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Autore: IoNarrante    26/04/2011    7 recensioni
Cosa vi aspettereste da una vacanza in un villaggio? Sole, mare, magari qualche flirt estivo.. niente di più! Questo è ciò cui pensava Francesco, quando, con i suoi amici dell'università, è partito per la Puglia, per una vacanza post-laurea. Ma è bene fare attenzione a scegliersi le compagnie con cui passare quattordici giorni della propria vita.. altrimenti si può incappare in una scommessuccia, dapprima innocente, ma che costringe il nostro povero protagonista, sciupafemmine e perennemente single, ad imbarcarsi in un'avventura con una ragazza.. come dire.. non proprio della sua 'taglia'..
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

  ~Ricatto~    
betato da Pepita
Sole_
 
Il buffet era ricco di ogni tipo di leccornia che si potesse immaginare e il mio stomaco brontolava dalle cinque del pomeriggio quando, secondo la maledetta dieta che mia madre mi costringeva a seguire, mi ero ‘apparentemente’ saziata con un misero bicchiere di succo di frutta all’albicocca.
Con le ragazze mi misi in fila. Afferrammo un piatto per uno mentre i turisti tedeschi che ci precedevano, indossando gli immancabili sandali con i calzini, facevano razzia dei peggio assortimenti di cibo mai visti né sentiti.
Come faceva un essere umano a potersi ingozzare di crauti e wurstel per cena? Nemmeno se mi avessero pagata avrei mangiato una tale porcheria, anche perché avrei finito col fare tappa fissa al bagno per vomitare tutta la notte!
«Il viaggio di oggi mi ha sfinita» sospirò Betta, scostandosi dalla spalla una lunga ciocca di capelli corvini.
«A chi lo dici» le fece eco Serena, sventolandosi con la mano libera.
«Veramente dovrei essere l’unica a lamentarmi» bofonchiai. «Sono io che ho guidato per quattro ore e mezza consecutive».
Le mie due amiche si ammutolirono quando le misi di fronte alla nuda e cruda verità, eppure non riuscii a trattenere un sorriso piuttosto contenuto.
La fila avanzò e cominciammo a servirci dall’immensa tavolata bianca, ricoperta di enormi vassoi colmi delle più squisite prelibatezze. C’era un’insalatiera che traboccava di patate al forno, un’altra contenente degli involtini di carne ripieni, e un’altra ancora con il mio piatto preferito: insalata di mare. Solo a guardarle quelle cose mi avrebbero messo addosso almeno dieci chili, eppure cercai di essere stoica e mi avvicinai, sconsolata, al tavolo delle insalate.
Quelle misere foglie verdi, rinsecchite e senza nemmeno l’ombra di un filo d’olio, mi facevano talmente pena che le avrei mangiate per compassione ma preferii di gran lunga una dose esagerata di carote. Sicuramente più gustose e che avrebbero giovato anche alla mia abbronzatura.
«Vieni, Sole, da questa parte!» mi chiamò Betta. «Il nostro tavolo è qui!».
Mi avvicinai, tentando di zigzagare tra bambini chiassosi, anziani in modalità ‘rallenty’ e fra l’innumerevole quantità di turisti affamati che affollavano in modo quasi animalesco il buffet. Qualcuno, però, non mi fece mai raggiungere la mia meta.
Mi ritrovai a terra senza nemmeno accorgermene, piena di carote dalla testa ai piedi, fissando allibita il macello che avevo causato.
