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Autore: ferao    05/05/2011    11 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Stavolta il capitolo non è un granché, e non è nemmeno molto lungo. È stato scritto… di fretta. Già.
La parte iniziale è okay, ma il finale non è stato quasi per niente limato; non ne ho avuto modo, mi dispiace.
Comunque non stupitevi se è sintetico: doveva essere così perché “il bello” viene dopo, non adesso.
Su richiesta di Nymphy Lupin (ciao cara!) stavolta le ciacole (= chiacchiere) sono in fondo; solo, tenete della cioccolata a portata di mano mentre leggete, credo che vi servirà. A me è servita.
Grazie dell’attenzione.

 

Incontri

 
Settembre, ottobre, novembre, dicembre. Gennaio, febbraio, marzo, aprile.
Cosa volete che contino queste parole, ad Azkaban? Lì è come se fosse sempre notte: una notte infinita, senza ore, senza limiti.
Una notte senza sogni, ma un solo spaventoso incubo che dura miliardi di minuti; una lunghissima apnea.
Digrignare di denti nel buio, in ogni istante, in ogni luogo.
Azkaban non è luogo, non è tempo. È oltre.
Oltre il tempo non esistono ore, non esiste respiro, non esisti tu. Solo il tuo dolore.
Immenso, illimitato dolore. Più sei innocente più soffri, ad Azkaban; è una regola non scritta, ma esiste.
 
Ernest Adams era ad Azkaban, innocente.
 
 
 
- Bacchetta, prego.
Controvoglia, Percy consegnò la bacchetta alla Guardia dal volto coperto, dopodiché alzò le braccia e si lasciò perquisire.
- Ha con sé il permesso per entrare qui?
Consegnò anche la pergamena con il simbolo del Ministero; la Guardia la osservò, prima di arrotolarla e riporla in un piccolo archivio.
- Mi segua, signor Weasley.
Entrare ad Azkaban da prigionieri o da visitatori era la stessa cosa: a nessuno venivano risparmiate le occhiate invisibili ma penetranti delle poche Guardie umane presenti lì dentro.
(Che poi, umane: incappucciate e irriconoscibili, chi poteva dire cosa fossero davvero? Se non le si scambiava per Dissennatori era solo perché, accanto a una Guardia, non si provava gelo).
Inoltre il tempo si fermava per tutti, lì, anche per chi non era destinato a rimanervi a lungo. L’unica differenza era che, per il periodo in cui un visitatore si trovava lì dentro, i Dissennatori si tenevano a distanza da lui e dal prigioniero che riceveva la visita.
Entrare ad Azkaban era cambiare mondo, dimensione, universo. Se Percy non avesse avuto un motivo più che valido per andarvi si sarebbe guardato bene dal farlo; ma aveva un motivo, e si chiamava Adams.
Aveva dovuto aspettare mesi prima di ricevere il permesso per visitare la prigione; lo aveva richiesto pochi giorni dopo l’arresto di Adams, ma ai piani alti avevano preferito farlo aspettare.
Probabilmente si erano chiesti il perché di una visita a un condannato per sodomia; alla fin fine, però, Percy era già tenuto sotto controllo, e nessuno dei suoi comportamenti sembrava indicare un rapporto particolare con Adams. “Ma sì”, dovevano aver pensato, “diamogli un contentino, lasciamo che assaggi l’aria di Azkaban, se tanto lo desidera…”
- Siamo arrivati, signor Weasley.
Di già? Possibile che ci avessero messo così poco?
Era proprio vero che tempo e spazio non esistevano, lì dentro.
- Ha mezz’ora. Verrò a prenderla più tardi.
Mezz’ora. Aveva aspettato sette mesi per avere quel fottuto permesso, e gli davano solo mezz’ora.
Pazienza.
La porta alle sue spalle si richiuse con un cigolio. Percy fece un passo avanti, incerto.
- Adams…
Un cencio buttato di lato, ecco cos’era diventato Adams. Rannicchiato in un angolo, con la testa fra le ginocchia e le braccia a riparare la nuca. Percy strinse i denti, e si avvicinò ancora.
- Adams…
L’uomo non si mosse; Percy si inginocchiò di fronte a lui e gli sfiorò un braccio.
A quel contatto Adams sobbalzò e si ritrasse, terrorizzato. I suoi occhi chiari erano vuoti, completamente smarriti.
- Adams, sono io, mi riconosci? Sono Percy Weasley.
L’uomo aveva un aspetto orribile: era quasi irriconoscibile sotto quella barba e quegli stracci che chiamavano “divisa dei carcerati”. Lo sguardo vacuo di Adams vagò per un minuto in quello di Percy, e all’improvviso si illuminò di memoria.
- Capo…
Una voce roca, scordata, non sua.
- Sì, Adams, sono io. - A fatica Percy trattenne le lacrime che già premevano per uscire. Mio Dio, se esiste un Dio; che ti hanno fatto, Adams…
- Capo…
- Sì, sì, Adams, sono io…
Adams seguitò a fissarlo ad occhi spalancati, poi allungò debolmente una mano. Percy la strinse tra le sue, col groppo alla gola, sentendo crescere l’angoscia. Che ti hanno fatto…
- Capo… Sei tu…
- Sono io, vecchio mio…
- Audrey?
Percy deglutì, e stavolta una lacrima gli sfuggì.
- Sta bene, Audrey? - articolò Adams, a fatica.
- Sta bene, sì… Grazie a te sta bene, Adams…
- No. Grazie… a te. Io…
- Non parlare, tranquillo.
Adams cercò di alzarsi, ma non ci riuscì. Stava seduto da giorni ormai, le gambe erano anchilosate.
- Sta’ fermo, Adams, non muoverti. Tranquillo.
Adams gli obbedì, docile. Percy era incredulo: quello che aveva davanti non poteva essere davvero l’uomo che mesi prima aveva tenuto testa alla Umbridge in presenza dei Dissennatori. Non poteva.
L’avevano distrutto, spezzato. Azkaban può questo ed altro.
Adams abbassò lo sguardo, come cercando di formulare un pensiero; poi guardò di nuovo Percy, mentre un lampo attraversava gli occhi spenti.
- Capo… L’albero…
Percy dovette riflettere qualche secondo prima di capire a cosa si riferisse: stava parlando dell’albero genealogico di Audrey. Il suo tempo si era fermato al diciotto settembre.
- È arrivato, è… è andato tutto bene. Audrey… ti saluta tanto, le manchi, ci manchi…
Gli sfuggì un singulto, mentre cercava le parole giuste per ciò che sentiva di dover dire.
-Adams, io… io… Tu non… non dovresti essere qui, io dovevo… volevo… aiutarti, io… M-mi dispiace, è colpa mia, mi dispiace…
Le lacrime arrivarono, irrefrenabili. Non era riuscito a fare niente per Adams, niente, e quello era il risultato della sua impotenza: un uomo fatto a pezzi. Un grumo di dolore.
Come, pensava Percy, come poteva esistere davvero qualcosa fuori da lì? Come poteva un solo mondo contenere tutto quello? Come potevano esserci un tempo e un luogo, oltre quell’orrore così profondo?
Nulla sembrava vero, nulla. Solo quell’oscurità e quella sofferenza erano reali, nient’altro.
E nulla poteva togliergli dalla testa che la sorte di quell’uomo fosse in parte causata da una sua colpa, dalla sua debolezza, dalla sua incapacità a far andare le cose nel verso giusto.
Per un po’ il ragazzo non riuscì a parlare: poteva solo piangere, piangere e piangere. Adams lo guardava, serio, come se non capisse quelle lacrime, quel dolore. Per lui era tutto fermo, tutto dolore, e il dolore degli altri non era altro che parte di quel dolore più grande, immenso, che lui provava.
- Sai… Audrey… - singhiozzò Percy, una volta che fu in grado di parlare ancora. - Lei… n-noi stiamo per avere un bambino.
Un altro lampo negli occhi di Adams, un lampo, stavolta, come di timida e remota gioia. - Sì?
- Sì. E…- Percy deglutì - Se… Se sarà maschio lo chiameremo Ernest.
Forse fu per la distanza dai Dissennatori in quel breve tempo, o forse fu perché era davvero felice di quella notizia, la prima felicità da sette mesi; fatto sta che, in mezzo a quel dolore immobile, a quel tempo senza fine, Adams sorrise.
- Grazie, capo… - sussurrò.
- Dovere - rispose fiocamente Percy, mentre la Guardia apriva la porta della cella.
Ad Azkaban il tempo non esisteva, eppure era già passata mezz’ora.
 
