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Autore: Will Turner    17/06/2011    1 recensioni
Cosa succede quando una ragazza scopre la verità che rischia di distruggere la storia d'amore attesa da una vita? Da quando ha incontrato Max, Faith ha imparato a sognare: il suo tormentato passato sembra ormai superato per sempre, ma un tremendo segreto incombe su di lei senza lasciarle alcuna possibilità di fuga e mettendole davanti la scelta più difficile. Un racconto d'amore fatto di romanticismo, passioni, tormenti e lacrime che riuscirà a strappare anche qualche risata.
Aggiornamento periodico mensile.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le Ragioni Del Cuore BN
R ISPOSTE ALLE RECENSIONI

Ciao a tutti!
Oggi pubblicherò un capitolo che ho scritto più o meno un anno fa mentre ero in vacanza. Mi auguro che vi piaccia e che possiate seguire questa storia con maggiore interesse!
Intendo ringraziare Saty, che metterei volentieri in una stanza insieme a Faith per vedere cosa accade ;) Mozzi84, e chiunque inserisca la storia tra le Preferite e Seguite!
A presto! MM


35. P ENSARE CON IL CUORE

    Le massicce porte della chiesa erano aperte quando Max vi giunse innanzi, ed un intenso odore di cera e fiori recisi lo investì non appena varcò la soglia dell'edificio in stile romanico. Nell'oscurità che avvolgeva i banchi sedeva ordinatamente in preghiera una folta schiera di persone vestita di colori scuri, ed alcune si voltarono a guardarlo attraversare la navata centrale, bisbigliando in un malcelato interesse.
    Il ragazzo aveva indosso il suo abito migliore, un completo grigio perla impreziosito da sottili cuciture in rilievo e la camicia di una tonalità leggermente più chiara. Si sentiva stanco, le gambe dolenti gli parevano macigni di cemento, ma, senza conoscere il motivo, dentro di sé avvertiva l'urgenza di arrivare in fondo alla navata dove, ai piedi dell'altare, una bara aperta per metà troneggiava tra due ricchi mazzi di rose gialle.
    Nel suo cervello imperava una forza sconosciuta che lo spingeva, obbligandolo a raggiungere il feretro senza sapere chi si trovasse al suo interno. Si era ritrovato misteriosamente a transitare davanti alla chiesa, ma non si domandava nemmeno cosa ci facesse là, e non capiva perchè la cerimonia si stesse svolgendo a notte fonda.
    Certo, era conscio si trattasse di un funerale, ma di chi? E perchè la gente attorno continuava ad osservarlo mentre procedeva piano e con un certo imbarazzo verso la bara?
    Gli sguardi di quelle persone a lui sconosciute sembravano iniettati di odio. In qualche modo, Max riusciva a percepire il disprezzo che traspariva dalle loro espressioni, dalle mascelle serrate di alcuni signori alle occhiate maligne delle signore, ed era certo che chiunque là dentro ce l'avesse con lui.
    Improvvisamente provò vergogna e tutti gli sguardi accusatori parvero moltiplicarsi, come gli occhi luminosi di certi animali selvatici che si accendono tra i cespugli di una foresta al crepuscolo.
    Una vecchia schiuse le labbra, ma Max non riuscì a capire ciò che aveva da dire. Il suono maestoso e triste dell'organo risuonò improvviso e potente nella chiesa, facendo vibrare le colonne e i porticati laterali per poi scendere ad allargarsi in cerchi concentrici sul pavimento di marmo decorato. Le fiamme di decine di candele mezze consumate tremolarono vigorosamente creando inquietanti giochi di luce sulla parete retrostante, in aloni giallastri ed intensi.
    Momentaneamente distratto dalla melodia, il ragazzo riportò la sua attenzione al feretro, ormai l'aveva quasi raggiunto. Mancava ancora qualche passo e la preoccupazione per ciò che avrebbe scoperto iniziò a prenderlo alle tempie trasformandosi in un mal di testa lancinante simile a due punte di trapano che gli foravano il cranio.
