Si
voltarono tutti nel sentire il rumore ritmato di passi. Distinsero la minuta
figura di Chocola dal salotto, che avanzava verso di loro nel corridoio.
Vanilla osò tirare un finto sorriso allegro sperando in vano di scorgere anche
la minima ombra di sollievo nel suo viso trafitto dall’indifferenza a ciò che
la circondava. Si avvicinò cautamente a lei prendendole una mano «vuoi fare
colazione?» non desisteva dal curvare gli angoli della bocca verso l’alto,
mantenendo a fatica lo sguardo posato su quello, decisamente più forte, della
ragazza.
«no,
ti ringrazio» si limitò a dire prima sedersi accanto ai due gemelli.
«potremo
uscire e andare al luna park, che ne dite?» propose Houx affabile notando Saul
cingere fraternamente le spalle dell’amica.
«vi
devo chiedere di farmi un favore» esordì la rossa incolore lasciandoli nelle
loro espressioni attonite «voglio tornare sul monte roccioso, ma so che da sola
non ce la farei, sono stanca e…» prese un respiro come per cercare la forza di
sputare l’orribile parola che si prodigava a uscire proprio sulla punta della
lingua «debole, impotente» ammise infine stringendo i pugni sulle ginocchia «ho
bisogno che ci sia qualcuno accanto a me» rivolse un sorriso supplichevole ai
suoi amici scrollando le spalle «ho pensato a voi».
«certo,
ma…» cominciò il moro.
«perché
proprio sul monte roccioso?» completò la frase il fratello.
«è
da lì che sono cominciati gli incubi, e io ho il bisogno fisico, oltre che
psicologico, di acquietare le mie maratone notturne. Il mio corpo non regge più,
non sto in piedi» annuirono all’unisolo «se non è un problema, vorrei partire
al più presto».
«vado
a preparare la valigia» gridò Saul già diretto in camera, facendole scappare un
sorriso rallegrato dalla sua sola presenza.
«chiamo
la scuola per avvisare che farete qualche giorno di assenza» sussurrò Houx
componendo il numero, per poi debuttare più rumorosamente «fai anche la mia!»
urlò a sua volta al suo gemello con un tono non certamente troppo gentile.
«andiamo
a prepararci anche noi» disse in tono flebile la bionda sistemandosi la gonna
pervinca. Il viso diafano mostrò tutta la sua compostezza per ciò che succedeva
soltanto in quel piccolo gesto di strutturare meglio i suoi abiti. Chocola
piegò la testa su di un lato concependo questo misero pensiero, come se
improvvisamente, dopo tutto il tempo in cui si conoscevano, si fosse accorta in
quell’istante dell’autocontrollo adottato dalla sua amica. Quell’autocontrollo
era la sua forza. Si alzò seguendola, assorta nei suoi pensieri «non hai visto
Pierre?» le chiese, incuriosita dalla sua assenza, inconsapevole
dell’irritazione provocata all’altra.
«perché
ti importa tanto?» sbraitò bellicosa, facendola voltare stupita.
«scusami»
il suo fu solo un sibilo intimorito.
«non
importa, ma non impicciarti» l’incomprensibile comportamento piccato della
fanciulla la fece automaticamente azzittire, costruendo una maschera, con il
solo fine di nascondere tutto. Finita di prepararsi, raggiunse Chocola,
osservando ogni suo minimo movimento, sperando di scovare anche un solo gesto
anomalo che spiegasse il suo atteggiamento. Eppure, tutto ciò che vide furono
solo movimenti meccanici e fin troppo precisi, come se facendo tutto a comando
avesse la certezza di non sbagliare, di fare tutto in modo giusto. Notò il
copri-spalle posato sul letto, scivolare a terra, si avvicinò per riprenderlo,
ma la mano di Chocola fu ancora una volta più veloce, afferrando l’indumento
per prima. In quei pochi attimi, si senti maledettamente inutile nei confronti
dell’amica «mi prenderesti il maglione nell’armadio?» nel sentire quelle
parole, eseguì come un automa.
Nel
partire Chocola riprese, dopo diversi mesi, la sua scopa, per paura di crollare
in preda a un attacco di sonno. Il viaggio fu fin troppo tranquillo. Nessuna
gara a chi faceva prima, nessuna battuta, nessuno scherzo. Il silenzio regnava
trasformando quei movimenti librati nell’aria, i soli suoni presenti. I ragazzi
sentirono i brividi solcargli lenti la schiena alla visione del imperioso
portone che si stagliava dinnanzi ai loro occhi.
