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Autore: Onigiri    13/07/2011    1 recensioni
Ci sono mostri che non stanno sotto, ma sopra i letti, e i giochi pericolosi delle farfalle, e re piccolissimi, e stelle marine carnivore, e alberi che piangono, e maschere di carne, e bambole che si vedono solo ad occhi chiusi, e mongolfiere nell'acqua con pesci di carta, e donne che piangono con forza negli angoli più bui degli incubi peggiori.
E c'è una bambina. E favole da raccontare. E legami pericolosi.
Genere: Dark, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Legame
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(Le pietre blu) 











Capitolo 11










Dopo aver guardato un temporale, alla domanda "Quante gocce di pioggia hai visto?", la risposta più adatta è "molte".
Non che il numero preciso non esista, ma non lo si può conoscere.

Ludwig Wittgenstein








In realtà non erano davvero due bambini: e se anche lo fossero stati, di certo non erano seduti, non stavano battendo le mani, non si stavano scambiando qualcosa, e neppure si stavano scontrando per sbaglio mentre giocavano a mosca cieca –perché quella sulla testa della figura rossa non era neanche una benda: era un cappello marrone con una piuma verde, e la visiera gli copriva il volto senza far vedere gli occhi.
Mila si era un po’ offesa, anche se tutte le avevano fatto i complimenti; se si era trattenuta dallo spiegare che quelli non erano bambini o macchie colorate a caso (e che non stavano giocando o tenendosi per mano e che non erano seduti ma in piedi tutti e due), era perché non voleva attirare l’attenzione di Natalie: perché Natalie, in un certo qual modo, le faceva paura.

Eppure il nome le era piaciuto così tanto, quando Sofia l’aveva pronunciato mentre diceva alla mamma che la sua collega stava arrivando con una colazione speciale per festeggiare la sua guarigione.
Trovava che Natalie fosse un suono dolce, delicato come una bolla di sapone: l’aveva ripetuto mentalmente più e più volte, aveva provato a imitare la pronuncia con le labbra quando nessuno la stava guardando, dondolando i piedi con quasi impazienza da oltre il bordo del letto.

Fissando la porta socchiusa della camera, Mila aveva aspettato Natalie e intanto l'aveva immaginata: e cercando di immaginarla, le era sempre venuta in mente la figura di un libro, quella sulla storia della bambina che due fratellini avevano modellato con la neve e che poi aveva preso vita e si era messa a giocare con loro, fino a quando non la portarono a casa e il calore della stufa la fece sciogliere in un brutto cumulo di ghiaccio e acqua sporca.
Era la storia della Bambina di neve, e lei era davvero bellissima, in quel disegno sotto il titolo della favola: era esile, pallida, le labbra bianche e i capelli chiari, gli occhi limpidi come gocce di rugiada, una fatina di porcellana dall’aria timida e irresistibilmente dolce.
E quando poi, dopo non molto, Natalie era arrivata davvero, Mila era rimasta delusa non solo perché non c’era da nessuna parte la bambina di neve della storia: quando l’aveva vista sulla porta col vassoio saldamente sollevato davanti al seno, si era subito ricordata dell’insegnante di nuoto che la sgridava perché in acqua non sapeva muovere bene le gambe –anche se Margherita era bionda, e a pensarci meglio lei aveva lineamenti più duri e la pelle più chiara, di un color yogurt che sott’acqua pareva quella di un cadavere.
Natalie, quella vera, era molto robusta e molto formosa: aveva guance rosse e rotonde come mele, le orecchie arricciate e un sorriso che sembrava cucito sulla faccia come quello del suo Kala Nag.
Pareva una brutta bambola troppo imbottita, e se anche Mila ebbe subito voglia di confidare questo pensiero alla madre, preferì invece restare zitta.

Se, otto ore più tardi, non aveva voluto attirare la sua attenzione solo per spiegare che quelli nel disegno non erano bambini o semplici pupazzetti con le braccia a stecchino, era per paura che Natalie le si portasse di fronte, enorme e imponente come un gigante, e che si abbassasse su di lei col suo sorriso larghissimo in bocca e le strizzasse ancora la guancia contro il pollice e l’indice come aveva fatto quella mattina a colazione.
Natalie le trasmetteva quasi simpatia col suo aspetto da tata pacioccona, ma l’atteggiamento così esuberante (con quel corpo tanto grande ai suoi occhi che se non fosse stata attenta avrebbe potuto distruggere qualcosa al suo passaggio) , e quel vocione a metà tra il “Bidibibodibibù” della fata madrina e l’“Ucci Ucci Ucci” dell’orco che mangia i bambini, la spaventavano abbastanza per volerci avere a che fare il meno possibile.
E dire che, dopo aver sentito la fine della storia che le aveva raccontato, e prima di vederla avvicinarsi di soppiatto e torturarle fastidiosamente le guance con le dita grassocce, aveva anche deciso che le sarebbe stata molto simpatica.

