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Autore: Dira_    28/04/2011    25 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXVIII
 


 
 

I broke down and wrote you back before you had a chance to

Forget forgotten
I am moving past this giving notice
I have to go
Yes I know the feeling, know you're leaving
(The Con, Tegan & Sara¹)
 
 
24 Novembre 2023
Hogwarts, Porta Principale.
 
Tom non aveva mai lasciato il fianco di Harry.
Non che non avesse tentato. Albus era disperso da qualche parte in mezzo ad una nebbia che, per quanto si sapeva, poteva nascondere centinaia di Dissennatori e lui era costretto a seguire come un cucciolo obbediente il padrino.

Aveva apprezzato la cosa solo finché era ancora spaventato ed Harry gli sembrava una ragionevolissima ancora.
Poi la tensione si era fatta insopportabile; stare lì, senza fare niente era intollerabile. Sapeva di avere una bacchetta e non di avere Al. Condizione sufficiente per mandarlo nel panico.
Ma quando aveva tentato di defilarsi, approfittando del fatto che Harry sembrava distratto dall’arrivo dei rinforzi tanto attesi dal Ministero, si era sentito afferrare per un braccio.
Harry finge di avere la testa per aria - aveva pensato lucidamente.
“Dove credi di andare, Thomas?” Gli aveva chiesto infatti.
“Non credo che la mia presenza qui sia necessaria.” Aveva tentato con il suo tono più cortese e freddo. Era bastata una sola occhiata per farlo tornare a quando aveva dieci anni: cioè immaturo, stupido e non auto-sufficiente.
“La tua presenza qui non si mette in discussione. Resta fermo dove sei.”  
E per sicurezza gli aveva messo affianco Ron Weasley.

Cioè, praticamente una punizione.
Con gli arrivi delle squadre di rinforzo e l’aggiunta di un piccolo manipolo di Indicibili, la nebbia era stata fatta dissolvere in meno di mezz’ora. A quel punto i Dissennatori erano riparati nella Foresta, alla ricerca di buio: accerchiarli e catturarli grazie ad un robusto cordone di patronus non era stato difficile.
Tom aveva visto tutto dalla sua posizione privilegiata. Lui ed Harry non avevano parlato dei mandanti. Non che non avesse tentato. Ma il padrino ogni volta aveva rimandato la questione ad un secondo momento.
 
“Ne parleremo dopo, Tom… non adesso. Non quando c’è ancora tutto da accertare.” Alla sua occhiata gli aveva sorriso. Uno di quei suoi sorrisi da eroe. “Non ti terrò fuori, è una promessa.”
Non gli era restato che credergli.

 
Se da una parte aveva capito perché il padrino non gli aveva permesso di andarsene, dall’altra aveva avuto solo una gran voglia di spedire schiantesimi a destra e a manca.
Perché se è accaduto qualcosa ad Al, è colpa mia.
È opera della Thule, ne sono sicuro. Quindi è colpa mia.
Se l’era ripetuto più volte, a nastro continuo. A nulla erano valse le parole di Ron, che gli aveva assicurato la presenza di Albus nel castello.
E dovrei fidarmi delle sue parole. No.
Adesso finalmente la situazione si poteva dire risolta: i terreni di Hogwarts erano sgombri da nebbia e demoni. Le delegazioni erano ritornate alle rispettive dimore mobili e i feriti erano stati portati tutti in infermeria. Molte famiglie avevano già preso la strada di casa, adeguatamente rassicurate dal personale scolastico e da quello ministeriale.
Bene. Eccellente.
Ora aveva tutto il sacrosanto diritto di scappare dalle maglie della preoccupazione familiare.
“Voglio andare da Al.” Sbottò all’indirizzo di Harry che varcava con lui il portico in pietra che dava sul portone principale della scuola.
“Non dice altro da due ore amico…” Sbuffò Ron, accanto a loro. “Mi sembra un disco rotto.”
“Va bene.” Gli fu risposto con un sorriso stanco. “Adesso cerchiamo di capire dov’è…”  
Fermò il professor Paciock, che stava portando in braccio fasci di erbe di cui Tom non conosceva la funzione né tantomeno la provenienza.
“Nev, hai visto Albus?”
L’uomo, il ritratto della salda pacatezza, annuì. “Sì, è in infermeria.”
“È ferito?” Forse la sua voce aveva toni di minaccia perché i tre adulti lo fissarono in modo strano. “… Sta bene?” Aggiunse in tono che sperò fosse più calmo.

Ma non credo. Chi se ne importa.
“Sì, quando sono passato e l’ho visto, era sveglio. Credo sia stato morso…”
“… da un Dissennatore?” Chiese Ron con aria allibita. Tom poté leggergli negli occhi una muta domanda.

I Dissennatori mordono?
Normalmente trovava le uscite di quell’uomo idiotiche…
… ma stavolta è la stessa cosa che ho pensato io.
“No, beh… credo dall’acromantula della Prima Prova.” Disse il professore, con aria tra il dispiaciuto e il sottilmente divertito. “Ma sta bene, me l’ha assicurato Ginny prima…”
 “Chi l’ha trovato?” Si informò il padrino che sembrava l’unico poco colpito dall’incredibile modo in cui il figlio di mezzo si era ferito.
Probabilmente perché a lui, alla stessa età, è successo di peggio.
“Credo dei Tiratori scelti, non ne so molto, mi dispiace… scusate, ma adesso devo andare. Servono razioni di Pozione Corroborante. Quella che avevamo in magazzino è finita e sapete bene come diventa Poppy quando finiscono le scorte…” Aggiunse, indicando con un cenno del mento ciò che teneva tra le braccia.
“Certo, non preoccuparti. Quale lettino?”
“Uno di quelli in fondo, sulla destra. Non è da solo comunque, c’è un compagno di Casa con lui…”  

Tom sentì solo la prima parte della frase, poiché avute le indicazioni che cercava, li piantò in asso e corse  verso l’infermeria.
L’enorme sala a volte era invasa da adulti e studenti in egual misura. Molti avevano braccia o gambe fasciate, alcuni brutte tumefazioni, ma generalmente sembrava di essere in un padiglione dove si curava forme influenzali, a giudicare dagli starnuti e dai colpi di tosse.
Raffreddati.
Forse era anche stata colpa della nebbia, che aveva sensibilmente diminuito la temperatura.
Non che gli importasse. Notò con la coda dell’occhio Hermione e Ginny. Erano entrambe occupate a chiacchierare e non si resero conto di lui.
Quando arrivò al lettino però, Tom pensò che avrebbe dovuto ascoltare più attentamente le parole del professor Paciock.
Perché il compagno di Casa non era un compagno qualsiasi: era Zabini.
Michel era seduto in fondo al letto e teneva una mano sulla gamba di Al, che invece era steso a letto, con l’avambraccio stretto in una benda. Chiacchieravano. Al sembrava avere una buona cera, tutto considerato.
Tom sentì il sollievo investirlo, sebbene quella maledetta punta di fastidio non accennò a scomparire.
Perché non mi hai cercato? Io ho cercato te.
Il pensiero si formulò spontaneamente: perché l’altro non si era preoccupato di avere sue notizie?
Michel poi si voltò, e lo intercettò con lo sguardo. A quel punto il sorriso gli scivolò via dalle labbra. Diede un colpetto sul ginocchio dell’altro serpeverde.
“Eccolo lì.” Proferì con tono indecifrabile. Tom avrebbe voluto spedirgli qualche fattura. O forse solo picchiarlo.
Allontanati da lui.
Albus non sembrò notare l’improvviso cambio di atmosfera, perché si voltò con totale tranquillità, prima di regalargli un sorriso sorpreso e felice. “Tom!”
A quel punto, chiamato, dovette avvicinarsi. Al dovette notare la sua espressione perché corrugò le sopracciglia. “Stai bene? Ti sei fatto male?”
“Non sono su un lettino, quindi direi che sto bene.” Si scollò dal palato. “Cos’hai?”
“Paralizzato dal veleno di acromantula.” Spiegò con aria imbarazzata. Perché era imbarazzato?  

