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Autore: Keiko    14/05/2011    5 recensioni
Poteva avere tutta la musica del mondo in testa, ma Olivia era stata abituata al fatto che i sogni erano il carburante della vita, e pochi erano quelli che – nell’arco di una sola esistenza – riuscivi davvero a realizzare senza il talento, la passione, le basi necessarie ad affrontare i problemi e una discreta dose di buona sorte.
Magari ti illudevi di farlo, ma poi ti accorgevi che non erano davvero sogni, ma sfizi che – una volta raggiunti – non ti davano nessun tipo di appagamento.
Holly aveva intuito che qualcosa – nella retorica dei sogni – entrava in netto contrasto con la loro consistenza quando aveva appeso al chiodo la chitarra.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destini di Vetro'
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A Sweet Revenge © [14/05/2011]
Disclaimer. Gli Avenged Sevenfold (M. Shadows, Zacky Vengeance, Jimmy "The Rev" Sullivan, Synyster Gates e Johnny Christ), Valary e Michelle DiBenedetto, Gena Pahulus sono persone realmente esistenti. I personaggi originali non sono ovviamente persone realmente esistenti, ma semplice frutto della mia immaginazione. La storia è frutto di una narrazione di PURA FANTASIA che mescola la mia visione di fan a eventi storicamente accaduti e rumors spulciati in rete, destinata al diletto e all'intrattenimento di altri fans. Non si persegue alcun intento diffamatorio o finalità lucrativa. Nessuna violazione dei diritti legalmente tutelati in merito alla musica ed alla personalità degli artisti succitati si ritiene dunque intesa.

Note alla storia.
Destini di vetro" è il naturale sequel de "Il peso della farfalla". Le due storie possono essere lette in modo indipendente l'una dall'altra, fermo restando che "Il peso della farfalla" si colloca temporalmente due anni prima rispetto alle vicende narrate qui di seguito. Va da sé dunque, che per comprendere le relazioni tra i personaggi, potrebbe essere piacevole leggere anche la prima storia dedicata alla serie (^^)


A tutte voi, che mi avete dato il pretesto per scrivere questa storia,
e a Judy,
senza la quale Holly non sarebbe mai nata, in un pomeriggio di delirio davanti ad una cioccolata calda
(e per il resto, sai benissimo il perché )
 
Grazie
 
 
 