    Malgrado il fortissimo dolore, la forza dentro di lui lo costringeva a proseguire. L'organo persisteva a suonare imperterrito una nenia fastidiosa ed il pavimento sotto i suoi piedi vibrava quanto una lieve scossa sismica che soltanto lui pareva avvertire, mentre la gente intorno lo guardava nello stesso modo in cui avrebbe osservato un povero pazzo in preda alle allucinazioni.
    Avvolto da un penetrante odore di cera e incenso, Max tornò a concentrarsi sul feretro. La bara, di un colore marrone chiaro, presentava intarsi ben eseguiti, di forma circolare, sovrapposti l'un l'altro a formare una sorta di catena che girava tutt'intorno.
    Si avvicinò cauto, poggiando delicatamente le punte delle dita sul bordo, ed allungò la testa prestando molta attenzione, quasi temesse l'improvvisa ed inaspettata fuoriuscita di un essere demoniaco.  Quando finalmente riuscì a vedere il viso della persona che riposava all'interno, un conato di vomito lo assalì partendo dallo stomaco, ed istantaneamente si portò una mano alla bocca.
    Il viso angelico di sua madre sembrava giudicarlo attraverso gli occhi serrati. La sua espressione beata e sinistramente felice inorridì il ragazzo, che indietreggiò di colpo, reprimendo un grido di terrore, incredulità e disperazione.
- L'ha uccisa lui!- Lo accusò d'un tratto la stessa vecchia che poco prima sussurrava parole indecifrabili.
    La donna si era drizzata faticosamente in piedi con l'aiuto di un bastone e puntava l'indice scarno nella sua direzione.
    Colto da un brivido di nervosismo, Max provò ad urlare il suo rifiuto di credere a quella tremenda ed inverosimile verità, ma il grido gli  morì in gola e dalla sua bocca non uscì altro che aria. Si rese conto con orrore di non essere più in grado di emettere alcun suono.
- L'ha uccisa lui!- Ripeté la vecchia, il tono della sua voce più carico di disgusto, più acido, e i suoi occhi colmi di veleno furono attraversati da un lampo di rabbia.
    Poi Max udì un'altra voce provenire alle sue spalle, stavolta calda, morbida, setosa, che non aveva nulla a che vedere con il mondo spietato ed assurdo nel quale si era ritrovato catapultato.
    Si voltò e vide il profilo di una ragazza dai lunghi capelli, vestita di bianco e circondata da un'aureola di magia. Il bagliore che emetteva aumentava con il suo avvicinarsi e Max dovette schermarsi gli occhi con una mano.
- Non sono stato io... Non è colpa mia!-  Esclamò assalito dal panico di fronte a quella celestiale, ma alquanto temibile visione. Si meravigliò di avere ottenuto di nuovo l'uso della voce, ma la stessa meraviglia svanì poco dopo, quando riaprì gli occhi e vide che il buio era sceso su di lui come un'improvviso cambio di scena.
    Nessuna traccia di feretri, chiese, fiori o ragazze vestite di bianco aleggiava nell'ambiente circostante. Niente più sguardi luminosi nell'oscurità. In pochi secondi comprese che si era trattato di un sogno. Di un incubo, per la precisione.
    Allungò a tentoni la mano verso il comodino ed accese la luce stropicciandosi gli occhi. il silenzio era  scandito soltanto da un orologio che segnava annoiato le cinque del mattino, ed un insolito color zaffiro tingeva le finestre, ammantando i tetti degli edifici londinesi più lontani. Nel piccolo cono di luce che rischiarava la stanza, Max si portò una mano sul cuore e lo sentì battere veloce. La sua maglietta era madida di sudore e la fastidiosa sensazione di appiccicaticcio sul petto e sulla schiena lo costrinse a levarsela, gettandola ai piedi del letto in un gesto stanco.
    Quell'incubo, realizzò, era stato maledettamente realistico e la semioscurità della camera ne amplificava gli effetti al punto di sconvolgerlo.
    Gli eventi dell'ultimo periodo si erano indiscutibilmente rielaborati nella sua mente, nitidi e precisi, come ricordi recenti, tanto da chiedersi se sua madre fosse realmente deceduta. Il messaggio che voleva trasmettere quel sogno era chiaro.
