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Autore: Graine    27/07/2011    2 recensioni
Sulle righe di una delle fiabe della nostra infanzia, vi presento Emily, una giovane ragazza con un segreto, un dono che se svelato potrebbe costarle la vita; e Adam, lo Spirito dei sogni - come lo chiama lei - con lo strano tatuaggio di una rosa sul volto, che viene a farle visita nel mondo onirico ogni anno la notte del suo compleanno, da quando lei aveva cinque anni. C'è qualcosa di reale, in quei sogni? Oppure è tutto solo frutto dell'immaginazione di Emily? Che cosa accadrà quando nei giorni della Festa d'inverno celebrata ogni anno al villaggio, Emily riceverà le prime risposte?
Be', da quel momento la sua vita cambierà per sempre.
*IL CAPITOLO 3 è SOLO UN AVVISO INERENTE I FUTURI AGGIORNAMENTI E LE MODIFICHE CHE SUBIRANNO I PRIMI DUE GIà POSTATI*
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
 

 
Sei anni dopo

 
 
Shh, va tutto bene. Fermo così, bravo.
Un suono lieve, il clic di un grilletto che si perdeva nell'aria fredda di dicembre. Il riverbero del sole sulla neve bianca su cui spiccavano le piccole impronte della lepre che teneva sotto tiro.
Sarò veloce, un colpo solo e non sentirai nulla. Va tutto bene. Non muoverti...
La lepre si rizzò sulle zampine posteriori, arricciando il muso e annusando l'aria. L'istante dopo, i suoi occhietti scuri incontrarono quelli verdi di lei, fissandoli pur senza vederli davvero nel silenzio dell'ora che precedeva il tramonto.
La lepre non aveva paura, lei lo sapeva; aveva fatto in modo che non ne avesse, proprio come faceva sempre.
Fra cinque giorni si sarebbe tenuta l'annuale Festa d'Inverno e fra due ci sarebbe stata la cerimonia d'apertura che dava inizio alla settimana di celebrazioni al villaggio; per l'occasione vi si sarebbero riversati parecchi gruppi di visitatori da tutta la regione, senza contare le numerose carovane zingare.
La Festa d'Inverno era celebrata ovunque in quella terra, dalla costa alle montagne, e ognuno dei trenta villaggi della regione aveva le proprie tradizioni, ma quello alle pendici dello Shadow-Caster, che era uno dei dodici più importanti, in quanto riforniva di viveri direttamente la rocca situata proprio in cima al monte maledetto, il Castello dei Roses – i principi che regnavano da più di ottocento anni –, era quello che richiamava sempre il maggior numero di forestieri. Li attraeva la grande fiera commerciale che veniva allestita per l'occasione e le celebrazioni serali della settimana di festa, quando gruppi di ballerini zingari e non solo indossavano maschere abbellite con rametti di abete, pino, frassino, oppure di olmo, o bacche di biancospino e foglie di vischio, o ancora maschere rappresentanti gli animali del bosco, e danzavano ondeggiando e muovendosi sinuosi in mezzo ai numerosi fuochi accesi nella piazza principale, allietando chi li osservava con un repertorio di balli dalle coreografie sempre differenti per ognuna di quelle sette sere. Ma indubbiamente, le leggende che ruotavano intorno allo Shadow-Caster e al suo castello avevano sempre contribuito stuzzicando la curiosità dei visitatori che si recavano al villaggio in quel periodo.
Era una festa antica, quella. Una festa che serbava in sé tracce di epoche lontane in cui si onorava la natura in un modo che, ormai, non era più dato comprendere. Residui delle epoche pagane in cui non era un'unica divinità ad essere venerata e ossequiata ma parecchie, in cui vi era una divinità per ogni aspetto del creato o attività umana e le si celebrava e ringraziava in occasioni come quella.
I preti, al contrario della gente comune, lo sapevano; erano consapevoli di quale retaggio quelle feste stagionali serbassero in sé. Per questo motivo non le vedevano di buon occhio e cercavano, costantemente, di convincere i vari nobili ad abolirle e vietarle presso il popolo.
Fortunatamente, raramente venivano ascoltati.
Quelle feste erano radicate nei cuori e nelle tradizioni di tutti gli abitanti della regione, dalla costa alle montagne; scandivano lo scorrere del tempo – mese dopo mese, stagione dopo stagione, anno dopo anno –, donavano conforto nei periodi difficili, erano un momento in cui comunità anche distanti fra loro acquisivano coesione, accomunate da quel senso di appartenenza alla propria terra che solo la condivisione delle stesse usanze può dare. I nobili sapevano che se avessero assecondato le pretese dei preti avrebbero rischiato di incorrere in malcontenti, anzi: in vere e proprie rivolte, perché se la gente non mostrava interesse a unirsi per ottenere una qualche indipendenza dal controllo dell'aristocrazia, chiunque sarebbe stato, invece, concorde nel sostenere che quella stessa gente si sarebbe sollevata in massa per difendere le proprie usanze. I nobili possedevano un potere tanto antico quanto fragile; sarebbe crollato all'istante nel momento in cui non fossero più arrivati grano, selvaggina e le altre materie prime dalle campagne e dai villaggi, e di cui essi, protetti nelle loro rocche sfarzose, necessitavano. I nobili erano consapevoli che, se volevano davvero sopravvivere al mutare dei tempi, non avrebbero mai dovuto provocare le ire delle genti che governavano mettendone in dubbio le tradizioni.
