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Autore: IoNarrante    28/04/2011    6 recensioni
Cosa vi aspettereste da una vacanza in un villaggio? Sole, mare, magari qualche flirt estivo.. niente di più! Questo è ciò cui pensava Francesco, quando, con i suoi amici dell'università, è partito per la Puglia, per una vacanza post-laurea. Ma è bene fare attenzione a scegliersi le compagnie con cui passare quattordici giorni della propria vita.. altrimenti si può incappare in una scommessuccia, dapprima innocente, ma che costringe il nostro povero protagonista, sciupafemmine e perennemente single, ad imbarcarsi in un'avventura con una ragazza.. come dire.. non proprio della sua 'taglia'..
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3

  ~Rapporto impegnativo~    
betato da Pepita
        
«Tutto sommato, vedila così» se ne uscì Giorgio mentre ce ne stavamo spaparanzati sulle sdraio a farci un bel bagno di sole. «Hai finalmente preso il tuo primo due di picche!».
Farmi stare su di morale non era certo una delle doti di Giorgio, soprattutto quando ero così incazzato per come le cose erano andate storte la sera prima. Avevo avuto talmente tanta fretta di concludere con Sole che non avevo minimamente pensato di risultare un perfetto maniaco. Ed era soltanto una finzione! Se la ragazza in questione mi fosse piaciuta veramente mi sarei sentito uno schifo.
«Taci, per favore» lo supplicai. Ci mancava solamente il suo carico da undici per completare il quadretto perfetto d’inizio settimana.
«Ma si può sapere cosa le è preso? Sembrava andasse tutto per il verso giusto..» continuò, ignorando volontariamente le mie preghiere.
Sbuffai sonoramente e mi girai prono, infossando il viso tra la piega del gomito.
Erano le 9.30 di mattina e già stavo schiumando dal caldo. Odiavo rimanere al sole come una lucertola, ma sapevo che se fossi tornato a casa più bianco di prima, mia madre non l’avrebbe smessa di ridermi dietro. Le continue domande di Giorgio, però, sommate alle alte temperature, contribuivano a friggere quel poco di cervello che mi era rimasto nella scatola cranica.
«Non ne ho idea. Quella ha qualcosa fuori posto» mi giustificai, dandole la colpa.
Che m’importava, in fondo. Passate quelle due settimane di tortura, non l’avrei più vista né sentita e sarei finalmente tornato alla vita che adoravo.
In quel momento ci raggiunsero tutti gli altri membri della comitiva, accoppiati e non, tanto per rendere più allegra quella già spinosa situazione in cui mi trovavo.
«Dammi il cinque, Frà!» scherzò Giacomo.
«Sì, ma non in piena faccia..» aggiunse Ale, ridacchiando con Ginevra.
Sara sogghignava in silenzio, mentre Stefano aveva un’espressione indecifrabile in volto. Azzarderei delusa..
«Non siete affatto divertenti voi due» commentai senza riuscire a guardarli.
«Ma dai, Frà» continuò Ale, «non si può nemmeno scherzare».
«Certo, nessuno di noi si sarebbe mai aspettato lo spettacolo di ieri sera» ridacchiò Giacomo.
In quel momento Sara si alzò dalla sdraio e si sedette sulla mia. Fui costretto a mettermi seduto e ad affrontare i miei amici.
«Che effetto fa, eh?» mi domandò lei con quell’espressione soddisfatta in viso.
«Cosa?» biascicai evasivo.
Si creò un silenzio imbarazzante, mentre tutto il gruppo si scambiava occhiatine complici. Non mi ero mai sentito tanto in collera con qualcuno. Allo scadere di quei quattordici giorni era più che sicuro: avrei ucciso Sara Ghimi.
«Ma certo!» se ne uscì Stefano, picchiandosi un pugno sul ginocchio. «Sta facendo la sostenuta, è evidente».
Pur di non screditarmi come suo ‘idolo’, Stefano si sarebbe inventato di tutto. Quella scusa, però, tutto sommato non era male e si poteva utilizzare come giustificazione per l’enorme cantonata che avevo preso la sera prima.
«Sì, Sté, sparane un’altra!» lo punzecchiò Giacomo.
«Perché, non potrebbe essere?» intervenne Giorgio in mia difesa.
La parte dell’amico la interpretava bene di fronte agli altri, peccato che nei nostri momenti in cui eravamo soli era più una palla al piede che un dispensatore di consigli.