 «Cazzo!» imprecai, senza pensare a chi potessi avere di fronte.
Notai che tutta la sala si era voltata verso la sottoscritta e un silenzio imbarazzante calò fra i presenti. Potevo vedere gli sguardi di ogni singolo ospite del villaggio che si posavano su di me e vedevano quella grassa e orrenda ragazza distesa a terra come un cetaceo arenato sulla spiaggia. Sarei voluta sprofondare dieci metri sotto terra, avrei voluto avere la facoltà di rendermi invisibile.
Non sapevo se fosse la mia paranoia o altro, ma giurai di aver visto più di una persona ridere e scambiarsi battute ironiche col vicino di sedia.
Potevo immaginare cosa stessero dicendo di me, ne avevo le orecchie piene sin dal primo giorno di scuola. Mi avevano appioppato tutti i soprannomi possibili e immaginabili e alcuni miei compagni di liceo, una volta, avevano scritto sulla lavagna il mio nome di battesimo con una ‘O’ gigantesca che raffigurava un porcello rubicondo. Era solo la storia che si ripeteva, di nuovo.
Cercai di togliermi le carote di dosso e di limitare i danni il più possibile, quando vidi una mano, grande e abbronzata, apparire davanti ai miei occhi.
«Sono davvero desolato» disse una voce sconosciuta e mentre alzai lo sguardo, per poco il cuore non mi scappò fuori dal petto.
Nessun ragazzo così affascinante mi aveva mai rivolto la parola, nemmeno per chiedermi l’ora. Preferivano restare nell’ombrapiuttosto che essere visti in compagnia di una come me. Quando incrociai l’azzurro dei suoi occhi vi avrei voluto annegare dentro, così da perdermi in quella scia intensa di emozioni che in quel momento mi sconquassava l’anima. Ero ancora persa nelle mie riflessioni quando notai che la sua mano era ancora immobile davanti al mio viso, mentre io me ne stavo ferma come uno stoccafisso.
Dopo un po’ sul suo viso apparve un’espressione interrogativa e piuttosto infastidita, quindi cercai di ricompormi e accettai il suo galante aiuto.
«Non ti avevo proprio vista!» mi sorrise una volta che fui nuovamente in piedi e libera da un quantitativo esagerato di carote.
«Non importa!» mormorai imbarazzata, più per la figuraccia che avevo fatto davanti a lui che per il resto. «Non mi sono fatta nulla».
Lui si strinse nelle spalle e si aggiustò con una mano un ciuffo di capelli castani che era sfuggito dalla sua capigliatura pettinata all’indietro. «Comunque, io sono Francesco» e si presentò porgendomi nuovamente quella sua mano grande, dalla pelle talmente tirata che si potevano benissimo vedere le vene che ne solcavano il dorso.
«Piacere, Sole» gli risposi col mio solito modo impacciato di relazionarmi con gli altri esseri umani.
«Bel nome..» mi disse sorridendo. Quando vidi delle fossette fare capolino sotto gli zigomi, rimasi estasiata nel contemplarlo. Era impossibile che uno come lui potesse anche solo sprecare fiato con una come me.
«Senti, cosa fai dopo?» mi domandò tornando serio.
Quella domanda mi prese proprio in contropiede, non sapevo davvero cosa rispondere. Suonava come una sorta di appuntamento? Cos’era, una specie di misero tentativo di farmi la carità?
«Sono con le mie amiche, veramente» gli risposi e poco dopo mi morsi la lingua.
