.
- Lo spero anch’io. Mi saluti sua madre.
- Non mancherò. A presto.
Non poté fare altro che guardarla mentre si Smaterializzava. Si voltò e incrociò lo sguardo dei due nuovi archivisti, che non tentarono nemmeno di dissimulare la loro presenza.
 
Non avrebbe rivisto Audrey per sei mesi.
 
 
 
 
 
Il primo mese Percy cercò semplicemente di non pensare. Non pensava; ogni pensiero faceva male, malissimo.
Se pensava ad Adams, il coraggioso Adams, laggiù ad Azkaban, si sentiva morire; anche solo provare a immaginare quello che stava soffrendo lo uccideva: non doveva esserci niente di peggiore che trovarsi in quel luogo senza aver commesso alcun delitto, senza aver fatto nulla di male. Niente di peggiore.
Se pensava a Audrey, alla sua metà di letto vuota, ai suoi romanzi rimasti nella libreria e alla sua pancia che lui non avrebbe visto crescere, Percy si sentiva portare via il cuore. I primi giorni senza di lei furono duri, quelli dopo ancora più duri, perché gli facevano ricordare quanto fosse solo, quanto poco valesse senza Audrey.
Se pensava alla sua famiglia si sentiva svuotato e riempito di ogni amarezza: provava ora una grande paura per loro, soprattutto per Ron e Ginny che, ne era certo, avrebbero fatto qualche follia per seguire Potter; non aveva mai desiderato così tanto tornare dai suoi, proprio ora che non poteva proprio contattarli o chiedere notizie. Si accontentava, ogni tanto, di incrociare suo padre al Ministero, ma il conforto che provava in quei momenti era avvelenato dagli sguardi carichi di rabbia e dolore che Arthur gli lanciava.
Riguardo ai Bennet, la sua seconda famiglia, Percy non aveva saputo più nulla di nulla. Era tranquillo solo riguardo a Roman e Magda, che immaginava ancora in Italia, e a Judith, che Rhett aveva fatto trasferire già da inizio luglio a Beauxbatons; degli altri non sapeva nulla, e questo faceva preoccupare Percy.
Tante persone a cui pensare, tanti pensieri per ogni persona.
Era come… come avere tante parti di cuore, ciascuna delle quali non faceva che ricordargli quante persone ci fossero nella sua vita e quanto poco si fosse curato di loro, prima.
Ogni parte di cuore era un pensiero, un pensiero tremendamente triste.
Così, per un mese, Percy cercò semplicemente di non pensare.
 
Audrey invece non riusciva a smettere di pensare, proprio non ce la faceva. Tentava in tutti i modi di distrarsi, di tenersi impegnata; aveva persino trovato lavoro in un bar Babbano, ma niente, niente.
Pensava, e si sentiva mangiata dalla nostalgia. Le mancava tutto quello che aveva lasciato a Londra; le mancava il lavoro al Ministero, le mancava casa sua, le mancava Adams, le mancava Percy. Oltre a ciò doveva combattere contro il suo stesso corpo: mal di testa e nausee non accennavano a scomparire, nei primi mesi, e a completare il quadro erano arrivati un bel mal di schiena cronico nella zona lombare che non l’abbandonava nemmeno nel sonno e una fastidiosa tensione dei seni.
Senti, Coso, ho capito che adesso siamo in due, ma non è davvero il caso di infierire. Già hai scelto il momento sbagliato per venir fuori, vuoi proprio rendere il tutto ancora più complicato?
Già. Il suo pensiero ricorrente.
Com’era strano abituarsi a quell’idea; all’idea di avere un Coso dentro di sé che non era lei ma era parte di lei, e anche parte di Percy. La signora Bennet ci aveva messo meno tempo ad accettarla, e, nonostante si rendesse conto del periodo difficile che stavano vivendo, era tutta eccitata all’idea di diventare presto nonna.
Vedi, Coso, mia mamma è un tipo strano. Fosse stato per lei, tu non saresti nato se non dopo che io mi fossi sposata, cioè tra MOLTI anni; eppure, adesso che ci sei, è felice come una Pasqua. Ho provato a dirle che il fatto di diventare nonna l’avrebbe invecchiata in modo tremendo, ma lei si è limitata ad alzare le spalle, ed ha continuato il suo lavoro a maglia. A mano, perché – dice – con la magia è meno divertente.
Povero Coso, sarai sommerso dai maglioncini, temo… in più saranno tutti gialli, visto che la mamma dice che è un colore che va bene sia per i maschietti che per le femminucce.
Tranquillo però, non lascerò che quella pazza di nonna Lucy ti trasformi in un canarino gigante: mi ricordo ancora qualcosa di Trasfigurazione, vedrai, avrai maglioni di mille colori diversi…
 
Parte di lei, parte di Percy. Assurdo. Eppure era così reale.
Così bello, a pensarci. Proprio quando si erano dovuti dividere avevano fatto in modo di restare insieme, in qualche modo. Non si erano separati del tutto, non si sarebbero separati più.
Da brividi, no, Coso? E scusa se ti chiamo Coso, ma non so in quale altro modo chiamarti. Ho dato un’occhiata a un’enciclopedia medica, e non sei nemmeno un Coso, ma un Cosino! Come fai a darmi tutti questi fastidi, se sei così piccolo? Credo che in uno scontro tra te e una lenticchia quest’ultima ti schiaccerebbe senza difficoltà, quindi spiegami: come fai ad abbattermi così?!
 