“Sei stato morso…”
“Te l’hanno detto, eh?” Fece una piccola smorfia. “In un posto pieno di Dissennatori sono stato l’unico mago capace di farmi attaccare da qualcosa di completamente diverso.”

Ah, è per questo…
Non è divertente. Sei in un letto di ospedale.
Michel fece una bassa risata. Tom pensò che se non avesse tolto subito la mano gli avrebbe spezzato le falangi una ad una.
Non è divertente.
Albus sembrò quasi leggergli il pensiero, perché si affrettò a rassicurarlo. “Ho dovuto prendere una pozione rimpolpa - sangue, per questo non posso prendere l’antidoto. L’una annullerebbe l’effetto dell’altra. Poppy però ha detto che il mio corpo può smaltire naturalmente il veleno, solo ci vorrà un po’ di più. Non è mortale, ecco, per farla breve.”  
Tom non disse nulla. Avrebbe voluto andare da lui, stringerselo addosso, tastarlo. Saggiarlo, essere certo che stava davvero bene. Ma non con l’altro presente.
Che c’era una parte di sé che sapeva benissimo che Zabini sarebbe stato il loro perenne altro.
Michel, dopo un lungo e scomodo silenzio si alzò, sebbene con la solita strafottente calma da dandy.
“Meglio che vada. Ora sei in buone mani… credo.” Aggiunse con una frecciatina che una volta l’avrebbe fatto divertire. Non adesso. “Ed io, in qualità di Prefetto, devo occuparmi che tutti i serpeverde siano in Sala Comune, dopotutto.”
Tom capì ovviamente che era una scusa e dovette capirlo anche Al, perché gli fece uno di quei sorrisi speciali, grati ed omnicomprensivi. “Certo, sicuro. E grazie Mike… te ne devo una!”
“Ti farò sapere allora.” Replicò sardonico quello, prima di allontanarsi. 

Tom appena l’altro se ne fu andato si sentì piuttosto cretino.
Anche perché Al si premurò di fissarlo con il suo peggior sguardo di accusa.
“Sei un cretino.” Gli disse infatti. “Si può sapere cos’era quello?”
“Quello cosa?” Finse indifferenza.
“Ci mancava che tirassi fuori la bacchetta e gli imponessi un duello. Cosa già successa, peraltro.” Aggiunse truce. “Per tua informazione, è a lui che devo la mia presenza cosciente qui.”

“… cioè?”
“Cioè è stato lui a trovarmi.” Spiegò concisamente. Vedendo la sua faccia però, aggiunse altro, probabilmente per pietà, perché i suoi livelli di gelosia ormai avevano raggiunto l’auto-distruzione. “ Avevo perso conoscenza dopo essere stato morso…”
“Ancora non mi hai spiegato come hai fatto.”
“Sono inciampato e la bacchetta mi è caduta nella gabbia dell’acromantula.”

“… inciampato.”
“Sì, certo.” Confermò con disinvoltura anche se era arrossito violentemente sulle orecchie. “Ma non è questo il punto. Fanny. C’era Fanny… non chiedermi cosa ci facesse in giro, ma Mike l’ha vista e l’ha segnalata agli agenti del Ministero. Quelli si sono incuriositi, perché sembrava volteggiasse sopra qualcosa. Qualcuno. Me. Mi hanno trovato così.” Concluse.

“Quindi in realtà è stata la fenice.” Tentò, ma fu subito linciato da un’occhiataccia.
Se Mike non si fosse ricordato che era la mia Fanny, probabilmente a quest’ora sarei pieno di antidoto fino ai capelli e presumibilmente in coma.” Scandì lentamente, come se dovesse spiegarlo ad un bambino tardo. “Avresti dovuto ringraziarlo, non guardarlo come se volessi aggredirlo.”
Tom fu indeciso se infuriarsi, sentirsi miserabile o preoccupato a morte. Odiava provare così tanti sentimenti in una volta sola, lo faceva sentire instabile e sfinito. Quindi si limitò a crollare sulla sedia di fronte al letto.
“Io ti ho cercato… è tutta colpa mia. Perché tu non mi hai cercato?” Gli uscì soltanto, facendolo sembrare un povero e patetico demente.
Non era lontanamente quello che aveva intenzione di dirgli. Aveva intenzione di informarsi, neutralmente, del suo stato di salute. Essere fermo e rassicurante.
Non mettermi a piagnucolare.
Ma sembrava che aprirsi alle emozioni avesse quell’effetto collaterale.
 
Forse aveva un po’ esagerato con Tom.
Certo, il cretino si era comportato come il perfetto cretino possessivo che era ogni volta che c’era in giro Michel, ma stavolta le contingenze quasi lo giustificavano: lui era malconcio in modo piuttosto impressionante – al di là di come si sentiva effettivamente, era paralizzato e con un braccio al collo – e Tom sembrava aver passato delle ore orribili.
Dissennatori. Nebbia. Le abbiamo passate tutti, ma lui ha davvero una faccia spaventosa.
“Sapevo che eri con papà…” Gli disse addolcendo i toni. “È la prima cosa che ho chiesto appena sono venuto qui. Sapevo che eri al sicuro. Mike è rimasto con me, ed è stato lui ad andare a chiedere informazioni su dove fossi, visto che non potevo muovermi. È stato un buon amico.” Rimarcò particolarmente sull’ultimo termine.
Tom non rispose. Si fissava le mani e aveva le labbra ridotte ad una linea sottile.
Al analizzò quindi con attenzione l’ultima frase che aveva detto.
Io ti ho cercato. È tutta colpa mia. Perché tu non mi hai cercato?
È tutta colpa mia.
… Ecco. Capito.
“Perché cavolo pensi sia colpa tua?”  
“La Thule.” Fu poco più di un sussurro, sfuggito controvoglia dalla bocca.
“Scusa… ma non ne abbiamo già parlato? Se c’entra …” Abbassò il tono di voce, ma sapeva che l’altro stava ascoltando. “… se c’entra davvero tuo padre, non è colpa tua. Ma di quel bastardo. Tu sei una vittima, esattamente come tutti noi. Guarda quello che ti ha fatto passare. È uno psicopatico, un sadico. Tu sei solo un po’ scemo…”
Vide le spalle di Tom rilassarsi appena, e seppe che perlomeno stava seguendo la strada giusta. Non che lo capì da nient’altro: Tom continuava a fissare tutto tranne che lui.
Chiuso e misantropico coglione.
Gli venne da pensarlo con affetto e avrebbe voluto tenergli la mano. O perlomeno chiudere le tende e ordinargli di venire lì.
Stupida acromantula.
“Perché non chiudi le tende e vieni qui?” Suggerì perché aveva la voce ed intendeva usarla. Vedendo che veniva ignorato, cambiò registro. “Guarda che non era davvero una domanda.”
Il tono di comando funzionò, perché un attimo dopo le tende erano chiuse e Tom se lo stringeva addosso come se fosse un peluche.
“Ahi, non stringere così… le ho ancora le terminazioni nervose.” Tentò sentendo che gli veniva da ridere per il sollievo. Odiava vedere Tom rinchiudersi nella sua testa. Di solito non ne veniva fuori niente di buono.
E per niente di buono intendo conseguenze spaventose e dolorosissime.
Fortuna voleva che, anche se era tremendo con le parole, perlomeno fisicamente Tom era capace di esternare.
“Va tutto bene, okay?” Gli sussurrò all’orecchio visto che l’altro gli aveva reclinato la fronte sulla spalla. “… sto bene, stiamo bene entrambi. È questa la cosa importante.”
“… va bene.” Gli concesse. Poi fece una breve pausa, atta a ricomporsi.  “Sei paralizzato, non senti il dolore. È così che funziona il veleno di acromantula.” Gli rispose, di nuovo a tono. Lasciò la presa e lo aiutò a riadagiarsi sui cuscini.