Quando ti sarebbe capitata un’altra occasione del genere, eh, Sole? Sei proprio la ragazza più tonta sulla faccia della terra.
«Ah.. no, è che volevo offrirti qualcosa da bere per farmi perdonare per l’inconveniente», ammise con un leggero imbarazzo.
Pietà, ecco cos’era che l’aveva spinto ad invitarmi! Beh, c’ero andata vicina..
«Va bene, allora ci vediamo al bar» gli risposi dandogli le spalle e camminando molto velocemente verso il tavolo dove Betta e Sere mi aspettavano con un sorriso a sessantaquattro denti.
«Beh?»
«Allora?»
«Quella specie di schianto cosa ti ha detto?»
«Vogliamo sapere ogni particolare: dalla spinta fino all’ultima sillaba che le sue dolci labbra hanno pronunciato».
«Fatela finita, siete ridicole» risposi, sedendomi con quella poca dignità che mi era rimasta.
Loro rimasero in silenzio, ma non la smisero di lanciarsi occhiatine compiaciute e di ridacchiare l’una con l’altra.
«E va bene! Mi ha offerto di bere un drink più tardi, per farsi perdonare di avermi fatta diventare una zuppa di carote!» sbottai non sopportandole più.
«Ma hai presente che razza di figo hai accalappiato?» se ne uscì Serena.
«Quello, la mattina, avrà la fila di ragazze dietro la porta e giuro di aver visto almeno cinque signorine che non gli staccavano gli occhi di dosso» aggiunse Betta.
«Suvvia, non dite cretinate. Non è umanamente possibile che uno così possa provare interesse per me. L’unica possibilità è che sia cieco, ma non è questo il nostro caso».
«Ora sei tu la sciocca» s’infuriò Sere. «Perché devi sempre considerarti alla pari di un rifiuto umano? Non mi pare che tu abbia un naso aquilino o una gobba oscena, oppure una scucchia da far invidia alla strega dell’Ovest. Sei solo un po’ in carne, tutto qui».
Serena si preoccupava sempre della mia autostima perché anche lei, come me, aveva avuto i suoi problemi con il peso. Sicuramente aveva avuto più forza di volontà della mia nell’affrontare il suo problema, e dopo una dieta severa si era trasformata nella cugina di Paris Hilton, mentre la sottoscritta nascondeva ancora le barrette di Mars tra le pieghe del materasso.
Lo so, sono patetica!
«Ovviamente ci andrai, mia cara, ma non devi comportarti come al solito» affermò Betta con sicurezza.
«Cioè?» le chiesi sempre più confusa.
«Quelli sono ragazzi che vengono qui in cerca di un’avventura, per divertirsi, se capisci il senso, e tu non sei quel tipo, quindi devi fargliela desiderare!».
«Betta, sei la persona più perversa che conosca» osservò Serena.
«Sì, ma sono l’unica che dice le cose come stanno» puntualizzò.
«Credo di dover decidere io come comportarmi, ed è inutile che voi due cominciate già a scegliere il mio vestito da sposa perché non è detto che lui provi qualcosa per me. Magari lo ha fatto solo per cortesia».
«Quanto sei ingenua» sospirò Betta.
«Su questo mi trovo d’accordo!» asserì Serena.
A quel punto non mi rimase che sospirare visto che non avevo voce in capitolo. Con loro era sempre così, cercavano di sistemarmi come se fossi la loro sorellina minore.
Mentre le sentivo blaterare su quale vestito sarebbe stato più adatto alla serata, con lo sguardo vagai per la sala alla ricerca di un paio di occhi color del mare.
 