    Quanto dolore poteva aver provocato ad Addison ferendola come aveva fatto? Sapeva perfettamente di non essere stato corretto trattandola in quel modo ed averla vista distesa in una bara lo fece pentire, fomentando i suoi già numerosi rimorsi. Quelle immagini si ripetevano nella sua mente come il ritornello di una canzone e temette di non riuscire più a liberarsene.
    E poi c'era la ragazza. Avrebbe potuto benissimo essere Faith, ma la luce che la circondava era talmente potente  d'avergli impedito di delinearne il viso.
    Esausto e turbato, spense la luce e, con le mani incrociate dietro la nuca, chiuse gli occhi cercando di non pensare ad altro se non a riaddormentarsi, ma passò almeno una mezzora prima che Morfeo si impadronisse nuovamente del suo sonno.

- Mio Dio, Max, oggi hai un aspetto orribile.- Commentò Tom il mattino seguente al tavolino del Cafè on  the Square. I due amici erano soliti fare colazione insieme durante il week-end, in modo da trascorrere più tempo al di fuori del lavoro.
- Grazie tante.- Ribatté sarcastico il ragazzo. In effetti Tom non aveva tutti i torti: due occhiaie scure, la carnagione pallida e i capelli spettinati lo facevano sembrare un'altra persona.
- Che hai fatto stanotte? Sei rimasto sveglio davanti alla TV a guardare robaccia decisamente  poco adatta ad un ragazzo perbene come te?- Continuò ad istigarlo Tom.
    Max bevve un sorso del suo caffè, decidendo di ignorarlo con assoluta convinzione. Si stava divertendo come un matto a provocarlo e di certo si sarebbe divertito ancora di più se lui gli avesse risposto con una sfuriata. Con molta calma ripose la tazza sul piattino e lo guardò.
- Magari.- Replicò con un fugace sorriso tirato. Poi si fece serio, e parlò abbassando il tono di voce.
- Ho fatto un incubo stanotte.-
    Tom aggiunse altro zucchero al caffè e tacque, analizzando la sua risposta. Stava per sparare un'altra delle sue battute, ma considerò che non era la mattina adatta per ironizzare. Ormai conosceva bene Max e sapeva quando era il caso di continuare un discorso con un certo sussiego in base al modo in cui l'amico rispondeva alle sue domande.
- Ti va di fare una passeggiata nel parco?- Gli chiese Max spiazzandolo.
- Ok.- Approvò Tom - Finisco il caffè.-
    Pagarono il conto ed uscirono dal locale, dove, a fianco dell'entrata, un uomo stava affiggendo un cartellone con gli orari del musical “Les Miserables”. La luce bianca e azzurra di quel primo sabato di luglio li investì come un'ondata di acqua calda. Lungo il marciapiedi frotte di turisti si dilettavano a fotografare i particolari tipici della città o ad alzare gli sguardi al cielo per ammirare gli splendidi edifici che si affacciavano sulla piazza, come la National Portrait Gallery, la Canada House e la chiesa di St. Martin.
    I due ragazzi si si immisero nella folla e si avviarono verso i giardini.
- Allora.- Esordì distrattamente Tom - Che hai sognato di così sconvolgente?-
    Max continuò a guardare avanti con gli occhi coperti dai Ray Ban.
- Mia madre.- Disse semplicemente. Tom esitò.
- E... che ti ha detto?-
- Era morta.-
    L'amico si sentì rimpicciolire. Max gli aveva raccontato ogni dettaglio del suo breve viaggio a Lakewood, ma non erano più tornati sull'argomento, un po' per discrezione di Tom, un po' perchè quello era il primo week end che riuscivano a trascorrere insieme dal suo ritorno a Londra.
    Dopo aver lasciato sfrecciare un autobus rosso fuoco, attraversarono Trafalgar Square, dove si stava svolgendo una marcia reale con le guardie a cavallo.