Allora Massimiliana, aveva cinguettato dopo aver versato il caffè fumante nella tazzina della mamma –difficile capire se lei era della stessa opinione della figlia su Natalie: più che badare alla domestica, continuava a guardare la porta aspettando che la ragazza che aveva mandato a chiamare Amos si decidesse a portarle il cognato.
“Ho sentito che ti piacciono le fiabe. La sai già quella delle sette frittelle?”
Mila aveva fatto cenno di no: non era neanche sicura di sapere cosa fossero le frittelle, e per un momento aveva sperato che qualche adulto nel salotto glielo spiegasse.
“No?!” aveva detto invece Natalie prima ancora che lei smettesse di scuotere la testa.
”Te la racconto io, allora! Ecco, c’era una volta un viaggiatore stupido che prima di partire per un altro viaggio è andato al mercato a comprarsi sette frittelle in tutto. Cammina cammina, all’improvviso arriva l’ora di pranzo e decide di fermarsi a mangiare.”
Il suo alito, aveva notato Mila, da così vicino odorava di dentifricio; e i denti di davanti erano molto storti, e aveva un neo sporgente al centro del mento che prima le aveva fatto schifo, ma che mentre le raccontava quella storia era diventato il particolare più affascinante della sua faccia.
E nel frattempo che lei studiava quelle cose, e contava i baffetti che spuntavano appena sotto il naso e le minuscole rughe del labbro inferiore, il viaggiatore sciocco aveva già addentato la prima frittella.
"Quando la finì, però, aveva ancora fame, e dalla sacca tirò fuori la seconda. La divorò in un boccone, e dopo quella passò alla terza. Afferrò la quarta e se la ficcò in bocca, e aveva così fame che quasi non la masticò. Il viaggiatore mangiò la quinta frittella, poi la sesta frittella, poi la settima frittella, e solo dopo aver inghiottito l’ultima rimasta si è sentito  finalmente sazio."
Natalie allora aveva sbattuto teatralmente il palmo della mano sulla fronte.
“Quanto sono distratto, ha detto a quel punto il viaggiatore: se avessi mangiato direttamente la settima frittella, mi sarebbe passata subito la fame e avrei conservato le altre sei!”  
Mila aveva sorriso alla fine della favola, poi aveva bevuto il latte col nesquik e ripensando alla storia aveva riso una seconda volta. Otto ore più tardi da quella favola, invece, le labbra si erano strette dentro la bocca in un’espressione delusa, e avrebbe quasi voluto mettersi a piangere dalla rabbia, perché nessuno riusciva a capire cosa avesse fatto coi pastelli (sembravano parlare di tutto quanto tranne che del suo disegno mentre cercavano di decifrarlo), e perché le dava fastidio che Monica e Natalie si passassero continuamente il foglio a vicenda spiegazzandone la carta e sfumando i colori coi polpastrelli, quando lei l’aveva fatto solo per Sofia.

Le altre due domestiche dello zio non le piacevano (soprattutto Monica: non le aveva mai sorriso, e quando parlava usava una erre moscia che aveva qualcosa di tremendamente antipatico), ma Sofia sì: l’adorava.
Sofia, ai suoi occhi, era bella, bella come la figlia dei draghi bianchi nel suo libro di storie orientali.
Pensava che le sarebbe piaciuto averla come sorella maggiore, farsi prendere in braccio, accarezzarle i capelli per capire come facessero a brillare tanto e guardarle il viso provando a toccarlo con le dita. Per questo era stata così contenta quando Sofia l’aveva presa per mano e portata a vedere il nido della rondine sotto il tetto.

Era successo dopo pranzo: Daniela non era ancora convinta sul farla alzare dal letto, soprattutto quando fuori era scoppiata quella pioggia fortissima e anche la casa si era fatta più fredda. Ma un po’ Natalie, un po’ Amos e un po’ i capricci della figlia, l’avevano convinta a farla mangiare in salotto. E visto che Mila sembrava effettivamente star bene come diceva, le aveva anche proposto di approfittarne per fare i compiti, e si era persino offerta di aiutarla a studiare la poesia che per settembre avrebbe dovuto ripetere in classe alla perfezione  –“La nebbia a gl’irti colli Piovigginando sale, E sotto il maestrale Urla e biancheggia il mar”.

E invece, dopo l’ultima forchettata di bistecca, Daniela si era alzata dal tavola con gambe molli, reggendosi la fronte con la mano come se la testa le si stesse per staccare dal collo da un momento all’altro: non appena tornate in camera, prima ancora che Mila riuscisse a trovare il suo quaderno nel fondo della valigia, tutta la stanchezza accumunata in quei due giorni l’aveva schiacciata contro il letto come un moscerino, e Daniela non si era più alzata fino a sera inoltrata.
Guardandola crollare in quel modo, Mila aveva pensato che se avesse giocato (perché in realtà di studiare non ne aveva voglia)  in quella stanza avrebbe potuto svegliarla, e che allora lei forse si sarebbe arrabbiata e l’avrebbe rimproverata o messa in punizione -o peggio, le avrebbe ridato un altro cucchiaio di disgustoso sciroppo; allora era uscita fuori, con il maglione della mamma sopra il pigiama, un quaderno sotto un braccio e Kala Nag stretto con l’altro, e nel corridoio aveva subito incrociato il secchio vuoto di Sofia.
“Che fai?” le aveva chiesto la domestica, e allora Mila le aveva mostrato i compiti e le aveva fatto vedere sua madre addormentata da oltre la porta socchiusa. Sofia allora le aveva preso il quaderno e l’astuccio e aveva stretto la mano nella sua: “Se vuoi, ti faccio vedere una cosa”, le aveva detto portandosi l’indice davanti alle labbra. “Però mi raccomando, è un segreto.”

Il segreto era il nido che si vedeva da un bagno bianco e azzurro; erano all’ultimo piano, proprio sotto il tetto, e il rumore della pioggia era così forte che invece di gocce d’acqua sembrava che sulla casa grandinassero sassolini.
Sofia non aveva voluto aprire la finestra, perché fuori il vento ululava e pioveva a dirotto e si era alzata una nebbiolina sottile che faceva sembrare gli alberi contorni di fantasmi agitati –un po’ come nella poesia di San Martino-  e nemmeno lei, come Daniela, voleva che Mila rischiasse di prendere freddo dopo essere appena guarita dalla febbre alta.
Avevano dovuto piegarsi di lato e allungare il collo in una posizione scomoda, ma alla fine Mila era riuscita a vederlo: non era appoggiato sopra un ramo verde, come aveva immaginato, ma appiccicato al muro e con una forma curiosa che le ricordava quella di un cono  –e più che a un cestino rotondo, come nelle figure dei suoi libri, le sembrava una specie di cuffia giallastra, o una di quelle calze che si appendono sopra il camino per riempirsi dei dolci della Befana.
Sofia le aveva detto che dovevano essersi schiuse le uova, perché da qualche giorno, quando apriva la finestra per cambiare l’aria, aveva sentito un cinguettio più stridulo e fastidioso del solito, e aveva visto le due rondini adulte svolazzare nelle vicinanze molto più frequentemente di prima. Aveva spiegato a Mila che forse ora stavano dormendo per la pioggia, ma che sarebbero tornate a vedere se riuscivano a scorgere gli uccellini non appena si sarebbe rimesso il bel tempo.
Poi l’aveva portata in cucina (dove Mila ricordava d’aver visto quelle strane scale, ma che ora non c’erano più) e l’aveva fatta sedere su uno sgabello rotondo, permettendole di esercitarsi a ripetere la poesia mentre lei lavava il pavimento, alzando ogni tanto lo sguardo dal secchio d’acqua per provare a spiegarle qualche parola che pensava fosse troppo difficile per una bambina che ancora doveva cominciare la seconda elementare  -Gl’irti, Maestrale, Borgo, Uscio, Rimirar, Esuli… .