Frà_
 
«Ehi, Fra, guarda! Moby ti ha puntato».
La voce di Stefano per poco non mi perforò un timpano,(no virgola) ma dovetti resistere per non voltarmi. Sarebbe stato troppo scontato se i nostri due sguardi ‘casualmente’ si fossero incrociati, perciò dovevo attenermi almeno alla realtà.
«Credo tu abbia fatto centro, Mr. Rubacuori» ridacchiò Ginevra.
«Come se qualcuna potesse resistere al suo fascino da ‘bravo ragazzo’, eh, Fra? Che fai? Le ammali apparecchiando la tavola e stendendo il bucato?» aggiunse Ale, evidentemente geloso marcio.
«Almeno io la vita me la godo» mormorai guardando distrattamente il piatto.
«Ragazzi, è proprio uno scorfano. Secondo voi è scappata da qualche circo? Magari faceva la donna cannone..» ridacchiò Stefano, confermandosi l’idiota che era.
«In effetti non è che possa vincere il premio come ‘Miss’ del villaggio» aggiunse Giacomo, con l’eco delle risa di Claudia.
Mentre gli altri continuavano a trovare i più disparati soprannomi da affibbiarle che riprendessero, in qualche modo, il mondo dei cetacei, inevitabilmente fui spinto a cercarla con lo sguardo. Come me, se ne stava in disparte, mentre le sue due amiche confabulavano e ridacchiavano davanti al suo sguardo distratto. Fissava il piatto davanti a lei, colmo d’insalata e mais, ma non ne aveva toccato nemmeno un boccone. L’espressione che aveva in volto era di puro suicidio, quindi, inevitabilmente, pensai che fosse a dieta e non la invidiai per niente.
Mi ritrovai a pensare che in fondo non era poi lo scorfano che tanto denigravano i miei amici. Quando l’avevo aiutata ad alzarsi, dopo che io stesso l’avevo fatta cadere di proposito, mi erano saltati agli occhi dei particolari piuttosto singolari e, in qualche modo, positivi del suo aspetto.
Sotto a quella coltre di folti capelli a cespuglio, c’era un viso molto semplice ma, nel complesso, piuttosto piacente, e spruzzato di piccole efelidi marroncine che la facevano sembrare ancora più giovane di quanto già appariva, senza trucco. Gli occhi, di un grigio chiaro, erano molto grandi ma avevo colto, in fondo ad essi, un’infelicità sottilmente velata, magari da un sorriso finto che scambiava con uno sconosciuto come me.
Quella Sara mi aveva davvero fregato questa volta, la sporca scommessa che mi aveva proposto e che poi mi aveva costretto ad accettare, avrebbe fatto raggiungere la vetta ai miei livelli, già alti, di stronzaggine. Ma che altra scelta avevo? Dirlo a Giorgio? Così potevo mandare a puttane dieci anni di amicizia.
L’idea di invitare Moby a prendere un drink nel dopo serata mi era sembrata ottima. Ovviamente non avrebbe potuto rifiutare, avevo cercato di non sembrare troppo interessato, altrimenti si sarebbe potuta insospettire, ma non potevo tirar fuori un’espressione di pietà. Qualunque motivo avesse spinto quella ragazza ad acconsentire, poco m’importava. La cosa fondamentale era portare a termine questa tortura: in fondo, se avessi perso la scommessa, non avrei potuto farci nulla, avrei dovuto soltanto farla durare per un po’, in modo da far divertire quei deficienti dei miei amici, poi avrei gettato la spugna e tanti saluti. Sara era stata chiara: se non avessi accettato lei avrebbe spifferato tutto, ma non si era affatto parlato di rinuncia.
«Pensi di andare direttamente al sodo stasera?» mi domandò Giorgio, facendo calare il silenzio sulla tavola.
I suoi occhi marroni mi scrutavano attentamente e quel suo comportamento indagatore mi metteva in soggezione. In fondo, era l’unico che mi conosceva da più tempo degli altri e avrebbe benissimo intuito il mio stato d’animo in quel momento.
«Che divertimento sarebbe se concludessi subito?» ironizzai, sfoderando uno dei miei sorrisi più seducenti.
«Ben detto, amico!» esultò Giacomo.
«Sei forte, Fra» si aggiunse Ale.
«L’importante è che porti a compimento la scommessa, in ogni suo punto. Altrimenti..» minacciò Sara.
«Ehi, aspetta» m’intromisi. «Se fallisco il nostro accordo è comunque valido!».
Gli altri ci guardarono sospettosi, non capendo minimamente la cosa a cui ci stessimo riferendo. Quello che mi preoccupava di più era Giorgio, ma non sembrava sospettare nulla. Almeno per il momento.
Sara mi sorrise, con quegli occhi verdi così vispi e maliziosi. «Sono io a dettare le regole. Porta a compimento la scommessa e ti potrai ritenere libero dal nostro accordo».
Rimasi ammutolito.
Mi aveva fregato proprio per bene. Ormai non potevo tirarmi indietro e sarebbe stato meglio portarmi Moby a letto il più presto possibile, così avrei mandato tutto quanto a farsi benedire, compresa quella stronza di Sara.
«Ma si può sapere cosa ti ha fatto quella poveretta?» domandò Ginevra guardando la sua amica.
Sara le sorrise, ma non volle dire nulla. «Magari un giorno ve lo confesserò, vedremo..».
Se voleva creare una certa suspense intorno a quella storia, ci era riuscita benissimo. Sapevo che quella vacanza sarebbe stata davvero indimenticabile.. in un verso o nell’altro.

