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Autore: Akemi_Kaires    05/07/2011    7 recensioni
17 anni prima del Bonacciale eterno, Sin arrivò anche a Besaid.
Con sé portò morte, distruzione, desolazione.
E lutto nei giovani cuori di piccole anime innocenti.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lulu, Wakka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Approfitto di queste due piccole righe per ringraziare:
Fairy of fire per la sua gentilezza (e pazienza!) innata;
Puccio per tutte le sue recensioni;
gm19961 per la sua dolcezza;
ros per le sue fantastiche recensioni!
E vorrei ringraziare anche:__gIuLiNa__, berseker eagle, _Eleutera_ per tutto il supporto che mi danno qui, nel fantastico angolo di FFX! Grazie ancora di cuore!


Il Portatore Di Morte


Il villaggio di Besaid era in preda al panico. Attorno ad esso, oscurato dal cielo tempestoso, aleggiava aria di morte e dolore.
Gli abitanti, disperati, fuggivano in ogni direzione, ansiosi di trovare un posto sicuro dove ripararsi, mentre i Miliziani, in stato di allerta, cercavano di avviarsi il più velocemente alla spiaggia, le armi strette in mano.
Lulu, ancora inginocchiata a terra, sbiancò improvvisamente. Respirando a fatica, osservava la scena cruenta e spaventosa che si presentava dinnanzi ai suoi occhi infantili e innocenti.
Non poteva ancora credere a ciò che vedeva. Desiderò con tutto il cuore che si trattasse di un brutto ed orrido incubo.
Eccolo, proprio a poca distanza da loro, il Portatore di Morte. Dopo tanti anni di ininterrotta ed intaccata pace, aveva deciso di punire anche loro, di infliggere il suo flagello anche all’isola. Era arrivato e nulla avrebbe potuto placare la sua ira, se non l’espiazione dei loro peccati.
Li avrebbe puniti per tutti i crimini commessi nel passato, senza alcuna pietà.
La bambina, terrorizzata, cercò di rialzarsi, invano. Le gambe cedettero nuovamente alla paura, facendole perdere l’equilibrio. Cadde rovinosamente a terra.
La paura cieca, ormai, si era impossessata del suo piccolo cuore puro.
Non trovava neppure la forza di urlare, di gridare al cielo il suo spavento e la sua disperazione. Lui sarebbe arrivato e avrebbe sterminato ogni cosa. Non poteva accettare l’idea di dover dire “addio” a tutte le gioie provate durante le splendide e soleggiate giornate, all’affetto dei suoi cari, alla pace. Inerme, fissò con orrore il mostro il quale, velocemente e impetuosamente, si avvicinava con fare minaccioso alla costa. Avrebbe tanto voluto poterlo allontanare e sconfiggere, eppure era consapevole di non poter nulla contro quella potenza divina.
- SIN! – urlavano i compaesani, correndo come forsennati, passandole accanto senza neppure degnarla di uno sguardo. – SIN!
Le lacrime presero a scorrerle lungo il candido viso, rigandolo, lasciando una scia salata sulle sue guance rosse. Singhiozzò, impaurita, disperata.
Alla fine, come tutti temevano da anni, la morte era giunta da loro ed avrebbe bruciato ogni cosa, lasciando dietro sé solo misericordia e miseria, lutto e dolore. Tutti avrebbero sofferto, nessuno escluso. Sarebbero rimaste vittime, direttamente o indirettamente, di quella punizione millenaria.
Riscattandosi dai suoi pensieri, cercando di tornare lucida, cercò con lo sguardo i suoi genitori. Fece leva sulle sue braccia esili e sottili, alzandosi in piedi nuovamente. Doveva assolutamente trovarli poiché assieme, finalmente, sarebbero riusciti forse a salvarsi. Almeno loro, tra tutti, sarebbero usciti indenni da quel delirio.
Fece ritorno verso la piazza centrale, guardandosi attorno. Scrutò con attenzione ogni folla di persone, alla loro ricerca. Ma di loro, purtroppo, non vi era alcuna traccia. Eppure, dovevano essere da qualche parte!
