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Autore: Laura Sparrow    04/07/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8
In cerca di risposte.


Scesi dalla mia postazione sulla coffa solo molto più tardi, quando ogni traccia della costa era ormai sparita e il mare era un orizzonte piatto ovunque si posassero gli occhi: viaggiavamo in direzione nord-ovest, orientandoci verso le Bahamas, ma di certo non le avremmo raggiunte prima dell'indomani.
Scendere si rivelò quasi più faticoso che salire; quando mi rigirai sulle sartie, per posare finalmente i piedi sulle solide assi del ponte, ero completamente senza fiato.
- Chi si vede! La nostra capitan Sparrow scesa dall'Olimpo per mescolarsi con i comuni mortali!-
Manco a dirlo. Alzai gli occhi, e ad un passo da me c'era Connor, con un sorriso bonario da un orecchio all'altro sul viso barbuto, e con un fascio di cime tra le braccia.
- Consiglio anche a voi un bel giro fino all'Olimpo, Connor... è l'ideale per rimettersi in forma. - replicai, mentre riprendevo fiato. Il pirata scoppiò a ridere di gusto, gettando la testa all'indietro: la partenza mi aveva messa di buon umore, così che mi trovai ad accettare di buon grado le sue battute. - E comunque, dovreste saperlo che a bordo di questa nave non sono io il vostro capitano. -
- Sai che ti dico? Hai perfettamente ragione. Reggimi queste. - senza un come né un perché, mi scaricò tra le braccia il rotolo di cime che stava trasportando, ed io mi ritrovai a vacillare sotto il peso inaspettato. Caracollai dietro di lui, mentre raccoglieva un altro ammasso di funi e se lo sistemava su una spalla, poi mi fece un cenno e andammo entrambi a sederci al centro del ponte. - Rovinate. - mi disse, mostrandomi le cime sfilacciate. - Dammi una mano, io comincio con queste. -
Mi misi di buona lena nella complicata operazione di disfare le corde danneggiate per recuperarne la canapa, e sentii tornarmi poco a poco la sensibilità nelle dita; quando cominciai a sentirle pulsare fastidiosamente, però, dovetti fermarmi un momento e sgranchirmi le mani, rigirando anche l'anello che portavo alla mano sinistra. Quando risollevai gli occhi alla ricerca della corda che avevo lasciato a metà, notai che Donovan mi stava guardando.
- Un bel gingillo. - disse, rivolgendomi un sorriso e allungando la mano verso di me: per una volta non lo fermai e lasciai che prendesse la mia, per portarsela al viso ed esaminare con curiosità il grosso anello dalla pietra blu. Vidi un guizzo divertito nel suo sguardo. - Non hai paura che ti... scivoli?- rinchiuse improvvisamente la mia mano nella sua, e con quella libera fece il gesto di volermi sfilare l'anello. Chiusi istintivamente le dita a pugno, anche se Connor non portò a termine la sua scherzosa minaccia.
- Non corro il rischio... è stato fatto apposta per me. - replicai, con un sorriso affettato.
- Te l'ha dato lui?-
- Brillante deduzione. Da cosa l'hai capito?-
Eravamo rapidamente passati a darci del tu, e non sapevo quanto avessi fatto bene a fargli quella concessione: Connor fece una risatina gentile e scosse il capo. Teneva ancora la mia mano, e mi accorsi che con due dita aveva preso ad accarezzarmi il polso.
- Sono semplicemente curioso, e tu mi incuriosisci in particolare. Ne ho viste di donne di un certo valore, ma morirei per sapere come sei riuscita a diventare capitano della Perla Nera... -
Continuai a sorridere, lasciando che accarezzasse la mia mano in modo ancora più evidente. - Seducendo i bei marinai a bordo, ovviamente... - scherzai, scoccandogli quella che speravo sembrasse un'occhiata complice. Lui scoppiò in una risata, ma la troncai di netto quando affondai le unghie nelle sue dita e abbassai bruscamente la mano, tenendo in trappola le sue. - Se vuoi la verità, Connor, non l'ho chiesto io questo posto, ma ci puoi giurare se ho imparato a guadagnarmelo. L'ultima cosa che ho fatto per tenermelo stretto è stata dare fuoco ad una nave carica di esplosivi, per tuffarmi in mare mentre questa scoppiava alle mie spalle, distruggendo due galeoni della marina inglese e spagnola... Quindi, se sto dove sto, non credere che sia merito solo del capitano. -
Connor emise una specie di guaito, anche se ancora non mi tolsi la soddisfazione di vedere sparire dalla sua espressione quel lampo divertito. - Sei stata trasparente, ma temo proprio di essere stato frainteso... -
- Non credo. - lo lasciai andare e mi tirai in grembo il mio rotolo di corde, come se niente fosse. - Se vuoi il mio consiglio, smettila di fare giochi pericolosi, e già che ci siamo vedi di lasciare in pace anche Faith. E anche Valerie, se vogliamo dirla tutta. -
- Faith e Valerie?- inarcò le sopracciglia, e per un attimo mi sembrò davvero sorpreso. - Oh. - allargò le labbra un sogghigno. - Forse tu e le tue affascinanti compari siete state un po' troppo a lungo tra i pirati: vedo che non sai più riconoscere la semplice galanteria, quando te la trovi davanti. -
- Sì, come no... quelli che ho imparato a riconoscere sono proprio gli uomini, Connor. Ascolta il mio consiglio, e vedi di non prenderti troppe libertà anche con me. -
- Libertà?- ripeté lui, senza smettere di sogghignare. - Andiamo... nessuno potrebbe biasimarmi. Non sei neanche sposata. Davvero. Che valore credi che abbia un matrimonio celebrato da un frate a bordo di una nave pirata?-
Per qualche istante indugiai sulle sue ultime parole, presa alla sprovvista e completamente a corto di risposte. Più che altro, ad infastidirmi fu il modo insinuante con cui mi mise la pulce nell'orecchio, eppure l'istante dopo mi domandai se non avesse ragione lui. E la domanda che mi feci subito dopo quella fu: aveva importanza? La domanda più importante, però, mi venne fuori soltanto dopo un lungo momento di imbarazzante silenzio.
