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Autore: ferao    10/06/2011    13 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Sana come un Plimpo

(Scusami)

 






Ci sono momenti, nel corso della nostra esistenza, in cui ci chiediamo perché non finisca tutto in quell’istante: il mondo, l’universo, la vita dovrebbero fermarsi lì, e basta. Non so se vi è successo, ma spero che non vi accada mai.
A molti, comunque, capita; arriva un momento, in genere preceduto da un’altra miriade di momenti, in cui ci si domanda: cos’altro mi resta, adesso? Perché non finisce tutto ora, subito, immediatamente?
Non so voi, ma a me non è mai successo. A Percy invece sì.
 
 
 
Ignorando il dolore lancinante alla gamba, Percy si avvicinò in fretta al punto dove Audrey giaceva priva di sensi e si inginocchiò vicino a lei. Era talmente confuso che non riusciva nemmeno a ricordare cosa dovesse fare per accertarsi che fosse viva o meno; tutto ciò che era in grado di fare, in quel momento, era stare chinato su di lei e scuoterla. Non aveva nemmeno la voce per chiamarla.
Audrey, Audrey, dai, per favore, per favore…
Fu mentre cercava di riscuoterla che si accorse della piccola chiazza rossa che si era addensata sotto la gonna di Audrey, sul pavimento. Non era molto grande, a dir la verità: il diametro non era nemmeno di dieci centimetri; in quel momento, però, per Percy era tutto il sangue del mondo. Era il suo sangue, suo e di Audrey, era quel sangue che si era fatto carne, quel sangue che Audrey aveva perso solo perché lui era stato talmente incosciente da dirle che sarebbe andato a Hogwarts.
Era colpa sua.
Vedendo quella piccola macchia Percy fu preso da un vivo terrore; ricominciò a scuotere Audrey più forte, ritrovando anche la forza di chiamarla.
- Audrey - farfugliò. - Audrey, per favore, per favore… Audrey, amore, ti prego…
Era troppo, troppo. Non poteva perdere anche lei, non poteva perdere anche lei e il bambino, non… non era giusto, non poteva pagare quel prezzo per i suoi sbagli, non potevano pagarlo loro…
Cos’altro mi resta, adesso? Perché non finisce tutto ora, subito, immediatamente?
- Per favore, ti prego, per favore… Ti prego, amore, ti prego, Bennet…
Doveva esserci qualcosa di strano, nel cognome di Audrey; la ragazza aprì gli occhi e li socchiuse subito, cercando di mettere a fuoco il viso di lui.
- Percy…
Il cuore di Percy mancò vari battiti. - Sì, amore, sì, sono io, sono io…
- Percy… Cosa…
Parlava a fatica, ma parlava. Percy avrebbe sorriso di sollievo, se la piccola chiazza rossa non fosse stata lì di fronte ai suoi occhi.
- Cosa mi... è successo, Perce…
Doveva ignorarla. Doveva ignorare quella piccola macchia – che magari non era niente – e portare Audrey via da lì, subito.
- Niente, amore, non è successo niente, sta’ tranquilla… - rispose, con un tremito nella voce.
- Il… Il Coso… Scusami…
- Non è niente, va tutto bene, adesso ci penso io… Tranquilla…
Ma Audrey non voleva saperne di stare tranquilla. Sembrava voler parlare a tutti i costi, nonostante la fatica immensa; cercò debolmente di mettersi a sedere, ma rimase bloccata a terra.
- Scusami… - balbettò allora. - Non… dovevo venire… scusami…
- Non fa niente, non fa niente… Adesso ci penso io…
- Scusami… Scusami…
- Tranquilla, ci penso io, tranquilla…
Più facile a dirsi che a farsi. Doveva portarla via, ma come? Dove?
Non poteva certo scendere tre piani di scale ed attraversare mezza Hogwarts per arrivare al paese, ci avrebbe messo troppo tempo e non ne aveva abbastanza. Si guardò attorno, in cerca di un’idea, e rimase basito.
Impossibile.
Ricordate, quando parlammo delle coincidenze? Vi dissi che, per quanto incredibili o assurde esse siano, a volte è giusto che capitino, soprattutto quando coinvolgono una persona che le merita.
Probabilmente qualcuno riteneva che Percy e Audrey meritassero una coincidenza fortunata; come spiegare, altrimenti, il fatto che si trovassero a due passi dal passaggio che, solo poche ore – secoli – prima, Fred aveva mostrato a Percy?
Impossibile.
Troppe coincidenze, dite?
Beh, che volete che vi dica. Meno male che Percy non l’ha pensata come voi, in quel momento, altrimenti non sarebbe riuscito ad approfittare di quella piccola fortuna.
 