In preda alle scosse violente di terremoto, barcollò in varie occasioni, cercando di mantenere l’equilibrio precario. Cominciò a correre alla cieca, d’istinto, dirigendosi in ogni angolo del villaggio, pur di trovarli.
Irruppe in casa sua, pregando con tutto il cuore che si trovassero lì. Con orrore, notò che era vuota, immersa nel totale silenzio. Non vi era anima viva, neppure un segno che annunciasse la loro presenza da qualche parte.
Fece il suo ingresso anche nella tenda della Milizia, trovandola nelle stesse condizioni della sua abitazione: disabitata, spoglia perfino delle armi che solitamente ornavano le pareti. Alla vista di quello stato, un dubbio atroce assalì la sua mente.
Si precipitò, correndo ed incespicando, verso il portone che delimitava il confine di Besaid.
Li chiamò, urlando i loro nomi a squarciagola, fino a farsi bruciare la gola per lo sforzo, invano. Nessuna risposta giunse alle sue orecchie. Non una persona si avvicinava a lei per rispondere al suo richiamo.
Il più velocemente che poteva, si avviò verso il sentiero che conduceva alla spiaggia, mentre il suo cuore batteva a mille per lo sforzo e la paura.
Non potevano essere andati lì, per combattere Sin. Sarebbe stato da folli e da sciocchi, aver intrapreso una missione suicida. Dinnanzi a quella situazione, certamente non si sarebbero gettati fra le braccia della morte senza riflettere.
Non l’avrebbero mai lasciata da sola, così si disse. Non l’avrebbero mai abbandonata a causa di un eterno assassino.
Giunse in un luogo dal quale era possibile scorgere tutto il lido. Era certa che da lì avrebbe potuto notare se l’esercito si era già schierato. Si morse con furia il labbro inferiore, sperando che la loro coscienza li avesse trattenuti dal combatterlo.
Sbarrò gli occhi, cessando immediatamente di respirare.
Nonostante l’enorme distanza che li divideva, li riconobbe senza alcun dubbio. Erano tutti lì, i soldati, schierati lungo la spiaggia, con le armi in mano. Brandivano spade e lance, pronti ad attaccare sotto l’ordine del comandante. Suo padre, sicuramente, si trovava in mezzo a quella mischia di persone pronte a proteggere Besaid anche a costo della loro vita.
Alle spalle degli uomini, un gruppo di donne avevano le mani protese verso l’alto, con i palmi rivolti al cielo. Si trattavano di sacerdotesse e maghe, con il compito di lanciare magie offensive e difensive per aiutare i guerrieri nel loro compito.
La piccola aveva la certezza che, in quel preciso istante, anche sua madre stava pronunciando qualche rito per la protezione del marito. Pianse, disperata, stringendo il suo moguri tra le braccia.
- NOOOOOOOO! – urlò, scuotendo la testa con furia, mentre le lacrime le solcavano il viso.
Il suo corpo, percosso da tremiti e singhiozzi, non trovò neppure più la forza di compiere un minimo movimento. Il panico stava avendo la meglio su di lei, sulla sua anima e sul suo cuore.
Abbassò lo sguardo, stringendo i pugni, mentre un antico istinto risvegliava furia e astio nel suo cuore, sentimenti rivolti nei confronti di quel mostro che stava per portarle via tutto. Sentiva di odiarlo, perché tra breve ogni cosa sarebbe scomparsa per causa sua.
Prese ad avviarsi, determinata, lungo la scarpata. Aumentò sempre più la velocità, per quanto le sue piccole gambe potessero consentirglielo, pur di raggiungerli.
Doveva farlo. Doveva aiutarli in qualche modo e stare accanto a loro.
Qualunque cosa sarebbe successa, non sarebbe rimasta sola.
Non li avrebbe mai abbandonati.

- Dov’è?!
Wakka si guardò attorno, spaventato e preoccupato, scrutando con attenzione i volti dei bambini che lo circondavano. Come lui, erano stati tutti trovati e radunati con urgenza dal Sacerdote, nel tentativo di preservarli dalle furie di Sin. Almeno loro avrebbero avuto più possibilità di salvezza dalla guerra.