Un istante prima di tornare fuori, nel mondo, Percy si ricordò di una cosa, o meglio di un viso.
- Mi scusi, - domandò alla Guardia che lo accompagnava - vorrei un’informazione su un’altra persona che è stata portata qui…
La testa coperta della Guardia si girò verso di lui. Chissà se è un uomo o una donna, pensò Percy.
- Il suo permesso le consente di far visita a un solo prigioniero - fece prontamente la Guardia.
- E infatti non voglio vederla - rispose Percy, duro.
Aspettò che venisse una replica, ma la Guardia non parlò.
- Si chiama Diana Stapleton. È stata portata qui… quasi un anno fa, lo scorso giugno…
- Sì - lo interruppe la Guardia. - Diana Moira Stapleton, accusata di commercio clandestino di manufatti Oscuri e collusione coi Mangiamorte. Rilasciata dopo un mese per assenza di prove.
Tanto bastava. Percy riprese la bacchetta e tornò nel tempo, nel mondo.
Alle sue spalle Azkaban, mostro paziente, sognava i suoi eterni incubi.
 
 
 
 
Hogsmeade non era mai stata così triste, così vuota. Il sole di metà aprile splendeva e iniziava a fare caldo, ma Percy si sentiva ancora scosso dai brividi. Quanto, quanto gelo ad Azkaban…
Chissà perché si era Smaterializzato proprio in quel villaggio; non aveva affatto voglia di andare in giro, voleva solo tornare a casa, starsene in pace, finalmente…
Poi vide il castello, e capì perché il suo istinto lo aveva guidato proprio lì. Hogwarts…
Aveva bisogno di rivedere Hogwarts; aveva bisogno di quella sicurezza, di quella tranquillità che le mura della scuola gli avevano sempre infuso. Aveva bisogno di sentire la vita in quella maledetta giornata, e la vita era lì, tra quelle torri. Lì c’erano i suoi fratelli, pensò con un’ennesima stretta al cuore. Chissà se stanno bene.
Camminò nella strada semideserta, pensando. Non aveva visto suo padre in Ministero né il giorno prima né quello ancora precedente, e questo era strano; più che strano, preoccupante: non era mai successo, prima, che Arthur fosse assente per ben due giorni di seguito.
Percy guardò di nuovo Hogwarts; secondo i suoi calcoli le vacanze di Pasqua dovevano essere iniziate, Ron e Ginny di sicuro erano alla Tana… a meno che non si fossero davvero messi in viaggio per seguire Potter, cosa di cui Percy non poteva essere sicuro; non leggeva più la Gazzetta del Profeta, non ne aveva la minima intenzione: a che sarebbe servito? Era sempre la stessa merda, ogni giorno.
Diamine, quanto era vuota Hogsmeade; sembrava che tutti trattenessero il respiro dietro le finestre. Il fatto che ci fosse qualche passante in strada, ogni tanto, non eliminava quell’impressione: era tutto così spento, così freddo… freddo come Azkaban.
Un altro brivido. Mille pensieri si affollarono nella sua testa, facendolo vacillare; era di nuovo come mesi prima: un pensiero per la sua famiglia, un pensiero per Adams, un pensiero per il suo bambino, un…
Hai bisogno di qualcosa di forte, vecchio mio.
Ecco, quello sì che era un pensiero che valeva la pena assecondare; la Testa di Porco era a due passi da lui, gli bastò allungare il braccio per aprire la porta.
 