 
 
Più volte, dopo, Percy si sarebbe chiesto come aveva fatto a prendere Audrey in braccio e attraversare l’intero cunicolo senza vacillare mai; la tensione che provava in quel momento doveva essere stata tale da fargli scordare completamente il dolore alla gamba e al resto del corpo.
Mentre Percy camminava, Audrey aveva nuovamente perso i sensi; di sicuro quello era tutto tranne che un buon segno, e il ragazzo si costrinse ad accelerare. Ormai vedeva l’uscita del tunnel: la luce dell’alba stava invadendo Hogsmeade con prepotenza, dando a tutto contorni nuovi, festosi.
Finalmente fuori dai limiti di Hogwarts, Percy si Smaterializzò.
 
 
 
Al San Mungo quel mattino c’era una strana fibrillazione: non si sapeva bene cosa stesse accadendo, si diceva che Hogwarts fosse stata attaccata e che in breve sarebbero arrivate decine di feriti; genitori e parenti di studenti si affollavano fuori dall’ingresso, chiedendo invano informazioni che nessuno era in grado di fornire e suscitando non poca curiosità in un paio di Babbani capitati lì per caso, che non capivano perché tutta quella gente stesse davanti a quella vetrina piena di vecchi manichini.
Percy si Materializzò proprio in mezzo a questa piccola folla; quando lo videro, sporco, ferito e con una ragazza svenuta in braccio, tutti si scansarono per farlo passare. Percy se ne accorse a malapena; si rivolse al manichino chiedendo di Rhett Bennet ed entrò in fretta nell’ospedale.
Non dovette aspettare molto per l’arrivo di Rhett; questi giunse all’ingresso tutto trafelato pochi istanti dopo il suo arrivo.
- Percy! - esclamò. - Che diavolo sta…
Si fermò, vedendo Audrey. - Che… che le è successo?
- Lei…
Percy si bloccò, per un attimo gli andò via la voce. La sto perdendo, Rhett, li sto perdendo tutti e due ed è colpa mia, perché sono un imbecille ed è colpa mia…
- Lei… Perde sangue, Rhett. Perde sangue da… da lì…
Rhett aveva gli occhi spalancati; doveva essere terrorizzato quanto Percy, ma da bravo Guaritore qual era si controllò e non lo diede a vedere.
- Quando è successo? Da quanto è priva di conoscenza?
- Io… Non lo so, io… io…
- Non eri con lei?
- No, io… No… Non sapevo che…
- E da dove venite, santo cielo?!
- Da… Da Hogwarts. C’è stato… Tu-Sai-Chi… Harry… noi…
- Eri a Hogwarts? - Rhett strabuzzò di nuovo gli occhi e fece uno sforzo per non alzare la voce. - Allora è vero che… E tu l’hai portata a Hogwarts?!
- No! Io… non sapevo che fosse lì, io… Ti prego, Rhett, per favore…
Percy non ne poteva più; era distrutto, dentro e fuori, e Audrey continuava a non dare segni di vita. Perché Rhett non si occupava di lei? Perché se ne stava lì a parlare di cose senza importanza?
- Rhett, ti prego, per favore…
- Sta’ calmo, adesso… adesso ci occupiamo di lei. Hai fatto bene a venire qui, ma dobbiamo portarla in un altro posto; seguimi.
Meccanicamente Percy seguì Rhett, con Audrey sempre stretta tra le braccia. Gli sembrava che non pesasse niente; anche quello doveva essere un effetto della tensione che provava.
Attraversarono un lungo corridoio praticamente correndo, fino a raggiungere quella che sembrava una grande porta a vetri, o un acquario gigante. Dall’altra parte si intravedevano alcune persone vestite in modo strano, con lunghi camici bianchi.
- Eccoci, - disse Rhett dopo aver ripreso fiato, - qui c’è il passaggio per l’ospedale Babbano.
Percy sobbalzò, e nello stesso momento Audrey emise un gemito.
- Babbano?! - gridò Percy, facendo voltare alcuni Guaritori. - Vuoi portare Audrey in un ospedale Babbano?!
- Percy, lo so che sembra assurdo, ma… qui non possiamo fare nulla per lei. I Babbani hanno il reparto di Ginecologia e Ostetricia, noi curiamo solo i danni provocati dalla magia…
- No, no, Rhett, ti prego… Che possono fare i Babbani per lei? Lei è una strega, non può…
- Anche il primario del reparto è una strega, è lì apposta per le persone come noi. Fidati e basta.
Il tono era perentorio, autoritario. Percy non discusse più; aspettò un istante, il tempo che Rhett facesse sparire la veste da Guaritore sotto un camice bianco da Babbano, poi lo seguì.
 