Huntigton Beach, 2001



 
La vita non è mai lineare né dolce né delicata. A indorare la pillola amara della crudeltà dell’esistenza sono solo gli uomini, molto più spesso le donne. I primi hanno la tendenza a raccontarsi bugie, le seconde a raccontarle agli altri e, più raramente, a sé stesse.
Conoscono troppo bene la spietata freddezza di un tradimento, l’ardore di una gelosia dilaniante, il prezzo di lacrime di rabbia gioia dolore.
Holly aveva imparato tutte quelle cose troppo presto, facendo i conti con sé stessa in una camera di cui Matt prendeva in giro i peluche ammucchiati ai piedi del letto e la collezione di bambole inquietanti a cui aveva dato inizio un sonnolento sabato pomeriggio in compagnia di Zacky. Aveva dovuto fare i conti con la realtà dei fatti, con l’evidenza che il cordone ombelicale che la imbrigliava non sarebbe mai riuscita a reciderlo in modo netto.
Non restando ad Huntington Beach, almeno, con il suo vicino di casa – il ragazzo di cui era innamorata, che aveva creduto di poter cancellare e invece aveva stretto con ulteriore forza il lazzo attorno al tuo cuore – che lanciava sassi alla sua finestra nel cuore della notte e dopo cinque minuti la costringeva a farlo entrare in camera sua. Perché non riusciva a dormire. Perché aveva voglia di parlare o guardare un film già visto mille volte in compagnia. Perché aveva voglia di stare con lei e basta, quando non c’erano motivi apparenti. Quando la vita ti porta a crescere, le strade prendono direzioni differenti e si allontanano inevitabilmente.
Matt non riusciva a comprenderlo e nemmeno ad accettarlo, per quel motivo aveva stretto la presa per evitare che se ne andasse, lasciandolo lì, senza un appiglio sicuro al quale aggrapparsi durante i giorni di tempesta.
Matthew Sanders era un tipo dannatamente abitudinario: stessi amici da quando aveva dodici anni, stessa fidanzata da quando ne aveva diciotto, stessa vicina di casa da quando era nato, stessa voglia di alzare le mani ogni volta che incontrava qualche testa di cazzo sulla sua strada.
Holly pregava solo che Val o la musica lo portassero il più lontano possibile da lei, perché era palese che prima o poi sarebbe esplosa: non aveva affatto fiducia nel suo autocontrollo, arrivata a quel punto della sua esistenza.
Ad essere sincera, nutriva dubbi su una serie infinita di cose che la riguardavano, ma preferiva ignorare la voce petulante che scaturiva dalla sua testa in attesa di sbattere il naso contro il muro del “e adesso sono cazzi amari”.
Si era impegnata con tutta sé stessa nel tentativo di lasciarsi alle spalle la cotta per il suo cupo vicino di casa, svendendo persino il suo regalo di compleanno e sforzandosi di vivere una vita che fosse solo sua, in cui le interferenze dall’utero fossero ridotte ai minimi termini.
“Matt, non è che potresti alzare il tuo adorabile culo dal mio pouff e lasciarmi dormire in santa pace?”
“Devi fare qualcosa domani mattina? Dai Holly, ti sei diplomata cazzo, che ti frega di andare a letto così presto?”
“Val non c’era stasera?”
“Usciva con Michelle e le loro amiche, saranno a far casino da qualche parte.”
“E tu non potevi uscire con i tuoi amici?” l’aveva rimbeccato lei, strappandogli dalle mani il cubo di Rubik che Matt stava inutilmente tentando di ricomporre.
“Ehi, genio, ci metterai una vita a trovare la soluzione. Vieni qui per sentirti stupido?”
Holly lo prendeva sempre in giro, non gli aveva mai perdonato il fatto di aver mollato la scuola senza provare ad arrivare alla fine. Poteva avere tutta la musica del mondo in testa, ma Olivia era stata abituata al fatto che i sogni erano il carburante della vita, e pochi erano quelli che – nell’arco di una sola esistenza – riuscivi davvero a realizzare senza il talento, la passione, le basi necessarie ad affrontare i problemi e una discreta dose di buona sorte.
Magari ti illudevi di farlo, ma poi ti accorgevi che non erano davvero sogni, ma sfizi che – una volta raggiunti – non ti davano nessun tipo di appagamento.
Holly aveva intuito che qualcosa – nella retorica dei sogni – entrava in netto contrasto con la loro consistenza quando aveva appeso al chiodo la chitarra. Aveva imparato a suonarla con Matt, stressandolo quotidianamente per imparare tre striminziti e ridicoli accordi per poi starsene ore a guardare rapita le dita di Zacky e Brian scivolare via veloci sulle corde.
La chitarra non era il suo strumento, dunque, ma un pretesto per essere un po’ più felice, per ritagliarsi un angolo di vita che fosse solo suo e di Matt.
Quando alle lezioni di Matt si erano uniti anche Zacky e Brian, il sogno si era trasformato in incubo sotto le continue frecciatine di Brian che le faceva notare – con la grazia di un ippopotamo in una cristalleria – come le sue dita fossero troppo corte per potersi muovere in tempo sulle corte.
Bastardo.
Accantonata l’idea di formare una band femminile con Dakota – scartata nel medesimo istante in cui la sua migliore amica le aveva proposto una band revival Anni Ottanta proponendosi come tastierista –, Holly aveva assecondato il suo egocentrismo da casinista prendendo lezioni di canto, con qualche risultato in più e l’assoluta vittoria morale su Matt.
“Sbaglio o non mi vuoi tra i piedi stasera?”
Matt l’aveva fissata ridendo, sfogliando la biografia di Maria Antonietta D’Austria presa dall’infinita libreria della camera della ragazza. L’avevano montata insieme, mensola dopo mensola – negli anni – in una serpentina che tagliava due pareti della stanza in un’infinita corsia di biografie, romanzi e libri d’arte e di storia.
“Sei davvero decisa?”
“A fare cosa?”
“A iscriverti all’università? Nessuno di noi lo farà.”
Holly si era lasciata cadere a peso morto sul letto, i piedi puntellati sul bordo e il mento appoggiato alle ginocchia strette al petto, cinte dalle braccia nude in una torrida nottata estiva.
“Matt io non resterò ad Huntington Beach tutta la vita. Il mondo è pieno di cose da vedere e scoprire, che senso ha restare qui, dove l’oceano è sempre uguale a sé stesso e Hollywood è sempre così vicino? I turisti adorano Hollywood perché la vedono una sola volta nella vita, per me che l’ho avuta sempre vicina ha perso attrattiva. Se non vado all’università cosa faccio? La cassiera al supermercato o la parrucchiera come Dakota? Quello è il suo sogno, non il mio.”
“Ci sono mille cose che potresti fare restando qui, Holly.”
“E milioni che posso fare andandomene. E comunque non è detto che accettino la mia richiesta di iscrizione, no?”
Meschina, ecco come si sentiva: schifosamente sporca e stronza.