 
Aberforth Silente non era esattamente quello che si definirebbe un buon padrone di casa; d’altra parte, però, i suoi clienti non facevano certo caso alle buone maniere: tutto quello che chiedevano era bersi un goccio senza dover rispondere a troppe domande, e in questo erano accontentati al cento per cento.
Gli avventori della Testa di Porco erano davvero di tutti i tipi; nessuno si sorprendeva di nessun altro, lì dentro. L’unica volta in cui Aberforth si era stupito di qualcosa era stata giusto due o tre anni prima, quando un gruppo nutrito di studenti si era riunito lì.
Altro che stupito: il termine giusto era sbalordito. Erano così… fuori posto, lì, tutti quei marmocchi in una volta sola. Esattamente come sembrava fuori posto quel ragazzino alto e smilzo appena entrato nel suo locale. Aber lo guardò di traverso mentre rabboccava con Ogden Stravecchio il bicchiere di un vecchio mago che pareva ben deciso a non uscire da lì se non ubriaco a dovere.
Decisamente, pensava Aber, quel ragazzino non era tipo da Testa di Porco. No no.
Bastava guardarlo mentre osservava l’ambiente circostante: era spaurito come un coniglio, un coniglio rosso con gli occhiali che ha decisamente sbagliato il posto dove andare a cacciarsi.
Aber fu fortemente tentato di gridargli di andarsene da Madama Rosmerta, se il suo pub lo impressionava tanto; in fondo, però, un cliente è sempre un cliente, quindi attese che il ragazzino si mettesse seduto e ordinasse qualcosa.
 
Percy non era mai entrato lì prima di allora; aveva sempre considerato con sospetto quel pub dalla fama discutibile, e lo aveva accuratamente evitato nei suoi anni di scuola. Ora invece si trovava proprio lì, in quel buco puzzolente e affumicato che sapeva di capra, a guardarsi attorno come un idiota.
Una risata volgare lo riscosse: due megere lo osservavano da lontano, ridacchiando. Percy avvampò, ma le ignorò e andò a sedersi al bancone.
Si aspettava che il proprietario del locale gli rivolgesse la parola, o almeno uno sguardo interrogativo, ma quello sembrava ignorarlo tranquillamente mentre con qualche colpo di bacchetta sistemava delle bottiglie su un ripiano in apparenza pericolante.
Percy provò a schiarirsi la voce, ma il barista non lo sentì. Doveva per forza chiamarlo.
- Mi scusi, signore…
 
Ecco, lo sapeva. Un damerino, quel rosso non era altro che un damerino beneducato e senza attributi.
Proprio il genere di persona destinata a soccombere in un posto come il suo pub. Bah.
Cosa gli toccava vedere. Date ad Aber dieci, cento, mille probabili criminali coi volti coperti da bende per non farsi riconoscere, ma non un solo tipo come quello. Non li sopporta proprio, gli stronzetti che sanno solo ripararsi dietro buone maniere e belle parole e poi ti accoltellano alle spalle col loro sorrisetto garbato, o magari rimangono a fissarti impauriti aspettandosi che tu li accoltelli. Come se valesse la pena sporcarsi le mani per gente come loro.
Bah.
Girò la testa e rivolse un’occhiata truce e obliqua al ragazzino, facendolo arrossire.
Decisamente quel tipo aveva sbagliato posto dove andare a cacciarsi.
 
 
 
 
 
Perlomeno sei capace a bere, coniglio.
Non si poteva negare che quel ragazzino sapesse reggere bene l’alcool. Almeno questo.
Tipo curioso, il rosso; sembrava ancora un pesce fuor d’acqua, ma non pareva farci caso: teneva le spalle e lo sguardo bassi, mentre mandava giù un bicchiere dopo l’altro senza battere ciglio.
E poi ad Aber ricordava qualcuno. Dove diamine aveva già visto quella faccia?
Ci pensò su mentre spingeva via dal bancone la testa bendata del vecchio mago che, finalmente, era riuscito nel suo intento di sbronzarsi a dovere e ora russava alla grande.
Gli ricordava una persona, magari qualcuno visto poche volte… quei capelli poi…
Ma no. Non dirmi che questo è il figlio di Weasley.
Tornò a guardare il coniglio. Sì, c’era una rassomiglianza con Arthur, vaga ma bastevole.
Il figlio stronzo di Arthur Weasley, quello che appoggia il Ministero.
Adesso che Aber poteva dire di averle viste tutte. Diamine.
Non era tipo da giudicare i suoi clienti, purché paganti, ma per una volta si sentì autorizzato ad osservare un avventore con disgusto.
Stronzo e coniglio. Cosa c’è di peggio, al mondo?
A saperlo prima, gli avrei avvelenato l’Ogden.
 
Sentì che il barista lo osservava, ma non se ne curò. Percy non aveva intenzione di attaccar bottone, né di fare nient’altro. Voleva solo riscaldarsi un po’, cancellare per qualche minuto le sensazioni che Azkaban gli aveva messo addosso. Che guardasse pure, il barista, c’era di peggio al mondo che essere giudicati da uno così…
Svuotò il bicchiere, poi appoggiò i gomiti al bancone e si prese la testa tra le mani. Si sentiva stanco, stanco, stanco…
- Finito?
Il tono di voce era pungente, irritante. Percy sollevò la testa e incontrò lo sguardo azzurro di Aberforth Silente, uno sguardo carico di antipatia.
- No.
- Come vuoi.
Distolse lo sguardo, mentre Aberforth lo serviva di nuovo. Stanco, stanco, stanco…
Osservò con invidia il vecchio mago ubriaco accanto a sé.
Potrebbero esserci dei momenti in cui vorrebbe ubriacarsi, ma non ci riuscirà. Sempre meglio non abituarsi all’alcool, per queste evenienze.
Diamine. Aveva detto quelle parole a Audrey la notte in cui si erano baciati la prima volta, più di un anno prima, e gli erano tornate in mente all’improvviso.
Parole profetiche, senza dubbio: in quel momento avrebbe tanto voluto stordirsi, non capire più nulla per un po’. Invece no. Lucido e ragionevole, come al solito.
Riabbassò gli occhi sul bicchiere, ma non bevve.
 