Insieme grazie al Coso. Che idea. Le faceva pensare a quella strana frase che Percy le aveva detto la seconda volta che si erano baciati, a Capodanno. “Sono dove sei tu”, o qualcosa di simile.
Era una frase strana, senza molto senso, così poco da Percy. Probabilmente era stata la grappa a parlare, in quel momento.
Però… non era forse così, adesso? Insomma, lei era lì, stesa sul suo letto nella sua vecchia casa, e c’era anche Percy, o almeno una parte di lui.
Percy era dov’era lei.
Sai, Coso? Percy, voglio dire il tuo… Merlino, che strano dire che Percy è il tuo papà! Quando l’ho conosciuto non avrei mai detto che sarebbe finita così, anzi! Dicevo, il tuo papà è un tipo strano. Pensa che la prima volta che l’ho visto non sorrideva nemmeno… Ha iniziato a sorridere quando ho fatto una battuta stupida. Non che sia cambiato molto, eh, anche adesso ci sono dei momenti in cui lo prenderei volentieri a schiaffi per come si comporta, ma… Beh, che ti devo dire: come tutti gli uomini, Coso, lui ha una parte buona e una parte meno buona, come ce l’ho io e come ce l’avrai anche tu. La sua parte meno buona lo fa essere spesso testardo, cattivo, rompiscatole e mortalmente noioso; la sua parte buona invece… Beh, se tu sei lì è perché ha questa parte buona, che è anche quella che lo fa sorridere, che lo fa arrossire quando mi fa un complimento, che lo ha portato a sopportare tutta la mia famiglia per scusarsi con me… e che me lo fa mancare così tanto.
Chissà se sai cos’è la nostalgia, Coso…
O Cosa?
No, Coso; spero tanto che tu sia un Coso. Non c’è un perché, mi piaci più Coso che Cosa…
 
Un mese, due mesi, tre… era dicembre ormai, un dicembre freddissimo.
Ed erano ormai tre mesi che Percy e Audrey non si vedevano e non si sentivano. Non potevano usare gufi né camini, perché il ragazzo sapeva che entrambi potevano essere controllati. Niente mezzi di comunicazione magici, lo aveva detto chiaramente a Audrey.
Lei, però, non si rassegnava.
Dimmi tu se questa non è paranoia… Magari lui è insensibile alla nostalgia, ma io non lo sono! Cavolo! Tre mesi! Come se fosse facile poi, non posso mica alzare il telefono e…
E…
Telefono?
Stava camminando avanti e indietro nella sua stanza, l’irritazione alle stelle, ma quel pensiero la bloccò sul posto.
Ma no!
Si schiaffò una mano sulla fronte. Oh santi reggipetti di Helga: Aud, sei cretina. Sì sì. Una cretina.
Perché non ci aveva pensato subito? Come aveva fatto a dimenticarlo?
Percy… Lui… in casa aveva un telefono. Ce l’aveva lasciato proprio Audrey, le sembrava quasi di vederlo, lì, appoggiato vicino al piccolo divano. Se ne era totalmente dimenticata.
Il telefono… Un marchingegno Babbano. Il Ministero della Magia non lo controllava di sicuro.
Coso, tua madre è cretina! Cretina cretina cretina!
Diamine, cioè, sono stata davvero tre mesi a immalinconirmi quando avevo la soluzione a portata di mano? Sto proprio invecchiando…
Guardò l’orologio appeso al muro: Percy doveva essere tornato da un bel pezzo, ormai.
Senza indugiare ancora, prese la cornetta e compose il numero.
Ehi Coso, tra poco sentirai il tuo papà! Sei contento?
 
Che giornata orrenda, pensava Percy.
Orrenda come tutte le altre.
Giornate così non si auguravano a nessuno. Nemmeno al peggiore dei criminali, nemmeno a Voi-Sapete-Chi Percy avrebbe augurato di passare simili momenti.
Era solo, come non lo era mai stato; era solo, e la solitudine amplificava i suoi pensieri e le sue preoccupazioni per i suoi, per Adams, per i Bennet, per Audrey…
Quanto era stato stupido a desiderare quella solitudine, anni prima! Stare solo non ti fa essere migliore, non ti fa dimostrare nulla: ti fa essere solo, e basta. Finché non arriva il giorno in cui vorresti tornare indietro e non puoi…
Il filo dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto da un suono fastidioso.
 
Uno squillo, due, tre… Che non fosse ancora tornato?
Audrey guardò l’orologio appeso al muro. No, di sicuro era a casa.
Sette, otto, nove…
Beh? Che ci vuole a rispondere a un telefono?
 
Il suono era strano: intermittente, metallico, estremamente irritante. Che cavolo è?
Percy si guardò attorno, cercando la fonte del rumore. Credette di individuarla in quello strano aggeggio Babbano che Audrey aveva lasciato vicino al divano, e che lui aveva dimenticato di mettere via.
Si avvicinò. Sì, il rumore fastidioso proveniva da lì. Incuriosito, Percy prese l’aggeggio tra le mani e lo osservò da vicino.
Quello continuava a fare rumore. Percy lo avvicinò all’orecchio e lo scosse, forse all’interno c’era qualcosa che voleva uscire. Niente. Il macchinario non presentava aperture, anche volendolo era impossibile vedere cosa ci fosse dentro. Lo riappoggiò dove si trovava, e tornò ad osservarlo.
Magari per farlo smettere bisognava spingere quei… Che roba erano? Quei… quadratini con i numeri sopra. Un po’ titubante, Percy provò. Premette 3, 0, 8… Tentò anche con più numeri insieme, ma niente, l’aggeggio insisteva con quel rumore irritante.
Stufo di quei tentativi infruttuosi, Percy cercò di ricordare se e quando avesse mai visto usare quel coso. Gli ricordava un aggeggio che suo padre teneva in casa, ma, essendo istintivamente diffidente verso le diavolerie Babbane, non si era mai soffermato troppo su di esso. Era più probabile che avesse visto Audrey usarlo almeno una volta: doveva essere successo, da quando era venuta a stare da lui. Si concentrò, nonostante fosse difficile con quel suono in sottofondo: dunque, una volta era rientrato e lei aveva…
Ecco! Si sbatté la mano sulla fronte. La parte più grande di quel mostruoso aggeggio era attaccata a un filo, e dall’altra parte di quel filo c’era una specie di… maniglia?
Insomma, Audrey teneva la maniglia attaccata… alla testa?!
Che diavoleria è?!
Comunque, non aveva che da provare. Un po’ impaurito, prese la maniglia e la sollevò con cautela.
C’era riuscito: il suono si era interrotto.
Sospirò di sollievo, ma tornò a preoccuparsi. Un altro suono, decisamente diverso, era uscito dalla maniglia.
- Percy? Sei tu?
- AAAH! - strillò, lasciandola immediatamente cadere.
 