“Sei troppo intelligente perché non ti prendano.”
Matt aveva messo il broncio, come i bambini. Quando corrucciava il labbro inferiore, lo sguardo chino su un libro di cui non gliene fregava assolutamente nulla, era il momento per Holly di ammorbidire i toni.
Almeno sino a quando lo richiedeva il copione, e in quell’istante era ben decisa a non farsi fottere dai clichè collaudati della loro esistenza.
Aveva deglutito, e il suono della sua saliva contro la gola era stato sordo e dirompente: l’aveva sentito anche lui?
Aveva sollevato lo sguardo verso l’alto – verso Matt -, così come fanno i cuccioli quando sanno che arriverà il rimprovero da parte del proprio padrone, poi era tornata fissare un punto imprecisato davanti a sé.
“Non sparisco solo perché c’è uno stato a dividerci, Matt. Non penserai che vivremo in eterno uno accanto all’altra, no?”
No?
Sarebbe da squilibrati, e si, tu lo sei. Ma non sino al punto da non comprendere una verità tanto ovvia, spero.
“Si che lo so” aveva sbuffato in risposta il ragazzo, recuperando di nuovo il cubo di Rubik e gettandosi sul pouff con aria assorta, dandole la schiena.
“Sei venuto qui per farmi compagnia o per perderti dietro il mio cubo?”
La vibrazione del cellulare di Holly aveva distolto l’attenzione di entrambi da un silenzio che poteva risultare non imbarazzante ma soffocante - dopo essersi visti girare per casa in mutande sino a quando la decenza della pubertà di Holly lo poteva permettere, considerando che Matt la parola pudore non la conosceva neppure, l’imbarazzo non l’avevano mai davvero sperimentato –, salvandoli da un secondo round non troppo differente dal primo.
“Ciao Jimmy! Si sono a casa con Matt. Ha deciso di diventare un complemento d’arredo della mia camera: si intona perfettamente con il mio pouff zebrato. Quello che ha preso per il culo con Zacky per un intero pomeriggio, se te lo stai chiedendo.”
Holly era scoppiata a ridere, prima di allungare il telefono al ragazzo.
“Vuole parlarti.”
“Non poteva chiamare direttamente me?”
“E che ne so? Chiedilo a lui, no?”
Matt l’aveva ignorata, portando all’orecchio il telefono udendo in sottofondo le risate dei ragazzi.
“Ma dove cazzo siete? Stasera avevamo deciso di ammazzarci di noia a casa o sbaglio?”
Holly non aveva udito la risposta di Jimmy, ma dal vaffanculo di Matt poteva intuire senza sforzo le battute dall’altro lato del telefono.
A Holly Matt faceva tenerezza. A diciassette anni e mezzo poteva dire che l’uomo di cui si era innamorata era dolce, un bambino nel corpo possente di un adolescente. Forse quell’aura solitaria l’aveva portato a selezionare gli affetti con attenzione e lei era felice di farne parte, perché Matt aveva il potere di farla sentire bene, sempre. Anche quando si sentiva sbagliata, lui la faceva sentire giusta. Matt era un sogno irraggiungibile, di quelli che ti servono per andare avanti giorno dopo giorno quando non hai una meta più importante da raggiungere.
Ti costruisci sogni impossibili perché così non mollerai mai e non ti farai mai schiacciare, se sei un tipo combattivo.
Ci sono persone che macinano odio per andare avanti nella vita, altre macinano sogni.
Holly aveva realizzato la più dura delle verità quando aveva assaporato il profumo di un sogno più grande, di un qualcosa che avrebbe sconvolto la sua vita e le avrebbe permesso di mettersi in gioco, di poter dimostrare che valeva qualcosa.
Aveva rispolverato un sogno, di quelli che dimentichi in un cassetto e con i quali convivi inconsapevolmente ogni giorno della tua esistenza, con la devozione cieca di un amanuense intento a creare miniature in onore del proprio dio.
Un qualcosa che amava sin da bambina, che le era entrato nel cuore nello stesso istante in cui l’aveva fatto Matt: se lo ricordava ancora, quel pomeriggio d’estate davanti alla televisione, seduti entrambi a gambe incrociate sul tappeto di casa Sanders a guardare Indiana Jones e l’ultima crociata.
“Matt! Matthew! Voglio diventare come lui!” aveva strillato lei conficcandogli le dita nella carne del braccio.
“E’ un maschio Holly, tu sei una femmina. Le femmine non si mettono quella roba addosso e non vanno in giro per il mondo da sole.”
Dall’alto dei suoi otto anni, Matthew aveva dalla propria parte l’inconfutabile verità secondo cui le donne erano tutte mamme, sorelle e compagne di scuola.
Holly, dalla propria, aveva invece quella che per diventare come Indy aveva bisogno di un padre fuori dal comune – e quindi partiva già zoppa su quel lato -, di un cuore da leone e l’ingresso nei boy scout. Scartata anche l’ultima ipotesi, che le faceva venire la pelle d’oca al pensiero, Holly partiva pressoché in ginocchio sulla linea di partenza.
Sconfitta?
Olivia Bridges non si arrendeva mai. Dunque le restava ragionare sulla frase di Matt: chi l’aveva detto che solo i maschi potevano fare certe cose?
“Che hai da ridere?”
Matt l’aveva riportata al presente, e lei gli si era avvicinata sollevandosi in punta di piedi e scoccandogli un bacio affettuoso sulla guancia ruvida di barba.
“Vai dagli altri?”
“Faccio un salto al pub, vieni con me?”
“No, passo. Mi infilo a letto, ci sentiamo domani okay?”
“Non mi hai detto perché ridevi.”
“Perché è sempre colpa tua, Sanders. Ricordalo: qualsiasi cosa accada, sappi che tu ne sei il diretto responsabile.”
“In tutto il mondo, per caso?”
“Sempre il solito megalomane. No, limitati ad Huntington Beach, okay? Salutami gli altri.”
Gli aveva sorriso guardandolo saltare senza troppi problemi fuori dalla finestra, un metro e mezzo scarso da terra del piano rialzato.
L’aveva osservato girarsi per salutarla, poi aveva tirato le tende ed emesso un lungo sospiro, lo sguardo puntato sulla busta nascosta sotto pile di libri qualche istante prima dell’irruzione di Matt.
Non aveva avuto il coraggio di dirglielo, perché un cuore – dopo tutto – lo aveva e se era decisa ad andarsene lasciandosi alle spalle la sicurezza del suo mondo, dall’altro lato doveva fare i conti con l’espulsione da un utero condiviso con altri scomodi coinquilini da quando ne aveva memoria.
Vivevano in un utero in affitto e lei era la prima ad andarsene, staccandosi dalla placenta calda di Huntington Beach.
Decidere di farlo era facile, farlo davvero un altro paio di maniche.
Ma quando hai tra le mani il lasciapassare per il tuo futuro, che senso hanno i sentimentalismi?
Tutto il senso del mondo, se non hai nemmeno diciott’anni e non riesci ancora a comprendere se quello che definisci sentimentalismo è solo una patetica rimostranza della tua infanzia o se invece, è la dimostrazione di quanto forti e inviolabili siano certi legami.
 