- E tu come lo sai che siamo stati sposati da un frate?-
Per un attimo soltanto, rapidissimo, mi sembrò di vedere il perfetto ghigno di facciata di Connor incrinarsi, come se si fosse reso conto di avere parlato troppo: fu un'inezia, durò un secondo appena, poi l'irlandese inclinò il capo e mi scoccò un'occhiata obliqua. - Non so se te ne sei mai accorta, ma il nostromo parla decisamente troppo, specialmente quando gli si offre da bere... capisci che intendo?-
- Intendo eccome, ma se questo particolare non ha nessuna rilevanza per me, non vedo perché dovrebbe averla per te. - mi chinai a raccogliere dal ponte il capo sfilacciato di una cima e gliela gettai in grembo, facendolo sussultare. - Torna al lavoro, testarossa, o ci metteremo tutto il giorno. -

*

- Sono passati cinque giorni, Sparrow, cinque giorni che non esito a definire... tranquilli!-
Cinque notti senza incubi.
- I quartieri dei Mercanti sono bruciati, i nostri nemici hanno subito danni incalcolabili, eppure adesso, dopo cinque interi giorni, nessuno ha osato puntare neanche un dito su di noi. Siamo intoccabili. -
Cinque giorni, e la marea ancora spingeva contro i moli i resti bruciacchiati di quello che era stato il cantiere navale dei Mercanti.
- State pur sicuro che nessuno si azzarderà più a farvi scherzi di cattivo gusto. Li abbiamo domati, finalmente, e questo anche grazie al vostro prezioso aiuto. -
Cinque giorni, e ora che ci stava attento avrebbe potuto giurare che almeno altri tre uomini si erano ammutinati ed erano partiti su altre navi.
- Sono felice di poter affermare a ragione che io, Robert Silehard, col vostro aiuto ho ufficialmente affermato il dominio della Gilda su Tortuga... e non ho più nemici. -
Cinque giorni e le sue domande ristagnavano ancora, prive di risposte.
- Mi avete fatto un grande favore, capitano, e di certo non mi sembra giusto lasciare che sia solo io a raccoglierne tutti i frutti. Non ho più bisogno di controllarvi da vicino, e credo che lavorare per me vi abbia costretto a terra troppo a lungo: consideratevi libero di salpare quando preferite, mi basta che facciate regolarmente scalo a Tortuga almeno una volta alla settimana. Se ci fosse bisogno di voi mentre siete lontano, non preoccupatevi... ormai sapete che la mia alleata è perfettamente in grado di raggiungervi, se dovesse presentarsi l'occasione. - Silehard non si diede nemmeno la pena di nascondere il sogghigno che sottolineò le sue ultime parole.
Jack si agitò sulla sedia, apparentemente disinteressato a quello che il capo della gilda gli aveva appena comunicato, e molto più concentrato nello scrutare le travi del soffitto. Cinque maledetti giorni. Se avesse aspettato soltanto cinque giorni, non sarebbe dovuto salpare senza di lei.

*

Quando Jack, quella mattina, ordinò di mollare gli ormeggi, quasi tutta la ciurma sulle prime pensò che si trattasse di uno scherzo. Ci volle il tempestivo intervento di Gibbs, che si affrettò a ripetere l'ordine a voce alta, perché gli uomini si decidessero a scattare ai loro posti, sciogliendo cime e liberando vele che erano rimaste all'imbando fin troppo a lungo: il vento era favorevole, e non ci volle molto perché la Perla Nera si allontanasse dalla baia di Tortuga, filando verso il mare aperto come un uccello da preda che si sgranchiva le ali.
E proprio mentre guardava le suddette ali, ossia le vele nere finalmente spiegate al vento, Gibbs emise un profondo respiro di sollievo e strinse con fierezza il timone, respirando a pieni polmoni la brezza marina prima di voltarsi verso Jack ed esclamare: - Capitano, lasciatemi dire che è un vero piacere tornare in mare aperto! Allora, qual è la rotta?-
Jack, tuttavia, non sembrava condividere il suo stesso entusiasmo, perché se ne stava impalato a pochi passi dal suo nostromo, aprendo e richiudendo la bussola che continuava a consultare ad intermittenza. Il viso di Gibbs si oscurò quando vide l'ago della bussola che scattava da una parte e dall'altra senza sosta.
- Jack... non di nuovo!- gemette, perdendo in un attimo solo tutto il suo entusiasmo.
Il capitano richiuse la bussola in tutta fretta e si voltò verso di lui. - Non ha importanza, vecchio mio. - replicò, con una vistosa scrollata di spalle. - So esattamente dove andare: facciamo rotta a sud degli stretti, e vediamo di sfruttare il vento fino all'ultima goccia. -
A quelle parole, l'espressione del nostromo passò dallo sconforto al terrore nell'arco di un battito di ciglia. - A sud...? Jack, ti prego, dimmi almeno che non stiamo andando... -
- Se sono il capitano, e mi pare proprio di esserlo, mi spieghi perché dovrei mettermi a giustificare le mie decisioni? Tu pensa a portarci là in fretta!- Jack troncò il discorso in tono irritato, per poi voltare le spalle a Gibbs e incamminarsi giù per le scale del cassero. A metà strada si fermò, girò su sé stesso e tornò a rivolgersi al nostromo, come per un ripensamento. - E vedi di farci attraccare dal lato giusto dell'isola, stavolta, non combinare un casino come l'ultima volta!-
- “L'ultima volta” non ero io quello con una fretta pazzesca di toccare terra, non importa quanto pericolosa... - borbottò il nostromo, ma senza alcuna enfasi; rivolse a Jack un vago cenno del capo e aggiustò la rotta col timone, sperando in cuor suo una volta di più che il suo capitano sapesse che cosa stava facendo.
La navigazione procedette rapida e tranquilla, ma prese ugualmente loro tutta la giornata, così che fu soltanto verso l'imbrunire che gli uomini della ciurma videro comparire all'orizzonte il profilo di una grande isola boscosa, con montagne che svettavano verso il cielo come se fossero emerse in quel momento dal mare. Anche a distanza si distingueva un'ampia striscia di spiaggia bassa e sabbiosa, dove sarebbe stato facilissimo attraccare, se avessero voluto: Jack invece ordinò di restare nelle acque basse, a debita distanza dalla costa, e di circumnavigare l'isola.