Al gli fece il sorriso più convincente del suo repertorio. “Bravo il mio genio.”
Ho già detto quanto odio vederlo con quest’aria spaventata?

 
Al stava bene. Morso a parte, si sarebbe ripreso. Se non c’era nessun famigliare a vegliarlo con la faccia grave d’occasione, voleva dire che sarebbe andato tutto a posto.
Tom cominciò a respirare di nuovo.
“Hai avuto fortuna…” Riuscì a dire. “Non tutti hanno una fenice come gps.”
“Come?”
“Una cosa babbana…” Stornò perché non aveva voglia di parlare di quello. “Di cosa hai sensibilità?”
“Beh, la punta delle dita. La faccia? Milly ha detto che devo controllare se comincio a sentire sensibilità in altre parti… Mike mi stava dando una mano.”

“La mano sulla gamba.” Capì, e si sentì vagamente in colpa. Sapeva di essersi comportato come un troglodita grifondoro con l’ex-amico.  “Michel…”
Forse stavolta mi tocca davvero ringraziarlo.
“Già, non mi stava molestando.” Replicò tranquillo. “Ora, se non hai altro da fare, potresti darmi una mano tu.”    
Sapeva che Al tentava di distrarlo da quello che stava succedendo. Stette al gioco, perché ne aveva un maledetto bisogno. “Devo tastarti?” Si informò quindi,  inarcando le sopracciglia.
Al lo guardò con aria divertita e altrettanto imbarazzata. “Come se non ti piacesse l’idea…”
“Harry potrebbe arrivare da un momento all’altro. Anzi, mi stupisce che non sia ancora qui…” Osservò. “Era dietro di me.”
“L’avrà fermato qualcuno visto che è l’eroe di default per ogni brutta situazione.” Inarcò un sopracciglio in modo piuttosto perverso. “Vuoi baciarmi prima che arrivi o devo trascinarmi fino alle tue labbra?”

Sentire la bocca di Albus sulla sua fu la panacea migliore che gli potesse venir messa disposizione. Era calda, era morbida ed era Al. Infilargli le mani sotto la stoffa leggera del pigiama per toccargli la pelle liscia e tiepida… beh, fu altrettanto soddisfacente.
Improvvisamente il freddo non lo sentì più.
“Molto meglio, eh?” Chiese Al con un sorrisetto che squadernava solo in particolari momenti.
Tipo, in camera da letto.
Tom inspirò appena: okay. Lui non era paralizzato. Non ci si sentì in special modo quando l’altro riuscì a spostare abbastanza la testa per mordicchiargli la porzione di pelle immediatamente sotto l’orecchio.
Questo prima che sentissero tirare la tenda. Due secondi dopo il suo istinto lo fece saltare al lato opposto del letto, in composto e improbabile bilico.
“Oh!” Esordì Harry con aria sollevata. “Sei sveglio Al… come ti senti figliolo?”
“Meglio papà, grazie.” Sorrise il bastardello con aria serena. “Poppy mi ha assicurato che entro domani sarò come nuovo!”

“Sì, me l’ha detto… ci ho parlato prima, assieme a tua madre. Arriva subito a proposito…” Aggiunse il padrino, prima di lanciare a lui un’occhiata preoccupata.
Ho qualcosa in faccia?
“Tom, ti sta venendo la febbre?” Gli chiese con scomoda premura. “Sei paonazzo.”
“… vado a sciacquarmi il viso.” Si schiarì la voce, sentendo che avrebbe dovuto alzarsi con molta attenzione. Fu quello che fece, evitando l’occhiata perplessa del buon padre di famiglia.

Incrociò però quella di Al. Che ghignava.
“Tranquillo papà, si sente meglio adesso.” Disse il maledetto, tramutando quell’espressione mefistofelica in un tenero sorriso. “Non è vero Tom?”
L’aveva appena punito per essere stato orribile con Michel. Glielo leggeva nello sguardo.
A quel punto preferì battere in ritirata: ma non era finita lì.

 “Tom?” Lo richiamò indietro Al.
“… Cosa?” Non gli importava di essere scortese, anche se c’era Harry che li fissava da dietro i suoi occhiali tondi – seriamente, avrebbe mai cambiato modello? – e anche se fino ad un minuto primo avrebbe voluto baciare quella serpe con gli occhioni da Bambi fino all’incoscienza. “Che c’è?”
“Se lo incontri… chiedi scusa a Mike.”
Tom uscì dall’infermeria maledicendo l’intera progenie Potter.

È karma. Non c’è altra spiegazione. Sono il mio tormento naturale.
 
“… sei sicuro che Thomas stia bene?”
Al sorrise al padre. Andava bene così: imbarazzare e far arrabbiare Tom era il modo migliore per scrollargli di dosso i brutti pensieri.

Magari non tanto carino, però… Tom non è una persona carina.  
“Certo. Stuzzicarlo è il metodo migliore per farlo distrarre. E ne ha un gran bisogno adesso.”
Suo padre annuì, con un sorriso stanco. “Hai ragione…”
Perché non è finita.
Al lo lesse nell’espressione nel padre. Lo capì, nella piega serrata delle labbra e nelle sopracciglia contratte.
“Era la Thule papà?” Mormorò. “Sono stati loro, di nuovo?”
L’uomo si sedette sul ciglio del letto. Sembrava molto stanco. Gli strinse un ginocchio, affettuosamente e ad Albus dispiacque essere completamente immobilizzato. Avrebbe voluto abbracciarlo, quel suo genitore che teneva sulle spalle l’intero mondo magico.  