«lugubre»
commentò uno di loro spingendo a due mani la porta d’entrata, nel notare
l’ingresso spento. Chocola li superò sicura di come muoversi, respingendo anche
il minimo pensiero che si presentasse, facendole notare quanto si sarebbe
dovuta preoccupare. Raggiunsero il salone centrale, dove accesero i diversi
candelabri applicati alle pareti. I gemelli emisero un sospiro di sollievo nel
sedersi sul divano posizionato davanti al camino.
«ehi
Chocola, quante volte sei venuta qui?» domandò senza accenno di preoccupazione,
ma solo totale tranquillità nella sua voce.
«due
volte» si limitò a dire tirando fuori dallo zaino una coperta di lana,
portandola successivamente sulle esili spalle, rannicchiandosi anche lei di
fronte al focolare. Vanilla la seguì a ruota, facendole posare il capo sul
braccio.
«Pierre
era con te?» sentì una fitta all’altezza del cuore nel sentir pronunciare il
suo nome, quella lama che trafiggeva le sue orecchie fino a provare il culmine
dell’irritazione, quando il suono arrivò al timpano. Si passò nervosamente una
mano tra le lunghe ciocche di n rosso Tiziano, mentendo a se stessa, fingendo
di non aver immortalato l’immagine dell’’uomo amato nel cuore, impiantando
quella ferita che più passava il tempo, più scavava solchi, fino a cancellare i
restii di lucidità presenti nel suo animo. Sospirò pesantemente alla ricerca
del buon senso, e cercando quel barlume di nitidezza che la facesse rimanere
sveglia.
«solo
la prima» sussurrò prima di cadere vittima della stanchezza, presentatasi più
volte in quella giornata, pronta a reclamare la sua paga. Chiuse appena le
palpebre, constatando quanto piacevole fosse quel silenzio così saturo di
parole, che come una spugna assorbiva, senza ascoltarle davvero. Non poteva
opporsi a Morfeo, era più forte, e in quel momento cedere le sembrò l’invito
più florido che avrebbe potuto ricevere.
Si
sentì accarezzare dolcemente dalle sue braccia, come una cantilena. Dilatò
leggermente le narici nel percepire l’odore aromatico della cannella. La
sensazione che la travolse la fece diventare improvvisamente neonata, piena del
suo candore e purezza. Dalla sua culla, il mondo davanti le si stagliava con
una semplicità imbarazzante, una semplicità colma dei colori più vividi che
illuminavano i suoi occhi smeraldi riscaldandole il cuore. Continuò a sentirsi
dondolare dalle braccia forti che l’avvolgevano, avvertì i suoi amici
richiamarla, ma quell’invito a lasciarsi andare era più stuzzicante delle
stridule voci che la reclamavano come se avessero ancora qualcosa da spartire. Piegò
la testa, col fine di appoggiarla, nascondendosi dalle invocazioni lanciate in
suo nome. Il soffice appello dell’ombra che la ninnava prendendosi cura di lei,
fece apparire quegli attimi di una tragica perfezione, tanto da far invidia ai
narcisi in fiore. Quella percezione della realtà, di quella dimensione ovattata
e dal sapore soffice la inebriarono. Strofinò la guancia contro quel petto dal
manto nero. Non sentiva il bisogno dell’affetto di Vanilla, dell’amore di
Pierre. Tutto intorno a lei si offriva con una pienezza tale da essere
tonificante. Una pietanza di cui non si può fare a meno di cui non ci si può
pentire. In quegli attimi, la sua vita composta da sfumature nascoste, bugie,
tradimenti, gelosia, si dissolveva, entrando in quella bolla troppo brillante,
così velata nella sua composizione da commuovere il più perfido tra i
malfattori. Un sorriso si estese sulle sue labbra. Il mondo aveva di nuovo
ripreso i suoi brillanti colori. Come da bambina, nessuna guerra da combattere,
neanche l’amore di quel ragazzo –che aveva ritenuto la cosa più importante- non
riusciva a raggirarla. Sentì quel dondolio come una rapsodia. Come un aquilone,
troppo in alto per tornare a terra, ma legato da un filo, quindi incapace di
volare. Ma quel filo si stava rompendo. Respirò ancora una volta a pieni
polmoni quel profumo, lasciandosi andare a una risata gioiosa.
I
colori non si dissolvevano, e l’unica cosa che riusciva a provare, pensando ai
suoi cari, era ripudio. Le fece schifo il movimento delle foglie degli alberi,
il sapore del gelato, tutto, messo a confronto con quel magico istante,
sembrava di un’importanza nulla.