Mila l’aveva seguita per tutta la casa, come un pulcino rincorre la chioccia, guardandola armeggiare con la scopa o le lenzuola, sbuffare stancamente contro il brutto tempo mentre reggeva a stento la bacinella col bucato, e poi fermarsi a chiacchierare con Monica e ad aiutarla a passare il lucido sul corrimano della scalinata.
A quel punto lei si era seduta su un gradino, come quando aveva incontrato Sofia per la prima volta e l’aveva scambiata per la figlia dei draghi Bianchi.
I discorsi delle due ragazze non erano molto interessanti, ma aveva provato ad ascoltarli lo stesso: parlavano del tempo, del rubinetto del lavello che perdeva e dell’idraulico che non era ancora venuto ad aggiustarlo, della cena da preparare, del basilico che mancava per fare il sugo, della spesa, del loro giorno libero, del signor Amos, del signor Amos che piaceva a Monica, del ragazzino strano che ogni tanto si affacciava dalle sbarre del cancello della casa del signor Amos e che quando vedeva Sofia da lontano la guardava come se volesse mangiarsela con gli occhi.
Mila aveva visto Sofia fissare Monica, spalancare la bocca, osservarla ridere e dirle di stare zitta cercando di cambiare argomento.
Non aveva idea di chi stessero parlando, o del perché qualcuno volesse mangiarsi Sofia: iniziò a rifletterci, col mento poggiato sul baldacchino di Kala Nag, e l’unica conclusione a cui riuscì ad arrivare era che Sofia dovesse avere un fidanzato.
Aveva subito pensato al quadro appeso in camera sua, quello che tanto le piaceva, Il Bacio: si era chiesta se loro si fossero già baciati, come i due amanti nella tela di Hayez e i principi e le principesse delle favole che le piacevano di più, ridacchiando appena nel trovare queste cose in parte divertenti e in parte un po’ disgustose. 
Ed era stato a quel punto che Mila aveva avuto l’idea.
Aveva preso l’astuccio per cercare i suoi pastelli stemperati, tirando fuori quello rosso, quello verde, quello nero, quello rosa e quello blu, aveva sfogliato il suo quaderno fin dopo la fotocopia del fumetto che la maestra di religione le aveva fatto attaccare con la colla liquida (dove San Francesco, con i piedi scalzi e le dita storte delle mani, si inchinava su un lupo nero per accarezzargli il muso e il pelo dritto della schiena) e si era messa a strofinare i suoi colori sulla carta a righe della pagina che aveva scelto per disegnare.
Nella sua mente, in quel foglio c’erano Sofia e un fidanzato che non aveva mai visto, e aveva preso come modello tutto ciò che ricordava sull’uomo e la donna del quadro nella sua stanza: il vestito azzurro e la mantella rossa, il cappello sulla faccia, il piede sul gradino, le braccia intrecciate e le bocche vicine.
Per Mila c’era un significato in quel disegno infantile, c’era una storia, e l’aveva adorato ancor prima di avere il tempo per finire la piuma sul cappello dell’uomo rosso.
Il fatto che nessuno, neppure Natalie che le aveva raggiunte con una scopa in mano e il suo enorme sorriso sulle labbra rugose, fosse riuscito a capire chi fossero le due macchie pasticciate nel foglio, l’aveva delusa e fatta quasi piangere dalla rabbia.


Ci ripensò anche poche ore dopo, mentre non molto lontano dal divano del salotto la mamma e lo zio chiacchieravano amichevolmente in paziente attesa che arrivasse l’ora di cena.
Si ricordò che Natalie le aveva poggiato una mano sulla testa accarezzandole i capelli con troppa forza, che un tuono improvviso aveva fatto tremare le finestre e sobbalzare Monica sul posto, e che poi Daniela era apparsa dal corridoio con gli occhi lucidi di sonno e un po’ preoccupata e un po’ arrabbiata con Mila per l’essere uscita senza permesso  -non la sgridò, ma il come l’afferrò subito per un braccio e la trascinò verso di sé era un modo silenzioso e chiaro per farle capire che non doveva più allontanarsi in quel modo. Sofia invece l’aveva ringraziata per il regalo con un abbraccio leggero, e lei aveva respirato l’odore di sapone sulla stoffa del suo grembiule con l’umore più sollevato di prima.
Mila smise di ripensare a queste cose solamente quando sullo schermo della televisione apparvero le prime immagini di un’ipotetica alba africana: lo zio Amos le aveva fatto portare da Natalie una videocassetta del Re Leone, e lei aveva tutta l’intenzione di godersi il cartone animato anche se ne conosceva già a memoria tutte le battute.
“Ha detto per domani, forse” stava, nel frattempo, spiegando Amos con tono di scuse, intrecciando le dita  delle mani e poggiandole sopra la coscia.
La voce era bassa, ma così chiara che nemmeno il suono insistente della pioggia contro la finestra riusciva a coprire quello delle sue parole.
“Ma non c’è da preoccuparsi, Daniela. Conosco bene Giovanni…  scusa, mi riferisco al dottor Diana. Lui prende molto sul serio il suo lavoro” sorrise  “E credo che a Mila piacerà. Sa essere un gran burlone, anche se non sembra. E dovresti vederlo esibirsi nei suoi numeri di ventriloquo: una volta, alle medie, abbiamo partecipato insieme a una gara, davanti a tutta la scuola, ma io non potevo certo competere con lui…”
Tu facevi il ventriloquo?!”
Di fronte allo sguardo incredulo di Daniela Amos si mise a ridere, e lo fece con una dolcezza che aveva del disarmante.
“Solo per un anno, non di più: mi piaceva l’idea di imparare, e all’inizio è stato anche divertente, ma non sono mai eccelso in questo campo e alla fine ho cercato altri interessi. Sai, può capitare a una certa età. Non è successo col violino, certo… ancora oggi non ho smesso di suonarlo, anche se a causa del lavoro ho finito col trascurarlo un poco.”
“Ma lo suonerai ancora per noi, vero?”