“Sì, Albie… credo di sì.”
Stavolta Al non ebbe voglia di correggere il nomignolo.

 
****
 
Rose aveva dovuto essere Prefetto anche quando non voleva.
Non appena Scorpius era scappato, aveva avuto l’impulso di seguirlo ovviamente. Ma non aveva potuto, perché era stata subito data in consegna ad Hogwarts. E da allora non era riuscita a fare altro che il suo dovere, ovvero portare primini spaventati nella Sala Comune e obbedire agli ordini che Neville le impartiva, spuntando dagli angoli più impensabili del castello. Dopotutto era il suo Direttore.
In un certo senso, era stato meglio così. Aveva riflettuto, da sola, senza che altri potessero interferire con pareri e consigli.
Inoltre, se fosse andato a cercarlo prima, avrebbe finito per peggiorare la situazione, visto che non sapeva esattamente cosa gli avrebbe detto.
Ora invece era giunta ad una conclusione: Scorpius non poteva averla lasciata.
Non così, non all’improvviso… era sotto shock, era spaventato per i suoi genitori.
Ne avevano passate troppo assieme perché tutto finisse tra le urla. In quel modo orribile.
Devo parlargli.
Scese le scale il più velocemente che poté, visto che al momento non aveva nessuna consegna da prefetto a cui adempiere. Non aveva visto il ragazzo per tutto il tempo. Sapeva che James aveva evitato che andasse a buttarsi tra le braccia dei Dissennatori: il cugino gliel’aveva riferito incrociandola una mezz’oretta prima.
 
“L’ho accompagnato in infermeria e poco dopo sono arrivati i suoi, per fortuna. Allora s’è calmato. Per quanto ne so, adesso è con loro.”


Non aveva aggiunto altro, non aveva commentato. Rose gli era stata davvero grata.
Entrò in infermeria e fece una smorfia. C’era tanta di quella gente che avvistare i Malfoy era difficile.
Vide sua madre, e per un attimo fu combattuta se chiedere proprio a lei, anche se sapeva che era lì da un bel po’ e quindi di sicuro li aveva visti.
Al diavolo.
“Mamma!” La chiamò. La donna si voltò con un sorriso di sorpresa.
“Oh, Rosie… pensavo fossi nella Torre.” La frenò subito. “Non c’era una consegna…?”
“Sto cercando Scorpius.” Ribatté, perché se cominciavano a parlar di regole, non avrebbero terminato tanto presto. E lei aveva fretta. Molta. “L’hai visto? Dovrebbe essere con i suoi.”
“Fino a poco fa era in un lettino… mi sembra laggiù.” Indicò una branda vuota e già accuratamente rifatta. “Se n’è andato però, visto che si è ripreso.”

Rose si sentì confusa.
Andato dove? Non è venuto in Sala Comune o l’avrei visto.
“Dove?” Chiese infatti, perché a quel punto non le importava più di trattenersi o fingere che non le importasse.
Peccato che tu non sia stata così avventata prima… Forse Scorpius non ti avrebbe detto quelle cose.
Quella voce nella sua testa era peggio di un calcio nello stomaco.
Hermione le scoccò un’occhiata attenta, prima di scuotere la testa. “Penso a casa. Alcuni studenti sono stati portati via dalle loro famiglie… almeno finché la scuola non sarà dichiarata completamente sicura suppongo non ritorneranno.”
Era proprio una cosa che i Malfoy avrebbero fatto. Era piuttosto chiaro, sin dall’anno scorso, che non si fidavano completamente del corpo docenti, né tantomeno della sicurezza fornita dal Ministero.
Rose sentì lo stomaco stringersi in una morsa.
Non posso permettere che vada via prima di avergli parlato!   
“In… in che direzione?” Chiese, ignorando lo sguardo indagatore della genitrice. Stava cominciando a capire, ma non le importava. Probabilmente persino suo padre, dopo quella sfuriata, era finalmente giunto alla comprensione.
O semplicemente, gliel’abbiamo sbattuto in faccia così chiaramente che non può più fingere di non aver capito.
“Beh, nella direzione dell’uscita.” Rispose sua madre, con uno strano sorriso affettuoso. Sembrava quasi dispiaciuta. Che sapesse? Che suo padre gliel’avesse già detto? O forse zio Harry?
Non mi importa, non mi importa. Devo trovare quell’idiota. Devo trovarlo adesso prima che venga inglobato dalla sua famiglia.
“Già… giusto. Che stupida.”
“Rosie?” La fermò. Sua madre era troppo intelligente per farsi fregare con qualche frase: pretendeva sempre vere spiegazioni. “Cosa c’è tra te e il figlio di Malfoy? State assieme?”
Eccola qui, la domanda.

“Sì.”
Era assurdo, l’aveva detto. Aveva pronunciato quella semplice sillaba con facilità.
Sua madre inarcò le sopracciglia. Niente capelli strappati e urla. Ma non sarebbe comunque stato da lei. “… Oh.” Fu il suo unico commento. “Adesso capisco.”
“Già.” Inspirò appena. Era surreale. In quel momento non si sentiva atterrita dall’averlo detto. Sentiva solo l’urgenza di cercare Scorpius. Tutto lì.
“Senti, resterei mamma… ma devo andare. Ci vediamo dopo.”  
E se ne andò. La sua famiglia poteva aspettare in quel momento.  
Priorità. Dove diavolo è finito?
Non poteva essere andato tanto lontano; di sicuro non poteva smaterializzarsi prima dei cancelli, se era quello il modo in cui i suoi genitori avevano deciso di andarsene.
Corse e sorpassò il portone, sbattendo contro un paio di persona e tirando dritto. Al momento avrebbe persino potuto investire il Ministro della Magia stesso e non curarsene.
Non se ne deve andare, maledizione!
Basta che stia un fine-settimana a casa sua e sarà troppo tardi.
Non per colpa della cupa influenza Malfoy, in realtà. Ma perché Scorpius lasciato stare tendeva ad intestardirsi nelle sue posizioni.
Se quest’estate l’avessimo passata assieme, avrebbe deciso di candidarsi al Tremaghi?
Alla fine lo vide. O meglio, li vide. L’intera famiglia Malfoy, coperta da mantelli e in direzione dei cancelli. Scorpius era trai genitori e dava il braccio alla madre.
Scorpius!” Gridò con quanto fiato aveva in gola. Si voltarono un paio di auror, due famiglie ugualmente in partenza, e tutto il nucleo Malfoy.
Scorpius le rivolse uno sguardo sorpreso.
Sul serio non si aspettava che lo fermassi?
Le si strinse il cuore quando vide quanto fosse pallido. Si accorse anche che non era lui a dare il braccio alla madre, ma il contrario: era Lady Astoria che lo sorreggeva.
Lord Malfoy le scoccò un’occhiata gelida. Da mettere in conto, ma comunque la fece sentire uno schifo.
Scorpius sembrò riscuotersi. “Rosie, ehi.” La salutò. “Sto andando via.” Aggiunse quieto, come se la sua defezione fosse del tutto normale.
“Sì, lo vedo… non sei troppo debole per materializzarti?”
Di tutte le cose idiote che potevo dire…