«Ve lo dico io cos’è successo» se ne uscì Sara, con la sua solita aria arrogante e superba.
«Cosa?!?» trillarono in coro Ginevra e Claudia.
Si prese qualche secondo per aumentare la suspense, e la odiai per quello, poi, dopo un lungo sospiro, si decise a parlare.
«Il nostro latin lover non è poi così invincibile, o sbaglio? Ti hanno sempre osannato perché riesci a conquistare chiunque, ma ti fai gabbare da una palla di lardo?».
Il suo tono inquisitorio cominciava a darmi sui nervi, ma soprattutto ero stufo che continuasse sempre a recitare la parte del boss della camorra. Oltre ad avermi raggirato con un pettegolezzo che nemmeno era vero, continuava a punzecchiarmi e ad insultare la mia virilità. C’era un limite a tutto.
«Hai rotto il cazzo» replicai alzandomi in piedi e raccogliendo l’asciugamano. «Tu e la combriccola di chiacchieroni potete pure ridermi alle spalle, ma io sono l’unico qua dentro che sta facendo qualcosa. Quindi, arrivederci».
«Ehi, amico, dove stai andando?» mi urlò dietro Giorgio.
Mi voltai e il riverbero del sole sull’acqua mi costrinse a socchiudere gli occhi. «Vado a riprovarci e a vedere se oggi riesco a pescare qualche orca» gli risposi, ridendo.
La mia voce fu seguita da un boato di ovazioni, da parte degli altri spettatori che non aspettavano altro che l’ennesima puntata di quella scommessa diventata una sfida vera e propria.
 
***
 
Quella mattina sarei rimasta a letto per tutto il giorno se Sere e Betta non avessero cominciato ad urlare e sbraitare appena alzate. Mi chiesi cosa avessero da litigare alle nove del mattino, eppure non la finivano di urlarsi addosso.
«Hai visto, che ti avevo detto?» ringhiò Betta. «È una faina, un maiale, un bastardo approfittatore!».
«Ma che ne sai? Non abbiamo nemmeno visto come si sono svolte le cose esattamente. Se non fossi così talpa, capiresti» le urlò contro Serena.
«Ah, sì? Però, chissà perché, Sole è tornata subito in camera e si è messa a dormire, senza dirci nulla. E lo schiaffo, poi? L’hanno visto tutti!».
«Avrà avuto i suoi buoni motivi e immagino, che, ovviamente, non sono quelli che dici tu!».
Stavano litigando per me. Erano davvero incorreggibili.
«La volete piantare? Sono le nove del mattino e voi urlate come delle pescivendole al mercato del venerdì» sbuffai, stropicciandomi gli occhi insonnolita.
Non appena mi videro, con gli occhi da panda per via del trucco ancora sul viso e i capelli che se ne andavano per cavoli loro, accorsero subito come delle crocerossine.
«Hai pianto?».
«Cos’è successo?».
«Cosa ti ha fatto?».
«Stronzo-bastando-figlio di..».
«Finitela!» le ammonii e mi divincolai dai loro abbracci e dalle loro carezze, neanche fossi una poppante.
«Ma..?» dissero in coro, piuttosto incredule.
«Niente ma, sto bene» conclusi dirigendomi in bagno e chiudendomi la porta alle spalle.
Rimasi là dentro per non so quanto tempo, impiegando ore a trastullarmi davanti allo specchio, cercando di migliorare, almeno di un grado, quell’orrendo aspetto che avevo.
Ormai avevo deciso che avrei mandato a quel paese tutti i consigli che Betta e Sere mi avevano dato: da quel giorno in poi avrei fatto di testa mia.
Trucco zero, capelli legati, vestiti confortevoli e tanti saluti. Ormai Francesco lo avevo dato per perso, perciò chissenefrega, no? Tanto valeva starsene comodi.
Quando uscii dal bagno quelle due piattole se ne erano già andate a fare colazione, perciò optai di prolungare quella temporanea separazione.
Scesi le scale, tanto per fare del moto apparente, dopodiché mi diressi verso la spiaggia per respirare un po’ di iodio. Avevo già adocchiato una sdraio all’ombra che faceva al mio caso quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla.
Inorridita, pensai si trattasse nuovamente di Francesco, che, nella mia mente, ora rispondeva al nome di ‘Polpo’, invece fui sorpresa di vedere qualcun altro.