Daniela lo guardò speranzosa, e si imbarazzò nel vederlo ridere ancora, temendo d’aver messo troppo entusiasmo nelle sua parole.
Nell’osservare il cognato, pensò anche che lei aveva addosso una maglietta scolorita che le aveva sempre fatto sembrare di avere dei fianchi troppo larghi, che i suoi capelli erano in disordine e che in quel momento doveva apparire terribilmente sciatta.
Amos, al contrario, era come sempre impeccabile: tutto addosso a lui era stirato o piegato praticamente alla perfezione, come se fosse troppo abituato a curare il suo vestiario da non poterne fare a meno anche nei giorni di vacanza con la famiglia del fratello.
 In effetti, ormai Daniela non riusciva nemmeno a immaginarlo con qualcosa di diverso da una camicia a maniche lunghe o pantaloni scuri che coprivano appena scarpe sempre chiuse e sempre lucide.
Evidentemente Amos soffriva il caldo quanto aveva fantasia in fatto di abbigliamento.

“Certo, molto volentieri...”. Lui sorrise, assaggiò un sorso d’acqua e poggiò il bicchiere sul tavolo, sfiorando il bordo con la punta dell’indice.
Daniela guardò quel dito sul vetro, affascinata dal movimento circolare, lento, così preciso da sembrare innaturale.  “…ma mi dispiace non poter offrirvi uno svago migliore delle mie esibizioni musicali.”
Lei alzò il capo e incrociò il suo sguardo dispiaciuto.  “Ma…”
Amos la interruppe alzando la mano che prima stava sfiorando il bicchiere  “No Daniela, mi rendo conto che invitandovi qui non vi ho permesso di passare delle belle giornate di vacanza. E posso capire che per una bambina deve essere difficile stare con due adulti senza poter fare qualcosa per divertirsi: e Massimiliana si sarebbe meritata un trattamento adeguato alla sua età, soprattutto ora che ha perso suo padre.”
Si voltarono entrambi verso Mila, che però sembrava troppo presa dal suo cartone animato per prestare attenzione ai loro discorsi.
Daniela trattenne a forza un brivido.  Guardare sua figlia pensando a suo marito le fece venir voglia di piangere.
“N… Non è colpa tua.” si affrettò a dire scuotendo la testa con troppa forza “Davvero, Amos. Sono io che Mila…”
Amos, senza sorridere, la guardò negli occhi, inclinando leggermente la testa di lato e aspettando silenziosamente che continuasse a parlare.
Ma lei tacque all’improvviso, perché sentì un nodo stringerle la gola e la lingua irrigidirsi diventando pesante come un macigno: si accorse che la vista aveva cominciato ad appannarsi, e scosse in fretta il capo cercando si respirare più a fondo.  “S-scusa…”  sfregò il dorso della mano contro l’occhio che più sentiva pizzicare  “Voglio... voglio dire… sono contenta di essere venuta, Amos. Oliver non mi ha mai parlato della sua famiglia, e ti volevo conoscere.”
“Lo so”  Amos, quasi stesse aspettando apposta quel momento, infilò una mano nella tasca dei pantaloni e le porse un fazzoletto di stoffa: lei lo rifiutò.
“Non sapevi neanche che avesse un fratello, ho ragione? Come io d’altronde non avevo alcuna idea della vostra esistenza prima di venire al funerale.”
Daniela, con la testa china e due dita sulla guancia, annuì piano.

Ricordava bene il giorno in cui aveva scoperto dell’esistenza di un cognato: anche allora pioveva, e l’acqua era così leggera che appena si riusciva a sentirla sfregarsi contro la pelle del viso.
La gente le passava davanti, amici e sconosciuti le stringevano la mano o portavano un fiore fresco d’acquisto, sua figlia era stretta alla sua gonna e sembrava che non sempre fosse lì, che a volte si estraniasse da quel luogo e guardasse quelle persone come se nulla di quel momento le stesse appartenendo.

E poi, come apparso dal nulla, come fosse appena uscito dalla tomba che stava accarezzando con una mano, Daniela aveva visto Amos.
Con i capelli neri, con la pelle chiarissima, dai lineamenti identici a quelli dell’uomo per cui stavano celebrando un funerale.
La sorpresa l’aveva bloccata, congelata: se così non fosse stato, forse avrebbe cominciato a urlare dalla paura d’aver visto un fantasma molto prima di dargli il tempo per presentarsi.
Nel ripensare a queste cose si portò le mani sul grembo, le strinse fino a vederle diventare bianche come conchiglie. Non si accorse di quanto tempo passò in silenzio, a guardarsi le dita che si stavano torturando tra loro, e ascoltare il ronzio lontano del televisore come se avesse potuto cullarla. D’un tratto, nel cacciare fuori un sospiro, si ritrovò a mordicchiarsi l’unghia del pollice tra i denti senza neanche sapere quando avesse avvicinato la mano alla bocca: quando si rese conto di essere rimasta in quella posizione per forse troppo tempo, sussultò e alzò subito il capo. “S-scusa tanto” borbottò, allontanando in fretta la mano dalle labbra e riabbassandola sulle ginocchia per stringere la stoffa dei jeans. Cercò Amos con lo sguardo, e rabbrividì inspiegabilmente non appena si accorse del modo in cui lui la stava fissando negli occhi. Per un attimo, chissà perché, lo sguardo di Amos le fece assaggiare il gelo del terrore: ma fu un istante così breve che subito dubitò che ci fosse mai stato.