Scorpius invece le sorrise. “Infatti prendiamo la carrozza di famiglia.”
“Okay.” Non le uscivano le parole, con lo sguardo torvo di Draco Malfoy che la trafiggeva. Sembrava un maledetto avvoltoio in attesa che la preda esalasse l’ultimo respiro.
E la preda sono io.
“Devo parlarti.” Riuscì a dire. “Per favore…” Aggiunse vedendo che esitava. “… solo pochi minuti. Non ci metterò molto.”
“… va bene.” Scorpius sembrò assecondarla, più che avere un reale desiderio e questo le fece malissimo. Ma si rifiutò di mettersi a piangere proprio lì. Davanti ad agenti del Ministero, famiglie in partenza e genitori Malfoy.
Non assicuro per dopo.
“Possiamo parlare, da soli?”  
Scorpius annuì, facendo un cenno ai genitori. “Un momento.” Disse loro, con uno di quei sorrisi incredibilmente gentili che gli rischiaravano i lineamenti appuntiti. “Torno subito.”
Scorpius.” Disse Malfoy con tono di comando. Sembrava implicare un sacco di cose. A quel punto la moglie gli toccò semplicemente il braccio.

“Draco, la carrozza può aspettare qualche minuto in più. Se Scorpius vuole salutare Rose, non vedo dove stia il problema.”
Sa il mio nome?
La sorpresa dovette fargli assumere un’espressione buffa, perché Scorpius le lanciò un’occhiata blandamente divertita.

Allora non mi odi. Grazie a Merlino. Non mi odi. Grazie.
L’uomo invece sembrò estremamente contrariato, ma non aggiunse altro, limitandosi a dare il braccio alla moglie e ad allontanarsi in direzione del sentiero che portava ai Cancelli.
“Allora… un posto tranquillo?” Le suggerì. Sembrava tornato quello di prima. Niente lineamenti stravolti, niente bacchette esplosive. Avrebbe voluto abbracciarlo. Non poteva.
“Sì, ma se non te la senti possiamo rimanere…”
“Un posto tranquillo.” La interruppe. Sorrideva, ma non ci stava provando davvero. “Vieni, ho in mente quale.”
A Rose non restò che seguirlo. Passarono il portone e anche il corridoio centrale. Alla fine arrivarono alla corte delle gobbiglie. Rose c’era stata pochissime volte. Al momento era vuota.

Scorpius si voltò e non disse nulla. Aspettava che fosse lei a parlare.
“Scusa.” Iniziò allora. Fu come rompere gli argini di una diga. “Scusa, perché so che è colpa mia. Quello che è successo, intendo. Con mio padre… avrei dovuto dirgli di chiudere il becco. È stato davvero insensibile e avrei dovuto dirglielo.” Ripeté visto che l’altro non rispondeva. Perché adesso non sembrava la cosa giusta da dire?
Forse perché stai usando il condizionale. Forse perché non le hai fatte, queste cose.
Quella voce interiore era davvero infernale. “Devi credermi, non voglio nascondermi più. Glielo dico, anche adesso se vuoi.” Fece un passo verso di lui e gli prese la mano.
È così fredda…
 
Ventiquattro ore prima avrebbe pagato oro per sentire quelle parole.
Ma adesso era troppo tardi. Scorpius si sentiva solo infinitamente stanco. Di quella situazione, di doversi sempre difendere con le unghie e coi denti, di dover dimostrare a tutti di essere più che perfetto.
Voleva tornare a casa, dove nessuno l’avrebbe messo sotto esame. Voleva solo dormire.
“Non… non dici niente?” Gli chiese.
Rosie…
L’amava. L’amava sul serio. Non erano in uno di quegli orribili racconti rosa, dove un errore ti faceva passare da un sentimento all’altro con la disinvoltura di uno schizofrenico.
Amava quella buffa e brillante streghetta. Ma in quel momento non era abbastanza.
Forse era infantile, ma Rose l’aveva abbandonato. Aveva preferito non prendere le sue parti, e rimanere spettatrice.  
Non riusciva a scacciare quella sensazione, per quanto razionalmente ci provasse.
Inspirò lentamente. L’aria era tornata limpida e pura. La nebbia era scomparsa. Il terrore, pure. Ma non poteva rimanere lì, non in quel momento.
Solo un po’ di giorni… Scappo solo per un po’.
“Ho bisogno di stare per conto mio…” Le disse, e ci mise tutta la gentilezza che poteva, anche se non gliene era avanzata molta. “Devo rimettermi in sesto, perché mi sento uno schifo.”
Sapeva che l’altra apprezzava la sincerità, perché non cercò di obbiettare. Lo guardava con quei suoi meravigliosi occhi intelligenti. E tristi.

“Mi dispiace per quello che è successo con…”
“Non è per tuo padre.” La bloccò. “Non solo almeno. Credo semplicemente di aver raggiunto il limite. Ho bisogno di ricaricarmi e qui non posso farlo. C’è troppa gente, troppi occhi. Non voglio sembrare egocentrico…” Riuscì a sorriderle. “… ma non mi va, capisci?”
“Credo di sì.” Rose si morse un labbro. “Però… c’è una cosa che non… io.” La sentì distintamente trattenere il respiro. “Ci stiamo lasciando?” 

 
Non aveva mai visto Scorpius così serio. Certo, un paio di volte, ma mai serio con lei.
Per lei aveva sempre gran sorrisi e ironia. Adesso era come…
… come se fossi una degli altri?
Scorpius si ficcò le mani in tasca. Non era un buon segno quando lo faceva. Voleva dire che era in difficoltà.
Non ha il coraggio di dirmelo? Certo che ce l’ha. Ora lo dirà. Dirà che l’ho deluso e ferito e mi pianterà.
Sapeva di essere insicura fino alla patologia, ma benedetto Merlino, non ne aveva forse donde, quando il suo ragazzo – ancora per poco? – aveva quell’espressione così afflitta addosso?
“Io…”
“Ti prego, non farlo. Non lasciarmi. Io ti amo.” Le uscì di getto, in modo mostruosamente inadeguato. Lo sapeva che non si doveva supplicare in quei casi. Era stupido, era buttare alle ortiche l’orgoglio. Era patetico.
Ed ovviamente l’ho fatto. Singhiozzando. Sei finita, Rose.
Scorpius però non sembrò pensarla così. Perché tolse le mani di tasca e l’abbracciò. La stretta era leggera, gentile. Rose la ricambiò sforzandosi di non aggrapparcisi.
Fallì.  
“Sciocca Rosey-Posey …” Lo sentì mormorare trai suoi capelli ed ecco di nuovo quel tono affettuoso e ironico. Il suo tono. “Non è questo quello di cui stiamo parlando…”


Non voleva che fosse un addio. Era melodrammatico e non aveva intenzione di fare di Rose un’eroina romantica.
Anche perché non ne sarebbe capace. Rosie e il romanticismo sono agli antipodi.  
Le prese il viso tra le mani, fingendo di non sentirsi uno schifo per averla fatta piangere. Altrimenti non sarebbero andati da nessuna parte.
“Senti, sono perdutamente innamorato di te.” Le disse, perché di quello era sicuro. “Mi hai ferito, ed io ferito te con quella cretinata della scelta. Lo so.” Aggiunse, vedendo che tentava di protestare. “Ho bisogno di tempo però. E ne hai bisogno anche tu.”
“Una pausa.” Intuì Rose e sembrò che avesse voglia solo di piangere più forte. “Non… non finiscono mai bene le pause. Roxanne ne ha prese tante, e sono finite tutte…”
“Ehi.” La bloccò, asciugandole le lacrime con il proprio fazzoletto. “No. Quando dico pausa, io la intendo.” Fece un passo indietro perché più la toccava, più il suo autocontrollo cedeva.