«Ti ho già vista da qualche parte?» mi domandò un ragazzo dell’animazione, alto, robusto e con un paio di occhi nocciola da far paura. Il pizzetto che si era lasciato crescere sul mento gli donava, soprattutto con i capelli lunghi legati dietro la nuca, e, guardandolo dalla testa ai piedi, fui compiaciuta che non si trattasse del solito ragazzo figo. Era uno.. come dire.. normale.
«Non credo, sono arrivata ieri» gli risposi, sorridendo imbarazzata.
Il suo sorriso non aveva niente a che vedere con quello di Polpo, ma aveva un nonsoché di rassicurante, una sorta di sensazione che ricevetti a pelle.
«Ma certo! Sei la ragazza di ieri sera, quella della cinquina!» ridacchiò dandomi una pacca sulla spalla.
Cinquina? Ma aveva bevuto?
«Sì, dai.. il ceffone che hai ammollato al cugino di Zack Efron!» mi suggerì facendomi l’occhiolino.
Solo in quel momento, da vera ritardata mentale, associai le sue parole all’immensa figuraccia che mi aveva vista protagonista la sera prima, con Polpo, appunto.
«Eh, sì..» balbettai imbarazzata. «Riesco sempre a farmi riconoscere».
Perfetto. Per una volta avevo avuto la fortuna di incontrare un altro ragazzo decente e la mia carriera come campionessa olimpionica di figure di merda doveva obbligatoriamente precedermi. Che razza di sfiga!
Feci per andarmene, tanto avevo capito che mi stava soltanto prendendo in giro, ma, per la seconda volta, mi trattenne afferrandomi per un braccio.
«Scusa, ti ho forse offesa?» mi chiese tornando improvvisamente serio.
Non sapevo cosa rispondergli, dal momento che non sapevo nemmeno io cosa mi avesse spinta a muovere quei passi. Le sue parole non mi avevano realmente ferita, eppure non vedevo l’ora di rintanarmi sotto l’ombrellone.
«Piacere, mi chiamo Emanuele e sono l’istruttore windsurf» e si presentò, stringendomi la mano.
«Io sono Sole» risposi timidamente, rientrando nel guscio come al solito.
«Lo so, ho dato un’occhiata alla tua scheda. Spero non ti sia offesa, ma mi hai incuriosito» sorrise, facendomi arrivare il morale alle stelle.
Non avrei dovuto fantasticare in anticipo, ma non riuscii ad evitare di immaginarci sdraiati sulla spiaggia, con le onde che ci bagnavano i piedi, mentre ci baciavamo appassionatamente sotto i raggi di una luna piena.
«No, no, affatto. È solo che.. mi sembra un po’ strano».
Riecco la Sole sospettosa. Dovevi fare l’investigatrice privata nella vita, non la biologa marina, testona!
Emanuele sorrise, slegandosi i capelli per poi farli ondeggiare. Per poco non ci rimasi secca.
Se li risistemò più in alto questa volta, facendo una sorta di crocchia, poi tornò a guardarmi come se non fosse successo nulla. Dentro di me sentivo che era stato un gesto premeditato, tuttavia, in quel momento decisi di non arrovellarmi il cervello con quelle cretinate.
«Dopo ho una lezione, che ne dici di imparare a stare sulla tavola?» mi chiese sincero.
«Perché no?» sorrisi, come una cretina. L’acqua era la mia seconda casa, quindi non avrei avuto problemi se il mio equilibrio precario e la mia goffaggine mi avrebbero fatta cadere in acqua come un barile.
«Andata?» e mi porse la mano aspettando che la stringessi per sugellare il nostro patto.
«Andata!» sorrisi io e feci per imitare il suo gesto ma qualcuno mi fermò.
 
***
 
Dopo aver lasciato i miei amici trionfante mi fermai un attimo al bar per pianificare bene le mie mosse prima di incontrare di nuovo Sole. Sicuramente non mi avrebbe rivolto la parola dopo che mi ero comportato in quel modo, ma qualcosa dovevo pur tentare.
Se avessi saputo i suoi gusti, ciò che davvero le interessava.. ma l’unico particolare di cui ero a conoscenza era il fatto che fosse astemia. Mi sarei potuto presentare a lei con una spilletta degli alcolisti anonimi. Per favore..