 
 
Dakota sedeva sulla staccionata che divideva il marciapiede dalla spiaggia, il via vai di turisti, bambini e surfisti a nausearla.
“Perché non gliel’hai detto?”
“Come potevo fare? Ha iniziato con una serie di domande idiote, come se…”
“… Se non volesse che partissi?”
“Esatto.”
Holly aveva sospirato, addentando la punta del ghiacciolo alla menta che teneva tra le mani.
“Secondo me non ha capito un cazzo dalla vita. Ma sei davvero decisa ad andare? Sarai a New York, da sola, in mezzo a gente che non conosci. Okay, tu non hai certo problemi a socializzare, in genere i problemi e le persone vengono calamitate da te in modo del tutto naturale. Per cui combinerai qualche casino e tutti ti adoreranno.”
“Dakota non farti film mentali sulla mia vita, grazie. Devo cercare di dire ai ragazzi che a ottobre me ne vado.”
“Non ci hai pensato due volte a dirlo a me, eh.”
“Mi stai accusando di fare differenze? Tu mi capisci, non ho bisogno di darti giustificazioni. Per Matt è normale chiedermi che senso ha andare all’università visto che loro non ci vanno. Cioè, capisci come ragiona? Quello si aspetta che tra vent’anni io sia ancora qui ad Huntington Beach, nella casa accanto alla sua con mio marito e i miei figli!”
Dakota era scoppiata a ridere, arrotolandosi sul dito indice una ciocca di capelli, nervosa.
“Tipico di Sanders. Mi mancherai, lo sai?”
“Sono vicina, da New York faccio in fretta a tornare a casa.”
“Ti troverai un’altra migliore amica?”
“Ma sei scema? Esistono i telefoni, i cellulari e le e-mail. Ci sentiremo ogni giorno. Promesso.”
“Sicura?”
“Sicurissima. Ti lascio in buone mani, con Johnny.”
“Si ma guarda che fare casino senza di te non sarà la stessa cosa. Quest’estate dobbiamo divertirci al massimo. Voglio che sia l’estate più bella e fantasmagorica della storia. Dobbiamo ricordarcela tutta la vita. Deve essere una di quelle di cui, a sessant’anni, ricorderemo ogni dettaglio.”
Mentre lo diceva, però, Dakota piangeva, e Holly era scesa dal proprio posto stringendola tra le braccia. Chiunque, a vederle, avrebbe giurato che la bionda era stata scaricata dal fidanzato di turno, e che a diciotto anni gli adolescenti fanno di ogni cosa un dramma.
Nessuno, invece, avrebbe mai creduto che quella era stata la dichiarazione d’amore più bella che Holly avesse mai sentito in tutta la sua vita.
Per quello, stretta a Dakota, guancia contro guancia, piangevano in silenzio mentre Huntington Beach viveva la sua estate nel casino dell’arsura californiana.
L’estate dei suoi diciassette anni e mezzo sarebbe finita con l’addio più desolante e triste di tutta la sua esistenza.
 
 
 
“Cazzo cazzo cazzo!”
La voce di Zacky, dall’altro capo del telefono, aveva indotto Holly a dubitare della propria sanità mentale.
“Che succede?”
“Abbiamo il contratto Holly!”
La ragazza aveva fissato il display del telefono, il nome di Matt a caratteri cubitali impresso sul video.
“Mi spiegate cosa cazzo sta succedendo?”
“La Goodlife ci fa firmare il contratto, stiamo andando a Los Angeles per vedere di che si tratta.”
“Scusa Matt, che cazzo è la Goodlife?”
“Una casa discografica, no?”
“Mai sentita. Sicuri che non vi abbiano chiamati per fregarvi anche le mutande? Tipo quei tizi che ti chiamano per farti fare la modella e poi ti vogliono vendere enciclopedie?”
Matt era scoppiato a ridere, mentre la voce degli altri tre si era unita in un coro dalla dubbia moralità.
“Stai guidando tu?”
“No, Zacky.”
“Non mi prendere per il culo, guidi sempre tu Matt. Gradirei non avervi sulla coscienza, odio dover pensare di essere perseguitata per il resto della mia esistenza dai vostri fantasmi.”
“Cazzo Holly, potresti essere un po’ più entusiasta? Sembri una cazzo di frigida!”
Zacky aveva sempre una parola carina per lei, di quello doveva prenderne atto.
“E tu un cazzo di demente. Mi hai assordata prima. Quando vedo il contratto vi preparo cupcake a volontà, così ti dimostro amorevolmente il mio entusiasmo, no?”
“Come minimo ci avvelena.”
“Brian fottiti, ti ho sentito.”
“Mi passate il telefono?”
Casino in sottofondo, poi di nuovo la voce di Matt.
“Allora, che te ne pare?”
“Se non è una fregatura è una figata pazzesca Matt. Significa che siete a cavallo.”
“Significa che siamo dei fottutissimi idoli.”
“Dei fottuti geni” era stata l’eco della voce di Zacky, indubbiamente seduto accanto al cantante.
“Allora merda, e fammi sapere come va appena avete fatto, okay?”
“Okay, ora avverto Val. Ci hanno chiamato questa mattina e visto che oggi avevano un paio d’ore disponibili andiamo a dare un’occhiata.”
“A dopo allora.”
Di tutto quello che poteva pensare, l’unica cosa che le veniva in mente era che la sua accettazione alla Columbia University si trovava sulla sua scrivania da prima del diploma e non aveva ancora avuto il coraggio di dirlo a nessuno. Aveva fatto giurare sua madre e Dakota di non rivelare a nessuno della cosa sino a quando non avesse trovato l’occasione propizia per farlo.
Ogni tentativo si era rivelato fallimentare per i più svariati motivi, e a ridosso della fine di giugno, ancora non sapeva come dire che, a settembre, sarebbe volata a New York per passarci i prossimi cinque anni della propria vita.
Avrebbe voluto parlarne almeno a Jimmy, ma aveva lasciato cadere la cosa anche con lui: preferiva levarsi il dente una volta per tutte quando si fossero ritrovati insieme a fare casino, ma il problema era che nelle ultime settimane sembrava impossibile farlo.
Era la sfiga a fregarla?
In genere era lei che, con un tempismo perfetto, mancava sempre ai raduni a casa di Matt. Jimmy si era persino preoccupato, chiedendole se fosse tutto okay, e non era del tutto certa di essere sincera con sé stessa quando negava sorridendo.
La verità era che stava temporeggiando come il peggiore dei codardi.
Ed ora che c’era un contratto in ballo, con che coraggio sarebbe andata dai ragazzi dicendo loro che sarebbe partita? A chi, soprattutto, poteva fregare qualcosa, quando il loro sogno si stava finalmente realizzando?
 