“Oh, scusami tu” Amos inclinò il capo in avanti, e il suo sorriso si fece più lieve “ma sai, guardandoti in quella posizione, mi hai ricordato mia moglie.”

In meno di un istante, l’imbarazzo di Daniela si tramutò in sbigottimento. Moglie?, le venne quasi da ripetere, ma invece non emise un fiato. Immobile sulla sua sedia, Amos sembrò afferrare subito il suo stupore, perché il suo volto assunse subito una nota divertita. “Mi dispiace non avertene parlato prima” si scusò, con la sua solita voce morbida, sfiorandosi il mento con la mano sinistra. Daniela la guardò a lungo, sfiorando istintivamente la propria fede nuziale, senza invece trovarne traccia nell’anulare di Amos. Quando lui riprese a parlare, lo fece guardandola negli occhi, senza imbarazzo “Ero sposato” spiegò, con semplicità, continuando a grattarsi il mento coi polpastrelli  “O almeno, in un certo senso era come se lo fossi. Mia moglie era una donna bella, bella e terribilmente complicata. La definirei… un labirinto. Ogni volta che credevo d’aver trovato un’uscita con lei, subito incappavo in una nuova ragnatela di percorsi.  A volte mi annoiava, il suo modo di fare. A volte, invece, non potevo non trovarlo affascinante.” Strinse appena le labbra in una smorfia indecifrabile “…in un certo senso, era anche una donna divertente.”

“e…” la bocca di Daniela le si impastò senza pietà mentre cercava di dire quello che stava pensando. Gettò uno sguardo a Mila, come per assicurarsi che non stesse ascoltando: quando la vide ancora troppo presa dal cartone animato per far caso a loro, tornò a rivolgersi ad Amos “e tua… tua moglie, è…”

“…morta? Oh, no” lui tornò a sorridere, come se quello che Daniela stava per dire fosse stata una cosa piuttosto sciocca. Le dita che prima erano su mento tornarono ad accarezzare il bordo rotondo del suo bicchiere, e il vino sul fondo sembrò tremare a quel contatto “Se ne è andata, tutto qui.”

Amos alzò lo sguardo verso la finestra, come preso da un pensiero troppo lontano per trovarsi in quella stanza. Daniela, nel frattempo, si azzardò a guardarlo ancora, e con maggiore attenzione.

Se ne è andata: cercò di capire quale potesse essere il significato preciso di quelle parole, ma non si trovò risposta.
“Comunque”
Amos si voltò a guardarla distogliendola bruscamente dai suoi pensieri. “Se avessi immaginato che ci fosse stato questo tempo non credo che vi avrei invitate per questi giorni. Vi sarete annoiate a restare chiuse qui dentro. Qui vicino abita un amico, viene sempre d’estate e nel finesettimana per controllare la sua casa: mi ha detto che in questi giorni sono venuti la figlia con i nipoti, e anche se la maggiore fa già le scuole medie forse a Mila farebbe piacere conoscerli.”
“Sicuramente sì…”
Daniela nascose le mani sotto il tavolo e le strinse nervosamente, cercando il modo più educato possibile per negare che la loro era una permanenza noiosa senza passare per una bugiarda. Mordendosi il labbro, le venne in mente un’idea  “Amos… hai voglia di giocare a carte? Io ho sempre un mazzo in valigia, per abitudine, perché, sai, mia nonna mi faceva viaggiare molto e ad ogni occasione insisteva per insegnarmi la scala quaranta o la scopa. Mila conosce solo il rubamazzo e l’uomo nero, però…”
“E’ una buona idea.”
Il sorriso di Amos tornò dolce e sereno come prima, e Daniela ne fu così sollevata da non riuscire a non ricambiare.  “Io me la cavo bene a poker, ma temo di non essere sicuro di avere le fish. Non vorrei arrivare a chiedere soldi veri a mia cognata o a mia nipote per questo. Peccato, perché avremmo potuto invitare Natalie a giocare: è un mostro a carte, oltre che in cucina”
Lei ridacchiò, poi cercò sua figlia con lo sguardo.
“Mila” chiamò, rivolgendosi allo schienale del divano. “Vuoi venire con me in camera, così ci mettiamo qualcosa addosso? O preferisci aspettarmi qui?”
Mila trattenne una smorfia scocciata, senza staccare gli occhi dallo schermo colorato: il cartone non era neanche a metà, Timon e Pumbaa non erano ancora apparsi e lei voleva vedere il loro ingresso in scena e cantare la loro canzone rivolgendosi al televisore.
Ma, attirata dallo sguardo di Amos e fissandolo a sua volta, si rese conto anche che se Daniela se ne fosse andata, lei sarebbe rimasta da sola con lo zio nella stessa stanza.
L’idea le mise addosso una paura tale che non perse tempo neanche a cercare il telecomando per mettere in pausa il cartone animato, afferrando Kala Nag per una zampa per poi raggiungere la madre in meno di quattro saltelli.
Daniela, ferma sulla soglia, la guardò aggrapparsi saldamente ai suoi pantaloni con la mano libera e sfregare la fronte e la punta del naso contro la stoffa dei jeans:  le accarezzò i capelli dall’alto, poi si inginocchiò e la sollevò tra le braccia baciandole la guancia.
“Torniamo subito.” rassicurò il cognato, ancora seduto al suo posto, ricevendo per risposta un lieve cenno del capo.
Mila tenne nascosto il viso dietro la spalla della madre fino a quando non fu sicura che lo zio Amos fosse sparito dalla sua vista.
Osservò la loro ombra stiracchiarsi e trascinarsi stancamente da sopra il pavimento, spezzarsi in tanti strani rettangoli quando salirono le scale, appiattirsi furtivamente contro il muro fin quasi sparire contro la penombra del corridoio al piano superiore.
Daniela, con ancora la mente in subbuglio per il discorso appena affrontato con Amos, raggiunse la loro camera accelerando il passo, e una volta aperta la porta, quando il buio le aggredì gli occhi, cercò subito di premere l’interruttore della luce con il gomito prima di mettere sua figlia a terra: poi sbuffò ad alta voce, massaggiandosi il collo e guardandosi attorno cercando di ricordarsi dove avesse messo la valigia.