Mentre me ne stavo seduto a bere e a rimuginare su ciò che avrei dovuto fare, la vidi uscire dalla hall per dirigersi verso le piscine. Non sapevo se si trattasse della tequila delle dieci del mattino o di un’insolazione, fatto sta che in quella sua canottierina verde militare e in quei pantaloni alla zuava color cachi, non sembrava l’orrido mostro con cui ero uscito il giorno prima.
Il trucco pesante e obbrobrioso era sparito dal suo viso, lasciando che le lentiggini caffè-latte le spuntassero nuovamente sulle gote, e i capelli avevano una qualche decenza, essendo tenuti a bada da un elastico piuttosto resistente. Rimaneva sempre un po’ pienotta, ma era come guardare la mia prima auto dopo una bella lavata: sempre lo stesso catorcio, ma leggermente più decente.
Mi rimboccai metaforicamente le maniche, dal momento che indossavo solamente il sundek[1] e cercai di raggiungerla pensando a cosa mi sarei potuto inventare per avere una seconda chance e per entrare nelle sue grazie. Mi sentivo uno stupido ad essere così in agitazione per una persona che nemmeno m’interessava. Maledetta Sara, ti avrei ucciso!
Ero pronto a gonfiare il petto come il proverbiale gallo nel pollaio, quando la vidi confabulare e ridere con un animatore alto e gigantesco. Indossava la classica maglietta arancio con sopra scritto Club-Julia Happyanimation, ma aveva arrotolato le maniche attorno alle spalle possenti a mo’ di Rambo. I capelli lunghi, tenuti legati da un elastico, erano così rovinati dal sole che fra nemmeno un anno si sarebbe ritrovato calvo, e poi era mai possibile che l’esemplare di macho del villaggio doveva sempre essere rappresentato da un capellone nerboruto stile Tarzan?
Non ci sprecai troppi pensieri sopra visto che probabilmente l’aveva fermata soltanto per chiederle l’ora, ma quel sorriso di Sole l’avevo riconosciuto e non mi piaceva affatto. Era dello stesso tipo che mi aveva rivolto quando l’avevo aiutata ad alzarsi al Ristorante, e cioè si traduceva in un ‘sono cotta’ che brillava come una luce al neon.
Sarei dovuto intervenire in qualche modo. Quella specie di lottatore di Wrestling mi stava soffiando da sotto al naso la finta-ragazza-cessa che dovevo portarmi a letto per vincere la scommessa. Dannazione, non potevo permetterglielo!
Feci qualche altro passo ma fui letteralmente bloccato dalle due amiche di Sole che non la smettevano di guardarmi male.
«Ebbene?» mi fece la mora, incrociando le braccia al petto.
«Cosa hai intenzione di fare?» continuò la bionda, imitando la prima.
Avevo ben troppi problemi per pensare a come liberarmi da quelle due evase dal manicomio, e per giunta quell’omone tatuato stringeva la mano a Sole con un’espressione troppo complice.
«Scusate, ma devo andare!» tentai di dir loro ma mi sbarrarono la strada.
«Non t’intromettere, bellimbusto».
«Hai fatto già soffrire la nostra Sole abbastanza, puoi pure tornare ad importunare qualcun’altra. Adesso lei potrebbe aver trovato qualcuno che non abbia intenzione di usarla come volevi fare tu».
In quel momento sbiancai. Per un attimo ebbi il sospetto che quelle due piccole vipere avessero intuito il mio piano, ma poi mi dissi che era una cosa impossibile e mi convinsi che si trattava di qualcos’altro.
«Non so cosa abbiate nel cervello voi due. Io devo passare, perciò, fatevi da parte» e le scansai non molto gentilmente.
Agli occhi degli altri sarei sembrato un vero idiota. Per tutta la vita avevo cercato di evitare di diventare il solito fidanzato geloso, quello che corre dietro alla sua donna ogni volta che la vede parlare con qualsiasi essere umano che reputi una minaccia, eppure in quel preciso istante, chi non fosse stato a conoscenza di tutta la storia avrebbe notato un ragazzo alto e longilineo, dai capelli a metà fra il biondo e il castano, farsi in quattro per raggiungere una ragazza cicciottella che flirtava con un bellimbusto cazzone.
Riuscii a mettermi in mezzo proprio quando Sole stava per stringere la mano gigantesca di quel palestrato da strapazzo, afferrandole il braccio e deviando la sua presa.
«Che diav..» riuscì solo ad esclamare prima che cominciassi a tirarla via di lì.