Finalmente Aber era riuscito a far sloggiare l’ubriaco dal bancone. Con un gesto stanco della bacchetta ripulì il punto dove quello aveva appoggiato la testa.
Di tanti pub che ci sono proprio qui doveva venire, il figlio stronzo di Arthur?
Tornò a guardare il ragazzino con crescente antipatia.
Mi hanno detto che non scrive più nemmeno a casa. Di sicuro non sa neanche che i suoi si sono dovuti nascondere.
Io proprio non li sopporto, quelli che abbandonano la famiglia per seguire il potere.
Stronzo di un coniglio.
Il barista si guardò attorno: gli ultimi avventori stavano uscendo, ormai erano rimasti solo lui e il rosso.
Decise che valeva la pena attaccar briga con uno così, giusto per farlo stare un po’ male.
Gente così deve soffrire.
- Non bevi più? - chiese acido.
Percy sollevò lo sguardo dal bicchiere ancora pieno. - No, grazie.
- No, grazie - disse Aber, facendogli il verso. - Poche smancerie, damerino. Non sei nel posto adatto.
Il ragazzo fece una faccia perplessa. - Come, scusi?
- Hai sentito. Adesso paga e porta il tuo culo da stronzetto fuori dal mio pub.
 
Percy spalancò gli occhi e la bocca. Cosa?
Ma che diavolo…
- Ma… Ma io…
Deglutì. L’espressione con cui il barista lo guardava non era tra le più rassicuranti.
- Scusi, io… io cre-credo che mi abbia scambiato per qualcun altro…
- Tu sei il figlio dei Weasley. - Non era una domanda.
Percy deglutì di nuovo. - Come fa a saperlo?
- Somigli ad Arthur. Tu sei quello che li ha abbandonati.
Neanche questa era una domanda.
Okay, forse stavolta sono ubriaco. Non ho mai visto questo tizio in vita mia, eppure sa tutto di me.
Perché?
- Brave persone, i tuoi genitori e i tuoi fratelli. Non si meritavano uno come te…
- Lei… Lei li conosce? - mormorò Percy, sgranando gli occhi. - Conosce la mia famiglia? Ma come…
- Ti aspetti che venga a raccontarti i fatti miei? - grugnì Aber, incrociando le braccia. - Li conosco e basta. E ora conosco anche te. Pezzo di merda.
- Li conosce… Ma allora… Allora forse sa qualcosa di loro?
Stavolta fu Aber a sgranare gli occhi. L’insulto era letteralmente scivolato addosso al coniglio, che sembrava più interessato al fatto che lui conoscesse i Weasley.
Percy intanto non aveva smesso di parlare. - Sono due giorni che mio padre non viene al lavoro, non è mai accaduto… è successo qualcosa? Me lo dica, la prego…
- Perché non glielo chiedi tu stesso? Oh, ma certo, dimenticavo: voi traditori siete troppo orgogliosi per…
- Volevo scrivere, ma la mia posta è sotto controllo. Allora? Cos’è successo ai miei? Se lo sa, per favore…
Stava davvero implorando. Questo Aber non se l’aspettava.
Tuttavia non si mostrò sorpreso. Seguitò a guardare Percy con astio.
- E a te cosa importa?
- Secondo lei? - esclamò il ragazzo, arrabbiato. - È la mia famiglia!
- Te ne sei ricordato un po’ tardi, o sbaglio?
Stavolta Aber colpì nel segno; Percy aprì la bocca, ma la richiuse subito. Non c’era nulla da ribattere.
Quel tipo aveva ragione. Tutta la ragione del mondo.
E infieriva.
- È facile, andarsene a quel modo e poi chiedere notizie da lontano. Facile, comodo… Intanto, però, li hai abbandonati. Coniglio.
Percy distolse lo sguardo, arrossendo.
Li aveva abbandonati.
Come rimbombavano quelle parole, nella sua testa. Com’erano piene di rabbia, di dolore.
Li aveva abbandonati.
Era… un traditore. Solo un traditore.
Traditore del proprio sangue.
Non solo: nonostante avesse da tempo capito di aver commesso un errore, non aveva fatto nulla per tornare indietro. Non un gesto di pentimento, non una riga su una lettera; nulla.
Un traditore, e un codardo. Non esiste niente di peggio al mondo.
Con che diritto, adesso, voleva rimediare? Pensava davvero che chiedendo notizie dei suoi avrebbe cancellato l’immagine di sé che aveva disegnato in quegli anni?
Credeva che fosse così facile?
Pensava davvero che avrebbe potuto giudicarsi meno traditore, in quel modo?
Lo sguardo di Aberforth, che Percy sentiva su di sé come un coltello puntato alla gola, era molto più eloquente di qualsiasi discorso.
Chiuse gli occhi. Era stanco, stanco e ferito.
Si alzò in piedi, e mise qualche moneta sul bancone.
- Ha ragione - gracchiò, combattendo contro un nodo alla gola. - Sono solo… un coniglio. Scusi se l’ho disturbata, non avrei dovuto… essere così insistente.
Guardò un’ultima volta il barista negli occhi, poi si volse verso la porta, avviandosi con passo un po’ malfermo.
- Stanno bene.
Si bloccò. Era stato più che altro un sussurro, ma lo aveva sentito benissimo.
Percy si girò verso il barista, sorpreso. Aber non si era mosso di un millimetro: aveva ancora le braccia incrociate e lo fissava con lo stesso astio di prima, ma c’era anche qualcos’altro, adesso, nei suoi occhi.
Compassione.
- Stanno bene - ripeté. - Si sono dovuti nascondere perché uno dei tuoi fratelli è stato beccato assieme a Potter. Tutti vivi, comunque.
Compassione. Che altro poteva desiderare Percy in quel momento?
La compassione è come una pacca sulla spalla, per chi sa di non meritare altro che calci in culo.
E tu ne meriti, coniglio. Eccome se ne meriti. Ma non sarò io a dartene, tranquillo; o almeno non adesso.
 