Audrey sentì uno strillo e un tonfo provenire dall’altra parte del cavo telefonico.
Ma che sta combinando, santa Morgana?
- Perce! Mi senti?
Silenzio. Audrey sospirò. Si era dimenticata del piccolo dettaglio che Percy non aveva mai usato un telefono.
A volte penso che con un Babbano sarebbe tutto più semplice… Tu che ne dici, Coso?
- Percy! - esclamò, alzando la voce. - So che puoi sentirmi, quindi ascolta: raccogli la cornetta e mettila vicino all’orecchio!
 
Ancora shockato dalla sorpresa di aver sentito quell’aggeggio parlare, Percy cercò di capire cosa avesse detto.
Devo raccogliere… che COSA?
- C-come? - balbettò.
- Perce! Senti da dove esce la mia voce? - riprese a dire l’aggeggio. - Bene, prendilo e mettilo vicino all’orecchio! Muoviti!
Sempre più titubante, Percy si chinò e afferrò la maniglia. Vicino all’orecchio, giusto?
- Fatto? Adesso parla!
- M-Ma… Cosa…
- Oh, Perce! Finalmente! Ma che ti è successo? Non volevi rispondere? Tutto a posto?
Quella… Quella era la voce di Audrey! Ma… Cosa…
- Audrey? S-Sei tu?
- Certo che sono io! Chi altro dovrebbe essere?!
- Ma… Ma… Ma che ci fai dentro questo aggeggio?
Sentì silenzio, poi una grossa risata. La risata di Audrey, una brezza lieve.
- Perce… questo è un telefono. I Babbani lo usano per comunicare a distanza; non sono mica dentro, sono a casa di mia madre!
- Cos… Che… Ma… Ma senza magia?!
Un’altra risata. - Dico, Perce, ma non hai mai studiato Babbanologia? Senza magia, è ovvio! Solo energia elettrica!
Diamine, Babbanologia. Studiata controvoglia, tanto per aggiungere una voce al curriculum. Forse gli sarebbe servita davvero… perlomeno avrebbe evitato quella figuraccia.
- Qu-quindi… Tu… Ma… Ma il Ministero…
- Mi stupisco di te, ex Assistente del Ministro. Il Ministero della Magia può mettere sotto controllo i camini, all’evenienza anche i gufi, ma non può sorvegliare le vie di comunicazione Babbane. Stavolta non hai scuse per non parlarmi, Percy…
Per quanto quella situazione fosse strana, assurda e decisamente inaspettata, Percy si sentì crescere una felicità immensa in cuore.
La voce di Audrey, dopo tre mesi. La sua risata. Molto, molto più di quanto osasse mai desiderare.
 
Nonostante all’inizio non si fossero presi bene, Percy prese rapidamente confidenza con il fonetolo. Le comunicazioni serali con Audrey divennero un appuntamento fisso: era sempre lei a chiamarlo, perché lui non ne sarebbe stato assolutamente in grado.
Risentirsi, dopo tutto quel tempo, era una specie di miracolo, una piccola grande consolazione in tutto quello schifo attorno che entrambi erano costretti a sopportare.
Grazie a quelle telefonate Percy riuscì anche a informarsi sui Bennet.
- Saknussem - lo corresse Audrey, con tristezza. - Adesso siamo la famiglia Saknussem… Ad ogni modo, va male. Avrei voluto dirtelo prima…
- È successo qualcosa di grave? Stanno… Stanno tutti bene, vero? - chiese Percy, mentre un brivido gli correva per la schiena.
- Tutti vivi, ma bene… insomma. Jarne era riuscito finalmente ad ottenere la licenza per diventare insegnate privato, e gliel’hanno ritirata il giorno dopo. Adesso è di nuovo a spasso, Rhett sta cercando di aiutarlo ma lui non vuole. Oleg ha dovuto chiudere l’apoteca, gli hanno mandato una serie di controlli a sorpresa e a sentire gli ispettori sarebbero andati tutti male; che idioti, Oleg è precisissimo, un ottimo apotecario, avrebbe superato qualsiasi ispezione normale… E…
Una pausa. - Sì? - domandò Percy.
- Hanno ritirato il permesso di soggiorno a Inge. - La voce di Audrey adesso era spezzata. - A ottobre è dovuta tornare in Baviera; Saul e le bambine sono partiti con lei…
- Ma… Ma scherzi? E perché hanno fatto queste cose? Che motivo hanno? Non capisco…
Sentì Audrey sospirare. - Che vuoi che ti dica… evidentemente a loro non serve un motivo preciso. E comunque non siamo gli unici: ho sentito di altre famiglie con problemi simili al nostro… Tutte famiglie che non si erano apertamente schierate con il Ministero, né contro. Forse è una qualche… tattica elettorale, chi può dirlo…
Incredibile. Erano riusciti a separare i Bennet, la sua seconda famiglia. Povero Saul: doveva essere stato un brutto colpo, per lui, essere costretto ad andarsene da lì; aveva un lavoro, una casa… e aveva dovuto lasciare tutto per seguire Ingeborg. Di sicuro Audrey sentiva moltissimo la loro mancanza, e quella di Claire e Christine: la ragazza adorava quelle bambine…
- Ad ogni modo, - riprese Audrey, dopo una pausa - stanno tutti bene. Anche zio Roman e zia Magda.
- Siete riusciti a contattarli?
- Sì, giusto una settimana fa. Abbiamo confermato loro che è meglio se non si muovono da dove sono; è stato difficile convincere lo zio, ma per fortuna i suoi amici lo hanno fatto ragionare, e possono ospitarlo a tempo indeterminato come hanno fatto finora.
Stavano tutti bene, grazie al cielo. Con qualche problema, ma tutti bene. La parte di Percy che si preoccupava per i Bennet era rassicurata.
Poteva tornare a pensare a Audrey, a quanto bello fosse parlare con lei. Quelle telefonate erano l’unica cosa importante, in quel gelido dicembre, e lo furono anche nei due mesi successivi.
 