 
 
Aveva rimuginato sul da farsi, poi aveva sparato il colpo che aveva in canna quando la birra aveva preso a scorrere da ore e nessuno di loro era propriamente lucido. I festeggiamenti per la firma del contratto, e l’imminente incisione del primo cd dei ragazzi, le erano venuti in soccorso.
“Anch’io ho una novità: mi hanno preso alla Columbia! A ottobre me ne vado a New York ragazzi!”
Holly si era sollevata in piedi sul muretto, incerta sulle scarpe da ginnastica sporche, alzando la bottiglia di birra verso il cielo stellato.
Di tutte le reazioni che poteva prevedere, però, non aveva calcolato che a quei cinque idioti venissero a mancare le parole.
Avevano sempre qualcosa da dire su tutto, anche quando non richiesto: che cazzo di senso aveva tacere proprio in quel momento?
“Troppo entusiasmo ragazzi, potrebbe ammazzarvi, eh.”
“Quando parti?”
La domanda di Zacky era stata seguita da un sonoro rutto e da uno sguardo curioso, e Holly si era sentita un po’ meno testa di cazzo, in quel momento.
“A fine settembre, i corsi iniziano a metà ottobre ufficialmente, ma le prime due settimane ci saranno varie lezioni di start up a cui mi piacerebbe partecipare.”
“Prima della tua partenza allora dovremo fare un concerto e una festa d’addio con i contro cazzi.”
Il sorriso di Jimmy – e la prontezza con cui aveva tentato di cancellare il silenzio che proveniva da Matt – erano rassicuranti.
“Dai cazzo, ma quindi diventerai archeologa davvero? Non ci avrei scommesso nemmeno un dito, lo sai?”
“E perché?”
“Secondo me lontana da Huntington non reggi nemmeno due mesi”, aveva scoccato secco Brian.
“Giusto, sai quanto ti romperai le palle senza di noi?”
Ad Holly stava venendo una gran voglia di piangere e basta, in quel momento: rendersi conto di quello che stava perdendo era un colpo al cuore che non prevedeva cure.
Colpita e affondata, la piccola Olivia, schiacciata dal peso di un addio che non avrebbe mai voluto dare. Colpita e affondata dallo sguardo di Zacky; dal silenzio di Matt; dalle parole di Jimmy e dal suo tacito “dopo ne parliamo a quattr’occhi”; persino dalla stronzaggine di Brian.
Holly aveva lanciato un’occhiata alla bottiglia di birra che teneva in mano, poi aveva fatto la cosa più elementare del mondo: l’aveva trangugiata tutta, sino all’ultima goccia, tutto d’un fiato.
E quando decideva di ubriacarsi, era per evitare di pensare, e quello sia Jimmy che Zacky l’avevano imparato da tempo.
I due si erano quindi scambiati un’occhiata complice, certi che avrebbero dovuto mettere una pezza al cratere che Holly stava per aprire tra loro a parole e gesti.
 
 
 