Faith assistette a quelle manovre affacciata dal parapetto di babordo, quello che dava verso la costa: l'isola era grande, eppure dovunque posasse gli occhi non vedeva altro che vegetazione; non le mura di un forte arroccato in cima alle prime alture, neppure un minuscolo molo. Sembrava completamente disabitata e, ripensando alle esperienze che aveva avuto nella piccola ma altrettanto selvaggia isola di Khael Roa, le vennero i brividi.
- Scialuppa!- gridò Jack ad un tratto, attraversando il ponte a grandi passi e venendo nella sua direzione, seguito a breve distanza dal nostromo. - Io e il signor Gibbs risaliamo il fiume. Faith?- il capitano si fermò accanto alla giovane, voltandosi a guardarla da sopra la spalla e facendole un cenno col dito. - Tu vieni con noi: ho un urgente bisogno delle tue conoscenze. -
Faith lo fissò inarcando le sopracciglia, sorpresa, ma si affrettò a seguire lui e Gibbs mentre i marinai approntavano una scialuppa e si preparavano a calarla in mare non appena loro vi fossero saliti. La giovane gettò un altro sguardo fuoribordo e notò che, a poca distanza da dove la Perla si era messa alla fonda, un largo fiume attraversava la striscia di terra della costa, tagliando perfettamente a metà la vegetazione che formava due compatti muri verdi a destra e a sinistra. Davanti a lei, Jack montò con un balzo a bordo della scialuppa, ed era evidente che si aspettava che lei facesse altrettanto: per un momento tentennò, quindi si decise a chiedere: - Dove stiamo andando esattamente, capitano?-
Jack sembrò esitare un istante a rispondere, ma poi la accontentò: - C'è un piccolo villaggio alla fine del fiume: ci fermeremo lì, daremo un'occhiata, e poi torneremo indietro. - il guizzo di un sorriso dal dente d'oro balenò tra le sue labbra. - Niente serpenti. - promise, in tono più vivace.
- Lo spero proprio... - borbottò tra sé Faith, montando a bordo della scialuppa, subito seguita da Gibbs.
La barca fu calata in acqua, e Faith e Gibbs presero a remare di buona lena mentre Jack si sedette a prua, voltando loro le spalle e scrutando la foce del fiume davanti a loro: la giovane era quasi convinta che il capitano avesse richiesto la sua presenza soltanto per avere qualcun altro ai remi, tuttavia aveva visto qualcosa nell'espressione di lui che glielo aveva fatto sembrare davvero preoccupato. Ma perché, poi, avrebbe dovuto chiedere aiuto proprio a lei?
Una volta vinta la resistenza della corrente che li ricacciava indietro, la barca si addentrò verso la foce del fiume, e la vegetazione fitta e lussureggiante inghiottì in un attimo il cielo, soffocando la poca luce serale e sprofondandoli in un'inaspettata oscurità. Poco a poco, anche i suoni della giungla cominciarono a crescere di tono, sovrastando anche il regolare sciabordio dell'acqua: mentre remava, Faith dovette fare del suo meglio per non sussultare; da un punto imprecisato sopra la sua testa, qualcosa, forse scimmie, cacciavano strilli acuti e improvvisi che sembravano quasi umani. C'erano degli insetti che emettevano un ronzio incessante, e il passaggio della scialuppa in un'ansa del fiume risvegliò improvvisamente un coro irritato di rane. Ad un tratto il remo si incagliò in qualcosa sotto la superficie dell'acqua, costringendo Faith a dare uno strattone per liberarlo, cosa che fece beccheggiare per un attimo la scialuppa: in quel punto la corrente rallentava visibilmente il suo corso, e l'acqua stagnate era diventata melmosa e torbida.
Né Jack né Gibbs dissero una parola durante tutto il tragitto, sebbene Faith notasse che il nostromo lanciava occhiate circospette su entrambe le rive che li circondavano, e di tanto in tanto alzava gli occhi verso il capitano come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma poi si mordeva la lingua e tornava a remare. La cosa andò avanti per un bel pezzo, fino a che Faith non scorse -quasi completamente inghiottiti dalla vegetazione- i resti di quella che sembrava una piccola capanna, abbarbicata ad un grosso albero che affondava le radici nelle acque limacciose del fiume. Solo dopo averli notati, e averli indicati a Gibbs con un sussulto, si accorse che ce n'erano altri tutt'attorno; meno visibili ma perfettamente riconoscibili. Dei pali intrecciati ricoperti di rampicanti, un tetto di paglia sfondato, il pavimento ancora integro di una palafitta: tutte queste cose sembravano comparire per un attimo soltanto, sbucando dal fogliame e dai rami che li soffocavano, per poi tornare a confondersi col paesaggio circostante, ridiventando invisibili. Faith deglutì. Qualunque cosa fosse, aveva tutta l'aria di un villaggio fantasma.
- Jack...? Ci vive ancora qualcuno, qui?- chiese Gibbs, decidendosi a rompere il silenzio.
Il capitano scosse la testa, continuando a scrutare l'acqua davanti a sé. - No. Per quanto ne so, dopo che lei è sparita, poco a poco se ne sono andati tutti. Non credo che si fidino a restare nei paraggi... -
- Chi ci viveva, qui?- domandò Faith, senza più riuscire a trattenersi. Jack si voltò verso di lei per un attimo, esitò, poi scoccò a Gibbs un'occhiata eloquente. Il nostromo colse la palla al balzo e, senza smettere di remare, abbassò la voce come era solito fare quando si metteva a raccontare una storia e cominciò: - In pochi sanno come sono andate veramente le cose, tuttavia... la verità è che un tempo il primo, antico consiglio della Fratellanza dei Pirati riuscì a confinare la dea del mare in una forma umana; una donna. Quella donna ha mantenuto le sue sembianze mortali per molto, moltissimo tempo... Quella donna viveva qui. -
Come a sottolineare le sue parole, la scialuppa svoltò di nuovo per attraversare un basso acquitrino fangoso: nel centro del piccolo laghetto si ergeva una grande palafitta, malmessa e ricoperta di rampicanti, ma ancora integra, al contrario di tutte quelle che avevano visto fino ad allora.