 
 
 
“Che razza di giornata”, pensò Percy avvicinandosi alla porta di casa sua.
Che incontri, soprattutto. Vedere Adams… diamine, era stato terribile. Percy non aveva dubbi sul fatto che era stato giusto andarlo a trovare, che non avrebbe potuto fare altrimenti, ma… era stato difficile. Duro.
E incontrare Aber… incredibile, davvero incredibile. Chi avrebbe mai pensato che un tipo così conoscesse i suoi genitori?
Per via dell’Ordine della Fenice, certo. Che stupido. Avrebbe dovuto pensarci prima.
Mentre metteva la mano sulla maniglia ripensò alla promessa che Aber gli aveva fatto: lo avrebbe tenuto informato, nel caso avesse avuto altre notizie della sua famiglia.
Certo, il “come” avrebbe fatto gli risultava ancora strano, visto che, in qualsiasi modo Percy fosse stato contattato da lui, il Ministero lo avrebbe saputo subito.
A meno che anche Aber non abbia un fonetolo…
Smise di pensare. La porta era aperta.
Velocemente mise mano alla bacchetta, e aprì l’uscio con cautela.
 
Non una singola cosa era al suo posto. I libri di Audrey erano sparsi in giro, i pochi mobili erano tutti a gambe all’aria. Il telefono giaceva in un angolo, rotto.
Percy restò così stupito che per un momento abbassò la guardia e osservò la scena, confuso.
- Buonasera, signor Weasley.
Sobbalzò, quando sentì quella voce venire da camera sua: da questa uscì l’uomo alto che aveva visto insieme a Rookwood il giorno della morte del Ministro, e che era anche nella Commissione che aveva interrogato Audrey e Adams. Insieme a lui c’erano altri due uomini e una donna.
Quattro contro uno.
- Ci perdoni per il disordine, sa… Non ci muoviamo bene nelle case altrui.
La mente di Percy stava lavorando a tutta velocità, ma il suo corpo non rispondeva con la stessa prontezza. Restò come pietrificato, mentre l’uomo alto si avvicinava a lui.
- Tra l’altro, bell’arredamento. Le piacciono le cose Babbane, eh?
Alla donna scappò una risata, simile a un latrato. Fu quello a riscuotere un po’ Percy.
- Che diavolo ci fate a casa mia? - ringhiò, duro. Aveva la pelle d’oca, ma non poteva assolutamente darlo a vedere.
- Abbiamo un mandato, signor Weasley - rispose l’uomo alto. - Siamo incaricati della ricerca di alcuni pericolosi sospettati…
- E li venite a cercare a casa mia? - ringhiò di nuovo.
- Beh, visto chi sono, è molto probabile che lei ne sappia qualcosa…
Percy fece istintivamente un passo indietro, verso l’uscio ancora aperto; i quattro si erano avvicinati a lui, e non sembrava che avessero intenzioni amichevoli. Alzò la bacchetta contro l’uomo alto.
- Vi avverto, - disse piano, invaso da un improvviso coraggio - non tollero questi comportamenti, da nessuno. Fuori da qui, subito.
- Le ho già detto - rispose pacato l’uomo alto, alzando le mani - che abbiamo un mandato. Le consiglio di abbassare la bacchetta, o dovremo arrestarla per resistenza ai controllori ministeriali.
Percy non obbedì. - Mi sembra che abbiate già cercato abbastanza, qui. Adesso fuori.
- Signor Weasley, cosa può dirci in merito ad Arthur e Molly Weasley? - domandò l’uomo, incurante di Percy.
- Se non ricordo male, sono quelli che mi hanno messo al mondo - fu la risposta. Percy si stupì di se stesso: non si era mai sentito così minacciato, e allo stesso tempo così coraggioso.
Quei personaggi cercavano la sua famiglia; avrebbe dovuto pensarci subito. Era solo questione di tempo prima che venissero da lui.
- Ricorda bene, signor Weasley - ghignò l’uomo alto, per nulla impressionato. - Quello che ci interessa è dove si trovino adesso.
- Non vedo come potrei saperlo, visto che non ho contatti con loro da più di due anni. Questo - soggiunse Percy, con maggior durezza - lo sanno bene, al Ministero, visto che controllano i miei gufi e il mio camino.
Lì per lì l’uomo alto non seppe cosa rispondere.
- Ho tagliato tutti i legami anni fa, - riprese Percy, vergognandosi mentalmente per quello che stava dicendo - e non ho certo intenzione di ricucirli adesso che i miei… parenti sono diventati dei traditori del nostro Ministero.
- La sua… fedeltà al Ministero è invidiabile - mormorò l’uomo alto, sogghignando.
Percy rimase indifferente. - Lo so, grazie.
- Spero per lei che sia sempre così, signor Weasley…
- Non si preoccupi per me. Pensi piuttosto a trovare i veri criminali.
- Su questo - e il ghigno si allargò - può mettere la mano sul fuoco. Noi troviamo sempre le persone che cerchiamo.
Si aspettava forse una reazione da Percy, ma questi rimase completamente impassibile. Con un ultimo ghigno, l’uomo alto lo aggirò e uscì, seguito dagli altri tre.
L’uscio si chiuse. La bacchetta cadde di mano a Percy, che si appoggiò al muro, disperato.
Non si era mai sentito tanto vuoto, tanto verme in vita sua.
 
 
I controlli su Percy aumentarono, lui stesso se ne accorse senza difficoltà. Ormai non poteva andare da nessuna parte senza essere seguito: al Ministero credevano davvero che lui sapesse qualcosa dei Weasley, e cercavano di tenerlo sotto controllo il più possibile.
Rotto il telefono, Percy non aveva più modo di comunicare con Audrey in modo sicuro; aveva provato a riparare l’aggeggio ma non ne era in grado. Cavolo.
Audrey si sarebbe preoccupata da morire, non sentendolo; e non poteva più nemmeno andare a trovarla, sempre per il piccolo dettaglio di essere seguito a ogni passo.
Che razza di situazione. Con la sua famiglia ricercata, poi…
In realtà, Percy non era preoccupato per i suoi: suo padre non era uno stupido, di certo aveva provveduto a ogni tipo di protezione possibile.
No. Ad essere in pericolo era Percy. Il Ministero non faceva più tanti complimenti, ora, quando si trattava di sbattere ad Azkaban traditori o presunti tali; sembrava quasi che bastasse pensare qualcosa contro il nuovo regime…
E Percy aveva paura, una paura matta che prima o poi sarebbe toccato a lui; non so se riuscirei a spiegarvi questo tipo di paura: è continua, onnipresente, invade ogni minuto della nostra giornata, ogni centimetro del nostro spazio. Ci pensiamo tutto il giorno, ce la sogniamo di notte; ci fa svegliare bagnati di sudore, o tremanti di freddo e con i denti digrignati.
Ci toglie la fame, il sonno, le forze. Ci fa pesare ogni respiro, ogni parola.
Se solo ci fosse Audrey con me…
Lei, almeno, era al sicuro. Nessuno al Ministero sapeva di loro due, nessuno; l’unico che lo sapeva – ironia della sorte – era ad Azkaban.
Sì, i Weasley e i Bennet erano al sicuro, e lo erano anche Audrey e il bambino.
Solo Percy era in pericolo, e lo sapeva; e aveva paura.
 