Frà_
 
Erano le 21.30 della stessa sera ed io me ne stavo seduto al bancone del bar, scolandomi la terza birra consecutiva e pensando di essere davvero un idiota. Se qualcuno, prima di partire, mi avesse detto che la mia prima notte di vacanza l’avrei passata in compagnia della sorella gemella di Platinette, gli avrei ammollato un pugno sul naso, e invece eccomi qui, mezzo ubriaco, attendendo quel momento come fosse l’ultimo della mia vita.
«Ciao».
Alzai gli occhi dal boccale e mi voltai, vedendo Sole comparire al mio fianco, concretizzando quell’incubo che assaliva i miei pensieri da almeno mezz’ora.
«Ciao, splendore» le dissi mordendomi la lingua. Forse ero sembrato leggermente falso, visto come si era conciata.
Aveva provato a pettinarsi i capelli, districando i ricci, ma il risultato era stato quello di aumentarne il volume del dieci per cento, poi aveva optato per un vestito turchese, attillato all’altezza del seno e che scendeva morbido per il resto del corpo.
Ufficialmente indossava un tendone da circo.
Non rimango poi a dilungarmi sul modo in cui si era truccata. Se l’avessero vista quelle del Salone Benessere, si sarebbero messe le mani tra i capelli.
Tutto sommato, non si accorse del mio tono lievemente ironico e mi sorrise, imbarazzata. Il rossore che affiorò sulle sue guance mi prese alla sprovvista, lasciandomi di stucco. Era dalle medie che non vedevo una ragazza arrossire. Tutte quelle con cui ero stato erano donne fatte e cresciute, mentre questa qui sembrava evasa dall’Isola che non c’è!
«C-cosa prendi?» le chiesi, ritornando me stesso.
Lei si sedette sullo sgabello a fianco al mio, guardandosi intorno e fingendo di fare la vaga. Non riuscivo a comprendere il motivo di quel suo comportamento, a volte mi spiazzava completamente, ed era un enigma per me capire cosa le passasse per la testa.
«Un crodino» rispose, sorridendo nervosa.
A quel punto non riuscii a trattenermi e le scoppiai a riderle in faccia. Non so dire come la prese, perché sul suo viso comparve un’espressione indecifrabile, ma tentai di recuperare il terreno che cominciava a scivolarmi da sotto le scarpe.
«Scusa..» mi trattenni. «È solo che il crodino è un aperitivo, non si beve dopo cena».
«Ah» sospirò, diventando man mano più rossa in viso.
Decisi, per una volta, di fare una cosa galante e ordinai due birre chiare, almeno non l’avrei fatta sfigurare se il barman ci avesse chiesto le ordinazioni. Mentre aspettavamo, decisi di indagare un po’ su Moby, almeno per avere qualcosa da raccontare ai ragazzi.
«Dì la verità, non è che bevi molto, tu» le dissi, e lei cominciò a torturarsi le mani in grembo.
«Beh, no!» rispose subito, poi passò a pieghettare un lembo del vestito. «In effetti, non sono una grande intenditrice».
A mio parere, quella era la tipica ragazza che rimaneva tappata in casa tutto il giorno, rincoglionendosi davanti al computer e guardando le cazzate su YouTube. Usciva sì e no una volta alla settimana, magari trascinata a forza da quelle due sceme delle sue amiche, e andavano a farsi una passeggiata in centro, per poi tornare, al massimo, entro mezzanotte.
In questi momenti mi riusciva facile stendere un profilo di alcune persone. Avevo vissuto abbastanza per saper inquadrare una ragazza passati i cinque minuti di conversazione.
«Non preoccuparti» mormorai, poi il barista ci portò le birre e bevemmo in silenzio.
Mi sarei dovuto far venire un’idea al più presto, anche perché quel drink non significava nulla e se avessi voluto rivederla mi sarei dovuto inventare qualcosa, e alla svelta.
Il tempo passava senza che nessuno di noi due dicesse una parola. Non mi sentivo così impacciato da una vita ed era soltanto colpa di quella stupida scommessa. Se si fosse trattato di una delle ragazze con cui ero abituato ad uscire, sicuramente sarei stato all’altezza della situazione, ma non avevo idea di come comportarmi con un tipo che non mi attirava nemmeno lontanamente.
«Che ne dici di ballare?» e così, all’improvviso, mi venne quell’idea geniale.
In sottofondo si udiva una di quelle noiose canzoni reggae pugliesi, che se mi avessero regalato un CD lo avrei fiondato immediatamente fuori dalla finestra, ma aveva il ritmo giusto e faceva al mio caso.
Sole mi guardò, dapprima terrorizzata dall’idea, ma poi, dopo che sfoderai uno dei miei sorrisi migliori, accettò di buon grado. Mi feci largo tra la folla di ballerini accaldati, mentre il DJ di turno fomentava la massa già abbastanza presa dal ritmo.
 