 
 
- La mamma mi ucciderà, per tutte queste telefonate… - sospirò Audrey, una sera di fine febbraio.
- Se smetti di chiamarmi ti uccido io!
- Maleducato! Come osi dire queste cose alla madre di tuo figlio?
Parlare di quello era la cosa più bella, la più dolce. Tutte le volte che Audrey accennava al loro bambino, Percy si sentiva sciogliere le ossa e dimenticava tutto il resto. Poteva persino fingere che tutto andasse bene, che il mondo fuori non stesse andando a rotoli; poteva far finta di essere separato da lei per poco tempo, una breve vacanza, e che ci si sarebbe rivisti presto, molto presto…
Non pensava di poter provare qualcosa di così forte, di così immenso all’idea di diventare padre; non credeva fosse… così.
Ecco perché papà ha voluto avere così tanti figli…
- Sai, Perce, oggi… Oh, cavolo, scusa un secondo…
Sentì silenzio dall’altra parte del cavo, e poi uno strano crunch crunch.
- Audrey? Che combini?
- Scusami, sono andata a prendere dei biscotti, mi è venuta fame…
- Ma non hai già cenato?
- Sì, ma vallo a dire al Coso! Diamine… Non faccio altro che imbottirmi di biscotti allo zenzero, ormai!
- Allo zenzero? Tu odi lo zenzero!
- Lo so! Però… Ho voglia di biscotti allo zenzero, ecco.
- Temo sia colpa mia… Sai, i capelli rossi…
- È sempre colpa tua, mettitelo in testa. Comunque… - riprese Audrey, sempre sgranocchiando. - Oggi l’ho sentito muoversi.
Un brivido, come una scossa. - Su-Sul serio?
- Sì.
Un breve silenzio.
- E… E com’era?
- Beh… Strano. Bello. Difficile da descrivere. - Sospirò. - Avrei voluto che ci fossi anche tu…
Un’altra scossa.
Merlino, quanto stava perdendo, stando lontano da Audrey. Il Coso si era mosso, e lui non era lì per sentirlo. Non era lì a vedere il viso emozionato della sua compagna, non era lì ad abbracciarla per la felicità. Non era lì.
Si sentì assalire dalla malinconia, a tradimento.
- Senti…- fece Audrey, dopo un po’. - Stavo pensando… non sarà il caso di dare un nome al Coso?
- Beh, - si riscosse, - direi che è ora. Chiamarlo “Coso” mi fa un effetto un po’ strano… Però non sappiamo ancora se è maschio o femmina.
- Io spero sia un maschio, ma Grace dice di no.
- Grace?
- Sì. Ha un intuito formidabile per quanto riguarda le gravidanze, finora ha indovinato il sesso di tutti i figli dei miei cugini; adesso si è ostinata a dire che il Coso sarà una femmina, ma io non credo.
- E perché? A me piacerebbe che fosse femmina. Sai, nella mia famiglia le bambine sono rare, mia… - deglutì, - … mia sorella è stata la prima, dopo un sacco di tempo.
Sentire Percy parlare dei suoi fratelli era ancora più raro che sentirgli dire qualcosa di carino. Audrey sorrise, intenerita.
- Va bene. Io tifo per il maschietto, tu per la femminuccia; tanto abbiamo il cinquanta per cento delle probabilità che sia l’uno o l’altro. Scegliamo un nome da maschio e uno da femmina, va bene?
- Io ne avrei già in mente un paio.
Rumore di biscotto sgranocchiato. - Spara.
- Se è maschio, Ernest.
- Come Adams?
- Esatto. Come Adams.
Crunch crunch.- Sì, Percy. Ernest è perfetto. E come secondo nome?
- A quello non ho pensato. Scegli tu.
- Klaus.
- Come tuo padre?
- Sì.
- È perfetto. Sì, Klaus è perfetto. Ernest Klaus, quindi.
- Ottimo, abbiamo un nome completo! Posso cominciare a chiamarlo Ernie, allora?
- Quanta fretta! Ti ricordo, Bennet, che potrebbe essere una femmina; non vorrai mica chiamare mia figlia "Ernie", no?
Mia figlia. Com’erano dolci, quelle parole. Come si scioglievano in bocca, quasi fossero di miele.
Aveva mai pensato di essere in grado di provare qualcosa di simile?
- Proprio convinto che sia femmina, eh?
- Beh, se lo dice Grace…
- Per me Grace può dire ciò che vuole, io sento che il Coso è un maschio. Comunque, facciamo come dici tu; hai un nome già pronto?
- Grete, come la signora Skjalgsson. È quella che mi ha mandato il tuo albero genealogico…
Sentì Audrey masticare, mentre pensava. - Mi dispiace, Perce, non lo possiamo usare. Grete è già il secondo nome di Sophie, la figlia di Jarne; vorrei evitare di ripetere nomi già usati dai miei cugini, scusa…
- Va bene, nessun problema. - In realtà a Percy dispiacque molto; chiamare sua figlia come la donna che li aveva salvati tutti e tre gli sembrava il minimo, per esprimere la sua gratitudine, ma preferì non insistere troppo.
- Hai altri nomi?
- Uhm… - Percy finse di pensarci su. - Che ne dici di Penelope?
Sentì un ringhio uscire dalla cornetta, e si affrettò a rassicurare Audrey. - Bennet, stavo solo scherzando, dai…
- Non mi piacciono i tuoi scherzi, Perce. Ti preferisco serio e scorbutico, se il tuo umorismo deve essere di questi livelli.
- Non fare la permalosa, dai. Scusami. Tu hai qualche nome in mente? O devo rassegnarmi all’idea che mia figlia si chiami Ernie?
- No, no, ho un po’ di nomi in testa. Dunque: il primo, quello che mi piace di più, è Pernille.
Percy ebbe un moto di ribrezzo, sentendo quel nome. - Cosa?!
- Non ti piace? È un nome norvegese, secondo me è bellissimo!
- Scherzi? È… Insomma, non è un po’ troppo insolito?
- Le stesse identiche parole che ha detto mia madre. Inizio davvero a credere che tu e lei dovreste stare insieme… Sarebbe divertente, diventeresti il mio patrigno e mio figlio sarebbe il mio fratellastro!
Percy trattenne a stento una risata. L’idea di lui con la signora Bennet era quanto di più bizzarro fosse possibile immaginare, per non parlare di tutto il resto.