 
Il primario di Ginecologia e Ostetricia era una strega indiana sulla sessantina, dal viso paffuto e dai modi decisi e spicci; al contrario di Rhett e Percy era perfettamente mimetizzata in quell’ambiente Babbano. Non appena riconobbe il Guaritore Bennet, gli corse incontro: era sempre lui che accompagnava i maghi e le streghe che per vari motivi dovevano essere accolti nell’ospedale Babbano, e la sua presenza lì indicava che c’era del lavoro per lei.
- Che è successo? - domandò a Rhett, poi notò le condizioni di Audrey. - Infermiera!
- Ha un’emorragia. È all’ottavo mese. Ha fatto… degli sforzi, temo che rischi un parto prematuro o…
- Era in casa?
Rhett guardò Percy e gli fece un cenno. Nel frattempo un’infermiera stava portando una barella.
- No - rispose il ragazzo, con un tremito nella voce. - Era… alla scuola.
L’infermiera scoccò a Percy un’occhiataccia, mentre questi appoggiava Audrey sulla barella: quel ragazzo aveva un aspetto ben strano, così conciato… E così sporco, poi… ma da dove veniva? Da un cantiere? Che tempi, santo cielo, che tempi…
L’infermiera guardò la dottoressa, aspettandosi che questa cacciasse lontano dal suo reparto quel personaggio dall’igiene discutibile, ma la donna sembrava invece colpita da quanto questi aveva detto, più che dal suo aspetto orribile.
- Alla… scuola?
Il ragazzo annuì.
La dottoressa sembrò voler chiedere chiarimenti, ma poi scosse il capo. - Mi spiegherete dopo, adesso vediamo che cos’ha… Ottavo mese?
- Sì - confermò Rhett. L’infermiera, aiutata da un’altra dottoressa, trasportò via la barella; Percy e Rhett rimasero ad osservarla, insieme alla strega indiana.
- Latika, - disse alla fine Rhett, a bassa voce - è possibile che… Sono venuti qui con la Materializzazione, lei e il bambino potrebbero aver subito danni…
La strega chiamata Latika fissò Percy, gli occhi fiammeggianti. - Ti sei Materializzato? Con una donna all’ottavo mese di gravidanza?
Percy si fece piccolo piccolo, mentre il senso di colpa lo avvolgeva di nuovo. - Non… Non potevo fare altrimenti, io…
- Dicono tutti così. Che incosciente… - La dottoressa lo fissò ancora, con durezza, poi scosse il capo.
- Beh, ormai non ci resta che sperare bene. - Senza aggiungere altro, Latika corse ad aggregarsi all’infermiera e alla dottoressa Babbana che si stavano preparando a visitare Audrey.
 