Mila intanto guardò il quadro appeso sopra il camino, quello dell’uomo rosso e della donna con l’abito azzurro, e ripensò ancora al disegno che aveva regalato a Sofia e che nessuno aveva compreso.
Il suo viso si rabbuiò.
“…senti, tesoro” Daniela raggiunse l’armadio e lo spalancò con fare quasi impaziente. “Dopo hai voglia giocare a carte con la mamma e lo zio? Se vuoi possiamo anche insegnarti come si gioca a scopa: non hai mai provato, non è vero?”
Mila la guardò armeggiare col beauty case e imprecare tra i denti contro la cerniera che ancora una volta faceva i capricci: raggiunse la parte opposta del letto a quella dove si trovava lei, appoggiando il suo peluche sopra le coperte e salì sopra il materasso con le ginocchia. “Non con le ciabatte addosso!” la rimproverò la mamma non appena la vide in quella posizione, allora lei si mise a pancia in giù e tenne i piedi il più in alto e il più lontano possibile dalle lenzuola.
Daniela trovò il pacchetto delle carte e lo poggiò davanti agli occhi della figlia, senza aprirlo. “La Scopa non è difficile, è simile al rubamazzo, però non puoi prendere le carte dell’altro giocatore. Oppure posso insegnarti il Sette e Mezzo, nemmeno quello è poi tanto difficile… ah, aspetta!” si interruppe, rimettendosi dritta con la schiena “…prima ci mettiamo qualcosa addosso perché sta cominciando a fare freddo, ok tesoro?”
Si abbassò verso la valigia che aveva trascinato sul pavimento cercando un altro maglioncino o qualcosa di pesante da indossare. Ma quello che Mila indossava era anche l’unica cosa pesante che avevano portato. Allora decise di prendere una magliettina e di fargliela indossare sotto il pigiama: ne scelse una rosa, la appoggiò tra le coperte e al suo posto raccolse il beauty case che aveva lasciato sul letto, scoprendo che ci aveva rimesso dentro la sua spazzola quando era convinta di averla lasciata sulla mensola davanti allo specchio.
Le venne da pensare ai suoi capelli in disordine e a quanto si era sentita sciatta davanti ad Amos, e le venne da stringere le labbra tra i denti senza nemmeno accorgersene.

Moglie, pensò, dandosi subito dopo della sciocca.
“Mila, amore, aspettami qui un momento, va bene?”
Mila alzò il volto nella sua direzione, guardandola sparire dentro il bagno lasciando la porta chiusa solo a metà, e tornò a contemplare il pacchetto rettangolare delle carte, studiandolo col tatto.
Lo prese in mano e lo sentì piegarsi arrendevolmente sotto la spinta delle dita quando provava a stringerlo con più forza, poi sollevò la linguetta in alto e lo aprì quel tanto che bastava per vedere che cosa ci fosse dentro.
Tirò fuori parte del grosso mazzo, toccò le carte col pollice sentendole lisce e flessibili, studiò la strana forma a trifoglio dell’asso di fiori e il nero delle due A agli angoli in contrasto con lo sfondo bianco come il latte.
Si ricordò di Alice, della Regina di cuori che tagliava teste e un po’ di maestra Cristina che tanto gliela ricordava quando si metteva a urlare davanti a tutta la classe, e pensò di cercare quella carta per scoprire fino a che punto era somigliante alla sua insegnante.
Si fece leva sui gomiti e tornò in ginocchio sopra le lenzuola, alzando il pacchetto davanti a sé con entrambe le mani. Fu in quel momento che si accorse di qualcosa.
Come un intuizione, o un campanellino al centro del cervello. Mila rimase un momento immobile, con il mazzo di carte ancora sollevato davanti agli occhi e lo sguardo fisso sul profilo di uno dei due re rossi. Poi si voltò. Guardandola in quel momento, la stanza sembrava essersi fatta più grande. Le ombre dei mobili sembrarono stringersi sul pavimento. La luce del lampadario si fece fredda come lo scintillio sullo sguardo di un mostro. Silenzio. E poi.

Pu-Puk!

Mila sussultò rumorosamente e il suo sguardo scattò verso la finestra. Un rettangolo nero ornato da tendine di buon gusto sembrò a fissarla a sua volta con aria minacciosa. Oltre al vetro, riparata dalla pioggia dalle tegole del tetto e attirata dalla luce della stanza, una falena enorme continuò a sbatterci contro il muso nel tentativo disperato di entrare.

Pu-Puk!