«Ma tu non sei il maniaco di ieri?» mi domandò l’omone ma io lo ignorai. «Senti, se non la lasci stare subito,(no virgola) ti faccio espellere dall’albergo» mi minacciò.
A quel punto non risposi più di me. Come diavolo si permetteva di darmi ordini quella specie di bracciante che sapeva a mala pena scrivere il suo nome!
«Senti, bello, guadagno più io in un mese che tu in un anno intero. Se voglio me lo compro questo posto e ti ci sbatto a chiedere l’elemosina».
Wow.. peccato non ci fosse nessuno a riprendermi con la telecamera! Mi sentivo un dio sceso in terra, il più potente del mondo, fino a quando non sentii un dolore terribile sullo zigomo destro.
«Cazzo..» imprecai scivolando a terra e tenendomi il volto ferito.
«Te lo meriti, riccone dei miei coglioni!» ringhiò il wrestler.
Sole assistette sconvolta a tutta la scena, senza intervenire né dire una parola. C’era chi mormorava un ‘ohhh’ di stupore e chi, invece, sospirava ‘fanno a botte per lei’. Sperai con tutto il cuore che quel trambusto non avesse attirato l’attenzione della mia comitiva, ma quando vidi Sara con il suo solito ghigno capii che avrei fatto meglio a scomparire.
Con quella poca dignità che mi era rimasta, afferrai nuovamente Sole per un braccio e mi diressi verso la spiaggia. Questa volta non oppose resistenza ma si limitò a seguirmi in silenzio, con il capo chino. Con la coda dell’occhio vidi che metteva un piede dietro l’altro e sospirava sonoramente perciò, una volta arrivati al mio ombrellone, mi gettai di peso sulla sdraio ed esalai un lungo respiro, completamente esausto.
Lei si sedette su quella accanto tenendosi la testa tra le mani e puntellando i gomiti sulle sue ginocchia. Mi sentivo in colpa a vederla così, anche se il sottoscritto sarebbe stato l’unico a dover essere dispiaciuto, visto che avevo uno zigomo grande come un pompelmo, ma non resistetti e mi misi seduto di fronte a lei.
«Mi dici che hai?» le chiesi cercando di non avere un tono scocciato.
Non ottenni nessuna risposta e cominciai a spazientirmi. Stavo spendendo più energie in un rapporto nato da appena un giorno che in una delle mie solite week-story. Quello fu il momento più  adatto per domandarmi come avrei fatto a resistere per altre 312 ore.
«Senti, so che ieri mi sono comportato malissimo e che se potessi tornare indietro seguirei il tuo consiglio e non ti costringerei a baciarmi».
Cosa? Mi stavo scusando davvero? L’insolazione mi aveva rincoglionito per bene questa volta o, magari, era stato il cazzotto del gigante.
«Ti giuro che non mi è mai successo. Non è mia abitudine comportarmi da.. come dire..» non riuscivo a trovare un sinonimo di ‘maniaco’ e cominciavo a fare la figura del balbuziente.
«Polpo?» se ne uscì lei rialzando lo sguardo e inclinando la testa da un lato, mostrandosi perplessa.
Mi avevano chiamato stronzo, pezzo di merda, una volta perfino ‘frocio’, ma non voglio impantanarmi in quella storia. Certo che ‘Polpo’ non me l’aveva mai detto nessuno.
«Polpo» ripetei trattenendo a stento le risate.
«Sì, polpo» continuò distendendosi anche lei. «Perché ieri era come se avessi avuto otto braccia per quanto mi riguarda».
«Polipo, allora» la corressi sorridendo.
Sole, a quel punto, mi guardò seria e, stranamente, mi sentii come spogliato sotto quel suo sguardo grigio perla.
«Il polipo è la forma non metamorfosata della medusa» spiegò cominciando a fare strani disegni sulla sabbia. Ne uscì fuori una sorta di anemone con i tentacoli che poi, secondo una freccetta disegnata da lei, si trasformava in una medusa.
Di cose strane dette dalle donne ne avevo sentite di tutti i colori, ma era la prima volta che qualcuna mi riprendesse su un tale argomento.
«Che sei, la cugina di Piero Angela?» me ne uscii accorgendomi troppo tardi che sarei potuto risultare irrimediabilmente scortese.