Rhett e Percy non dovettero attendere a lungo; dopo neanche un quarto d’ora Latika uscì di nuovo dalla stanza.
- Nessun danno per quello che dicevi tu, ma dobbiamo comunque portarla dentro: dobbiamo aprire, altrimenti rischia di perderlo - disse in fretta.
Rhett comprese e annuì, ma Percy ebbe un tremito.
- Come, aprire? Cosa? Perché? Lei…
- Si chiama taglio cesareo - spiegò Latika seccamente. - È una tecnica Babbana.
- Hai tutto quello che ti serve? - si intromise Rhett. - Le fasce? Le pozioni?
- L’armadietto abbandonato dell’inserviente è ben fornito, tranquillo. - La donna squadrò Percy, poi tornò a rivolgersi al Guaritore. - Lui può restare qui? È un parente?
- È il marito.
Latika parve soddisfatta perché non fece più domande. Mentre lei si allontanava, Rhett chiese a Percy dove si trovasse Lucy.
- È alla scuola anche lei… O almeno credo, non so se c’è ancora, io…
- Va bene, non preoccuparti. Vado ad avvertirla che siete qui.
- Aspetta, non te ne andare, cosa…
- Non le faranno niente, sta’ tranquillo. I metodi Babbani sono sicuri quanto i nostri, vedrai. - Percy non sembrava affatto convinto, ma Rhett lo ignorò. - Ho detto che sei suo marito, quindi ti faranno restare qui con lei, ma devi stare calmo. D’accordo? Tornerò appena possibile.
- Ma… Ma se…
- Latika è in gamba, ed è una strega. Se le cose vanno male sa cosa fare. - Rhett fece un sospiro esasperato, vedendo che l’altro scuoteva la testa. - Percy, io mi fido di lei, altrimenti non le avrei mai affidato Audrey. Sta’ calmo.
Ancora poco convinto, Percy annuì. Rhett gli diede una pacca sulla spalla e sparì, diretto a Hogsmeade.
 
 
In breve, Percy si ritrovò in una piccola sala d’attesa, fuori dal posto dove i medici Babbani aprivano i pazienti. Nonostante quel pensiero gli desse un’inquietudine che è impossibile spiegare senza essere riduttivi, quel posto sembrava rassicurante, e per un istante Percy si rilassò. Fu allora che dovette fare i conti con se stesso.
La tensione che fino a quel momento l’aveva sostenuto scemò tutta insieme. Si rese conto, improvvisamente, di sentire male in tutto il corpo: le nocche e i muscoli delle braccia gli dolevano, aveva tanti piccoli graffi sulla schiena che bruciavano tremendamente, e non riusciva a tenersi in piedi su entrambe le gambe. Quando si appoggiò sulla gamba sinistra vide letteralmente le stelle; si accasciò quindi su una sedia, distrutto.
Si sentiva intontito, incapace di pensare ad alcunché. Intontito e al contempo spaventato.
Ormai era giorno fatto, e l’ospedale Babbano aveva lentamente iniziato a riempirsi di medici, infermieri, degenti che passeggiavano e visitatori. Molti lanciavano occhiate curiose a Percy, che decisamente sembrava la persona meno adatta a trovarsi in un posto asettico come l’ospedale. I capelli erano pieni di polvere, così come il viso e le mani; i vestiti, già strani per i canoni Babbani, attiravano ancora di più l’attenzione per lo stato pietoso in cui erano ridotti.
Più di una volta un’infermiera fu sul punto di chiedergli di andar via, ma si trattenne: se quel tipo si trovava lì, probabilmente aveva il permesso del primario; e il primario – lo sapevano tutti – era una donna davvero strana.
 