Gibbs sollevò il remo, lasciando che la barca si accostasse a quello che una volta era stato un piccolo pontile a pelo d'acqua, al quale adesso mancavano diverse assi ed altre stavano marcendo. - All'epoca si faceva chiamare Tia Dalma. -
Jack si alzò e saggiò con un piede la solidità del pontile, quindi smontò dalla scialuppa facendola dondolare piano. - Gibbs, tu bada alla barca. Faith... - si voltò verso la ragazza e le porse la mano per aiutarla a scendere; lei accettò l'aiuto e mise a sua volta piede sul piccolo ponte, sentendo il legno marcio scricchiolare sotto i suoi stivali. Senza aggiungere altro, Jack le fece strada su per una corta rampa di gradini cigolanti, che li portarono davanti all'ingresso dell'abitazione: quando il capitano spinse la porta, questa fece resistenza, e ci vollero diversi strattoni prima che qualcosa si sbloccasse con uno stridio acuto di cardini. Come fecero il loro ingresso nella casupola, a Faith venne spontaneo trattenere il fiato.
Era evidente che nessun essere umano aveva più messo piede in quel luogo da anni: le piante rampicanti avevano cominciato a prendere il possesso dell'abitazione, crescendo indisturbate sulle pareti di legno e filtrando attraverso i buchi del pavimento e del soffitto. Tuttavia c'erano ancora moltissimi oggetti che ricordavano la presenza del precedente occupante e, sebbene tutto fosse coperto da uno spesso strato di polvere, Faith aveva la netta sensazione che tutto quanto fosse stato lasciato esattamente come lo aveva disposto la proprietaria.
Dal soffitto pendevano innumerevoli bottiglie appese alle travi con corde sottili: il vetro era talmente impolverato che era praticamente impossibile dire cosa contenessero. Jack si fece avanti scostandole con le mani senza tanti complimenti, Faith invece stette istintivamente attenta a non intralciare il loro dondolio.
Nell'aria c'era un odore strano, ma non sgradevole: doveva essere per via di tutti quei mazzi di erbe, fiori e chissà cos'altro, anch'essi appesi a testa in giù ad essiccare, per poi venire dimenticati.
Le pareti erano completamente ricoperte di scaffali ricolmi di giare di vetro, ma anche lì, qualcuno avrebbe dovuto lottare strenuamente contro una muraglia di polvere e ragnatele per poter guardare con attenzione il contenuto. Nella stanza in cui erano entrati c'erano ancora i mobili, e una lunga tenda logora separava le altre stanze: la ragazza si trovò davanti ad un basso tavolo di legno massiccio, e quattro sedie sparpagliate in giro per la stanza senza un'apparente ordine. C'erano anche due sgabelli, come si accorse urtandone uno col ginocchio.
- Così... questa sarebbe la casa della dea del mare?- domandò, tanto per rompere il silenzio.
- Di certo la è stata, se non altro. - rispose lui, mentre si tirava su le maniche della giacca e poi cominciava a frugare tra la massa di oggetti impolverati che ingombravano il tavolo: lì per lì, con tutto quel lerciume, Faith non riuscì a riconoscerne neppure uno, poi vide le dita del capitano liberare dalle ragnatele le pagine ingiallite di un grosso libro aperto. Jack lo squadrò con interesse, sfogliò le pagine per un momento, poi improvvisamente lo chiuse con un tonfo e lo sbatté senza tanta delicatezza in un angolo del tavolo, per riprendere a frugare tra gli altri oggetti.
- Jack, che cosa stiamo cercando esattamente?- scattò Faith, spazientita, senza più riuscire a trattenersi: quel posto le dava i brividi, e l'idea di doverci restare proprio adesso che calava la notte le piaceva anche meno.
Il capitano sembrò ricordarsi improvvisamente della sua presenza e sollevò gli occhi su di lei, restando a fissarla con un'espressione strana per un lunghissimo istante, poi prese a ripulirsi con calma le dita impolverate sul bavero della propria giacca.
- Faith, credimi quando ti dico che, se lo sapessi, te lo direi senza esitare. - ammise in tono quasi dolce, come se le stesse confessando una debolezza. Poi si mise a sedere su una delle sedie e si trascinò in grembo il libro, aprendolo e ricominciando da capo a sfogliarlo: non sapendo che altro fare, Faith recuperò uno degli sgabelli e si sedette a sua volta, cercando di tanto in tanto di sbirciare oltre la copertina consumata del grosso volume che sembrava interessare tanto il capitano.
- Allora, almeno vuoi dirmi perché siamo venuti qui?-
- Per cercare qualcosa. - fu la laconica risposta di Jack, e prima che Faith potesse sbuffare dall'esasperazione, lui le scoccò un sorrisetto da dietro la copertina del libro e aggiunse: - Per vedere se è possibile combattere la magia con la magia. -
La giovane si portò una mano alla fronte. - Non ti sto dietro. -
- Allora stammi davanti. -
- Eh?!-
- Stai lì... - il capitano indicò lo sgabello sul quale era seduta. - ...e aiutami quando te lo chiedo. - detto questo, diede un'altra rapida occhiata al libro, poi senza alcun preavviso si alzò di scatto e col volume ancora sottobraccio cominciò a rovistare tra le innumerevoli boccette sigillate accumulate sugli scaffali. Dopo qualche minuto tornò reggendone in braccio almeno una decina, e le rovesciò tutte quante sul tavolo davanti a Faith, così di malagrazia che lei stessa dovette afferrarne un paio al volo prima che rotolassero fin sul pavimento.