- Non farti strane idee. E comunque, Pernille è davvero insolito.
- Macché! E poi, noi ex Bennet abbiamo la tradizione di mettere un nome inglese e uno norvegese…
- Davvero?
- Certo! Audrey Jorunn, Judith Bjørg, Saul Kasper, Claire Sigrid, Christine Solveig… - sciorinò Audrey, mentre Percy tornava a rabbrividire al suono di tutti quei nomi nordici. - Insomma, se non è il primo è il secondo nome; se vuoi, possiamo mettere Pernille come secondo.
- Credo che sarebbe meglio… - borbottò Percy, disgustato. Avevo dimenticato che Audrey sa avere dei gusti decisamente discutibili…
- Oppure, se non ti piace, c’è sempre Astrid!
Peggio ancora: almeno Pernille aveva un suono un po’ più dolce!
- No no, mi hai convinto. Pernille va bene, ma come secondo nome.
- Okay, vada per il nome inglese allora. Che ne dici di Molly?
Il cuore di Percy mancò un battito. Molly?
- Molly? - chiese, con voce diversa. - P-perché proprio Molly?
- Hai mai letto “Moll Flanders”? Era il mio libro preferito, da adolescente, insieme a “Orgoglio e pregiudizio”: mi è sempre piaciuta l’idea che mia figlia si sarebbe chiamata Moll come la protagonista, o magari Molly, che è molto meglio.
Invaghita di un nome per via di un romanzo: tipico di Audrey. Come spiegarle che Molly proprio non potevano usarlo?
- Secondo me, è molto bello... - seguitò Audrey - Molly Pernille. Non suona bene?
Come un pugno dritto sul timpano. Molly Pernille Weasley, santo cielo.
- Non so… Ci sono troppe “elle”.
- È questo il bello!
- Perché invece - tagliò corto Percy, - non la chiamiamo Lucy, come tua madre? Sono sicuro che le farebbe molto piacere…
- Ci avevo pensato, in realtà - rispose Audrey, interrompendosi per mangiucchiare un altro biscotto. - Poi però ho cambiato idea.
- E perché? Mi sembra un bel nome, no?
- Sì, però… - Audrey rise. - Sai, credo che al mondo basti una sola Lucy Bennet, e mia madre vale già per due!
- Beh, ma… - Percy si grattò la testa, perplesso. - Non si chiamerebbe mica Lucy Bennet.
- Hai ragione, sarebbero entrambe Lucy Saknussem, ma ciò che conta è l’omonimia, no?
- No, io intendevo dire… Si chiamerebbe come me, non come te. Lucy Weasley.
Cadde il silenzio. - Audrey?
Nessuna risposta.
- Audrey, ci sei ancora?
- Senti, Perce… - La voce della ragazza era stranamente cambiata.
- Sì?
- Percy, io… io ci ho pensato, e… Ascolta, non serve che tu riconosca il bambino, davvero.
Percy fece un salto sul divano. Non credeva alle sue orecchie. - Ma… Ma che dici, Aud? Certo che lo riconosco!
- Ascolta, - continuò lei - tu sei già inguaiato col Ministero, e… e dare il tuo cognome a un bambino illegittimo non è proprio il modo ideale per migliorare la situazione, quindi…
Ma che razza di scemenze stava dicendo Audrey?
- Bennet, ma che diavolo ti salta in mente? Scusa, non è mio?
- Certo che è tuo, ma…
- Ma niente. Non cominciare. Sei… assurda.
Ci fu una lunga pausa; quel discorso non era piaciuto a nessuno dei due. Audrey tacque, rendendosi conto di aver detto una cosa veramente sbagliata; Percy invece approfittò del silenzio per prendere fiato più che poteva, perché ne aveva bisogno per quello che stava per dire.
- Senti... - esordì, ma si fermò subito perché gli era mancata la voce.
Fermati e rifletti.
Era proprio il caso di dire quella cosa a Audrey?
In fondo, lui stesso ci aveva pensato da poco, anzi da pochissimo: gli era venuto in mente proprio in quel preciso momento. Forse non era il caso di parlarne, no? Magari lei non voleva… Se non era nemmeno sicura di volere il riconoscimento del bambino, come poteva…
Però, se non ci provava non lo avrebbe mai saputo.
Come accadeva spesso quando si trattava di parlare con Audrey, la parte razionale di Percy fece “ciao ciao” con la manina e uscì dal suo cervello sbattendo la porta, lasciando il ragazzo solo con i suoi impulsi.
Eddai, Perce, un po’ di coraggio. Su. Che sarà mai. Dai. Sii uomo. Puoi farcela.
Godric, aiutami.
-Senti… - riprovò, con la voce improvvisamente più acuta che andava e veniva. - Io, io… i-io non so come dirtelo, ma, ma… ci-ci ho pensato e… e… e beh, non… non…
Prese di nuovo fiato. Stava sudando freddo.
Non è la fine del mondo, su. Sii uomo, faen! Prima di te ci sono riuscite migliaia, milioni di persone! C’è riuscito persino Bill, porca Circe! Perché tu no? Avanti!
Aspettò per vedere se la sua parte razionale si riaffacciava, ma niente. Seguitò quindi a seguire i suoi impulsi.
- I-io pensavo c-che… insomma…- inspirò nuovamente. - C-che… a-anche tu potresti… potresti prendere il mi-mio cognome, sai… qu-quando questa situazione sarà f-finita e… insomma… noi… tu… e… v-voglio dire…
Per poco a Audrey non cadde di mano la cornetta. Prendere il suo cognome?
Non starà… Non starà mica parlando di…
- P-Perce… - esalò, dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio. - Tu mi stai dicendo c-che…
- I-io… Ecco… sì, io credo… vorrei… sì… se… vuoi… noi… io… tu…
Deglutì faticosamente, preso da una secchezza improvvisa della gola. Aveva finito le parole, e Audrey era tornata a tacere dall’altra parte.
- Percy, io… i-io…
- S-sì?
- I-io… devo andare, scusa.
- Aspetta…-. Niente, troppo tardi. Aveva riattaccato.
Percy rimase a fissare inebetito la cornetta, prima di sbattersela sonoramente in fronte.
Bravo idiota. E adesso?
Adesso faen. Faen, faen, faen.
 