Era ferito, era arrabbiato. Ma sembrava che non funzionasse granché bene di fronte alla sua principessa in lacrime.
“Cosa vuol dire pausa? Il significato.” Le chiese invece.
“Intervallo… sospensione momentanea di un fenomeno.” Replicò perché era prima della classe nell’anima. Tirò su con il naso, lanciandogli un’occhiata confusa. “Perché?”
“Perché noi siamo quel fenomeno. E per quanto mi riguarda, non siamo destinati a finire.” Si passò una mano trai capelli per tenerla da qualche parte. Aveva voglia di asciugarle le lacrime o abbracciarla e sapeva che sarebbe stata una pessima idea. “Ho bisogno di allontanarmi da questo circo, come ti ho detto. Starò un po’ a casa… forse qualche settimana, il tempo che ci vorrà.”
Non le stava dando dei tempi netti, ne era consapevole. Non le stava dicendo ‘tornerò e sarà tutto come prima’. Forse avrebbe fatto piangere e arrabbiare una ragazza meno forte, ma Rose invece gli fece un sorriso. Piccolo, ma saldo. Perché era Rose Weasley, non una qualunque. Un piccolo fuoco di testardaggine, forza e generosità.

“Allora…” Gli mormorò con tono di nuovo fermo. “… torna presto Malfoy. Io ti aspetto.”
 
 
So please remember that I'm gonna follow through all the way²…
 
****
 
Lily era rimasta al capezzale di Sören per un’ora: tutto si era sistemato, la nebbia era scomparsa, i Dissennatori erano stati catturati e…
Nessuno era venuto a trovarlo. 
Nessuno della sua scuola era venuto a vedere come stava, neppure per un veloce controllo delle sue condizioni di salute. Nessuno l’aveva cercato, in parole povere.
Tutti gli studenti di Durmstrang, per quello che era venuta a sapere chiedendo un po’ in giro, erano chiusi dentro il vascello.
È assurdo.
Passasse pure per i compagni ordinari, che non sembravano sprizzare empatia e umana partecipazione per la disgrazie altrui: ma dov’era finito la sua spalla, il suo assistente, quel russo sgradevole?
Volatilizzato nel nulla? Risucchiato in vortice spazio-temporale?
Aveva dovuto chiamare aiuto per farsi scortare da qualcuno fino all’infermeria.
Perché non sono così brava con il wingardium leviosa da trasporto feriti e non volevo fargli più danni di quanti già non ne avesse.
Un guaritore, uno dei tanti accorsi dal San Mungo viste le contingenze, l’aveva poi visitato perché lei l’aveva praticamente placcato. Gli avevano quindi curato la ferita alla testa – era davvero larga e impressionante – e fatto bere una pozione fumante. Qualcuno doveva comunque restare nei paraggi e controllare se ci fossero stati cambiamenti nelle sue condizioni.
Ed indovina a chi tocca? A me! Non che mi spiaccia… ma non dovrei esserci io al suo capezzale, a conti fatti.
Appoggiò un gomito al bracciolo della poltrona: si era ovviamente allungata con le gambe sul letto.
Se devo stare qui forse per ore… beh. Mi metto comoda.
Aveva lasciato le tende socchiuse. Sapeva che a Ren avrebbe fatto piacere svegliarsi senza vedere caos attorno a sé, ma prima o poi qualcuno dei suoi sarebbe venuta a cercarla.
O magari qualcuno dei tuoi si accorgerà che finalmente non ci sei…
Come cavolo si fa a dimenticarsi del proprio Campione?
Lo osservò con attenzione, visto che non c’era molto da fare. L’amico sembrava immerso in un sonno profondo, di quelli senza sogni. Era tranquillo, per fortuna. Però aveva addosso i segni di una brutta ed intensa fatica.
La Prova, direi.
Gli accarezzò il viso con la punta delle dita. Sören si limitò ad aggrottare leggermente le sopracciglia.
È proprio a pezzi… sembra persino dimagrito.
Non che fosse un brutto ragazzo. Certo, di primo acchito aveva le labbra troppo sottili e gli zigomi troppo pronunciati. Anche i capelli, avevano un taglio tremendo da nobile gioventù magica.
Però se si guardava meglio si notava i lineamenti regolari, il modo gentile con cui si spianavano le sopracciglia quando si rilassava. Anche quando sorrideva, aveva le fossette.
E poi vabbeh, gli occhi.
C’è bisogno di una seconda occhiata, caro il mio Ren. Ma vali davvero la pena.
Sören … era complesso. Era come se avesse degli strati.
Ed io ho la vaga impressione di averne sfogliati solo un paio.
La cosa la attraeva e l’allarmava al tempo stesso. Era una sensazione vaga, e succedeva sempre quando la guardava negli occhi troppo a lungo.
Non che succeda spesso… è troppo cavaliere per mettersi a fissarmi.
Però quando succedeva, quella sensazione le si annidava dentro e non voleva andarsene.
Lily sospirò: era stata una lunga giornata e indulgere in quei pensieri non era una buona idea.
Si guardò attorno: aveva intravisto i genitori e si era anche informata delle condizioni del resto del clan. Non che sia stato particolarmente difficile. Siamo sempre sulle luci della ribalta…
Però voleva andare a trovare Al, che sapeva dall’altra parte dell’infermeria.
Dovrei proprio andare… o mi becco la palma di sorella peggiore dell’anno.
Tanto Ren dorme…
Si alzò a sedere, chinandosi sul ragazzo. “Ti lascio solo qualche minuto, vado a vedere come sta mio fratello… tu fa’ il bravo.” Mormorò, certa che comunque non potesse sentirla.
A quel punto Sören le afferrò di scatto un polso. Sussultò sorpresa. Era sveglio?
Occhi chiusi. Dormiva ancora profondamente.
… è un riflesso condizionato.
Sorrise appena, sentendo una stretta al cuore. “Okay Ren… tranquillo. Resto qui…” Si risedette, coprendo la mano dell’altro con la sua. Solo allora la presa fu allentata. “Non vado da nessuna parte.”
Non è sveglio, eppure si è accorto che me ne stavo andando… Quante diavolo di volte l’hanno abbandonato perché abbia un riflesso così?
Non che fosse un esperta di psico-magia: solo conosceva un’altra persona che aveva riflessi del genere.
Papà. Che ha una storia di abbandoni niente male.
Sua madre le aveva raccontato, in una sera di comunione tra donne, che quando era incinta di James non era raro che dovesse alzarsi la notte per andare in bagno. E tutte le volte doveva svegliare suo padre, perché l’afferrava nel sonno e non la mollava.
E se io non posso svegliare Mister Koala…
Non le restò che ingegnarsi perché la sistemazione non le fosse scomoda.
La noia non fece tempo a sopraggiungere, perché qualcuno scostò le tende: era Tom, in jeans e maglietta con strambi disegni geometrici babbani ³.
Oh, ah. Pink Floyd. Un altro gruppo rock. Carina però.
Questo le ricordò quanto intensamente volesse cambiarsi.
“Ah, mi sembrava fossi tu…” Esordì quello come se vederla piegata come un origami su un ragazzo fosse una cosa perfettamente normale. “Che cos’ha?”
“Botta in testa.” Spiegò concisa, perché delle spiegazioni del guaritore non ci aveva capito poi molto. Solo la parte sul vegliare. “Tu?”
“Niente. Zio Harry mi ha impedito persino di rompermi un’unghia. Non li ho neanche visti, i Dissennatori.” Spiegò, come se fosse una cosa irritante. “Ti sta stritolando il polso o sono io?” Aggiunse inarcando un sopracciglio.