 
 
Da quanto tempo aspettava, ormai? Percy aveva smesso di chiederselo da un po’. Fissava il pavimento, la mente vuota; non badava ai Babbani che lo circondavano, non badava alle signore col pancione che affollavano il reparto di Ostetricia e non badava agli strilli dei bambini.
Si sentiva stanco, stanco, sempre più stanco.
Soprattutto, era il senso di colpa a mangiarlo vivo. Non avrebbe dovuto mandare quel gufo a Audrey, avrebbe dovuto pensarci… sapeva benissimo che lo avrebbero seguito, eppure l’aveva messa in pericolo, li aveva messi in pericolo. Se non lo avesse fatto Audrey sarebbe rimasta a casa, non le sarebbe successo nulla, e lui non avrebbe dovuto portarla lì, in mezzo a quei Babbani che volevano aprire
Aprire cosa, poi? Cosa le avrebbero fatto? Rhett non gli aveva detto nulla, la dottoressa Latika nemmeno…
E il Coso? Il suo bambino… che gli sarebbe successo?
Audrey aveva perso sangue; e se…
No, no, non poteva pensarci. Se fosse accaduto qualcosa sarebbe stata tutta colpa sua, solo colpa sua.
Sono un imbecille, è colpa mia. Non è giusto, Audrey non se lo merita, il Coso non se lo merita.
Non è giusto.
È colpa mia.
Nonostante i taglietti sulla schiena gli facessero male, si piegò in avanti; appoggiò i gomiti sulle gambe e stava per mettere il viso tra le mani quando si fermò.
Le sue mani. C’era del sangue sulle sue mani.
Di chi era quel sangue? Suo? Di Audrey? Di… Fred?
Fred.
Qualcosa si risvegliò in lui. Non aveva più pensato a Fred.
Come ho potuto?
Come aveva potuto dimenticarsi di lui? Per tutto quel tempo, non un pensiero, non un ricordo, non… niente. Niente.
Aveva smesso di pensare a lui, come aveva smesso di pensare alla battaglia, alla sua famiglia, a tutti quelli che erano rimasti lì… a tutti quelli che erano morti lì…
Fred.
Non staccò lo sguardo dalle sue mani, mentre la sua mente entrava nell’ennesimo vortice di pensieri confusi. Di chi diavolo era quel sangue?
Fred era morto. Non avrebbe mai conosciuto Audrey, non avrebbe mai conosciuto il Coso. Forse anche il Coso sarebbe morto, per colpa sua.
Di chi era il sangue?
Non avrebbe rivisto Fred, mai più. Forse anche Audrey stava morendo.
Forse non l’avrebbe più rivista. Per colpa sua.
Come poteva vivere ancora?
Con che coraggio? Dopo tutto quello che aveva fatto, come poteva?
Di chi era quel sangue?
- Tieni.
Percy sobbalzò, e solo il dolore alla gamba gli impedì di saltare in piedi.
 