Ricordò
la prima notte trascorsa in quel castello. Il suo modo imbranato di fare, che
la fece inciampare e la portò a ferirsi il dito. Scoppiò nuovamente a ridere,
divertita da se stessa. Quell’ago… aveva tanto incolpato il suo amore, quando
era stato tutto causato da uno stupido ago. La sua gelosia dipesa da un pezzo
di legno colmo di veleno, che era andato gettato nelle fiamme. Fiamme che
logoravano la sua anima, rendendola schiava della gelosia, del possesso. L’ossessione
quasi patologica che ci fosse qualcosa di sbagliato, che alla fine si era
rivelato esserci. Rise gioiosamente rannicchiandosi con più attacco a quelle
braccia imperiose che determinavano il suo umore. Ripensò alle scenate di pura
follia che lo costringeva a subire, a tutti gli affronti immotivati, cui poi
Pierre, grazie a Yurika, aveva finalmente dato un senso. Ricordò quei graffi
nel cuore che la piegavano in due, e solo allora la risata prese un
inclinazione diversa. Aprì appena gli occhi ritrovandosi abbagliata dalla
luminosità di quelle tinte brillanti. Gli sembrò tutto dannatamente triste. E
una lacrima di malinconia le solcò la guancia. Addio.
La malinconia è la
tristezza al tramonto. Quando c’è il sintomo di malinconia vuol dire che qualcosa è
finito. E in quelle braccia un cuore aveva smesso di battere e il respiro aveva
cessato il suo ritmo, concludendo quella tragica avventura.
∞∞∞∞∞∞
«Chocola…
Chocola, svegliati» il rimbombare di quelle voci nella testa la costrinse ad
aprire gli occhi. Sbatté più volte le palpebre col fine di mettere a fuoco ciò
che la circondava. La prima cosa a stagliarsi nella sua visuale era il suo
ragazzo, che le teneva una mano sulla guancia, voltò lo sguardo da una parte,
riscontrando il volto ansioso della sua amica, poco lontano notò i gemelli,
Robin e sua madre. Accanto al poggia-testa del divano su cui era stesa, riscontrò
che accostato al suo viso, era seduto perfino Duke, scoprì confortante la sua
presenza. Si sentì sollevare e stringere al petto da Pierre. Nonostante le
facesse dannatamente piacere poter gustare ancora quel contatto, boccheggiò in
preda alla confusione.
«so…sono
morta…?» azzardò la ragazza incredula del vedere la presenza di tutte quelle
persone così care a lei.
«No.
Ma ci sei andata molto vicina» la voce bassa e burbera dell’uomo che l’aveva
allevata le giunse alle orecchie, trovandola così distinta e franca, dal fondo
della sala, dove era comodamente poggiato sulla soglia della porta che
conduceva alla sala da pranzo. Percepì le mani del biondo scorrerle con
leggerezza tra i capelli, le sue labbra sfiorarle la fronte. Quei pochi e
semplici gesti le scatenarono un irrefrenabile senso di tristezza. Si aggrappò
istintivamente alle sue spalle.
«mi
dispiace…» mugugnò in preda ai sensi di colpa, rivolgendosi a tutti i presenti
«credevo che il problema foste voi, che non riuscivate a comprendermi, quando
la prima a sbagliare era io» si passò il dorso della mano sulla guancia
indirizzando alla sua amica un sorriso carico di dispiacere «questa mattina me
la sono presa con te… ero fuori di testa» ammise emettendo una lieve risata
amareggiata, guadagnandosi un’occhiata complice e comprensiva da parte sua.
Tornò a posare lo sguardo su Pierre, abbassando lievemente la vista, passando
incessantemente un dito sulla sua camicia, come una bambina divorata dai
rimorsi «avevi ragione» sussurrò «avrei dovuto accettare l’invito a farmi
visitare da mia madre. Ho combinato solo un enorme pasticcio» sentì le dita di
lui sfiorarle il mento, fino ad alzarlo, le loro iridi si incastrarono,
trovando sollievo le une con le altre.
«tranquilla,
sono abituato alla tua pazzia, e poi, ero sicuro di avere ragione, ce l’ho
sempre» si meritò un colpetto datogli dalla ragazza, all’altezza della spalla.
«sono
stati gli aghi della gelosia, quella sera in cui sono inciampata…» tentò di
confessare la sua scoperta.
«lo
sappiamo» proruppe sua madre accigliata e anche molto arrabbiata per il
comportamento irresponsabile adottato da sua figlia «ti abbiamo ripresa in
tempo, stavi per morire soffocata. Ti ho tolto il veleno dal corpo con un
incantesimo che mi ha privato di energie, mentre il tuo fidanzato faceva i
salti mortali per non far smettere di funzionare i tuoi organi vitali» si sfogò
ancora agitata alla sola idea di poter perdere la sua prediletta.