Chappu, stretto tra le braccia del fratello maggiore, piangeva sommessamente, con disperazione. Sembrava quasi che riuscisse a percepire l’aura di morte e distruzione che gli aleggiava attorno, nonostante la sua tenera età. Attraverso le sue lacrime, comunicava tutta la paura provata da chi gli stava intorno.
Tutti tremavano spauriti, gemendo ogni qualvolta che udivano un rombo assordante o una scossa di terremoto. Terrorizzati, non trovavano neppure la forza di gridare, di strillare. Temevano per le sorti del paese, per il loro futuro.
C’erano proprio tutti, a partire dai più grandi e a finire con Luzzu e gli altri.
Tutti… meno una.
Lulu.
Della piccola non vi era alcuna traccia. Gli adulti l’avevano cercata ovunque, setacciando ogni angolo di Besaid, pur di trovarla. Eppure pareva sparita, scomparsa, inghiottita dalle atrocità del momento.
Non era stata vista da nessuno, neanche una persona poteva dire di averla vista. Non si trovava neppure a casa sua, nascosta magari in qualche angolo. Sembrava svanita nel nulla.
Il bambino dai capelli rossi e dagli occhi color nocciola si mordeva il labbro inferiore, in pensiero per la sua salute. Non era da lei andare via senza dir nulla, senza lasciare segno del suo passaggio.
- Sarà con la sua mamma – cercò di tranquillizzarlo una donna, percependo ciò che stava pensando. – E’ così legata a loro e sicuramente si troverà al sicuro…
L’infante sgranò gli occhi, sbarrandoli. Eccola, la sensazione attanagliante che lo stava stringendo dalla scomparsa della piccola. Purtroppo, la certezza si era mostrata davanti ai suoi occhi in tutta la sua brutalità, violenta e travolgente.
Stupendo tutti i presenti, porse il fratellino a Luzzu, avviandosi velocemente verso la porta che conduceva all’uscita del Tempio dove si erano rifugiati.
- Dove vai?! – gli urlò l’amico, sbraitandogli alle spalle.
- Vado a cercarla – rispose con decisione lui, spalancando il portone d’ingresso. Fuori da questo, la tempesta infliggeva numerose ferite al paese, mettendolo in ginocchio.
- Ma sei impazzito?! – esclamò l’altro, lanciandogli un’occhiataccia furente. – Sarà in salvo, vedrai!
- No – disse gelido, cominciando a correre, ignorandolo. – Non lo è. È in pericolo e basta.
Lo sentiva davvero, nel suo cuore. Poteva vederla, lì, spaurita, dinnanzi a Sin.
Poteva vedere i suoi capelli color ebano ondeggiare sotto il vento sferzante e violento, guardare i suoi occhi cremisi inumidirsi di lacrime mentre il volto candido era contratto in una smorfia di dolore e tristezza. Poteva udire i suoi pianti ed i suoi singhiozzi soffocati, sentire le sue grida disperate.
Non aveva il coraggio di lasciarla sola, in balia del nemico e delle sue emozioni che l’avrebbero condotta all’oblio. Se l’avesse abbandonata, sarebbe morta.
E se questo fosse successo, lui non se lo sarebbe mai perdonato. Si sarebbe sentito colpevole di ciò che le era accaduto, artefice della tragedia. Doveva salvarla, ad ogni costo; era la sua migliore amica, dopotutto.
Avrebbe protetto tutte le persone a lui care, come gli era possibile fare. Nessuno escluso.
Lei men che meno.
Poteva udire gli schiamazzi degli adulti, ormai distanti, che lo rimproveravano e lo minacciavano di tornare indietro, di ripensare alla sciocchezza che stava facendo.
Ma lui non stava correndo per nulla. Aveva motivo, stava affrontando la tempesta per colei alla quale voleva bene, per una sua cara amica, per la sua vita.
Non appena giunse alla scarpata che conduceva alla spiaggia, un rumore squarciante e possente catturò la sua attenzione. Voltò, incredulo, lo sguardo verso il litorale. Il mostro era già passato all’attacco e, con orrore, notò che anche i Miliziani stavano passando all’azione.