La stanza tornò normale, l’aria più buona da respirare, e quel silenzio spaventoso si ruppe come uno straccio quando, dal bagno, Daniela aprì l’acqua del lavandino per lavarsi le mani. Anche Mila si tranquillizzò immediatamente, ma non staccò gli occhi dalla falena che ancora stava bussando per entrare. Con ancora le carte in una mano scese dal letto con un balzo, si avvicinò alla sedia vicino al tavolino e la trascinò a forza davanti alla finestra, fino a ritrovarcisi comodamente inginocchiata sopra. Incuriosita, disgustata e affascinata dal quell’enorme insetto, avvicinò il naso al vetro e ne osservò le ali sbattere nell’aria ad un’ipnotica velocità. Nel guardarlo, Mila si inumidì le labbra con la lingua: e se non fosse stata una falena qualsiasi, ma una fatina alla ricerca di un riparo? Quel pensiero le accese lo sguardo e le fece tremare le mani: poteva far entrare la falena, scoprire che in realtà era una creatura magica e buona che l’avrebbe ricompensata con qualsiasi desiderio lei avesse espresso, e a settembre dire a Roberto e a tutti i suoi compagni che durante l’estate lei forse non aveva fatto una bella vacanza come la loro, ma almeno aveva visto una fata. Avrebbe aperto la finestra senza pensarci due volte, se avesse saputo come si faceva.

“Ciao.” sussurrò alla falena, e quella ricambiò al suo saluto con un altro Pu-Puk! e una scrollatina d’ali non dissimile da tutte le altre che aveva già fatto. Mila la guardò ancora, sfiorando il vetro con due dita e aspettando di ricevere una risposta migliore dell’ennesimo tentativo di attraversare la finestra a furia di testate. Voleva sentirsi dire: Ciao bella bambina, mi faresti entrare che in realtà sono un folletto magico, per piacere?. Pensò che forse non l’aveva sentita, così decise di parlare più forte. Con la bocca vicinissima al vetro appannato dal suo respiro, si preparò ad alzare la voce: “CIAO!”.


Un tuono terrificante fece tremare l’intera casa, così tanto che Daniela si lasciò sfuggire la spazzola di mano e quella precipitò nel fondo del lavandino bagnato. Ma non fu il lampo accecante che si affacciò nel bagno, e poi quel tuono immensamente feroce che lo aveva subito seguito, a spaventarla di più. Fu il rumore di qualcosa caduta a terra, e poi l’urlo della figlia. Prima ancora di rendersene conto, Daniela aveva già superato la porta del bagno “Mila?!

Fece scattare lo sguardo da una parte all’altra della stanza, fino a quando non la vide correre verso di lei con una sola ciabatta sul piede. Daniela allora si abbassò immediatamente per permetterle di abbracciarla, andandole incontro col busto. Non appena raggiunta la madre e stretto le mani contro il suo collo, Mila iniziò a piangere con forza.

“Tesoro? Oddio, no, Amore… cosa c’è? Mi hai spaventato…” Daniela la strinse e le tastò la schiena come per assicurarsi che alla figlia non mancasse qualche pezzo. Alzando appena lo sguardo oltre la sua testa, vide una sedia rovesciata a terra, le carte da gioco scappate fuori dal loro pacchetto e sparse sul pavimento in un cumulo disordinato. “Ti sei fatta male? Mila, Tesoro,” Daniela costrinse la figlia a guardarla negli occhi, studiandone le guance arrossate, le labbra tremanti, gli occhi umidi di lacrime e la paura dipinta in faccia. La guardò attentamente e scoprì che si era sbucciata il gomito, ma che non era nulla che fosse più grave di un graffio. “Sshht, non è nulla, non è nulla…” la cullò, cercando, oltre che Mila, di tranquillizzare anche sé stessa e i brividi di spavento che ancora le stavano scuotendo le braccia. “Non è nulla Amore, era solo un tuono. Ti ha spaventato? Piccolina… era solo un tuono. Non era nulla.”

Provò a baciarle via le lacrime e a tirarle indietro i capelli della frangia, ma Mila scosse il capo e continuò a piangere. Poi alzò lo sguardo e aprì la bocca come se dovesse dire qualcosa, e allo stesso tempo cercò di tirare su col naso senza riuscire a dir nulla di più di qualche singhiozzo. Daniela la strinse di nuovo contro il petto. “Non è nulla” ripeté un’altra volta  “Stai tranquilla, era un tuono. I temporali fanno sempre i tuoni. Ti fa male la bua? Per questo piangi? Ora ci mettiamo…”

“…sso!”

“Come?”

Mila, tremando ancora, respirò a fondo e staccò forzatamente il viso dalla spalla della madre. Alzò il naso per cercare il suo sguardo e cercò subito di indicare la finestra senza dover allontanarsi troppo da lei “C-c’è un b-bam-bam…” ingoiò un pugno di saliva e poi provò a ripetere “C’è un bambino rosso nella finestra!”

Daniela osservò lei, la sua faccia rosa e lo sguardo lucido e serio che le stava rivolgendo. e sbatté forte le palpebre, non certa d’aver capito bene. “Cosa hai detto, Amore?”

“Un bambino! E’ là!” Mila si staccò dal suo abbraccio e le si portò dietro cercando di spingerla verso la finestra con i palmi delle mani attaccati alla sua schiena. “Guarda! C’è davvero! Mamma!”. Provò a spingerla ancora, facendola quasi cadere sulle ginocchia; allora Daniela si alzò in piedi e sollevò la figlia tra le braccia, e anche l’altra ciabatta rimasta sul suo piede cadde a terra con un tonfo. Daniela non ci badò, baciandole le guance umide per cercare di tranquillizzarla “Tesoro, era solo un tuono…”

“Mamma! C’è un bambino rosso! Guarda, è vero!”

“Ma lo avrai immaginato…”

Guarda!

Daniela si morse il labbro inferiore per trattenere un sospiro. Seguendo la direzione che il dito di Mila le stava indicando, s’incamminò verso la finestra, cercando di non calpestare le carte sparpagliate sul pavimento e di non inciampare sulla sedia rovesciata: quando le fu di fronte, sentì Mila irrigidirsi tra le sue braccia e stringersi al suo collo come se dovesse cadere a terra da un momento all’altro. Daniela le accarezzò la schiena e guardò meglio la finestra, il buio del giardino e il cielo di un colore tra il grigio e il marrone scuro. Fissò il vetro, certa di non trovare nulla. Poi sorrise. “Guarda, Tesoro.”