Arthur era lì, vicino a lui, e gli porgeva un fazzoletto.
- Tieni - ripeté. - Pulisciti.
Incredulo, Percy non riuscì a muoversi. Suo padre era l’ultima persona che si aspettava di vedere in quel momento – e anche l’unica persona che avrebbe voluto avere lì accanto a sé.
- Che… - balbettò, rauco. - Che… Che ci fai tu, qui?
Arthur non rispose. Mise il fazzoletto in mano al figlio, poi si sedette accanto a lui; Percy si aspettò che dicesse qualcosa, ma il padre rimase semplicemente in silenzio, fissando il pavimento.
- È venuto un uomo, a Hogwarts - mormorò dopo un minuto. - Cercava quella signora con cui hai parlato prima di sparire. Ha detto che… che eri qui, con la tua compagna.
Surreale. Percy non riusciva a credere quanto fosse surreale tutto ciò: non si erano parlati per anni; Fred era morto; Voldemort era stato sconfitto… e loro due erano lì, circondati da Babbani che li osservavano schifati, a parlare di Audrey.
- In effetti, - la voce di Arthur era spezzata, - il modo in cui te ne sei andato era piuttosto strano. Ma la signora… Bennet? Sì… Insomma, ci ha… spiegato tutto.
Percy ancora non riusciva a parlare. Non riusciva nemmeno a guardare Arthur. Questi aspettò una risposta per qualche secondo, poi continuò, con maggior fatica.
- Lei è rimasta… a scuola, con… con la mamma e gli altri. Ci raggiungeranno… dopo, credo. Forse. Dipende da… se… se Molly e gli altri ce la fanno…
- Perché sei venuto qui? - mormorò Percy, reprimendo un singhiozzo.
Arthur non lo guardò, ma Percy vide che stava stringendo i denti. Insistette.
- Perché sei venuto? Tu… Tu dovevi restare con loro. La mamma… gli altri… hanno bisogno di te. Tu… Tu dovevi restare con loro… non dovevi venire... da me…
Finalmente Arthur sollevò lo sguardo su di lui, uno sguardo immensamente triste.
- Anche tu sei mio figlio, Perce - rispose. - Anche tu hai bisogno di me.
Questo era troppo, decisamente troppo, per Percy. Sarebbe stato troppo per chiunque, in effetti.
Il peso di quello che era accaduto in quelle ore, mesi, anni gli franò addosso, schiacciandolo. Tutto quello che aveva fatto, il non aver potuto aiutare Fred, l’aver messo in pericolo Audrey… Ora sentiva con chiarezza tutto il dolore che gliene derivava, tutto il male che doveva provare.
Percy ignorò i Babbani, ignorò le infermiere, ignorò tutto quello che lo circondava e iniziò a piangere. Pianse, pianse come un bambino, senza vergognarsi minimamente; singhiozzò forte e a lungo, il viso nascosto tra le mani, e quando sentì che suo padre lo circondava con le braccia e lo stringeva si aggrappò a lui, esattamente come un bambino.
- M-mi dispiace… scusa… mia… colpa mia… Fred… dispiace… scusa… - singhiozzò incoerentemente, sulla spalla di Arthur.
- Scusa, scusa… papà… scusa… scusa… scusa…
Stavano dando un ben strano spettacolo, in quella sala: la gente osservava quei due uomini che piangevano abbracciati, e si chiedeva se non fossero entrambi un po’ matti, per piangere in un posto dove le persone nascevano.
 
 
Passò un’altra mezz’ora prima che Latika si affacciasse. La strega fu sorpresa di trovare Percy in compagnia di qualcun altro, ma non fece una piega.
- Abbiamo finito, venite.
A fatica Percy si alzò: ormai zoppicava vistosamente, l’intera gamba sinistra sembrava essersi irrigidita. Lui ed Arthur seguirono Latika fino alla porta della sala operatoria; non era esattamente regolamentare, ma evidentemente la strega poteva questo ed altro, lì dentro.
- La ragazza sta bene - disse Latika con dolcezza, forse per farsi perdonare di essere stata brusca con Percy prima. - Però deve ancora riprendersi, ha perso parecchie energie. - Si guardò attorno prima di continuare.
- Posso sapere cosa è successo? Per rischiare addirittura un aborto, una strega come lei deve aver fatto degli sforzi tremendi: che cosa…
Brevemente Percy le spiegò quel poco che sapeva; Latika scosse la testa più volte, incredula di fronte all’incoscienza della ragazza.
- Voi giovani… Per fortuna non è successo nulla di grave, ma adesso deve recuperare le forze. Le ho dato una pozione: dormirà per almeno tre giorni, dopodiché sarà perfettamente a posto e più vispa di prima; tra poco la farò spostare nel mio reparto.
Percy annuì, parzialmente sollevato.
E il Coso? Perché non mi parla del Coso?
- E… - provò a chiedere, un po’ impaurito. - E… il…
Latika fece un gran sorriso. - La bambina sta bene; è prematura, certo, ma sembra che tutto funzioni a dovere. Una bella bambina, decisamente.
Bambina? Bambina?
Oh Merlino…
- L’unico difetto che ha è che pesa poco, - continuò la strega, - ma per il resto è sana come un Plimpo. Te la porto fra un minuto.
Sana come un Plimpo.
Oh, Merlino.
- Perce…
Percy doveva avere un’aria molto stupida, mentre fissava inebetito la porta della sala operatoria dietro cui la dottoressa era sparita.
Ma allora… è nato? Nata? E quando? Come?
Ma è... vero?