Il risultato fu che Audrey non lo chiamò per dieci giorni. Non ce la faceva; si sentiva in imbarazzo, sia per ciò che Percy le aveva detto, sia per il modo in cui l’aveva liquidato.
Diamine.
Perché Percy le aveva proposto quella cosa? Sapeva benissimo quali fossero le idee di Audrey su quell’argomento; poche, ma riconducibili a una soltanto: il matrimonio, se proprio lo si voleva, andava procrastinato il più possibile.
Non c’era un perché; Audrey aveva una paura istintiva e abbastanza irrazionale delle parole “per tutti i giorni della mia vita”. E questo nonostante avesse convissuto per parecchi mesi con Percy, fosse convinta (in modo tuttora inspiegabile ai più) che era lui l’uomo della sua vita e stesse per avere un figlio da lui.
Non ce la faceva, non ce la faceva.
Non posso farcela, Ernie. O Molly. Mi dispiace.
Mi spiace, Percy.
Questi intanto si stava seriamente pentendo di averle proposto quella cosa, in quel modo poi. Avrebbe dovuto pensarci subito: Audrey e il matrimonio erano due universi lontani e separati.
In fondo, però, che male ci sarebbe stato? Non erano, ormai, una famiglia?
Era tanto strano che lui desiderasse averla accanto, sempre? Tutti i giorni della sua vita?
Mistero.
Resti però un idiota. Sempre e comunque.
Faen.
 
 
Dieci giorni dopo sembrava che la primavera si fosse decisa ad arrivare; marzo era iniziato da poco, per Audrey scadeva il sesto mese di gravidanza e Percy stava per avere, finalmente, una buona notizia.
Quella notte aveva sognato Audrey, di nuovo. O meglio, non Audrey, ma i suoi nei.
La ragazza ne aveva pochissimi in tutto il corpo, e lui li ricordava tutti con precisione. Quella notte aveva sognato il suo neo sulla schiena: era abbastanza grande, e si trovava esattamente al centro della sua spina dorsale; per esserne sicuro, una volta, Percy aveva contato le vertebre di Audrey dal basso e dall’alto, ed era rimasto affascinato. Precisamente la metà della sua colonna vertebrale.
Visto che Audrey si addormentava sempre dandogli le spalle, talvolta Percy si incantava ad osservare quel neo, di notte. Gli sembrava che fosse il centro esatto di Audrey, e quell’idea lo ammaliava.
Si svegliò; qualcosa picchiettava alle persiane della finestra.
Non appena aprì, si ritrovò in stanza un grosso gufo bruno che trasportava una lettera e un pacco. La prima, ovviamente, era stata già aperta, ma il secondo sembrava intatto.
Percy sfilò la lettera dalla busta e subito gli si parò davanti agli occhi la grafia da Guaritore di Roman Bennet.
 
Abbiamo saputo: congratulazioni! Speriamo che tu sia felice almeno la metà di quanto lo siamo noi, è una notizia meravigliosa!
Avremmo voluto scrivere prima ma abbiamo avuto un po’ di intoppi, scusaci.
Nel pacco c’è un regalo, per festeggiare: siamo sicuri che capirai subito di cosa si tratta. Non stapparla, però, aspetta il momento in cui saremo di nuovo tutti insieme.
Ancora congratulazioni
R. e M.
 
Nel pacco c’era una bottiglia che sembrava piena d’acqua, ma a Percy non servì aprirla per capire che si trattava di grappa.
E non serviva tanta fantasia nemmeno per capire cosa rappresentava.
Saremo di nuovo tutti insieme. Tutti. Come una volta.
 