Mila non voleva guardare, voleva stringersi a sua madre e tenere nascosto il viso sulla sua maglietta fino a quando non fosse stata certa che non c’era nulla di cui aver paura. Non voleva guardare, ma lo fece lo stesso: e non appena girò la testa, ad accoglierla fu un familiare Pu-Puk!.

“Hai visto? Era solo una falena”

“…non è vero, non era una famela!”

“Sì, invece. Vieni che sciacquiamo la bua.”

Daniela si inginocchiò per alzare la sedia da terra con una mano, e poi si diresse vero il bagno. Mila però non sembrava volerla lasciare andare “Mamma. Non era una famela, mamma! Guarda, guarda!”


“Tesoro, ascolta” Daniela raggiunse in fretta il bagno e, sempre con la figlia in braccio, si sedette sul bordo della vasca. Quando si ritrovò gli occhi alla stessa altezza di quelli della figlia, le accarezzò i capelli con una mano, mentre con l’altra cercava di raggiungere l’asciugamano più vicino “Era un insetto molto grosso. A volte… uhm, ci sembra di vedere cose che non ci sono, perché i temporali come questo cercano di spaventarci.”

“…davvero?”

“Sì, davvero. Quindi non ti preoccupare, non c’era nulla: era solo il temporale che ti ha fatto uno scherzo un po’ brutto.”

Mentre Daniela bagnava l’asciugamano che aveva recuperato e lo poggiava sul punto che le si era sbucciato, Mila considerò le sue parole, non troppo convinta dalla spiegazione che la madre le aveva dato. Fece per aprir bocca e chiederle qualcosa, ma il bussare della porta la distrasse subito. Daniela allungò il collo per cercare di guardare fuori dal bagno. “Avanti!” gridò. Dalla camera da letto, si sentì un cigolare di porta e una camminata pesante: pochi passi più tardi, Natalie le raggiunse. “Va tutto bene?” domandò, arricciando le labbra rugose e facendo vagare lo sguardo dall’asciugamano che Mila aveva poggiato contro il gomito fino al suo volto ancora bagnato di pianto. “Tutto bene” le rispose Daniela con un sorriso cordiale “Il tuono ci ha spaventato e ci siamo fatte male” continuò, riferendosi alla figlia. Natalie annuì, il sorriso enorme che le si allargava sulla bocca colorata di rossetto. “Oh, povera pulcina.” commentò, allungando una mano verso Mila: lei credette che volesse pizzicarle di nuovo le guance come aveva fatto a colazione, e allora chiuse gli occhi e si strinse alla madre con un verso di disapprovazione incastrato tra i denti. Invece la mano di Natalie si limitò a una carezza forse troppo forte contro la sua testa. “Il signor Capitta ha chiesto di raggiungerlo in salotto. Sa, ha paura che la luce salti e che voi vi ritroviate al buio da sole. Quell’asciugamano lo vuole dare a me, così lo porto a lavare?”

Daniela annuì e fece come le aveva chiesto, ringraziandola. Si alzò dalla vasca e portò la figlia in braccio verso la camera  “Ora sai che facciamo, Tesoro?” si inginocchiò per recuperare prima le ciabatte della figlia, poi le carte per rimetterle nel loro pacchetto, baciando Mila in un orecchio e poi di nuovo su una gota  “Andiamo dallo zio Amos così ti insegno a giocare a scopa, e poi ci facciamo una partita. Che ne dici?”

“Io voglio guardare Pumbaa e Simba!”

“E va bene, guardiamoci Pumbaa.”.
"Me lo prendi Kala Nag?"
"Ma certo."

 





Quando uscirono, la luce della camera si spense, e da fuori la loro finestra tornò ad essere un anonimo rettangolo scuro.

Nel giardino, l’erba si chinava verso il terreno molle di pioggia, rabbrividendo ad ogni colpo più forte di vento e di tuoni.

Il cielo si accese un’altra volta e illuminò tutto il prato, e poi ruggì ancora come una belva che ha annusato la sua preda. Gli alberi si scossero simili a spessi brividi di febbre.

L’acqua crollò al suolo come se ogni goccia fosse un corpo appena morto.

Il bambino rosso sparì dal prato con un secco rumore di carta strappata.














 


 






Onigiri






note autrice:




Ebbene, eccomi tornata =3!
Mi dispiace mettere di nuovo di questi capitoli di transizione così noiosi, davvero >> :  ma sono importanti per la trama, e per la storia. Mi dispiace chiedervi ancora un po' di pazienza per l'azione vera e propria, ma non posso fare altrimenti. Chiedo scusa ç_ç

Per il resto... be', su questo capitolo non c'è molto da aggiungere o spiegare xD, quindi passo subito ai ringraziamenti!




 darllenwr  : Sempre così gentile, e io ti ricambio solo con i miei continui e miserrimi Grazie. Daniela è un punto più importante di quel che si può sembrare, ma non do anticipazioni ;p. E sulle nuvole posso dire che hai ragione: ce ne sono molte in vista. Ma, ripeto, non do anticipazioni u.u . Ti ringrazio ancora una volta per le tue attente, continue e bellissime recensioni! Spero che questo capitolo non ti deluda >>. Passa delle buone vacanze!


S a r s a : Grazie, grazie mille! *^* sono felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto  -ti dirò la verità, era anche uno dei miei preferiti, ghgh xD. Spero che quest'altro non faccia troppo schifo °_°. Comunque sia, ti ringrazio infinitamente, e ti auguro buone vacanze!


E, ovviamente, grazie, grazie e grazie a chiunque legga questa storia!
Auguro a tutti una buona estate, sperando sia migliore di quella che i miei genitori mi vogliono organizzare.. dhu! >>
Alla prossima. Grazie mille ancora a tutti  ^___^!
 

*onigiri





   
 
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