Holly era stata recuperata da Johnny e Dakota dopo quasi un’ora di corse e rincorse per lo skate park. Brian era stato il primo a mollare, seguito a ruota da Jimmy; Matt aveva evitato pressoché qualsiasi cosa – persino di respirare, secondo il batterista – e Zacky era stato quindi l’unico ad avere la forza e la voglia di inseguirla nel tentativo di fermarla prima che si andasse ad ammazzare cercando di arrampicarsi lungo le pedane della pista da skate.
Erano entrambi sufficientemente sbronzi e fuori di testa da andarsi ad ammazzare insieme, quello Jimmy e Brian lo sapevano benissimo, ma Jimmy aveva anche la certezza che la loro incoscienza gli avrebbe salvato il culo come in tutte le occasioni precedenti, che erano troppe per essere elencate e che non voleva ricordare proprio in quel momento, come se Holly dovesse sparire da un momento all’altro inghiottita da un fottuto buco nero.
“Che cazzo ti sei fatto alla mano?”
“Mi è caduta addosso Holly. Ha cercato di scavalcare uno dei tubolari ed è inciampata. Così mi sono grattugiato il palmo sul cemento. Non è una ferita di guerra, Brian. Cazzo ragazzi, ma ve la immaginate Holly che se ne va?”
A Jimmy sembrava idiota, da parte di tutti loro, credere che sarebbe sempre rimasta imbrigliata nei suoi diciassette anni.
Era stupido, eppure ci aveva creduto anche lui, sino alla fine.
“Dovevamo aspettarcelo, no?”
“Tu lo sapevi?”
La domanda di Matt era arrivata a bruciapelo, diretta e cattiva nel tono impastato dall’alcol.
“Non ne sapevo nulla nemmeno io.”
“Cazzate, con te parla sempre di tutto. Potevi avvertirci.”
“Ehi Matt, se ti dico che non lo sapevo è la verità. Che motivo avrei di prenderti per il culo?”
Il cantante si era stretto nelle spalle, tornando a fissare il parco avvolto dal silenzio della mezzanotte inoltrata, le luci soffuse dei lampioni a rischiararne i confini a giorno.
C’erano solo loro, lì, seduti ai piedi di un muretto a rivangare ricordi nel tentativo di comprendere quale fosse il motivo della scelta di Holly.
Era tutto elementare e logico, ma non per loro: per loro era un tradimento, un addio, una pugnalata alle spalle.
Non pensavano mai che potesse soffrire per una battuta di troppo, che potesse avere altre opinioni o pensieri, che potesse coltivare altri desideri che non seguirli in giro per i locali degli Stati Uniti durante i concerti.
Holly ci aveva provato a farglielo capire, che tutto l’affetto e l’amore del mondo non potevano abnegarla sino a renderla un fottuto zerbino, e si era sempre sforzata di essere coerente con sé stessa. Quando provavano, passava ore a leggere e sottolineare libri di storia fregandosene del casino che facevano loro: erano insieme, ma lei era chiusa in un mondo a parte.
Andava bene così, però, perché Holly – da quando ne avevano memoria – si era sempre comportata nel medesimo modo. Il primo violento, disastroso scossone alle loro certezze lo aveva dato durante il loro primo concerto ufficiale, quasi due anni prima: li aveva messi davanti all’evidenza del fatto che lei era una donna, non un ragazzo.
Ne avevano preso atto dopo una rissa, scazzi, illusorie risoluzioni e un compleanno finito con Zacky e Holly intenti a rotolarsi sulla spiaggia, in una stupida gara a chi sarebbe arrivato prima al mare, e avevano quindi liquidato la cosa.
Holly restava Holly anche con la minigonna, dopotutto: cambiava la forma, ma la sostanza era rimasta sempre inalterata.
Avevano imparato a vivere in simbiosi, quasi, in un’osmosi di caratteri differenti che aveva formato un unico, grande essere.
Una famiglia in sostituzione a quelle che li attendevano a casa: si erano scelti, senza legami di sangue a imporre condizioni e sentimenti. Era stata tutta questione di affinità elettive, come adorava definirle Holly.
“Cazzo, ma quindi non ci sarà ai prossimi concerti? Io speravo ci desse una mano… Sarà una noia senza di lei. Che palle, ma perché è così tanto fissata con quelle menate da Indiana Jones?”
“Ti fai ancora queste domande? Quando l’abbiamo conosciuta stava obbligando Matt a montarle le mensole in camera, e già all’epoca aveva libri ovunque. Lei non ha nascosto nulla, al massimo siamo stati noi a fregarcene di quello che voleva dirci.”
“Poteva benissimo decidere di restare.”
“Matt che cazzo ti prende? Non parte mica per la guerra. Va a New York, è a cinque ore di aereo da qui.”
Brian aveva ingollato un sorso di birra, prima di riprendere la parola.
“Secondo me ne stiamo facendo un dramma senza senso. E’ grande e vaccinata, è libera di fare quello che vuole. Cosa dovremmo fare, chiuderla su un mini van e portarcela in giro a forza mentre ci facciamo il culo per promuovere il disco? Tra cinque anni, se le cose andassero di merda, di chi sarà la colpa della sua infelicità? Io non la voglio, se volete rapirla sono cazzi vostri poi.”
Brian era affezionato a Holly, ma possedeva l’oggettività di un coinvolgimento emotivo estemporaneo: erano si cresciuti insieme, ma aveva avuto la fortuna di starsene lontano da Huntington Beach il tempo sufficiente per rendersi conto che negli ultimi quattro anni, Holly era diventata un’altra persona.
Non era più una bambina, aveva degli obiettivi come ogni persona adulta; aveva bisogno di essere capita e, a quanto pareva, l’unica in grado di farlo era Dakota.
A che cazzo servivano i migliori amici, altrimenti?
“A me mancherà un casino.”
Zacky aveva preso a parlare senza badare troppo alla forma, facendo girare sempre più velocemente il fondo della bottiglia di birra su sé stesso, tenendola per il collo.
“Che testa di cazzo.”
Zacky si era sollevato in piedi, prima di andare a pisciare nascosto dietro le siepi al di là del muretto: lui, una vita senza la metà perfetta con cui fare sempre casino, non riusciva a immaginarsela.
E si sentiva davvero un grandissimo coglione senza capirne il motivo.
 