- Niente etichetta... - lo sentì commentare mentre si rigirava in mano uno dei boccetti. - Niente di niente. Dovresti aiutarmi a riconoscere il contenuto di queste boccette, nient'altro. -
Faith sospirò piano, poi si mise di buona lena per aprire uno dei barattoli che aveva salvato: il tappo sembrava diventato tutt'uno con il contenitore e ci vollero numerosi tentativi, ma alla fine riuscì a toglierlo con uno schiocco. Il vasetto era pieno per metà di piccole foglie ancora verdi, ricoperte da una sottile peluria biancastra: se lo accostò al viso per guardare meglio, annusando cautamente.
- Assenzio... - mormorò, spalancando gli occhi per la sorpresa. - Foglie di assenzio, ancora fresche... è straordinario, dove se lo sarà procurato?!-
Jack si strinse nelle spalle. - Avrà avuto i suoi metodi. - commentò, aprendo un altro barattolo senza distogliere gli occhi dal libro. Il capitano non sembrava affatto intenzionato a dirle di più, o forse davvero non sapeva nemmeno lui che cosa stava cercando, così Faith fece l'unica cosa che poteva fare: il suo lavoro. Dopotutto suo padre era stato medico, prima di andare in rovina, e fin da piccola lei aveva fatto tesoro dei suoi preziosi testi di medicina che all'epoca le sembravano così grandi e misteriosi: piante, foglie, fiori, misture, veleni... era cresciuta in mezzo a quelle cose, erano tutte lì negli scaffali della sua mente proprio come i barattoli stipati nella bottega di un dottore; doveva soltanto ripescarli. E fece davvero del suo meglio, mentre i minuti si trasformavano in ore, e le ore si susseguivano una dopo l'altra in quella cupa catapecchia misteriosa.
Identificò quasi tutto quel che Jack le fece esaminare, e fu contenta che il capitano si fosse limitato ai barattoli contenenti foglie e tinture: era più che sicura di avere visto una giara colma fino all'orlo di bulbi oculari, e non aveva alcuna intenzione di toccare niente del genere.
Quando Jack allontanò l'ultimo barattolo di sostanze e richiuse improvvisamente il libro, doveva già essere notte fonda: aveva fatto mettere da parte a Faith una decina di barattoli, ciascuno pieno di una mistura diversa, mentre altri li aveva semplicemente ignorati e accumulati sul tavolo o sul pavimento.
- Va bene, basta così: penso che adesso possiamo andarcene. - commentò, in tono soddisfatto, reprimendo uno sbadiglio. - Dammi una mano e raccogli quella roba, fammi il favore... -
Faith bofonchiò una vaga protesta mentre raccattava uno dopo l'altro i piccoli barattoli pieni, stringendoseli al petto per non farseli sfuggire: era tardi e lei era stanca ma, se non altro, sembrava che almeno per quella sera avessero finito. Jack si mise sottobraccio il librone e precedette Faith all'uscita per aprirle la porta, dato che aveva le mani occupate da tutti quei barattoli: una rapida occhiata e un gemito strozzato della ragazza, però, lo fecero immediatamente scattare all'indietro.
Dallo stipite della porta penzolava un grosso serpente bianco. Aveva avvolto le sue spire attorno all'intelaiatura priva di vetri della porta e si sporgeva verso l'interno, quasi con interesse, con la testa che dondolava pigramente ad un soffio dalla maniglia che Jack stava quasi per afferrare.
Faith emise una specie di rantolo spaventato e arretrò di un passo, sentendosi le gambe molli. Tutti i barattoli le tintinnarono tra le mani tremanti, tanto che temette di essere sul punto di fracassarli tutti, ma al momento le importava solamente del rettile bianco che era rimasto immobile a fissarli. Arretrò ancora, e l'attimo dopo sentì il petto di Jack contro la schiena e le sue mani chiudersi sui suoi gomiti, impedendole di perdere la presa sul fragile carico.
- Ti sarei molto grato se non lo facessi... - la avvertì il capitano, con quanta più calma gli fu possibile. Faith inghiottì la saliva e annuì in fretta, trattenendo a sé i barattoli, ma tenendo gli occhi piantati sul serpente.
- Il s-s-s-serpente... - balbettò, mentre perfino pronunciare correttamente le parole sembrava essere diventato troppo difficile.
- Lo avevo notato anch'io... - Jack la lasciò andare e le girò attorno con cautela, avvicinandosi di nuovo alla porta; il rettile albino non fece una piega vedendolo arrivare, così il capitano non trovò di meglio da fare se non agitargli davanti il libro intimandogli, secco: - Sciò!-
In verità, neppure questo sembrò impressionare molto l'animale, tuttavia si limitò a scrutare il pirata ancora per un secondo per poi abbassare la testa fino al pavimento, su cui si lasciò scivolare con calma e strisciò via verso un angolo riparato dell'abitazione. Vedendolo dirigersi verso l'interno, Faith schizzò in tutta fretta davanti a Jack e si precipitò fuori dalla porta, lanciandosi giù per i gradini ad una tale velocità che li fece gemere come se fossero sul punto di spezzarsi.
Gibbs, che se ne stava mezzo assopito sul fondo della scialuppa, si riscosse all'improvviso e sgranò gli occhi quando si vide arrivare di gran carriera la ragazza che, così carica di barattoli, si tuffò dentro la barcaccia e si accucciò a poppa, bianca come un cencio. - Per tutti i diavoli di cielo e mare, cos'è tutta questa fretta?!- esclamò, allarmato.
- È tutto a posto, mastro Gibbs, solo qualche ospite indesiderato!- commentò Jack in tono molto più tranquillo, stringendosi il libro al petto e chiudendosi la porta alle spalle. Nel momento esatto in cui lo fece, però, una folata di vento freddo sembrò spirare direttamente dal folto degli alberi, facendo increspare l'acqua sotto la scialuppa e soffiando indietro i capelli del capitano. Per quell'unico istante, tutti e tre i presenti si irrigidirono, come temendo l'arrivo imminente di qualcosa... invece non accadde niente; anche la folata d'aria gelida svanì senza lasciare traccia.
Jack esitò sulla soglia della palafitta per un momento, quindi si voltò, e Faith aggrottò le sopracciglia nel vederlo fare una specie di riverenza al nulla, battendo un colpetto sulla copertina del libro. - Col tuo permesso!- declamò, sempre rivolto al niente più assoluto. Poi, come se niente fosse, si girò verso di loro e salì a bordo della scialuppa.