Sicuramente, purtroppo, anche i loro genitori erano impegnati in quello scontro mortale e suicida. Non osò neppure immaginare cosa sarebbe successo se sarebbero rimasti vittime di quella cruenta vicenda…
Scacciò di mente quel pensiero malsano, scuotendo la testa più o più volte. Non c’era tempo per la fantasia crudele, nemmeno per l’immaginazione. Aveva un obiettivo da raggiungere e non poteva perdere altro tempo; di questo ne aveva poco a disposizione ed ormai scemava sempre più.
Riprese ad avanzare, il più velocemente possibile, pregando con tutto il cuore Yevon di non essere arrivato troppo tardi, di essersi accorto appena in tempo della mancanza della bambina.
Ed eccola, in risposto alle sue preghiere. La poteva scorgere, mentre incespicava nei suoi stessi passi, che correva disperata verso il crocevia.
- LULU! – urlò l’infante, precipitandosi da lei. – FERMATI!

Un rimbombo assordante spezzò nuovamente la quiete allarmante e colma di tensione, mentre il terremoto tornava a scuotere ogni cosa, perfino i cuori impauriti degli abitanti di Besaid.
La piccola gridò, tappandosi le orecchie, piangendo disperata. Chiuse gli occhi, scuotendo la testa, strillando a squarciagola. Le sue urla furono coperte dai suoni violenti della guerra ormai scoppiata.
Non ne poteva più. Sentiva la tempie pulsare, come se la testa stesse per esploderle. Il cuore, impazzito, batteva agitato, come se stesse per squarciarle il petto.
“Basta. Basta. Basta!” pensò, cercando di abbandonarsi alla silenziosa tristezza che la stava avvolgendo.
Doveva sicuramente trattarsi di un orribile incubo, come quelli che faceva di tanto in tanto. Si sarebbe risvegliata tra breve, ansimante, e si sarebbe trovata sulla sabbia bollente. Si era sicuramente assopita mentre osservava il tramonto, ed avrebbe trovato accanto a sé Wakka che le diceva di sbrigarsi a far ritorno al villaggio.
Sarebbe tornata a casa, dai suoi genitori, dove tutto era immerso nella quotidianità. Avrebbe sorpreso suo padre a lucidare la spada e avrebbe osservato con curiosità sua madre mentre si dilettava nella cucina. Tutto sarebbe tornato alla normalità.
Risollevò lentamente le palpebre, riscoprendo la stessa scena cruenta di prima. Ancora pianti, miseria, dolore. Ed i suoi cari, con le armi in mano, al centro di quel vortice maligno.
Era la cruda ed amara verità.
Riprese a correre immediatamente, mentre le lacrime scorrevano lungo le sue guance, con il vento salmastro che le sferzava il viso.
Inciampò in un sasso, rotolò per un lungo tratto scosceso di strada, ricco di rocce. Si fece forza, cercando di rialzarsi, ma tutto fu invano. Un dolore acuto le mozzò il respiro, costringendola a tornare a terra.
Osservò la sua gamba, con orrore. Sanguinava copiosamente, il sangue vermiglio sgorgava furiosamente da una lunga ferita sporca di terra. Bruciava come fuoco vivo, ardeva dentro di lei. Il dolore atroce la dilaniava. Si morse violentemente il labbro inferiore, fino a farlo diventare bianco, urlando il nome della madre.
Protese il braccio verso la figura lontana della madre, ormai a lei visibile, come se volesse afferrarla e trascinarla via, strappandola dall’orrida battaglia. La voleva, gelosamente, accanto a sé.
Ma lei non poteva sentirla, non poteva accorrere da lei per curarla. Con grande fatica, cercando di ignorare il dolore cieco, si rialzò, appoggiandosi ad un costone di pietra.
Fece, titubante, per muovere un passo, quando, improvvisamente, sentì il tocco di una mano calda afferrarle il suo esile braccio.
Stupita e scioccata, voltò leggermente il capo, quel tanto che le bastava per poter scorgere il volto della misteriosa figura che l’aveva appena sorpresa. Si rilassò, non appena scoprì che, accanto a lei, vi era Wakka, il suo migliore amico.
- Lasciami! – singhiozzò lei, cercando inutilmente di divincolarsi dalla presa salda altrui. – Devo andare da loro!