 
 
 
Su ciò che avvenne in quei giorni si è parlato un sacco di volte, in centinaia di pagine; dubito quindi che sia il caso di ricamarci ancora su.
Ai fini della nostra storia, sappiate solo che accadde tutto all’improvviso; una marea di cose inaspettate, tutte nell’arco delle stesse ventiquattr’ore.
Prima, la fuga di un drago dalla Gringott. La sera stessa, il Ministero che, letteralmente, si svuotava.
Poi, una capra a casa di Percy.
Sì, una capra. Avete presente, le capre?
Beh, non una capra vera, accidenti! Le capre vere non sono argentate, non si evocano con la bacchetta e soprattutto non parlano.
Meglio però se vado con ordine.
 
Sul drago fuggito non serve che vi dica nulla, insomma. Notizie così sono ormai di pubblico dominio, nel nostro mondo; e poi è meglio non parlarne troppo, alcuni Babbani hanno ancora dei sospetti circa quella storia.
Credo che vi interesserebbe di più la questione del Ministero.
Dovete sapere che questo non rimaneva mai vuoto, la sera: c’era sempre qualcuno di guardia a sorvegliare.
La sera del primo maggio, però, il Ministero si svuotò completamente. Nessuno rimase lì, sia che fossero sostenitori di Voi-Sapete-Chi sia che non lo fossero.
I primi lasciarono i loro posti per prepararsi a una battaglia; gli altri invece capirono che era l’occasione buona per darsela finalmente a gambe senza rischio.
 
No, non sembra che vi interessi poi tanto; voi state pensando alla capra, vero?
In effetti, avete ragione: è l’avvenimento più importante, ai fini di questa storia.
Erano passati ormai un bel po’ di giorni, da quando Percy aveva incontrato Aberforth; in seguito non aveva ricevuto più nessuna notizia da lui.
Non che se ne aspettasse qualcuna, in effetti. Anzi, in fondo era meglio così: nessuna nuova, buona nuova.
Significava che i Weasley erano ancora nascosti, al sicuro. Tanto meglio. Meglio…
Si riscosse. Si stava addormentando sul divano, ma qualcosa lo aveva svegliato. Strinse la bacchetta, e per poco non la lasciò cadere quasi subito.
Davanti a lui una capra brillava.
Ma che cavolo…
Per fortuna recuperò al volo la lucidità. Era un Patronus, solo un Patronus. Improvviso e inaspettato.
Ma chi poteva avere un Patronus del genere?
Si strofinò gli occhi al di sotto degli occhiali, sconcertato. La capra era sempre lì, e aveva iniziato a parlare con la voce di Aberforth Silente.
Sono tutti qui, anche la tua famiglia. Stanno arrivando i Mangiamorte, vogliono attaccare il castello. Piantala di fare il coniglio e sii uomo, merdina di un rosso. Qui c’è una guerra; noi rischiamo la vita, tu che intendi fare?
Poi, così com’era arrivata, la capra svanì.
Breve ma incisivo, il messaggio; Percy non impiegò molto tempo per capire: stavano attaccando Hogwarts, e i suoi erano tutti lì. C’era una guerra, santa Morgana.
Cavolo!
Non perse minuti a riflettere. Aber aveva ragione: non c’era altro da fare. Per una volta nella vita doveva essere uomo.
Non poteva abbandonare la sua famiglia un’altra volta, non in un momento così… Non nel momento in cui rischiava davvero di non rivederli mai più.
Fu subito preso da una fretta folle, ansiosa e irrazionale; di corsa si rimise le scarpe e afferrò un mantello.
Un istante prima di Smaterializzarsi si ricordò di una cosa.
Audrey.
Si fermò, mentre in un lampo di lucidità realizzava un’altra cosa.
Rischiava di non rivedere mai più nemmeno lei. Se davvero stavano preparando una battaglia, lì a Hogwarts, lui avrebbe potuto non tornare più da Audrey.
Si sedette mentre, d’un tratto, l’aria svaniva dai suoi polmoni. Audrey. Audrey.
Poteva non rivederla più.
Non pensava che poteva morire, badate bene; pensava solo che non l’avrebbe più rivista.
Né lei, né il bambino. Mai più.
E allora, ormai privo della capacità di ragionare logicamente, fece una cosa stupida. Una cosa che avrebbe avuto conseguenze serie.
Il cretino le scrisse una lettera.
 
Audrey,
sto andando a Hogwarts. Stanno arrivando i Mangiamorte, e Aberforth mi ha detto che c’è tutta la mia famiglia a difendere il castello.
Non posso non andare. Tornerò, te lo prometto.
 
Strinse forte la penna, mentre pensava a cos’altro aggiungere.
 
Ti amo.
 
Non lo aveva mai messo per iscritto in vita sua; leggerlo gli diede una strana sensazione, ma non aveva tempo da perdere in sentimentalismi.
Meglio non pensare ancora a Audrey. L’avrebbe rivista, sì, l’avrebbe rivista.
Affidò il messaggio al gufo, e senza indugiare ancora si Smaterializzò alla Testa di Porco.
 