Se nu te scierri mai delle radici ca tieni,
rispetti puru quiddre delli paisi lontani!
 
****
Note: Le radici ca tieni_Sud Sound System
Sole_
 
Mi prese per mano e insieme ci dirigemmo al centro della pista da ballo, illuminato da lampioni e luci intermittenti. Il profumo che aveva la sua pelle mi fece barcollare e più di una volta credetti di accasciarmi al suolo come uno straccio vecchio. Non si era nemmeno cambiato da quando ci eravamo scontrati a cena, ed io mi ero sentita una sciocca per essermi agghindata in quel modo tanto frivolo. Se fosse stato per me non sarei nemmeno uscita dalla camera dell’albergo.
Il cuore mi batteva all’impazzata e non ero sicura che sarei arrivata incolume a fine serata. Più di una volta, incrociando quei suoi occhi verde-acqua, avevo rischiato un infarto, ma cercavo di ripetermi di non sembrare più sciocca di quanto potessi già apparire con l’aiuto di quel maledetto vestito.
Mi ero ripromessa che, una volta tornata in camera, avrei ucciso sia Serena che Betta per il look che mi avevano affibbiato. Io, che non avevo mai indossato una gonna in vita mia, mi ritrovavo a essere la sorella in sovrappeso di Barbie Malibu e la cosa non mi piaceva affatto.
Quando ci posizionammo al centro della pista, sentii le sue mani sui miei fianchi e le guance mi andarono a fuoco. Senza riflettere, mi tirai indietro incrociando poi il suo sguardo, completamente mortificata.
«Non preoccuparti» mi disse sorridente e mi deliziai, di nuovo, delle fossette gemelle sulle sue guance che comparivano ogni volta che era felice. «Vieni qui».
Quella volta mi lasciai andare e sentii il suo tocco attraverso i vestiti, ritrovando quelle mani grandi che mi avevano aiutata ad alzarmi da terra, poco tempo prima. Istintivamente cercai di nascondere un po’ di rossore abbassando lo sguardo, ma lui cercava sempre un contatto visivo e fui costretta a specchiarmi di nuovo nelle sue meravigliose iridi.
 
Se nu te scierri mai de due de ca ieni,
dai chiu valore alla cultura ca tieni!
 
Si fece sempre più vicino, man mano che la musica diventava più ritmica e la gente intorno a noi aumentava di numero, limitando lo spazio dei nostri movimenti. Era piuttosto bravo a ballare, dovevo ammetterlo. Aveva sicuramente ritmo.
Tutti i ragazzi con cui Sere e Betta mi avevano costretta ad uscire assomigliavano più a dei proverbiali ‘ciocchi di legno’ che a persone vere, per di più con occhiali talmente spessi da sembrare delle talpe cieche.
Me la stavo cavando piuttosto bene anch’io fino a quando i nostri corpi furono talmente appiccicati che potevo sentirmi aderire ogni parte di lui. E per ‘ogni parte’, intendo davvero ogni parte. Mi posò la testa sulla spalla e cominciò a soffiarmi nell’orecchio dolcemente, mentre sentivo i capelli rizzarmisi sulla nuca. Sarebbe andato tutto per il verso giusto se non avessi incrociato due sguardi tra la folla.
 
Simu salentini dellu munnu cittadini,
radicati alli messapi cu li greci e bizantini,
 
Serena ed Elisabetta cominciarono a sbracciarsi verso la mia direzione, facendo cenni esagerati di dissenso. Prima di lasciare la mia stanza d’albergo, quella sera, non avevano mai smesso di ripetermi quanto sarei dovuta stare attenta a quei tipi lì.
Sai che alcuni ragazzi vanno nei villaggi e fanno una gara a chi la sniocca di più?
Una volta mio fratello mi ha raccontato che avevano addirittura fatto una bacheca con foto e nomi delle poveracce che ci erano cascate!
Ne avevo le tasche piene delle loro petulanti voci, ma non riuscii a fare a meno di chiedermi quale fosse il motivo che spingesse questa sorta di dio-greco/adone a venire dietro a una come me. Sarei stata curiosa di saperlo, anche se ciò si sarebbe tradotto nella fine di tutto.
«A-aspetta!» dissi allontanandomi un poco da lui.
Era bello vivere l’inizio di quella favola, ma nella mia vita avevo sbattuto contro troppi muri per poterci ricadere di nuovo.
«Cosa c’è?» domandò Francesco, stranamente preoccupato.
Avrei dovuto raccogliere tutto il mio coraggio per affrontarlo, ma sentivo che c’era qualcosa sotto e mi sentivo in dovere di scavare più a fondo.
«Dimmi, perché fai tutto questo?».
 