Non c’era tempo per domandarsi come mai lui fosse accorso proprio lì, nonostante i pericoli. Non c’era alcun attimo per poter pensare se anche il bambino, sempre allegro e diligente, si fosse abbandonato ad un attimo di follia e disperazione come lei. Chissà se anche lui desiderava raggiungere i suoi genitori.
Dal suo sguardo, Lulu dedusse che si stava sbagliando. Non era venuto per loro.
Era accorso per lei. Solamente per lei e per la sua assurda scelleratezza.
- Non c’è niente che tu puoi fare! – la rimproverò, infatti, trattenendola. – Se vai là, morirai anche tu!
Fece appena in tempo a concludere la frase, prima che Sin sferrasse l’attacco finale. Alzò il suo braccio, con un movimento di carica lento ma impetuoso, ed attaccò immediatamente la riva, travolgendo molteplici persone servendosi del maremoto generato.
Il vento innalzato dal mostro scaraventò contro i costoni di roccia alcuni Miliziani, uccidendoli sul colpo. Altri affogarono nel mare, ed infine alcuni altri furono schiacciati dai suoi possenti attacchi.
Uno ad uno, tutti gli eserciti vennero sopraffatti dalla furia omicida del nemico. Quest’ultimo rase al suolo ogni cosa, sradicando fitte vegetazioni di palme, distruggendo il pontile del molo, facendo volare via navi e barche. Soggette alla forza impetuosa del vento, alcune pietre volarono via nel vortice. La sabbia, come una tempesta, si levò verso il cielo.
Prima che la piccola potesse voltare lo sguardo verso quel massacro, Wakka le afferrò il capo, posandolo contro il suo petto. Tenendola ferma in quella posizione con le mani, le impedì di muoversi, di osservare la fine della pace.
- Chiudi gli occhi – le ordinò, con voce rotta dal pianto. Ella obbedì, stringendo convulsamente le sue mani alla sua maglietta. Inzuppò la stoffa con le sue lacrime, singhiozzando disperatamente.
Lui, invece, osservò tutto per filo e per segno, senza tralasciare neanche un piccolo particolare. Più volte tentò di distaccare lo sguardo, eppure qualcosa nel suo inconscio desiderava che imprimesse nella sua mente le crudeli immagini di quello scempio, per ricordarle in futuro.
Pregò con tutto il cuore che la bambina non potesse mai vederle, non potesse mai macchiare la sua anima con quegli attimi mortali e cruenti.
A terra, di tutto l’ardore dei soldati, era rimasto il nulla. Giacevano solamente corpi martoriati, distrutti dalla battaglia, e le aste delle maghe abbandonate e senza padrone.
Il piccolo cercò di trattenere le lacrime, accarezzando la testa dell’amica in modo affettuoso.
Lo promise a sé stesso: un giorno Sin l’avrebbe pagata; si sarebbe vendicato di ciò che aveva fatto a lui e a Lulu. Lo avrebbe distrutto con le sue stesse mani, per ripicca al dolore che aveva recato nei loro cuori puri e semplici.
Ma la guerra non era ancora finita. Dovevano muoversi ad andare via da lì, prima che potesse travolgere e uccidere anche loro. Dovevano vivere o le fatiche dei loro parenti sarebbero state vane.
- Non ti girare – ordinò alla bambina, per impedirle di scoprire ciò che era successo alla sua famiglia. Sì, forse potevano essere ancora vivi, ma le speranze erano ben poche. Lei obbedì, tenendo serrate le palpebre. Piangeva silenziosamente, ora. A Wakka fece una gran pena.
Con orrore, notò la sua gamba grondante di sangue. – Ce la fai a camminare? – domandò, sinceramente preoccupato.
Quella situazione doveva averla provata in tutti i sensi. Eppure trovò il coraggio di annuire lentamente, gemendo. Era molto forte per la sua giovane età.
Il fanciullo optò che sarebbe stato meglio caricarsela sulle spalle, per impedirle di fare sforzi e così aggravare la sua situazione. Era così minuta e gracile mentre lui era in grado di portarla senza molte difficoltà. La aiutò a salire, ed ella intrecciò le braccia accanto al suo collo, tenendo stretto in mano, per un braccio, il suo Moguri.