Gibbs non fece domande mentre ripercorrevano il fiume in senso inverso, e Faith gliene fu grata: ora come ora, non avrebbe saputo dargli neppure una risposta.

*

Nel giro di una settimana avevamo fatto porto su altrettante delle isolette dell'arcipelago delle Bahamas, approdando su una nuova ogni mattina, e ogni volta la Sputafuoco veniva accolta da orde di indigeni che, a bordo delle loro barche a remi, circondavano le navi in arrivo per offrire alla ciurma cibo, frutta, armi, gingilli di ogni tipo e perfino animali. Gli uomini erano così contenti di potere di nuovo pescare a piene mani in quelle meraviglie esotiche, che adesso almeno una decina di loro possedeva una scimmia o un pappagallo... che probabilmente avrebbero rivenduto sulla prossima isoletta su cui avremmo fatto porto, ma era il gusto di fare affari quello che contava veramente.
William aveva fatto affari vendendo corposi carichi di barili di rum, e il tintinnio dell'oro nelle tasche aveva migliorato ulteriormente l'umore di tutta la ciurma. Insomma, le cose andavano che era un piacere. Ed io, al fianco di Elizabeth e Will, mi accorgevo di stare bene. Vergognosamente bene.
Così bene che quella notte, sebbene la mezzanotte fosse scoccata da un pezzo, ero ancora sveglia come un grillo, seduta ad un tavolo nella piccola bettola scalcinata che avevamo trovato nel nostro ultimo porto, a parlare con voce molto più alta del normale con Trentacolpi, il quale si era già scolato tre pinte di rum e sembrava pronto a fare fuori la quarta senza accusare il minimo segno di stanchezza.
- Che io sia appeso per i mignoli e rosolato sul fuoco se sto raccontando balle, signora mia! Io racconto soltanto quello che vedo, e ti dico che quella che ho visto era una dannatissima sirena, con tutte le poppe e le pinne nel posto giusto!- sbraitò il vecchio, calando con decisione il pugno sul tavolo tanto da fare tremare tutti i boccali.
- Ma certo, Trentacolpi... e cosa aveva di tanto importante da dirti questa sirena, visto che dici che ti chiamava con tanta insistenza?-
- Non lo so. Perché, quanto è vero Iddio, appena l'ho vista tirare fuori quei suoi dentacci da squalo, ho tirato fuori Betsy e le ho sparato in mezzo agli occhi! Così! Bum!- il pirata si agitò sulla sedia, mentre brandiva a colpo sicuro una delle sue innumerevoli pistole che portava appese addosso e la agitava in aria, facendo scattare il cane in modo preoccupante. Io ed Elizabeth ci alzammo e ci affrettammo a prenderlo per le braccia e a farlo tornare a sedere, ottenendo soltanto qualche blanda protesta prima che il vecchio si decidesse a rimettere le sue pistole al loro posto. - E insomma, dopo quella è affondata sott'acqua, e chi s'è visto s'è visto. Scomparsa nel nulla!- concluse, come un ripensamento, prima di buttarsi con gusto sulla sua quarta pinta.
Will trattenne una risata e scosse il capo con fare bonario: in quel momento mi sembrava più a suo agio che mai; se ne stava seduto al tavolo, con una mano posata sul suo boccale vuoto, e il braccio libero avvolto attorno a David che sonnecchiava contro la sua spalla. Ad un tratto, dalla vivace clientela alle sue spalle emerse una delle cameriere che avanzava trasportando un vassoio carico di boccali pieni; accanto a lei c'era qualcuno che la stava aiutando a portarlo, approfittandone anche per avvolgerle il braccio libero attorno alla vita. Era Connor, che insieme alla cameriera si fermò proprio di fianco al nostro tavolo, scoccandoci un gran sorriso.
- Signori, offrirò io questo giro se mi concederete l'onore di sedermi insieme a voi!- annunciò in tono allegro. Elizabeth e Will per un attimo sembrarono sorpresi -Trentacolpi invece sembrava solo troppo contento di potere mettere le mani sul quinto boccale della serata- poi il giovane capitano rispose al sorriso dell'irlandese e scostò un poco la sedia in modo che potesse aggregarsi al tavolo.
- Sedetevi pure, Donovan, siete il benvenuto. -
Connor sciolse la stretta attorno alla vita della cameriera, rifilandole nel frattempo un buffetto ben poco innocente che quella accolse con una risatina, e occupò una delle sedie libere al nostro tavolo, mentre la donna ci serviva un altro giro di rum. - Lasciatemi dire che è un vero piacere navigare con voi, capitano Turner. - continuò, rivolto a William. - Sappiamo già dove faremo porto, domani?-
- Fare il giro delle isole sta dando i suoi profitti, e penso proprio che continueremo così. - rispose lui con una scrollata di spalle, ma era impossibile non notare che le parole di Connor gli avevano fatto piacere. - E alla fine, nel caso le nostre riserve di denaro comincino a scarseggiare, penso che ci metteremo su qualche rotta mercantile e aspetteremo di vedere che cosa ci porta la marea. -
L'irlandese accolse le sue parole con una sonora risata di approvazione, e sollevò il boccale in direzione del giovane capitano prima di bere. Sorrisi anch'io, mentre mi rendevo conto una volta di più di quanto fosse cambiato il mio vecchio amico: era strano sentirlo parlare di mercantili da depredare, ma era evidente che, da quando aveva il comando della Sputafuoco, sembrava essersi prefissato di assolvere ai suoi compiti di capitano in maniera impeccabile.
- Per tutte le fetenti carcasse di capodoglio, da dove è uscito quel damerino?- il commento improvviso di Trentacolpi, al quale il numero di boccali bevuti sembrava solo fare alzare sensibilmente il tono della voce, attirò la mia attenzione verso l'entrate del locale, dove in quel momento si stava facendo largo un gruppo di quattro uomini.