    Considerata da molti inglesi il centro della città, la piazza pullulava di macchine fotografiche e stormi di piccioni che zampettavano tra le due grandi fontane laterali. Al centro si ergeva trionfante il suo storico simbolo, la colonna dedicata all'ammiraglio Nelson, in onore della sua vittoria contro le truppe napoleoniche nella battaglia navale del 1805 a Trafalgar.
    Dopo pochi metri Max e Tom giunsero a Saint James, il parco cintato da un elegante cancellata in ferro battuto che univa la piazza a Buckingham Palace.
    Una lieve brezza faceva frusciare le fronde degli alberi e pareva di respirare un'aria migliore di quella del centro. I prati, i cespugli e le foglie erano dipinti di un verde brillante e il sole mattutino li rivestiva di una luce quasi paradisiaca.
    La gente passeggiava tranquilla tra i sentieri ghiaiati che serpeggiavano attraverso i giardini e si riposava sulle panchine di legno distribuite ad intervalli regolari in tutto il parco. Qualcuno leggeva il giornale, qualcun altro, con la testa reclinata all'indietro, tentava di abbronzarsi un po'. Una ragazza che faceva jogging con i capelli legati in una coda ordinata e le cuffiette alle orecchie non passò inosservata a Tom, che si voltò per guardarle il fondoschiena non appena lo ebbe superato correndo nella direzione opposta.
    Max lo notò con la coda dell'occhio e sorrise scuotendo leggermente la testa senza dire nulla. Scovarono una panchina libera ai piedi di una collinetta delimitata da un paio di statue ingrigite dal tempo. Entrambe riproducevano due cherubini intenti a pizzicare le corde di un'arpa, con le ali semichiuse. Alcuni uccellini adagiati sulle teste cinguettavano allegramente quasi stessero discutendo tra di loro.
    I due ragazzi sedettero sulla panchina e Max si appoggiò allo schienale allargando le  braccia con il viso rivolto verso il sole.
- Mi trovavo ad un funerale senza sapere di chi fosse.- Riprese a raccontare.
    Tom lo ascoltò senza intervenire.
- Mentre attraversavo la navata centrale della chiesa la gente attorno mi osservava indignata e, quando ho scoperto che nella bara c'era mia madre, una vecchia si è alzata in piedi incolpandomi della sua morte. Poi è apparsa una ragazza.- Max fece un gesto vago con la mano - Una specie di angelo. Non sono stato in grado si riconoscerla. Ho aperto gli occhi subito dopo.-
    Tom mugugnò valutando il tutto come un interprete dei sogni, poi elaboro la sua teoria.
- Inutile dire che tutto ciò potrebbe essere una conseguenza  di quello che è successo in Ohio, questo credo che tu lo abbia già capito, Max.-
    Max annuì con la testa, sollevando un sopracciglio per evidenziare ovvietà.
- Esatto, Freud.-
- Anch'io facevo sogni simili al tuo dopo che i miei genitori morirono nell'incidente in auto.-
    Max conosceva a grandi linee la sua storia, ma non era informato circa i dettagli più riservati. Fu in quel frangente che l'amico gli raccontò di com'era andata, forse spinto dal volerlo aiutare dandogli qualche consiglio senza essere sottoposto ad un facile giudizio.
- Avevo da poco cominciato a studiare alla Berkeley, ma non ero soddisfatto. Complici i sentimenti che mi legavano ad una ragazza che studiava all'altro capo del paese, mi ostinai a voler cambiare università. Una sera tornai a casa e dissi ai miei genitori di aver lasciato gli studi in California perchè volevo iscrivermi alla Brown. A quel tempo mio padre gestiva un ristorante lungo la costa, ma le entrate non erano molto alte. Così mi rimproverò accusandomi di aver buttato via il loro denaro. Non potevo permettermi di cambiare università per un semplice capriccio. Ricordo che mi disse "Io e tua madre ti abbiamo sempre sostenuto in ogni tua decisione, ma questo non me lo sarei mai aspettato da te. Tu sei mio figlio ed io ti vorrò sempre bene, però stasera mi hai deluso. Ciò che mi importa più dei soldi è il tuo futuro e non posso permettere che tu lo metta a rischio soltanto per amore di una ragazza. Commetteresti un errore trasferendoti alla Brown." Poi sospirò e disse guardandomi negli occhi "Mi fai stare male, Tom." E, dopo aver detto questo, lui e mia madre uscirono per andare al lavoro al ristorante. Fu l'ultima volta che parlai con loro.- Tom incrociò le dita delle mani e abbassò lo sguardo, smuovendo alcuni sassolini con un piede.