Non aveva fallito: l’aveva difesa.
Ma ora chi avrebbe protetto loro dalla solitudine?

L’incubo era terminato da un’ora circa. Tutto stava tornando pian piano alla normalità, mentre il paese riprendeva vita faticosamente.
Lulu, ristabilita e con la gamba fasciata, si avviò lentamente verso casa sua, fremendo dall’agitazione. Non aveva avuto modo di incrociare i suoi genitori, per strada; forse li avrebbe trovati lì, ad aspettarla. Pregò con tutto il cuore che fosse così.
Inspirò profondamente, esitando. Scostò la tenda, timidamente, che ostruiva l’ingresso. Fece un passo in avanti, varcando la soglia.
- Mamma…? Papà…? – esclamò a voce bassa, guardandosi inquieta attorno.
Nessuna risposta. Purtroppo, l’abitazione era vuota. Maledettamente vuota.
Silenziosamente, si avviò verso il letto dei suoi cari. Si rannicchiò sotto quelle calde e amate coperte, stringendo il Moguri fra le braccia.
La fredda sensazione che non li avrebbe mai più visti le attanagliò il cuore, facendole mancare il respiro. Non poteva di certo essere così. Sicuramente, si trovavano dai Sacerdoti per farsi curare le ferite inferte da Sin.
Chiuse gli occhi, stanca e spaventata, mentre bollenti lacrime sgorgavano da essi e scivolavano lungo le guance rosee. Li avrebbe aspettati lì, in silenzio, attendendo con gioia il loro ritorno, mentre la solitudine la accompagnava nel mondo dei sogni.
Sarebbero tornati presto, si disse, e l’avrebbero riabbracciata.
Sarebbero tornati presto, ed avrebbero gioito per la morte scampata.
Sarebbero tornati presto, e tutto sarebbe tornato come prima.
Sarebbero tornati presto, e lei non sarebbe più stata sola.

Vi avevo aspettati, invano, per tutta la notte. Fremevo e volgevo lo sguardo verso l’ingresso, ansiosa, aspettando il vostro arrivo. Sì, nonostante l’enorme stanchezza non avevo trovato il coraggio di addormentarmi. Attendevo il vostro ritorno.
Ancora non sapevo cosa vi era successo, ancor meno volevo accettare il pensiero ed il sospetto della vostra scomparsa.
La verità mi fu rivelata solamente la mattina dopo, all’alba di un nuovo giorno e di una nuova epoca.

Seduta al tavolo dove solitamente pranzavano, la piccola giocava con la sua bambola di pezza, accarezzando la stoffa bianca con la quale era stata realizzata.
Poteva ancora percepire l’amore con il quale sua madre l’aveva cucita per lei. Poteva ancora rivedere, vivo nei suoi ricordi, il momento in cui gliela regalò. Rievocò lo stesso sorriso di allora, cercando di auto-convincersi che tutto sarebbe andato bene.
Loro non erano morti. Stavano riposando altrove, mentre i maghi bianchi stavano medicando le loro ferite. Sarebbero tornati e suo padre l’avrebbe sollevata da terra, facendola girare su sé stessa.
Avrebbero festeggiato.
Un rumore sordo catturò la sua attenzione, dissolvendo le sue fantasie che, ai suoi occhi infantili, parevano realtà.
Una figura oscurata aveva appena scostato la tenda d’ingresso, facendo capolino all’interno.
Giunse fino al centro della stanza e la bambina ebbe modo di riconoscerlo. Era il sommo Sacerdote.
Scese dalla sedia con un balzello, avvicinandosi a lui.
- Dove sono i miei genitori? – domandò, ansiosa, mentre un nodo si stava formando sempre più nella gola. – Stanno bene, vero…?
- Lulu… - sussurrò lui, in risposta, chinandosi alla sua altezza. Il suo sguardo era ricolmo di tristezza e non presagiva nulla di buono. – Sii forte, piccola. Fallo per loro, per ripagarli delle loro fatiche. Vivi per loro, come avrebbero voluto…
Non lo lasciò finire. Nonostante che le parole utilizzate dall’uomo risultassero difficili alle orecchie dell’infante, ella aveva compreso chiaramente il messaggio che voleva comunicarle dolcemente.