Si voltò verso il padre, e non poté fare a meno di notare che anche lui aveva un’aria molto stupida.
- Perce… Ha detto… bambina?
La conferma non si fece attendere. Latika uscì reggendo qualcosa tra le braccia, inseguita dall’infermiera che prima aveva guardato male Percy.
- Dottoressa, questo è assolutamente inaudito! Non può prenderla e portarla fuori di qui, non è igienico!
- Betty, sono io il primario, qui, non dimenticarlo.
- Ma… Ma non pensa alla bambina? Non pensa alle malattie che quel tizio potrebbe attaccarle? Ha visto com’è conciato, di sicuro è…
L’infermiera si zittì, vedendo Percy e Arthur fuori dalla porta. Latika approfittò di quell’insperato momento di silenzio.
- Credo di essere molto più esperta in malattie di te, Betty; e comunque, c’è sempre un rimedio a tutto, dico bene? - concluse, e facendo l’occhiolino a Percy gli tese quello che aveva in braccio.
 
Era… diamine, era veramente piccola. La bambina più piccola che avesse mai visto.
Però le dita c’erano tutte; anche le orecchie, e le narici. Due occhi, ovviamente. Niente capelli però: avrebbero dovuto aspettare per vedere come li avrebbe avuti; chissà, magari non sarebbe stata rossa come Percy, magari aveva preso di Audrey e avrebbe avuto i suoi bei capelli scuri, quasi neri…
Sì, ma quanto era piccola. Minuscola.
Pesava poco, veramente poco; titubante e un po' preoccupato, Percy la prese, incerto su come dovesse tenerla. Provò a sistemarsela su un braccio, e si rese conto per la prima volta di quanto fosse difficile.
- Aspetta…- mormorò Arthur, che sembrava intontito esattamente come il figlio. Si avvicinò e prese la bambina. - Aspetta, devi tenerla così. Ecco. - e gliela sistemò tra le braccia. Poi rimase lì a guardare Percy, assolutamente sconvolto.
Certo, la signora Bennet gli aveva detto che sua figlia e Percy aspettavano un bambino, ma Arthur non pensava che… che sarebbe arrivato così presto, ecco. Non se lo aspettava così, in quel giorno poi… era strano, ecco.
Gli ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi a quella cosa.
 
Nemmeno Percy, a dir la verità, riusciva a realizzare completamente quello che stava accadendo.
Cavolo.
Aveva sognato quel momento per mesi; ci aveva pensato decine, forse centinaia di volte, fantasticando su come sarebbe stato ritrovarsi il Coso finalmente in braccio, finalmente suo.
Aveva immaginato il giorno in cui avrebbe presentato ai suoi genitori il loro primo nipote: un giorno luminoso e sereno, un giorno di gioia, di festa. Invece no.
Nessuno avrebbe festeggiato, quel giorno; i Weasley non avevano nulla da festeggiare.
Hai sbagliato, piccola. Hai proprio sbagliato. Saresti dovuta nascere prima, o dopo, ma non oggi.
Oggi nessuno ti festeggerà.
Avevi un padrino, piccola mia, e ora non ce l’hai più. Hai scelto il giorno sbagliato.
Mi dispiace. Un po’ è colpa mia, sai?
Mi dispiace. Scusami.
Però. Come sei bella.
Ma tu guarda che stupido. Vedi?
Sto piangendo di nuovo.
Non è giusto che io pianga tenendoti in braccio, no?
Non è giusto che la prima cosa che vedi del mondo sia tuo padre che piange.
Scusami. Non sono un granché come persona, mi dispiace.
Però. Come sei bella.
La tenne fra le braccia per tanto, tantissimo tempo. Avrebbe potuto tenerla fra le braccia per tutta la vita.
 