Fu quello, forse, che lo fece decidere. O forse fu il fatto di aver sognato il neo di Audrey.
Ad ogni modo, quella sera la razionalità di Percy imboccò di nuovo la porta, e lo lasciò nuovamente in balìa dell’impulso.
Il quale impulso gli diceva: se stai ancora senza vedere né sentire Audrey, impazzisci. Già non sei tanto sano, visto che hai una razionalità che viene e va, ma se continui così dai di matto.
Puoi fare una cosa sola.
Una cosa sola, estremamente rischiosa. Potevano seguirlo. Potevano riconoscerlo. Potevano arrivare a Audrey. Potevano…
Ma quell’impulso era forte. Il più forte che avesse mai provato. Percy ne aveva repressi, di impulsi, nella sua vita; sembrava quasi, a dirla tutta, che non ne avesse. E invece.
L’impulso di andare da Audrey era stato più forte di tutto, della sua paura, della sua ragione, di se stesso. Ed era per colpa di quel maledetto impulso che Percy si trovava lì, alle undici di sera, a fissare come un allocco il condominio Babbano dove viveva Audrey, in quel paese fuori Londra.
Cavolo.
Che diamine ci faccio qui?
Un po’ tardi, per chiederselo; la sua razionalità aveva fatto una passeggiata  un po’ più lunga del previsto, tanto che era riuscito, nell’ordine, a pensare che usare la Smaterializzazione era meno sicuro che prendere mezzi Babbani, a uscire di casa nel momento esatto in cui, sul muretto di fronte casa sua, le sue spie si davano  il cambio, e addirittura a cambiare tre artovus senza sbagliare fermata fino al paese dove vivevano i Bennet.
Nemmeno avesse calcolato tutto. Ad ogni modo, quando si rese conto di quello che aveva fatto, per un momento fu tentato di lasciar perdere e tornarsene a casa.
Sì, bravo. Così sì che tutto si risolve. Sei un genio.
Deglutì e si guardò indietro. La strada era deserta, la notte tranquilla. Respirò ed entrò, dirigendosi al secondo piano.
Ci mise un po’ per trovare la porta che cercava: continuava a cercare il cognome “Bennet” su tutti i campanelli e non si soffermava sugli altri. Finalmente si ricordò che doveva cercare “Saknussem”.
Riprenditi, per favore. Non hai dodici anni.
Trovato.
Saknussem.
E adesso?
Adesso?
Quella porta. Il cuore gli batté più forte.
Cavolo, quanti ricordi.
Era stato lì solo un’altra volta, più di un anno prima. Secoli prima.
Quella volta Audrey non voleva più vederlo per quello che le aveva detto; adesso non lo chiamava più, sempre per una sua frase affrettata, e lui era di nuovo lì davanti a quella porta, col cuore in gola.
Corsi e ricorsi storici, eh?
Allungò una mano verso la porta e bussò. Niente.
Bussò un po’ più forte. Di certo le stava svegliando, Audrey e la signora Bennet.
Ora sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie. Niente, meglio andarsene, che idea mi è venuta, che scemo, vedi a dar retta agli impulsi…
- Chi è?
E di nuovo la razionalità scomparve.
- Sono io.
 
 
La prima cosa che Percy notò, quando Audrey aprì la porta in preda alla sorpresa, fu la lunghezza dei suoi capelli. Li aveva sempre portati corti ben sopra le spalle, tranne un breve periodo due Natali prima, in cui li aveva lasciati crescere. Ora, invece, i capelli le arrivavano appena sotto il seno, arricciandosi in punta.
La seconda cosa che notò fu il suo viso magro, sciupato: gli zigomi erano diventati sporgenti, e gli occhi sembravano più grandi.
La terza cosa che notò fu la pancia che le tendeva la camicia da notte. Una pancia rotonda che a Audrey donava moltissimo.
Sentì che gli occhi gli pizzicavano; sbatté le palpebre un paio di volte, prima di riuscire a parlare.
- Ciao, Bennet - sussurrò. - Scusa l’ora, non volevo disturbare…
La quarta cosa che notò, mentre Audrey lo abbracciava a tradimento, lì, sul pianerottolo, scalza e infreddolita, fu che non era cambiata di una virgola in quei sei mesi: era sempre lei, sempre bella, sempre odore di mela, sempre così inconcepibilmente innamorata di lui. Sempre Audrey.
Con qualcosa di suo, una parte di lui.
 
 
Non è facile separarsi da un abbraccio così, ma alla fine ci riuscirono. Senza una parola, troppo sorpresa per poter dire qualcosa, Audrey fece entrare in casa Percy tenendolo per mano, con la bacchetta stretta convulsamente nell’altra.
Nel frattempo la signora Bennet si era precipitata nell’ingresso, stringendosi la vestaglia addosso.
- Che c’è? Che succede? Chi…
Rimase a bocca aperta, trovandosi Percy davanti agli occhi. Per fortuna ritrovò subito abbastanza lucidità per parlare.
- Ti… Ti pare questa l'ora di presentarsi a casa di qualcuno?
A risentirsi dire le stesse, identiche parole di un anno prima, Percy non riuscì a trattenere un sorriso di sollievo.
- Mi dispiace, signora Bennet…
- Non mi chiamerai mai Lucy, vero? - sorrise la donna, intenerita.
- Credo di no, signora Bennet.
Percy sentì che la stretta di Audrey si faceva più forte, e ricambiò.
- Hai… Hai cenato? - domandò la signora Bennet.
- Io… no, in verità no, ma…
- E da quant’è che non ceni?
Era pazza, la signora Bennet, ma forse nemmeno tanto. Mentirle era impossibile.
- Due giorni, in verità.
- Ti preparo qualcosa.
La donna uscì, lasciando i due ragazzi da soli. Audrey non staccava gli occhi di dosso a Percy, come se temesse che, smettendo di guardarlo, se ne sarebbe andato.
Ernie, hai visto? Hai visto chi c’è?
Sentì un calcio provenire da un punto imprecisato sotto l’ombelico.
Sì, hai indovinato. È proprio lui.
 