 
Ad attenderlo c’era Aber, col solito viso arrabbiato.
- Ce l’hai fatta ragazzino - grugnì. - Sono di sopra, muoviti.
“Di sopra dove?” stava per chiedere Percy, ma Aber lo precedette mostrandogli un passaggio nella parete.
- Di lì si va a Hogwarts. In bocca al lupo.
Percy esitò, guardando il passaggio.
Finalmente si rendeva del tutto conto quello che stava facendo.
Cavolo.
Stava tornando dalla sua famiglia; in tutta fretta, senza ragionarci, senza pensare a quello che avrebbe detto loro…
… O che loro gli avrebbero detto.
Sì, ma è davvero il caso di mettersi a pensare queste cose qui, adesso?
No che non lo era. Rivolse un rapido ringraziamento ad Aber, e corse su prima di sentire la risposta.
 
Fretta, fretta: tutto ciò che provava era solo fretta. Ve ne siete accorti anche voi lettori, immagino.
Tutto, su questa pagina, vorrebbe trasmettervi questa fretta indemoniata.
Le gambe di Percy gridavano fretta, facendolo barcollare contro le pareti del passaggio.
La fretta lo fece quasi cadere un attimo prima di uscire.
La fretta lo fece caracollare, mentre usciva dal passaggio. Per la fretta quasi perse gli occhiali.
Senza pensare, senza rendersi conto di quello che faceva, fu in tutta fretta che disse la prima, stupida cosa che gli venne in mente.
- Sono in ritardo? È già cominciato? L’ho saputo solo ora…
Infine la fretta cessò all’improvviso, quando si rese conto che tutti gli sguardi erano puntati su di lui.
Deglutì.
E adesso?











Mangiata tutta la cioccolata? Bravi.
 
 
 
Ferma là. Tu, sì, proprio tu.
Dove. Credi. Di. Andare.
Sì, dico proprio a te, Fata Blu. Già. Inutile che tu faccia la vaga e tenti di nasconderti.
Non pensare di sfuggirmi. Sai benissimo cosa hai fatto, non cercare di difenderti.
Tu. Tu. Tu.
Tu non hai idea delle lacrime di commozione che ho versato il 20 aprile per colpa tua. Tante, tante lacrime. Ho pianto così tanto che Percy, mosso a compassione, in uno slancio di cavalleria piuttosto insolito nei miei confronti mi ha persino prestato il suo fazzoletto. Salvo poi gettarlo via disgustato. (È fatto così, purtroppo: dopo un po’ però si impara a conviverci…)
Tornando a Percy, sempre per colpa tua sono giorni che non fa altro che girare per casa mia pavoneggiandosi come se avesse appena vinto il premio Oscar, il premio Nobel e dieci Emmy nello stesso momento; tutto ciò ha fatto ingelosire un po’ il mio Babbano (non gli piace che altri tizi rossi siano ospiti a casa mia) e ha spaventato parecchio mia madre, che è arrivata a minacciarlo con un mattarello quando se lo è ritrovato nella sua cucina. Nonostante tutto, però, lui seguita a camminare tutto tronfio per le stanze e a dire che è tutto merito suo, che la sua storia è eccezionale, che le sue lettrici hanno dei gusti davvero raffinati e che lui, modestamente, è proprio un signor protagonista… naturalmente nessun riferimento alla sua autrice adottiva, né agli altri personaggi, cosa che ha seccato un po’ i Bennet e anche Adams. Ma vabbè, ormai lo conosciamo e abbiamo imparato a sopportarlo.
Comunque, quello che voglio dire è che avresti davvero dovuto vedere Percy il 20 aprile, mentre appollaiato come un gufo alle mie spalle leggeva ciò che leggevo io, cioè quella cosa di cui ti sto parlando e che sai benissimo cos’è, e no, non mi riferisco alle tue fanfiction (e se proprio non capisci di che parlo, vatti a guardare le recensioni del primo capitolo). È stato bellissimo: è diventato tutto rosa e gli è comparso un sorrisone come non se ne ricordavano da quando gli è arrivata la spilla da Zuccaposcuola…
*sciaff!*
…Caposcuola. Caposcuola. (Ahio…)
Insomma, ormai Percy è fuori controllo, proprio come i miei dotti lacrimali.
Tutta colpa tua. Già.
E adesso me la paghi. Sì sì. Se ho fatto finta di non accorgermi di nulla e non ti ho detto queste cose in privato è solo perché volevo farlo in pubblico, con fanfara e squilli di tromba. Dunque:
 
- in primis, ti arriva una camionata di GRAZIE giganteschi-ma-di-proporzioni-colossali-grandi-così-ma-anche-di-più;
 
- in secundis, ti arriva anche un mio bacione bavoso su ambo le guance; ti bacerebbe anche Percy, ma a lui piacciono solo le norvegesi…
*sbonk!*
…a lui piace solo Audrey, quindi niente bacio (per tua fortuna, oserei dire). In compenso, sono in arrivo un bacio da Adams e uno da un Bennet a tua scelta;
 
- in terzis, il capitolo, nonostante non sia uno dei miei meglio riusciti, è tuo. Tutto tuo. Spero che comunque ti piaccia e non ti faccia invece cambiare idea.
 
 
 
 
Per tutti gli altri: non prendetevela, eh. È una cosa fra me e Fata Blu, ma sapete che per me siete tutti/e speciali. Le mie recensitrici poi sono le più speciali di tutti ^_^
Vi adoro, ragazze, ma lo sapete già.
 
And now, le attesissime ciacole dell’autrice:
 