****
Frà_
 
Quella domanda mi spiazzò completamente e non sapevo se, questa volta, sarei riuscito a eludere la risposta grazie alla mia veloce parlantina. Era più furba di quanto pensassi e di questo particolare, sicuramente, Sara ne era a conoscenza. Già me la immaginavo che ridacchiava alle mie spalle, con tutti quei deficienti dei miei amici che le facevano il coro.
«Cosa vuoi dire?». Dovevo fingere, come al solito. In fondo ci ero abituato. Dopo che la fatidica ‘settimana’ era scaduta, m’inventavo sempre una scusa plausibile per piantare le ragazze con cui uscivo, che me l’avessero data oppure no. Cosa aveva di diverso quella cicciona dai capelli a cespuglio?
Sole si allontanò ancora di più da me, diventando sempre più sospettosa. Nei suoi occhi intravidi, per una frazione di secondo, l’alone di un ricordo che l’aveva sconvolta allo stesso modo, ma non potevo arrendermi proprio ora. Voleva delle conferme? Pensava che la stessi prendendo in giro? Magari aveva intuito tutto, ma non la facevo così furba.
Ad un certo punto mi balenò in mente la soluzione più ovvia e mi complimentai con me stesso per aver pensato a quella genialata.
Mi avvicinai a lei e la tenni ferma per le spalle.
 
uniti intra stu stile osce cu li giammaicani,
dimme mo de du ede ca sta bieni!
 
****
 
Invece di ricevere una risposta alla mia domanda, lo vidi avvicinarsi pericolosamente e chiudere gli occhi. Accadde tutto in un battibaleno, prendendomi alla sprovvista.
Sentii le sue labbra premute sulle mie, completamente sigillate, mentre attorno a noi la gente si voltava e alcuni sorridevano. In quel momento non sapevo come comportarmi o cosa fare. Era forse una conferma di ciò che Serena ed Elisabetta mi avevano detto?
In fondo, non ci conoscevamo nemmeno da un’ora e già eravamo passati alla parte fisica. Che ingenua che ero stata. Ci ero caduta ancora una volta, ma non potevo permettere che qualcun altro mi facesse del male.
«FERMO!» gridai, spingendomelo via di dosso.
Francesco sgranò gli occhi e mi guardò confuso. Non si aspettava di certo quella reazione da parte mia, ma ero stufa di fare sempre la ruota di scorta.
«Che ti prende?» mi domandò.
«Non voglio» insistetti, sentendo il calore che affiorava sulle guance.
«Dai, su, non dire sciocchezze» mi rispose avvicinandosi di nuovo e cercando di raggiungere le mie labbra sigillate.
No, non potevo permetterlo. Io valevo più di una notte, questo era certo.
 
****
 
Il sonoro schiocco che si udì in tutto il villaggio dopo che Sole mi colpì in pieno viso, non lo avrebbe dimenticato nessuno.
Ero sempre stato il bravo ragazzo, quello che avrebbe fatto innamorare tutte le suocere del mondo, l’uomo invidiato da tutti perché non si era mai legato, nonostante avesse i mezzi per farlo, ma non avrei mai creduto di poter essere respinto da una donna. Soprattutto da un tipo come lei.
 
Se nu te scierri mai delle radici ca tieni...

***
Spazietto autrice:

So di non averlo specificato all'inizio, ma ho ricevuto una sola piccolissima recensione... sigh [comunque ringrazio di cuore e pubblicamente Clithia che è stata l'unica coraggiosa ad avermi recensito!] Thank you!!! e lancio un piccolo appello per 'carenza di recensioni' che, se volete, potete seguire o meno.
Baciotti,
Marty

 

   
 
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