 
 
“Perché non me ne hai parlato?”
Jimmy beveva un caffè freddo, davanti ad Holly un cappuccino di cui non aveva ancora assaggiato un sorso.
“Come facevo a dirtelo? E’ arrivata all’improvviso, è stato tutto imprevisto. Ci ho pensato a non partire, lo sai?”
“Lo sospettavo. Se è per Matt, se la caverà benissimo.”
“Lo so, c’è Val”, aveva accompagnato il nome della ragazza con un sorriso, sollevando finalmente lo sguardo su quello dell’amico.
“Matt ce la farà si, è solo talmente scemo da non capire che non muore il bene che vuoi ad una persona solo perché è lontana da te.”
“E’ sempre stato abituato ad averti intorno, per lui è più traumatico che per noi. Più o meno.”
“Grazie”, gli aveva sorriso di nuovo, stringendogli la mano nella propria, al di sopra del tavolo.
“Mi mancherai, lo sai?”
“Anche tu, piccola peste.”
“Prometto che tornerò almeno per il mio compleanno.”
“Non è una grande promessa, lo sai?”
“Date tempo anche a me. Se torno a casa ogni due mesi non finirà mai tutto questo casino. E mentre voi sarete in tour circondati da strafighe e groupie, io sarò ad ammazzarmi di studio a New York. Vi invidio, lo sai?”
“Puoi restare. Zacky si era già fatto l’idea che ci avresti seguito in capo al mondo.”
“Fa sempre i conti senza l’oste, quello”, aveva sbuffato lei con aria solenne, prima di accasciarsi contro lo schienale della sedia sorseggiando il proprio cappuccino.
Jimmy era scoppiato a ridere con quella sua voce calda e avvolgente, di quelle che ti lasciavano sempre con la sensazione di essere in pace con il mondo. Holly l’adorava, semplicemente.
“Sei sicura che non stai scappando, vero?”
“Non sono mai scappata, io.”
“Lo fai solo quando sei ubriaca, hai ragione.”
“Senti da che pulpito, eh, Jimmy. Mi prometti che terrai d’occhio quei tre scemi?”
“Visto che hai paura a mollarli qui? Cresceranno anche loro, cazzo. Non potranno restare così per sempre.”
“Sei troppo ottimista, non ci giurerei. Tra cinque anni potremmo ritrovarci qui a parlare delle stesse cose e scopriremmo che non è cambiato un cazzo.”
“Tu sarai sicuramente cambiata.”
“Chi te l’assicura?”
“Andartene da Huntington Beach ti farà caprie un sacco di cose di te stessa. Senza di noi sarai libera, Holly. Quando la tua famiglia non guarda, osi molto di più.”
“Allora tra cinque anni a questo tavolo. E vedremo quante cose sono cambiate, okay?”
Holly gli aveva teso il dito mignolo della mano destra e Jimmy, senza esitazione, vi aveva stretto attorno il proprio.
Come due bambini, la promessa di non perdersi mai.
Nemmeno nella notte più buia.
 
 
 