 
 

Ore dopo, un po' alla volta, molte altre persone giunsero all’ospedale Babbano; parecchie di queste scatenarono l'ira e la preoccupazione dell’infermiera Betty per le condizioni dei loro vestiti, ma la dottoressa Latika lasciò che entrassero e si passassero di mano in mano quello scricciolo di bambina. Molte di quelle persone avevano i capelli rossi, e accolsero la neonata tra le lacrime e i sorrisi.
Quel giorno i Weasley non festeggiarono, certo; ma in fondo, avevano tanto tempo per farlo. Avevano tutta la vita.





















Yèèè! Stavolta ho fatto presto! Sono stata brava, eh? Eh?
*saltella*
Lo ammetto, il capitolo è corto e non è dei migliori, ma a me sta bene così. Non aggiungerei e non toglierei nulla. Non è perfetto, lo so. È il classico odioso capitolo di transizione che non dice nulla ma deve starci per forza perché così è più facile partire coi capitoli successivi. Già.
Ma a me piace lo stesso; anche perché finisce bene, insomma!
Ahhh, come amo gli happy ending…
E a voi, non è piaciuto il capitolo?
Lo trovate troppo lezioso? Troppo improbabile? Troppo scontato? Troppo facile? Troppo da telenovela? Troppo poco traggico?
…bah. Chissene. A me piace così. Yep!
 
Come avrete intuito sono totalmente incompetente in materia medica; indi per cui non ho idea di come avvenga un taglio cesareo. So che ho liquidato quella parte in modo forse un po’ sbrigativo, ma davvero non ho modo di fare un resoconto alla “E.R.” di tutto quanto.
Pochissime noticine di contorno:
- ringrazio Fata Blu per la dritta sulla strega primario di Ostetricia nell’ospedale Babbano: la sottoscritta pensava fosse meglio una Magonò, ma per fortuna la suddetta Fata mi ha fatta ragionare dicendo che è molto più ragionevole che sia una strega vera e propria ad occuparsi delle nascite dei piccoli maghi.
Grazie, mia adorata: il tuo contributo ha salvato mezzo capitolo, anche perché altrimenti non avrei saputo dove andare a sistemare la povera Audrey.
- L’ “armadietto abbandonato dell’inserviente” è ovviamente il nascondiglio supersegreto dove Latika tiene le pozioni e altri medicinali magici, che usa ad hoc per le sue pazienti streghe.
 - Noterete che all’inizio Percy chiama Audrey “amore” almeno tre volte: sì, qui abbiamo sfiorato l’OOC, ma se considerate il momento drammatico vi renderete conto che è normale, in questi frangenti, lasciarsi un po’ trasportare.
 
A parte ciò non ho cose particolari da dirvi, stavolta, quindi vi lascio. Grazie alla miriade di gente che si è fermata a commentare lo scorso capitolo (diamine, è il più brutto che abbia mai scritto e voi lo COMMENTATE? Pazzi…), a quelli che hanno letto senza recensire (già che ci avete passato sopra del tempo indica che non ho fatto poi un cattivo lavoro!), a quelli che preferiscono, a quelli che seguono e  a quelli che ricordano. Cribbio (cit.), quanti siete!
A presto e grazie mille
Fera




…ah, no! Fermi!!! Dimenticavo!
Per chi ancora non lo sapesse, ho iniziato a pubblicare una raccolta di Percy/Audrey, che potrebbe interessarvi perché c’è qualche spoilerino circa la vita futura dei nostri amici: la trovate qui --> Fuoco fatuo
L’aggiornamento, per questa raccolta, sarà ogni quattro giorni circa perché è già tutta pronta ^^
Ri-ciao
Fera

   
 
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