«scusami»
bisbigliò imbronciandosi. La donna la raggiunse a grandi falcate, trovando la
sua bambina così tenera e innocente nel suo giovane splendore. Le baciò una
guancia, posando il mento sul suo capo, gustandosi la presenza della sua sola
erede. La lasciò pochi attimi dopo, ricomponendosi del tutto, e cedendola alle
cure di Pierre. Dopo ore di spiegazioni e grandi risa per l’autenticità di quei
momenti, si avviarono nelle loro camere, meno ansiosi di sapere se la loro
amica era nelle mani di quel mostro nero che attanagliava il suo cuore.
I
due fanciulli si rannicchiarono sotto le coperte, stringendosi l’uno all’altra.
«ho
creduto di perderti» le bisbigliò all’orecchio accarezzandola come per
accertarsi che non scomparisse.
«mi
sono sentita bene, quando stavo per morire… come se tutte le sofferenze che
avevo vissuto, non fossero mai esistite...» Spiegò lei, guardandolo negli
occhi. Notò la calma che ancora aleggiava nel suo sguardo.
«per
morire ci vuole un attimo. Un incontro sbagliato, il calcolo errato del tempo,
che ti fa attraversare la strada troppo presto, un passo falso o dei semplici
medicinali. La vita però va combattuta, Chocola» le passò le dita sulle guance
candide «va compresa, accettata, e non sempre è tutto sotto il nostro
controllo. Spesso, l’unica cosa che rimane da fare, è lasciarsi travolgere
dagli avvenimenti, senza opporre resistenza a ognuno di essi» le spiegò tranquillamente,
cosciente che avrebbe compreso ciò che aveva detto.
«perché
gli aghi non hanno agito subito, come successe, quando me li iniettasti tu?» il
ragazzo si portò un braccio dietro la testa, cercando le parole da dire.
«perché
non ti hanno trafitto il cuore, è stato un percorso molto più lento e tortuoso,
e quando ci sono arrivati sei stata come inghiottita. Ecco perché avevi gli
incubi, era solo un assaggio, e più si avvicinavano, più la situazione
peggiorava, condizionata anche dalle circostanze».
«e
perché soffocavo?» domandò ancora una volta presa dalla curiosità del momento.
«annegavi
nel dolore, nella rabbia» sibilò contrito nel ricordare le sue urla la notte,
rimpiangendo di non aver mai capito cosa stesse succedendo.
«se
rabbia e dolore compongono i miei sentimenti, mi chiedo cosa ci sia di bello
nel vivere» borbottò appoggiando nuovamente la testa sul suo petto. Il giovane le
rivolse, con la coda dell’occhio, un’occhiata ironica, sorridendo appena. Le
alzò leggermente il viso puntando gli occhi nei suoi. Si avvicinò ancora fino a
sentire il suo alito accarezzargli la bocca.
«questo»
si limitò a dire prima di congiungere le loro bocche in un unico dolce gesto.
Sentì i loro nasi sfiorarsi, finché non si distaccarono appena.
«diventa
tutto più interessante» asserì prima di perdersi nuovamente in quel sapore
tanto caro ai suoi sensi.
Fine.
Commenti
dell’autore:
allora,
fine molto diversa da quella che avevo già scritto. E che poi mi si è
cancellata -.-” mi auguro ne siate rimasti soddisfatti e che non vi sia preso
un mezzo infarto quando ho detto che chocola moriva. Ci tengo a precisare che
questa è la terza “fine” che scrivo, nella seconda lei moriva sul serio.
Dovreste ringraziarmi di non essere così sadica.
Spero
che questa storia sia piaciuta quanto è piaciuta a me, soprattutto perché è
stata la mia prima storia da “solista” e per me è stata veramente MOLTO e dico
molto importante per lo sviluppo del mio stile, che grazie a questo scritto si
è delineato, anche se a me fa un “tantino” schifo, poiché effettivamente non
sono brava a scrivere, anche se è quello che mi piace fare. E comunque que
sera, sera, infondo ho solo 15 anni :D vorrei ringraziare tutte le persone che
hanno letto indipendentemente dalle recensioni e da i preferiti. È bello avere
qualcuno che ti sostiene. Un bacio a tutti, e la mia prima storia è conclusa. È
stato bello arrivare fin qui da sola.
Marmelade.
P.S
un ringraziamento veramente speciale a Honey, anzi, Martina, che per me c’è
sempre. Credo che questo basti per farle capire. E comunque, congratulazione
Honey, superati i quiz della patente! Mi scarrozzerai in giro, yehh!