Ma Sole, ancora una volta, mi prese in contropiede, sorridendomi. «No, mi sono laureata in Biologia e voglio prendere la magistrale in Biologia marina» mi confessò lasciando che quel leggero rossore tornasse ad invaderle le guance spruzzate di lentiggini.
Aveva la mia stessa età, allora. Giustamente Sara aveva detto che andavano allo stesso liceo, perciò si poteva benissimo supporre che frequentassero anche lo stesso anno. Quel suo aspetto, però, sin dal principio mi aveva tratto in inganno. Sembrava così maledettamente giovane, quasi una ragazzina. Per di più, il sapere che fosse ancora vergine da un lato mi metteva a disagio perché non ero mai stato con una di loro, ma dall’altro, inaspettatamente, aveva un nonsoché d’intrigante.
«Ah, davvero?» risposi con una voce che mi uscì mezza strozzata. «Io ho finito la triennale di Economia» ridacchiai, cominciando a nuotare nel mio stesso brodo di giuggiole. «Novantatré alla Luiss, niente male. Gliel’ho fatta in barba a quei pulciai maledetti che volevano farmi passare con novanta, alla faccia loro!».
Forse l’ultima frase me la potevo risparmiare, ma ormai ero completamente fomentato e non mi avrebbe più fermato nessuno.
Per un attimo non mi ero accorto di cosa Sole stesse afferrando dalla borsa frigo, ma quando avvertii una sensazione di fresco sollievo capii che la lattina di Coca-cola era ben più efficace se messa sopra uno zigomo gonfio.
«Va meglio?» mi chiese ed io, istintivamente, chiusi gli occhi e mugolai qualcosa di incomprensibile. «Bene, allora ci vediamo in giro» disse e mi lasciò la lattina in mano ) mentre la guardavo allontanarsi, attonito.
«Aspetta!» le urlai dietro con un tono un po’ disperato.
Sole si voltò appena, facendomi un sorriso forzato. «Ti prego, non sono il tipo che stai cercando».
Il tipo che sto cercando? Ma si era bevuta il cervello? Chissà cosa le avevano detto quelle sceme delle sue amiche, riempiendole la testa di cazzate.
«Okay, ieri mi sono comportato come un vero stronzo ma ti chiedo solo un’altra possibilità. Chiunque ha avuto una seconda chance, no? Perfino la Germania nella seconda guerra mondiale! Certo, poi è andata come è andata..» mi stavo ufficialmente impappinando.
«Va bene, ho capito» mi disse portandosi una mano alle labbra e l’altra sulla pancia per trattenersi dal ridere. «Ma che sia l’ultima» aggiunse, tornando seria.
Ero salvo, almeno per adesso.
«Domani c’è una gita al Bosco Umbro, la organizzano quelli dell’animazione» mi propose. «Perché non venite tutti quanti, tu e i tuoi amici?».
L’idea di dover passare ventiquattro ore in compagnia di quella stronza di Sara e quelle iene di Giacomo e Ale mi dava i brividi, ma come avrei potuto rifiutare? Mi ero appena salvato per il rotto della cuffia.. se mi fossi tirato indietro avrei mandato tutto a puttane di nuovo.
«Ottima idea!» dissi fintamente entusiasta. «Ovviamente sono invitate anche le tue, di amiche».
Per un attimo mi parve di vederla impallidire, ma non ne fui tanto sicuro. Quella di domani sarebbe stata una giornata sfiancante, sia fisicamente che mentalmente. Mi sarebbero rimaste meno di ventiquattro ore di vita e, nemmeno in quel frangente di tempo, ero sicuro di arrivare sano e salvo a fine giornata.
Avevo già rimediato un ceffone e un pugno in meno di quarantotto ore, cos’altro mi sarebbe dovuto capitare?

***
Spazietto autrice:
Sono così felice che abbiate risposto al mio appello di 'carenza di recensioni', grazie! Il nostro povero Francesco ne ha passate delle belle in nemmeno ventiquattr'ore, eh? Poveraccio, se non fosse tanto restio a smascherare quella st***za di Sara, potrebbe godersi il resto della vacanza, ma se così non fosse... non ci sarebbe questa storiella! ;)
Vabbuò, ringrazio pubblicamente le mie tre fan che hanno avuto il coraggio di recensirmi: l'immancabile Clithia (ti adoro!), La Viola e babichan1990.
Un bacio anche a chi legge soltanto, grazie!
Marty
 
   
 
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