A giudicare dall'abbigliamento doveva trattarsi di altri pirati, ma l'uomo che camminava in testa al gruppetto -prevedibilmente il capitano- risaltava in mezzo a loro come un pavone in un pollaio. Per un momento mi ricordò Calico Jack Rackham: aveva in comune con lui il gusto per gli abiti eccessivamente sfarzosi, come dimostrava la lunga giacca blu damascata e uno splendido cappello bicorno marrone chiaro, con la punta sul davanti, decorato di piume azzurre, che portava sopra una selva di ricci capelli neri.
- E quello chi si crede di essere, per portare un cappello del genere?- bisbigliai, mentre trattenevo una risatina.
- Urla vanità da ogni poro. - rincarò Connor a bassa voce, nascondendo un sogghigno complice. Gli uomini si avvicinarono senza smettere di parlare a voce alta tra di loro; quando però arrivarono accanto al nostro tavolo, il capitano si fermò talmente di botto da far sì che due dei suoi uomini che camminavano dietro di lui sbattessero violentemente l'uno contro l'altro. Per qualche momento restò a fissarci assai poco discretamente ad occhi sbarrati, poi, lasciandoci tutti quanti sbalorditi, fece bruscamente il gesto di pulirsi le mani sul bavero della giacca e sputò per terra, proprio ai piedi del nostro tavolo. Poi ci voltò le spalle, come se niente fosse successo.
Elizabeth, che di certo non avrebbe mai fatto finta di niente davanti ad un affronto del genere, si alzò di scatto e, con voce più che udibile al di sopra del chiacchiericcio che permeava la taverna, gridò dietro al capitano: - Signore! Quello voleva essere rivolto a noi?!-
Il capitano aspettò qualche istante a voltarsi, ma quando lo fece mise su un cipiglio sprezzante e ci squadrò con le mani piantate sui fianchi: naturalmente si stava mettendo in mostra per i suoi scagnozzi, che rimanevano alle sue spalle come se si aspettassero di assistere ad uno spettacolo divertente.
- Sicuro che era rivolto a voi, e da come ve la siete presa sono sicuro che non avete bisogno che vi spieghi il perché!- replicò in tono assolutamente antipatico.
- Ma chi siete voi?!- esclamò Elizabeth, accalorandosi. - Come vi permettete di parlarci in questo modo?-
- Io sono il capitano Armand Lanthier. - il naso dell'uomo si arricciò con una punta di nobile disprezzo. - E voi della ciurma di Sparrow fareste meglio a moderare i termini. Io almeno non tratto con lord Silehard e le sue dannatissime streghe!-
- Noi non siamo la ciurma di Sparrow!- scattò Will con una calma mortale nel tono della sua voce, fulminando il capitano con un'occhiataccia. In quel momento mi sentii profondamente sleale. - E poi, se davvero disprezzate tanto Silehard, perché lo chiamate lord?-
Per un attimo il capitano Lanthier avvampò in viso, come accorgendosi di essere stato colto in fallo, ma poi tornò alla carica con ancora più stizza di prima. - Non siete la ciurma di Sparrow? Hah! Non fatemi ridere, la vostra nave viaggia sempre fianco a fianco con la sua! Come mai non è qui anche lui, stasera? Forse è troppo impegnato a strisciare ai piedi di quel diavolo maledetto, che avvelena i porti preferiti di noi onesti pirati con le sue stramaledette magie! Lui e la gente come voi, che gli state attorno come cani, state cercando di scatenare l'inferno sui Caraibi!-
Vidi Will alzare gli occhi al cielo, e quando gli rispose sentii che si stava sforzando in tutti i modi di mantenere la calma: - Capitano Lanthier, se voi foste un uomo ragionevole vi farei notare che né io né la mia ciurma abbiamo la minima simpatia per Silehard o per i suoi metodi, anzi, condividiamo molto di quello che avete detto. Peccato che voi non mi sembriate affatto un uomo ragionevole, anzi, sono piuttosto sicuro che siate venuto ad insultare me e i miei uomini solo per il gusto di attaccar briga. Quindi, mi comporterò di conseguenza. -
Il capitano Lanthier si fece improvvisamente paonazzo in volto, e con una smorfia di rabbia sguainò la spada -un lungo fioretto dall'elsa cesellata- e tagliò l'aria a meno di una spanna dal viso di William. - Mi state sfidando, razza di sbarbatello che non siete altro?- sibilò in tono di scherno. Non aveva ancora finito di dirlo, che un'altra lama andò a cozzare contro la sua, bloccandola. Era stata quella di Elizabeth, che aveva sfoderato la propria spada all'unisono con l'irritante capitano e ora gliela puntava contro, fissandolo con occhi fiammeggianti, fremente dalla voglia di battersi.
- Lui no, ma azzardatevi di nuovo a minacciarci e vedremo se la prima a cadere per terra sarà la vostra spada o la vostra testa!- ruggì la giovane, furente, mentre con la sua spada spingeva all'indietro la lama del suo avversario. Riprendendosi dal suo stupore, il capitano Lanthier oppose resistenza, e le due lame stridettero l'una contro l'altra. Io spinsi indietro la sedia, portando la mano all'elsa della mia spada.
Will si alzò molto lentamente, sollevando David dalle proprie ginocchia e appoggiandolo a terra: il bambino si guardò attorno e, senza bisogno che nessuno gli dicesse niente, sgattaiolò rapido sotto il tavolo, mettendosi al sicuro. - Signori. - con un gesto fluido, il giovane sguainò l'arma e con una stoccata precisa si insinuò tra le spade dei due contendenti, separandole. - Mi avete davvero stancato. -
- Abbasso i leccapiedi di Silehard!- a quell'urlo, Lanthier e i suoi attaccarono, gettandosi su di noi come un sol uomo. Io scattai in piedi, rovesciando la sedia, e mi preparai a ricevere il pirata più vicino: mi corse incontro urlando e roteando la spada sopra la propria testa. Tutta scena, troppa.
Ero preparata, perciò aspettai la sua carica restando perfettamente immobile, e appena mi arrivò a tiro parai il suo fendente dall'alto, e nel frattempo lo colpii con una ginocchiata in pieno stomaco. Quando si piegò per il dolore disimpegnai la spada, e ne approfittai per colpirlo in testa con l'elsa: crollò come un sacco di patate, gemendo e imprecando.