“Tu hai un succhiotto enorme sul collo, o sono io?” Replicò facendolo avvampare. Era un fenomeno così raro che andava gustato al suo meglio. 
“Sei tu.” Borbottò coprendosi inutilmente la parte incriminata. “Che cosa gli è successo esattamente?”
“Quanto sei noioso…” Replicò, però sotto il suo sguardo sezionante, fu costretta a continuare. “Credo sia caduto mentre scappava dalla tenda dei campioni. L’ho trovato io, e c’era un Dissennatore… ho fatto scappare il Dissennatore. Ho chiamato aiuto. Siamo qui.” Concluse.

Tom la guardò per un lungo momento senza dire niente. “Hai prodotto un patronus?”
“Sì, però se lo dici in giro non ti crederà nessuno, ho idea.”

“Sei piuttosto stupida a far finta di essere stupida.”
“E tu a far finta di essere un misantropo quando in realtà ti piace un sacco di gente.”

Dovettero raggiungere una tregua con quello scambio di battute, perché Tom sospirò e a lei venne da ridere. “Vuoi che ti faccia compagnia?” Le chiese poi, lanciando un’altra occhiata a Sören. Sembrava volerlo studiare, tra la curiosità e la preoccupazione.
Curiosa espressione davvero.
“No, tranquillo. Però vorrei sapere come sta Al…”
“Bene.” Si incupì improvvisamente l’altro. Quasi ringhiò. “Maledettamente in forma, quella serpe.”  

“C’entra il succhiot…”
“Non voglio parlarne.” Tagliò corto facendola ridacchiare. “Quindi non si sveglierà in tempi brevi?”
Lily lo guardò perplessa. “No, non credo… Il guaritore ha detto che non dovrebbe farlo prima di domani. Perché?”

“Voglio controllare una cosa.” Si avvicinò, chinandosi sul braccio destro di Sören e tirando su la manica della casacca.
“Che fai?” Chiese incuriosita. Tom non rispose, ma esaminò invece con attenzione il braccio. Lily non capì: era solo un braccio.
Un braccio normale?
Anche Tom sembrò pensarla così, ma ne fu anche contrariato. “Non capisco…” Disse poi.
“Non capisci cosa?”
“Niente.” Ovviamente. Non che si fosse aspettata una risposta diversa.

Tom Mille Segreti. 
La sua richiesta di chiarimenti fu fermata da un’ulteriore entrata in scena, con tanto di tende scostate con violenza. Era Poliakoff.
“Ah, è qui! Meno male…”Borbottò in un inglese approssimativo. Lily ebbe voglia di alzarsi e piazzargli uno schiaffo in faccia, un bel cinque dita con tanto di sonoro.
Molto più gusto che ad usare la bacchetta.
“Ah, sì, è qui.” Le uscì, e non le fregò proprio niente di risultare sgarbata. “Ma fai pure con comodo… tanto non è che scappi. Visto che è incosciente.”
Il ragazzo ebbe perlomeno il gusto di sembrare un po’ a disagio. “Io ti ho persa di vista… c’era nebbia.”
“Bastava chiedermi di rallentare.” Finse di non notare le sopracciglia inarcate di Tom. Sapeva che era raro vederla così arrabbiata. E sapeva di avere probabilmente le orecchie rosse.
Merlino, odio quando mi succede. E mi fa arrabbiare ancora di più!
Poliakoff si strinse nelle spalle. “Sì, ma lui sta bene, no?” Gli lanciò un’occhiata sommaria. “Io ti ringrazio da parte della nostra scuola, ma ora dobbiamo spostare.”
“Spostarlo? E dove? Sta male!”
“In nave. Durmstrang si occupa di suoi studenti. È così.” Sbuffò quello, come se quella conversazione fosse inutile e fastidiosa. “Su, sciò.”

Sciò?!
A quel punto ritenne doveroso piazzare quello schiaffo.
La guancia tonda del ragazzo fece un suono piuttosto pieno e soddisfacente.
Poliakoff la guardò con gli occhi sgranati per qualche secondo. Probabilmente, rifletté Lily, non era abituato all’idea che qualcuno potesse osare schiaffeggiarlo come l’idiota che era.
“Tu, piccola schifosa!” Sbottò, mettendo subito mano alla cintura, dove teneva la bacchetta.
Lily fece un passo indietro, ma Tom si mise subito tra lei e il russo, estraendo la sua e puntandogliela al petto.

“No, non lo farei se fossi in te.” Gli comunicò calmo.
Mmh. Sexy.
Magari era un’impressione, ma a Lily sembrava sempre che tra maschietti, la lunghezza della bacchetta fosse importante. E che intimorisse chi non la poteva vantare. Come stava succedendo al durmstranghiano.
“Che bel legnetto, Kirill…” Cinguettò. Tom le lanciò un’occhiata tra l’esasperato e il divertito.
Ah, Tommy. Sei un tipo sveglio, sapevo che avresti capito…
L’altro fece un passo indietro. Era chiaro fosse combattuto tra il difendere il suo onore e l’idea di scontrarsi in infermeria con un altro studente.
“Voi non avete diritto…” Tentò.
“Sì invece.” Ritorse anche se probabilmente non era vero. “E questo atteggiamento antipatico non ti porterà da nessuna parte. Specie la parte sull’insultarmi.”
Poliakoff a quel punto capì di essere in inferiorità numerica. E pure intellettuale. “Herr Direktor!” Esclamò quindi a voce piuttosto alta. “Herr Direktor! 
Tom abbassò subito la bacchetta. L’uomo infatti entrò pochi attimi dopo. Era parecchio alto, e torreggiava su entrambi. Il che era notevole, vista l’altezza di Thomas.
“Cosa succede? Ci sono problemi a spostarlo?” Chiese in inglese, una cortesia che Lily sapeva essere solo di facciata.
“Non proprio signore. Questi due studenti me lo impediscono.” Spiegò il russo con tono petulante. Sul serio, lo era. “Sono diventati aggressivi.”
“Non siamo due cani.” Osservò Tom, con quel tono che Lily un pochino gli invidiava. Lei, se la cosa le premeva, si scaldava subito. Tom invece faceva sembrare stupido l’interlocutore. “Comunque, non sta a voi decidere se spostare un paziente dell’infermeria. Ma a Madama Chips. Se ne è al corrente, nessuno qui avrà obiezioni…”