1) Scusate l’enorme ritardo, mi dispiace tantissimo; sono stata impegnata prima con un’uscita di tre giorni con i miei lupetti, poi con un sacco di altri impicci… davvero, mi spiace. In questo periodo i giorni mi sfuggono via tra le dita, è terribile.
2) La battuta finale di Percy è presa dai Doni della Morte, ovviamente.
3) Ogden (o Ogden Stravecchio): altro nome del Whiskey Incendiario (Ogden’s Old Firewhiskey). Perché lo chiamo così? Perché Whiskey Incendiario e Firewhiskey sono termini troppo inflazionati, e mi infastidisce un po’ leggerli di continuo, proprio come feletono.
4) Adoro Aber. Forse mi sono presa qualche licenza nel descriverlo (come tra l’altro ho già fatto con altri personaggi), ma mi piace come mi è venuto fuori. Il pezzo in cui dice che non sopporta chi abbandona la famiglia per seguire il potere è, ovviamente, un riferimento a ciò che a fatto Albus con lui e Ariana (non mi metterò qui a ri-raccontarvi tutta la storia dei Silente, cercatevela da voi!)
L’ho inserito nella trama perché Percy, nei Doni, dice chiaramente di essersi messo in contatto con lui (come? Quando? Perché?) e di essere stato da lui avvisato dell’inizio della battaglia. Ergo, doveva entrare per forza nella storia. Eh.
5) C’è un punto in cui ripeto tre o quattro volte la parola “dolore” nella stessa frase; non è un errore, è voluto.
6) Un vero errore – e anche grosso – l’ho invece commesso nel capitolo “Gelide sorprese”: lì, infatti, il Ministro chiamava Percy usando un Patronus parlante. Mi sono informata meglio, e ho scoperto che quel mezzo di comunicazione viene usato ESCLUSIVAMENTE dai membri dell’Ordine della Fenice, ed è stato inventato da Silente. Quindi Scrimgeour non poteva conoscerlo e usarlo.
Ho già provveduto a correggere quella parte, ma se doveste trovare altri errori simili non esitate a dirmelo.
(In verità, alcune volte mi sono presa vere e proprie licenze; comunque, segnalatemi qualsiasi cosa, anche senza lasciare recensioni).
In questo capitolo, invece, il Patronus di Aber parla, perché lui che fa parte dell’Ordine. Non c’è errore, almeno qui.
7) Per scrivere questo capitolo mi sono riletta più volte le parti dei Doni della Morte che interessavano questo spazio temporale (la fuga dei Weasley dalla Tana e la loro entrata in clandestinità, susseguente all’arrivo del Trio da villa Malfoy a Villa Conchiglia; l’irruzione del Trio da Aber e l’inizio della battaglia di Hogwarts) e mi pare di aver rispettato la storia originale senza errori; comunque, se ne trovate segnalatemeli, perché la mia memoria è peggio di un foglietto di carta immerso nel whiskey e di sicuro qualcosa m’è sfuggito.
8) Nessuna nuova, buona nuova: non so se si dice anche dalle vostre parti, ma è un modo di dire che nella mia famiglia si usa spesso. Significa che, quando non si hanno notizie, vuol dire che va tutto bene.
9) Visto?? Ve l’avevo detto, donne di poca fede: Adams sta bene, e anche la signora Stapleton. Io AMO i miei personaggi, non farò mai loro del male come la perfida JK.
10) Per scrivere una ff per un concorso (ma dubito che questa la pubblicherò, mi vergogno troppo) mi sono documentata sul feticismo (!?!), argomento su cui non sapevo nulla-di-nulla, e ho scoperto che esiste anche una forma di feticismo dei nei. Beh, Percy non è feticista, ci tengo a sottolinearlo. Non vorrei che tutta la storia dei nei di Audrey nello scorso capitolo vi abbia fatto venire in mente strane idee…
11) Un’altra scoperta ha sconvolto la mia mente e l’ha tenuta per parecchio tempo in fibrillazione in questi giorni.
Dunque, ero sul forum di EFP, e sono andata a leggermi una discussione nel fandom di HP. A un certo punto ho letto il post di una ragazza che, parlando di Ron Weasley, citava una frase di un’intervista della Rowla la quale dichiarava che “tutti i Weasley sono belli”. Al che mi si sono drizzate le antenne, e, da brava fanwriter che vuole tanto bene ai suoi personaggi, ho pensato “Tutti tranne Percy, ovviamente!
Solo che il dubbio mi è rimasto, così ho domandato: “Tutti i Weasley? Tutti TUTTI?!”.
Leggendomi nel pensiero, un’altra ragazza mi ha risposto: “Sì, anche Percy”.
Immaginerete il mio shock. Non sono nemmeno del tutto sicura di essermi ripresa.
Non so voi, ma io non sono talmente Percyzzata da pensare che il nostro amico possa essere… insomma, bello.
Voglio dire: eravamo tutti edotti circa la figaggine di Bill; sulla bellezza del caro Charlie nessun dubbio, naturalmente (e guai a chi viene a dirmi il contrario; uno che doma i draghi non può che essere il mio fidanzato ideale, sì sì); i gemelli sono belli, è lapalissiano; Ron ha di sicuro il suo perché, impossibile dubitarne; su Ginny la Rowla ci ha sfracassato gli zebedei, nel sesto libro, facendo dire ogni tanto a personaggi a caso che era diventata una bella ragazza (o meglio, a me ha sfracassato gli zebedei, non so a voi…); Arthur è l’uomo perfetto, quindi di sicuro è anche bello…
…ma Percy?

…cioè, quel Percy? Siamo sicuri?

…mah. Rimango perplessa e incredula.
Scusa, Perce.
(Anyway, in questo capitolo e anche qualche capitolo fa ho scritto che Percy somiglia un po’ ad Arthur, quindi magari proprio brutto-brutto non è… comunque, immaginatevelo come preferite, ecco).
12) Questo capitolo è un banco di prova per i Within Temptation; buona parte, infatti, è stata scritta mentre ascoltavo alcuni loro brani. Se il capitolo vi piace, significa che riesco a scrivere bene sotto l’influsso delle loro canzoni e posso farlo più spesso. Se non vi piace, posso finalmente smettere di ascoltarli, perché alcune canzoni mi stanno trapanando il cervello. Intendiamoci, sono molto belle, ma purtroppo sono talmente orecchiabili che mi metto a ri-ascoltarle più e più volte e alla fine… mi trapanano il cervello.
È doloroso, diamine. Peggio degli scappellotti di Percy.
13) Lo so, lo so, sono stata dannatamente sintetica, ma rischiavo di annacquare tutta la storia rimanente allungando ancora il brodo. Se proprio vi interessa questa parte di storia, quella con Percy spiato dal Ministero, posso scriverci su degli spin off, ma non intendo sprecare spazio per parlarne qui. Oh.
 
Finito?
Credo di sì.
Un abbraccio e un bacio alle mie recensitrici, ai preferitori (che aumentano *_*), ai seguitori (aumentati anch’essi! *o*), ai ricordatori (voglio bene anche a voi!!!) e ai semplici lettori (che ammiro per il coraggio).
Grazie di cuore.
Fera.

 

   
 
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