Sbarrò gli occhi, respirando a fatica. Non ci poteva credere. Non voleva crederci.
Si scansò dalla sua presa, precipitandosi al di fuori dell’abitazione.
Non poteva essere vero. Loro non erano morti. Non potevano essersene andati davvero, lasciandola sola. Glielo avevano promesso: non l’avrebbero mai abbandonata.
Non avrebbero mai infranto la loro promessa!
Scoppiò a piangere, gridando come una forsennata la sua disperazione.
Due braccia l’afferrarono al volo, trattenendola.
Lulu pianse, singhiozzò e strillò come mai aveva fatto prima di allora. Tutti i paesani si affacciarono dalle loro case, osservando con compassione la bambina alla quale Sin aveva strappato le persone amate.
Wakka la strinse dolcemente a sé, lasciando che si sfogasse. Come un fratello, le carezzò le guance, asciugando le lacrime versate. Cercò di consolarla, a modo suo.
Eppure anche lui piangeva.
Perché ormai era come lui, come Chappu, come Luzzu. E non si poteva restare indifferenti davanti a quella tragica situazione, a quel duro colpo subito al cuore.
Orfani. Ecco come li aveva resi il Portatore di Morte.

Ricordo solo che piansi a lungo, ininterrottamente, mentre nella mia mente rimbombavano i suoni della guerra. Stretta al suo petto, mi abbandonai alla disperazione.
Con rammarico, oggi mi accorgo di non ricordare i vostri volti né i vostri comportamenti.
Ancor ora sento di essere grata a mio marito per avermi impedito di assistere alla vostra fine. Meglio un ricordo sfumato e plasmato a mio piacimento e desiderio, piuttosto che l’orrendo incubo di riscoprire nei miei pensieri l’immagine vivida dei vostri corpi esanimi abbandonati sulla spiaggia, sdraiati sulla sabbia, con gli occhi rivolti eternamente al cielo.
A volte ho l’impressione che voi, da qualche parte, mi stiate osservando. Mi chiedo spesso se vi sareste mai immaginati un futuro così per me.
Dopotutto i genitori desiderano il meglio e la felicità per i loro figli. Adesso lo so per esperienza.
Posso ritenermi fortunata. Ho sempre avuto accanto un amico fidato, che ora è mio marito, in grado di ridonarmi il sorriso nei momenti cruciali ed altre persone che hanno donato gioia alla mia vita. Tra le braccia, ora, stringo il mio adorato e amato figlio, la mia ragione di esistenza.
Chissà se ora i miei pensieri si stanno tramutando in realtà…
State sorridendo, voi, nell’Oltremondo?


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Il Concilio delle Maghe:
Eccomi qua! Perdonate il mio oltraggioso ritardo! ^^
A quanto pare la povera Lulu se l’era vista molto brutta… se non fosse arrivato Wakka, cosa le sarebbe successo? Non voglio neppure immaginarlo! *_*
Ammetto di aver trasformato il bel bambino di 6 anni in un piccolo principe azzurro per la nostra piccola! Il mio influsso deve averlo colpito (e affondato)!!!
Spero di non aver reso troppo PESANTE la storia… oddio, se lo è davvero sprofondo sotto terra!
E’ confermato: quando faccio un bozzetto sono sicura che all’ultima stesura saltano fuori il doppio delle pagine XD
Tornando a noi… chissà come ha preso il colpo la povera piccola. Ora che sono tutti orfani, cosa succederà in futuro? Riusciranno a cavarsela lo stesso?
O meglio… accetteranno il loro stato?
Ah, dimenticavo. Se trovate alcuni errori nel dialogo ricordate che sono voluti. Sapete com'è... un bambino che parla correttamente la sua lingua a 5-6 anni mi sembrava esagerato!!! A presto col prossimo (e UlTiMo) capitolo!
Grazie per le vostre future recensioni! Una vostra opinione è sempre ben accetta, qualunque essa sia!
Akemi_Kaires
PS: Finalmente ho trovato un nome degno per il mio angolo d’autore!!! XD
  
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