- Soltanto dopo l'incidente mi resi conto che mio padre aveva ragione. Ero giovane e tanto egoista. Ostinato e completamente preso dalla folle idea di cambiare università. Porterò sempre dentro di me le sue ultime parole, e non immagini quanto mi feriscano ogni volta che mi tornano in mente. Non aver avuto la possibilità di chiarirmi con lui mi fece sentire un verme per parecchio tempo. Avrei tanto voluto chiedergli scusa, porre rimedio a quella discussione. L'avevo deluso e lui se n'era andato con il rancore nei miei confronti. Anche mia madre era del suo stesso parere, ma si era limitata ad abbracciarmi, chiedendomi di ripensare bene alla mia decisione.-
    Tom esibì un sorriso che non aveva niente a che vedere con la felicità, e Max vide chiaramente che i suoi occhi erano lucidi.
- Tutto questo per dirti che tu sei ancora in tempo per porre rimedio al tuo sbaglio. Io non lo sono più.- Realizzò con tanta amarezza nella voce - Non capisco perchè certe cose si riconoscano per quello che sono realmente solo dopo che la morte ci ha portato via chi cercava di aiutarci.- Osservò stringendosi nelle spalle - Non voglio che tu stia male come lo sono stato io. E, se posso dirtelo, scommetto che tua madre non sta tanto meglio di te in questo momento.-
    Max parve rifletterci. Notò solo adesso un ragazzo che stava dipingendo una tela adagiato comodamente sotto un grande albero, e si destreggiava con abilità tra pennelli e colori. Si chiese che cosa stesse dipingendo, se la realtà o la fantasia.
- Ma perchè mi ha mentito così?- Chiese volgendosi di nuovo verso Tom, che si grattò il mento.
- Sapeva che avresti perso la testa e non voleva perdere anche te, dopo tuo padre.-
- Si, ma...-
- Non ci sono “ma”, Max.- Tagliò corto Tom - Perchè non riesci a capire che tutto ciò che le rimane sei tu?     Perchè non riesci a capire che tu sei tutta la sua famiglia?  Io non voglio giudicarti, ma renditi conto che di mamma ce n'è una soltanto e quando lei non ci sarà più, tu cosa ne farai della rabbia e del risentimento che ti sei portato dentro per tanto tempo?-
    Max lo guardò senza rispondere. Non sapeva cosa replicare. Perchè il suo amico aveva così tremendamente ragione?
- Esatto.- Sbottò Tom esaminando la sua espressione - Non te ne farai proprio niente.-
    L'amico increspò le labbra. Forse era troppo presto per cercare di sistemare tutto con sua madre, e non poteva essere sicuro che lei lo avrebbe perdonato con tanta facilità. Però ci fu una molla nella sua testa, uno scatto, che gli fece improvvisamente elaborare da un altro punto di vista tutta la situazione. Fino a quel momento non era riuscito a pensare con il cuore perchè il livore e la disperazione celavano ciò che agli occhi di tutti appariva come l'infinito amore di una madre verso il figlio. Addison non era stata egoista a volergli nascondere la verità, ma puramente e completamente il contrario, e lui aveva calpestato i suoi sentimenti e le sue buone intenzioni. Adesso subentrava la stessa vergogna che aveva provato nel suo incubo e sapeva che l'unico modo per sentirsi meglio non era perdonare sua madre, ma riuscire a farsi perdonare.
- Che mi dici della ragazza?- Domandò Tom interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
- Quale ragazza?-
- Quella apparsa alla fine del tuo incubo.-
    Max sollevò un angolo della bocca, chiudendo brevemente gli occhi e passandosi una mano tra i capelli.
- Non vorrei giurarci, ma credo che rappresenti l'altra questione da risolvere.- Rispose accorato.
  
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