- Renditi utile, testarossa!- gridai, mentre giravo su me stessa con la spada puntata in avanti, preparandomi a ricevere altri attacchi. Lanthier era impegnato con William, e i due si stavano sfidando in un duetto di stoccate impeccabili e rapidissime; uno dei suoi tirapiedi l'avevo appena atterrato io, il secondo si stava prendendo a sciabolate con Elizabeth, il terzo invece si precipitò su Connor, il quale seguì il mio consiglio e fece un balzo all'indietro, sguainando la spada e respingendo il primo attacco del suo avversario. Il vecchio Trentacolpi era troppo pieno di rum per partecipare, o forse semplicemente non gliene importava. Mentre le spade gli saettavano intorno, lui raccolse il suo boccale e si infilò prudentemente sotto il tavolo, dove se ne rimase abbracciato ad una gamba di legno a finire di bere, mentre al suo fianco David assisteva a tutta la battaglia dal loro nascondiglio.
Vidi Connor battersi in maniera a dir poco singolare: cominciò ad incalzare il suo avversario con delle finte, muovendosi di scatto e facendo ripetutamente come per buttarsi all'attacco, con un gran dimenar di spada e di pugni, ma sempre per tirarsi indietro l'attimo dopo. Alla quinta volta che si ripeteva quella specie di balletto tra galli zoppi, l'avversario, esasperato, si decise ad attaccare per primo, e caricò con tutta la sua forza, tranciando l'aria con un fendente brutale che, se fosse andato a segno, avrebbe aperto in due la pancia dell'irlandese. Donovan però si era già spostato di lato, e appena l'uomo gli fu vicino gli sferrò un gran calcio alle ginocchia, per poi sferzarlo con una sciabolata mentre inciampava. Per un attimo mi chiesi se lo avesse ucciso davvero, ma poi lo vidi rotolare a terra urlando e stringendosi il fianco, dove la lama aveva aperto un lungo taglio sanguinante: sarebbe sopravvissuto, ma di certo se lo sarebbe ricordato finché viveva.
Corsi a dare manforte ad Elizabeth, anche se la mia amica non ne aveva veramente bisogno: la vidi respingere un colpo dopo l'altro, urlando di rabbia come se fosse spiritata, mentre spingeva continuamente indietro il suo avversario nel tentativo di farlo inciampare nelle sedie vuote. Io riuscii ad arrivargli alle spalle e piantai anche a lui un calcio, nelle reni, stavolta. L'uomo vacillò, ma non riuscii a disorientarlo come speravo, tanto che l'istante dopo fece una giravolta spaventosa su sé stesso, tanto che mi abbassai nell'attimo esatto in cui la punta della sua spada tagliava l'aria dove era stata la mia faccia.
Quel tentativo gli costò caro, perché Elizabeth seppe approfittare di quell'attimo di distrazione e gli piombò addosso, colpendo il braccio con cui reggeva la spada: uno schizzo di sangue impregnò di rosso la manica della sua camicia, e la spada cadde al suolo, sferragliando. - A terra, bastardo!- intimai, puntandogli la spada alla gola prima che potesse farsi venire altre cattive idee.
Le spade di Will e del capitano Lanthier si muovevano quasi troppo velocemente per potere essere seguite con lo sguardo, tuttavia era il secondo a perdere continuamente terreno, incalzato a più riprese dalle stoccate di Will. Ad un tratto, con un violento fendente dal basso verso l'alto, la lama di Will cozzò contro l'elsa nemica, sporcando le dita di Lanthier di sangue e facendo schizzare la spada in alto, sopra le loro teste. L'attimo dopo, il nostro giovane capitano la agguantò al volo con la mano libera.
Trovandosi di fronte un nemico con due spade in pugno, Lanthier arretrò bruscamente, incespicò su una sedia rimasta in mezzo al suo passaggio e inciampò, ruzzolando a terra in modo ben poco dignitoso: quando si rivoltò a quattro zampe sul pavimento e alzò di scatto la testa, si trovò faccia a faccia con Trentacolpi, che non si era mosso dal suo posto sotto il tavolo. Vedersi ad un palmo dalla faccia quel vecchiaccio bardato di pistole da capo a piedi sembrò terrorizzarlo ancora di più, e lo vidi chiaramente spalancare la bocca per la paura, quando Trentacolpi alzò le mani e...
...incrociò i polsi davanti a sé, in segno di resa, sfoderando un sorriso mezzo sdentato e proclamando con voce strascicata: - Mi avete preso, signore!-
William lo toccò sulla spalla con la punta di una delle spade, facendolo girare di scatto verso di lui. I due si scrutarono per qualche momento, quindi il giovane gettò la spada ai piedi del capitano accovacciato sul pavimento. - Riprendete i vostri uomini, capitano Lanthier, e andatevene. Ma prima voglio le vostre scuse, e voglio che diciate a tutti che noi non siamo al soldo di Silehard. Questo mai. Mi spiace solo che con voi ci siano volute le maniere forti, per farvelo capire. -
Lanthier sembrò sul punto di protestare, ma la vista dei suoi uomini a terra e l'espressione di Will, che aveva ancora la sua spada puntata su di lui, sembrarono farlo tornare sulle sue convinzioni. Molto lentamente e con una certa goffaggine, raccolse la propria spada e la ripose nel fodero. - Mi scuso per... avervi mancato di rispetto, capitano... -
- Capitano Turner. -
- Mi scuso, capitano Turner. -
- E il vostro cappello. - aggiunsi ad un tratto, cogliendo di sorpresa perfino Will. Tutti quanti si voltarono a guardarmi con facce stupite, il capitano Lanthier più di tutti. Allungai la mano verso di lui e gli feci un cenno sbrigativo con due dita. - Voglio il vostro cappello. -
Non discusse: mi diede il suo cappello. Me lo rigirai tra le mani, ammirandone la tela marrone chiaro e le piume vaporose, bianche e marroni, e me lo misi in testa con fierezza mentre Lanthier e i suoi se la filavano dal locale con la coda tra le gambe.


  
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