Lily capì immediatamente, dalle loro espressioni, che nessuno dei due aveva pensato a quell’aspetto. Le venne da sogghignare, e lo fece.
Alla faccia vostra!
Non riusciva a capire come mai ci fosse stata quella tempistica strana, comunque. Per un’ora buona nessuno era venuto a chiedere niente, e poi improvvisamente si presentavano assistente e preside con quella richiesta assurda.
Sono l’unica a cui non torna?
“Vado a chiederglielo subito!” Esclamò e aprì le tende per andare a cercare l’anziana guaritrice. Non ci mise molto a trovarla e anche meno ad esporle il problema facendola indignare.
Due minuti dopo esatti, i due stranieri ebbero un rifiuto netto e deciso. A nulla valsero le assicurazioni del Preside.
“Questo ragazzo è sotto la mia diretta tutela da quando ha messo piede in questa infermeria. Non se ne andrà finché non sarà in grado di farlo con le sue gambe. Fine della storia.” Sbottò spiccia la donna.
Lily gongolò a vedere l’aria inferocita di Poliakoff.
Deve proprio bruciarti che una ragazza ti abbia schiaffeggiato e una donna ti abbia ordinato di levarti dai piedi, eh?
Il Preside au contraire incassò il colpo senza fiatare: fece un lieve cenno della testa e disse qualcosa circa la sua sicurezza sul fatto che Sören sarebbe stato trattato bene. A Lily sembrò piuttosto sollevato.
Che schifo di figura di riferimento. Se avessi un direttore del genere mi farei trasferire.
Poliakoff invece, quando l’uomo se ne fu andato, le si fermò davanti. “Te ne pentirai, sai inglesina?” Soffiò incattivito. 
“Cos’è, una minaccia?” Replicò, sentendosi coraggiosa. Però cercò anche Tom con lo sguardo e fu lieta di trovarlo accanto a sé.
Il russo fece un sorriso sgradevole. “Oh, no. Non è di me che io parlo.” Replicò, prima di fare un inchino sarcastico e allontanarsi, seguendo la scia del proprio Direttore.
Lily si voltò verso Tom. Che non guardava lei, ma il ragazzo ancora addormentato. Sembrava aver preso una sorta di decisione, dallo sguardo e dalla linea salda della mascella.
“… secondo te che voleva dire?”
L’altro le lanciò un’occhiata. “Niente.” Disse scrollando le spalle. “Voleva soltanto avere l’ultima parola.”
A Tom qualcuno doveva proprio dire che era pessimo, ad inventarsi le bugie.
 
 
****
 
Vascello di Durmstrang.
Stanza di Luzhin e Poliakoff.
 
Poliakoff era nervoso quando aprì il baule di Sören. Non era sua l’attrezzatura e fino a quel momento, non era stato suo il compito.
Si umettò le labbra, cercando di contenere il trionfo e lo spavento che si sentiva in ogni angolo del corpo.
Gettò una manciata di polvere volante dentro il piccolo fuoco portatile e poco dopo le fiamme gli restituirono i lineamenti di Alberich Von Hohenheim.
Si inchinò velocemente. “Per la Thule, Magister.”
L’uomo fece un breve cenno con la testa. “Parla Poliakoff.”

“C’è stato un incidente. Sören è rimasto ferito, ma non è nulla di permanente, me ne sono assicurato personalmente.” Snocciolò sentendosi il fiato corto. “Adesso sta riposando nell’infermeria di Hogwarts. Le sue condizioni sono buone.”  
Nei lineamenti dello stregone non passò alcuna emozione. “Pensavo i vostri feriti li curaste nel vascello.” Fu l’unico commento.
Kirill deglutì sentendo saliva e nervosismo scendergli in gola. “Infatti di solito è così. Purtroppo gli inglesi non ce l’hanno lasciato lasciato fare. Sören è stato ritrovato da loro. Ho chiesto aiuto al Direttore, ma non abbiamo potuto fare nulla. Sanno essere testardi, e quella sgradevole ragazzina, quella Potter… è stata lei a strillare perché non fosse spostato.”

Hohenheim lo lasciò parlare, ascoltando con attenzione. Il piacere che ne derivò per Kirill fu quasi fisico. Suo padre l’aveva sempre considerato un buono a nulla, un frutto marcio dello stame di famiglia.
Ed ora Hohenheim conferiva con lui. Nemmeno suo padre era mai riuscito ad arrivare a tanto.
“L’ha protetto?”
“Non troverei definizione migliore, Eccellenza…” Confermò. “Penso vorrà sapere che con la Potter c’era anche Thomas Dursley.”
Tutti conoscevano l’importanza di quel ragazzo per il Magister, anche se lui personalmente non ne sapeva il motivo.

Forse lo conoscerò, con Sören fuori gioco.
“Molto bene.” Era soddisfatto? A Kirill lo sembrava. “Devono fidarsi di mio nipote, Poliakoff. Deve entrare nelle loro vite. Se diventa un protégé di quel piccolo…” Fece una smorfia di derisione. “… clan, metà del lavoro è compiuto.”
Poliakoff annuì, anche se non sapeva che lavoro stessero esattamente compiendo. Certo, sapeva in che modo l’avrebbe fatto, ma non perché. Non che avesse la minima importanza per lui.
Ce l’ha solo nel modo in cui può migliorare la mia posizione.
Se fosse uscito bene da quella storia, forse la sua entrata nella Thule sarebbe stata anticipata al suo diploma.
Il più giovane membro dell’Organizzazione…
“Di certo lo è diventato per la Potter.” Commentò sarcastico. “Sembra che gli si sia molto affezionata.”
Quella sciocca mocciosetta credeva Sören un principe azzurro solo per i suoi modi e i suoi lineamenti nobili. Credeva lui quello cattivo solo perché non era pieno di cortesie come il principino.
“Molto bene, Poliakoff.” Era una sua impressione o c’era del compiacimento nel tono del Magister? Si inchinò ancora più profondamente. “Stai facendo un buon lavoro. Naturalmente, piccole iniziative personali verranno premiate…” Kirill alzò la testa, che aveva tenuta bassa tutto il tempo: che avesse capito? Non gli diede il tempo di chiedere. “… ma ricorda il tuo compito principale.”
Il russo annuì. “Non lo dimentico. Sorvegliare Vostro nipote, Eccellenza.”
Gli equilibri in questa squadra non sono quelli che pensi tu, principino…
Non sono solo io quello in prova. Lo sei anche tu.
 
****
 
Note:


1. La canzone che mi ha fatto da colonna sonora qui .
2. Quella da cui è presa la strofa.
3. La maglietta in questione qui . Sì, a Tommy piacciono tanto. Lily invece li conosce solo di nome e grazie ai programmi di musica babbana alla radio.
  
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