Sebbene non avesse affatto fame, Percy mangiò educatamente il panino che la signora Bennet gli aveva preparato in pochi minuti. Subito dopo Lucy si scusò, dicendo che tornava a dormire perché il giorno dopo doveva andare a lavorare, quindi era meglio per lei non fare troppo tardi…
Tornò in camera, lasciando i due di nuovo soli.
Audrey, seduta accanto a lui, continuava a guardarlo, senza parlare; si era quasi scordata com’era fatto, e rivederlo così, all’improvviso… era strano. Bello.
Nemmeno Percy aveva molta voglia di parlare; improvvisamente non sapeva più cosa dire. La sua razionalità era tornata, l’impulso scomparso, e si sentiva più che mai insicuro davanti a lei.
Si limitò a ricambiarle lo sguardo, incerto se parlarle o no.
Alla fine fece la cosa più semplice: allungò una mano e le sfiorò uno zigomo.
- Sei dimagrita... - mormorò.
- Non… Non ho molta fame, in questi giorni - rispose lei piano. Dieci giorni che non parlavano, e quello era il massimo che riusciva a dire.
La mano di Percy scese a una ciocca di capelli più arricciata delle altre. - E… e questi?
- Colpa della mamma, - fece lei, sorridendo appena - non vuole che me li tagli. Mi… dispiace, so che li preferisci corti…
- Sei sempre bella, lo sai.
Arrossirono entrambi per quella frase inaspettata; Audrey però superò l’imbarazzo per prima. - Non la pensavi così, quando me li sono tagliati come un uomo…
A ricordare quel periodo Percy rabbrividì. - È un altro discorso. Eri identica a Jarne senza occhiali… - Rabbrividì di nuovo. - Mi sembrava di andare a letto con Jarne. Cerca di capirmi… Non era mica facile per me.
Al che Audrey scoppiò a ridere. - Non è colpa mia, se noi Bennet siamo tutti uguali. Considera che anche Ernie potrebbe essere così.
- Hai proprio deciso che sia Ernie, eh?
- Va bene. Ernie oppure Molly.
Si sorrisero di nuovo. Il ghiaccio era rotto, finalmente; erano di nuovo loro, solo loro.
Percy tornò ad accarezzarle il viso. Mi sei mancata…
Anche tu mi sei mancato…
Si avvicinò, ma Audrey ebbe un sussulto.
- Che succede?
La ragazza non rispose, limitandosi a fissarlo con stupore. Poi gli prese la mano e l’appoggiò sul pancione.
 
Fu la prima volta che Percy si rese del tutto conto di quanto fosse incinta Audrey. Lui aveva visto nascere altri quattro fratelli, si poteva dire che fosse un esperto; tuttavia un conto era vedere sua madre gravida, un conto era Audrey in quelle condizioni.
Cavolo.
Guardò la ragazza interrogativo, ma lei seguitò a tenergli la mano ferma sulla pancia. Finché non lo sentì.
Bump.
Istintivamente Percy ritirò il braccio, come se si fosse scottato. E questo… Cos’era?
- L’hai sentito? - sussurrò Audrey, emozionata.
- S-sì, ma… Era…
- Era Ernie. O Molly.
Percy trattenne il fiato, fissando la pancia rotonda di Audrey in preda a uno strano batticuore. Cavolo, cavolo…
- Si sta muovendo ancora, credo sia… contento della tua presenza.
Cavolo. Avevano passato mesi a parlarne, e ora era lì. Davanti alla pancia di Audrey. Davanti al suo bambino.
Si fece coraggio e rimise la mano nel punto dov’era prima.
Bump.
Sobbalzò di nuovo, poi guardò Audrey.
- Dovresti vedere la tua faccia, Perce! - rise lei. - Guarda che non morde mica!
Prima che Percy potesse ribattere, lo sentì ancora. Bump.
Però, si muoveva eccome il Coso. Se davvero era contento, lo stava dimostrando molto bene.
Attonito, Percy appoggiò anche l’altra mano sulla pancia di Audrey. Veniva da lì quello scalciare, da quel punto del ventre della ragazza; poco sopra c’era l’ombelico, e un po’ più in alto a destra tre piccoli nei che formavano un triangolino. A Percy sembrava di vederli in quel momento, quei nei; li conosceva a memoria, li sognava di notte.
E dietro a quell’ombelico e a quei nei…
Bump.
Un altro calcio.
Percy chiuse gli occhi e li riaprì, tutto preso da quella nuova situazione. Non riusciva a pensare a nulla, tutto era silenzio nella sua testa, e il silenzio aveva il ritmo di quel bump che ricompariva ogni tanto.
Senza staccare le mani e gli occhi dalla pancia di Audrey, Percy scese dalla sedia, inginocchiandosi.
Bump.
Appoggiò l’orecchio sui tre nei, mentre Audrey gli accarezzava i capelli, piano, come mesi prima.
Bump. Bump.
Non pensò più a nulla, quella notte. Non pensò a ciò che accadeva fuori da lì, non pensò a Audrey e non pensò a se stesso. Non pensò nemmeno al fatto che non si era mai, mai sentito così emozionato in tutta la sua vita, mai; e tantomeno pensò al fatto che le sue emozioni potevano contarsi sulle punte delle dita di una mano.
Non pensò che ad averlo spinto lì era stata la parte migliore di lui, quella parte che teneva ben nascosta e che per Audrey era chiara come il sole; non pensò che quella stessa parte era lì, al sicuro, e gli tirava calci da sotto i tre nei di Audrey. Non pensò che quella parte avrebbe seguitato ad esistere, nonostante la separazione, nonostante il Ministero, nonostante tutto, e questa era l’unica cosa davvero importante.
Non pensò; si limitò, per una volta, ad ascoltare.
Bump.











...grazie a chi ha legge, chi preferisce, chi segue, chi ricorda e chi recensisce!
A tutti, Buona Pasqua! ^_^
Ferao
   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: ferao