Aveva costretto i ragazzi ad evitare feste di addio da liceali, si era goduta la pubblicazione del loro primo album e li aveva seguiti ad ogni concerto promozionale, era scappata per un week-end a Santa Barbara con Dakota, ritornando con un invisibile tatuaggio alla base del polso destro: al di sotto dell’indice, aveva inciso un piccolo cuore identico a quello dell’amica con la parola “live”.
Erano state lacrime, in quei due giorni, un flusso di coscienza che aveva affondato le sue radici nella memoria degli ultimi sette anni e a interrogarsi su ciò che ci sarebbe stato nel loro futuro.
Avevano diciott’anni e tutta la paura di crescere.
Il peggio era venuto nell’ultima settimana in balia di saluti, lacrime e sensi di colpa – propri e degli altri -; di frasi non dette; frasi che era meglio evitare e che invece erano scappate fuori troppo velocemente per essere trattenute; gesti.
Gesti delicati, a volte troppo bruschi, ma che le avevano fatto capire che lì, sembrava dovesse finire un’epoca.
E forse era davvero così.
Matt non si era presentato all’aeroporto, ma lo sapeva: l’aveva supplicato di non farsi vedere, o non sarebbe più partita.
Nell’onestà delle sue parole non c’erano doppi fini, c’era tutta la sua fottuta paura gettata in pasto ad un uomo altrettanto spaventato: si stavano lasciando in un modo non previsto non calcolato non voluto.
In un modo triste, in un modo che non sapevano definire in alcun modo possibile: si stavano perdendo e basta, e quando perdi la metà di te stesso, hai finito di essere un qualche Peter Pan del cazzo.
O una Wendy, del cazzo.
Chi ci credeva più alle fate, ora?
L’unica cosa che le era venuta in mente la notte precedente, quando Matt era entrato per l’ultima volta nella sua stanza per salutarla, era stato di regalargli la copia sgualcita e malridotta de Il Piccolo Principe.
Matt l’aveva guardata senza capire, con aria interrogativa: non era bravo a parole e rozzo nei gesti, ma troppo trasparente perché potesse lasciarsi sfuggire il tono incrinato della sua voce.
“E’ un libro per bambini, ci sono un mucchio di disegni. Leggilo, è una bella favola. Ed è breve.”
“Sai che non leggo molto.”
“Non sei obbligato a farlo. Si è fatto tardi, Matt, è meglio che vada a dormire.”
L’aveva guardata per un istante, nella penombra rosa della stanza, e l’aveva attirata a sé cingendole le spalle con le braccia forti, come fanno i bambini quando non vogliono lasciare andare al lavoro la propria madre.
Come farebbe un vecchio frak appeso alla gruccia di un armadio impolverato, stanco e passato di moda dopo notti brave nei locali della città.
“Torno tra tre mesi.”
“Giuralo.”
“Promesso.”
Se ogni volta che doveva ripartire il risultato era lacerarsi il cuore, allora avrebbe preferito di gran lunga non rientrare affatto ad Huntington Beach per i prossimi vent’anni.
Holly aveva imparato che gli addii erano una grandissima stronzata: le persone a cui volevi bene piangevano, tu ti sentivi una merda nei loro confronti e avevi solo la voglia di abbracciarli e portarli tutti via con te e sfanculare quello che ti attendeva oltre il tuo volo aereo.
In coda verso il terminal dell’aeroporto si era resa conto di quanto il tempo scivolasse via troppo velocemente quando desideravi solo averne di più per dire ciò che sentivi e fare le cose necessarie a risistemare i pezzi disastrosi della tua vita in una nuova opera da spacciare come arte concettuale.
“Ehi scema!”
Aveva supplicato tutti di non seguirla, di non accompagnarla, di non appendere manifesti melodrammatici alle porte di casa: l’avevano capito tutti tranne Zacky, ovviamente.
“Che cazzo ci fai qui?”
“Ti ho comprato questi. E mi raccomando, attenta a come la usi quella.”
Holly aveva fissato la frusta che Zacky le aveva posato tra le mani, un cappello da ricercatore di un orrido color cachi calato sulla sua testa con la delicatezza di una sberla.
“Zacky… Hai davvero dei gusti di merda, lo sai?”
“Sei una palla, mi sono anche fatto il culo per svegliarmi in tempo e arrivare in aeroporto prima che partissi. Ho dovuto chiamare Brian perché non mi ricordavo a che ora partivi.”
“Hai messo la sveglia ad un orario a caso?”
“No, be’, indicativo.”
Holly era scoppiata a ridere, strattonandolo per una manica della felpa.
“Dove cazzo mi porti?”
“Ho un po’ di tempo ancora, mi aspetti un attimo qui? E non fregarmi il bagaglio a mano, intesi? Ci metto un attimo.”
Era riemersa tra la folla dopo sette minuti esatti, sventolando in aria una cosa non meglio identificata.
“Che cazzo sei andata a fare? Sono venuto qui per salutarti e tu mi pianti come un coglione in mezzo all’aeroporto con le tue valigie?”
“E’ per te.”
Teneva stretto tra le mani – le braccia distese dinnanzi a sé – un pacchetto avvolto in carta rosa.
Ovviamente.
“L’hai comprato adesso?”
“Si. Cioè, era una vita che volevo darti il mio ma non ne ho mai avuto l’occasione.”
“Cos’è?”
“Il motivo per cui non ci lasceremo mai davvero. Potremo stare lontani, ma non ci perderemo mai di vista.”
“Ti farai sentire, vero? Non è che sparisci davvero?”
“Non ho il dono dell’invisibilità ancora.”
Aveva lanciato un’occhiata al tabellone degli imbarchi, sospirando: mancava mezz’ora all’apertura  dei cancelli.
“E’ ora di andare.”
“Ti accompagno sino al check-in, poi ti lascio andare.”
“Non sei curioso di sapere cos’è?” gli aveva chiesto lei mentre dribblavano famiglie cariche di bagagli e bambini urlanti.
“No.”
“Quanto sei bugiardo, Zacky.”
Si erano arrestati in fila, fianco a fianco, in attesa di lasciarsi.
“Mi mancheranno le nostre cazzate. Appena torni ne dobbiamo fare una apocalittica.”
“Basta che non rischiamo di ammazzarci come l’ultima volta.”
Il poliziotto le aveva indicato di avvicinarsi e appoggiare il proprio bagaglio a mano sul rullo, e Holly aveva eseguito gli ordini per poi tornare a guardare Zacky.
“E’ ora. Ci sentiamo presto, okay?”
“Okay.”
L’aveva osservato sorridendo, poi si era sollevata in punta di piedi e gli aveva stampato un bacio sulla guancia, puntellandosi con la propria mano al suo polso.
“Non fare troppi casini, e vedi di non spezzare troppi cuori, Don Giovanni.”
“Aspetteremo a festeggiare il mio compleanno quando ci sarai anche tu, per cui vedi di tornare in tempo a Natale.”
“Aggiudicato!”
Aveva allungato verso di lui il braccio destro, il pollice alzato verso l’alto mentre la coda di persone in attesa la stava portando via, in mezzo a un flusso migratorio di corpi e sconosciuti.
Sembrava una deportata della vita, come tutti loro.
Nessuno, in quel momento, era davvero padrone degli avvenimenti: stava accadendo tutto troppo in fretta, e tutto, sembrava una corsa a ostacoli nel tentativo di agguantare il tempo perduto.
Perduto: per cosa?



Comunicazioni dell'autrice.
Innanzi tutto voglio semplicemente ringraziarvi, per il solo fatto che il vostro entusiasmo mi ha spinto e creare un sequel de "Il peso della farfalla". Il progetto è un po' più ampio, a essere onesti, ma ne parleremo a tempo debito.
Un ringraziamento particolare a Judy, as usual, per avermi anche betato il capitolo <3

Martedì partirò per Edimburgo e non sarò in Italia prima del 24/05, per cui non datemi per dispersa. Cercherò di offrirvi aggiornamenti regolari, in concomitanza con Piece e gli impegni lavorativi. Indicativamente, conto di poter aggiornare ogni 15/20 giorni.
Vi ringrazio per l'attenzione <3


Note dell'autrice (postume)
Come dissi durante la pubblicazione del primo capitolo, questa storia si colloca in un contesto un po' più ampio, ed ora è venuto il momento di svelare il mistero. "Destini di vetro" e "Freak Show" di Magical_Illusion non sono altro che i due prequel complementari della round robin che andremo a scrivere alla fine delle vicende adolescenziali dei nostri Avenged Sevenfold.
Le due storie sono assolutamente indipendenti l'una dall'altra, ma se volete sapere i retroscena della vicenda di Holly (e delle vicende di Roxy) sappiate che vi conviene leggere entrambe le storie (^^)/ Siamo diaboliche, vero? <3
   
 
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