I primi forestieri avevano iniziato ad arrivare proprio quella mattina e per il giorno dopo erano attese almeno tre carovane gitane provenienti dall'est. Il villaggio era, come sempre, in subbuglio. Chiunque aveva almeno una dozzina di compiti a cui assolvere tra i preparativi per la fiera e quelli per le celebrazioni serali di quei sette giorni. Ed era proprio per questo motivo che lei si trovava lì, nel bosco, quel tardo pomeriggio, tenendo l'ultima lepre della giornata sotto tiro col fucile. Era uscita a caccia con suo padre e alcuni dei giovani del villaggio per accumulare carni e selvaggina che avrebbero poi cucinato e consumato durante la sera della cerimonia d'inizio. In quello stesso momento, sua madre e sua sorella Annabelle erano a casa a cucire le decorazioni che sarebbero state appese in piazza. Una volta finita quella prima fase, sarebbero passate alla preparazione dei dolci e dei piatti più complessi che richiedevano l'impegno almeno di un paio di giorni.
Va tutto bene. Bravissimo, fermo...
E fece fuoco. Un solo colpo il cui fragore simile al rombo di un tuono riecheggiò nel silenzio fra gli alberi spogli, i rami appesantiti dalla soffice neve caduta nei giorni precedenti. Un solo colpo che centrò il bersaglio con precisione millimetrica, come ogni volta, colpendo la lepre proprio alla base del collo e uccidendola all'istante. Una morte veloce e indolore a cui lei l'aveva preparata, distraendola da quanto stava per succedere proiettando nella sua mentre immagini piacevoli, rasserenanti, immagini che non le avevano fatto presagire il pericolo, cosicché non avesse paura.
Cercava sempre di rendere la morte delle proprie prede il più indolore possibile, durante le battute di caccia. Non desiderava soffrissero. A loro serviva la carne, non era necessario che quegli animali vivessero gli ultimi istanti della propria vita attanagliati dal terrore, non se lei poteva evitarglielo. Dopotutto, quegli stessi animali vivevano delle vite semplici fatte d'istinti primordiali assecondati per la sopravvivenza: dormivano, mangiavano, si accoppiavano. E correvano quando quell'istinto diceva loro di correre. Lei lo ingannava, quello stesso istinto, ma a fin di bene. Sapeva quanto poteva essere forte il terrore provato da un animale; il più delle volte non erano davvero consapevoli di cosa accadesse intorno a loro, non come poteva esserlo  una persona, almeno – o, forse, lo erano anche di più di quanto un essere umano avrebbe mai potuto. Ma avvertivano il pericolo, e lo avvertivano con una violenza tale da far male. Le leggi che governavano il loro mondo erano più immediate di quelle che governavano il mondo degli uomini e più intense; sapevano quando erano braccati, se ne rendevano conto con un’immediatezza sorprendente, e sapevano che avrebbero dovuto correre e scappare, se volevano salvarsi. Vivere o morire, e in messo alle due alternative solo un'istintiva, primordiale, viscerale paura.
Erano creature semplici, gli animali, eppure capaci di emozioni profonde e travolgenti, seppur istintive.
Per questo lei usava il suo dono a quel modo. In fin dei conti, entrare in comunicazione con gli animali era stata una delle prime cose in cui era riuscita quando, sei anni prima, aveva iniziato a esercitare le proprie capacità, a sondare realmente il proprio dono.
E poi un unico colpo, alla base del collo. Veloce e indolore. Non se ne accorgevano neanche.
E in quell'occasione era stato un unico colpo sparato nel momento giusto, perché aveva sentito sua sorella avvicinarsi.
<< Emily? >> la chiamò, mentre l'eco dello sparo di disperdeva nell'aria.
<< Sono qui! >> le urlò in risposta, alzandosi in fretta e andando a recuperare il corpo senza vita della lepre per metterla nella bisaccia da caccia che portava alla cintura, prima che Annabelle potesse vederla. Poi, con un movimento del piede, spinse dell'altra neve nel punto su cui fino a un momento prima giaceva il piccolo animale, così da celare alla vista la macchia rossa creata dal sangue sulla coltre bianca.
La sua sorellina, che avrebbe compiuto diciotto anni proprio il marzo successivo, era la dolcezza fatta persona, pressoché incapace di vedere il male in qualcosa ed Emily cercava sempre di proteggerla il più possibile dalla crudezza del mondo. Annabelle possedeva una sensibilità fuori dal comune, oltre che un'intelligenza vivace e la testa perennemente persa in fantasticherie romantiche, ed Emily ricordava bene quando, due anni prima, aveva insistito per accompagnare lei e loro padre a caccia; Anna sapeva sparare bene quasi quanto lei ma quando era stato il momento di premere il grilletto contro la preda che teneva sotto tiro – sparare per uccidere una creatura viva, non più contro i bersagli che avevano usato negli anni per imparare, prima, e allenarsi, poi – non ce l'aveva fatta e Gregory lo aveva fatto al posto suo. E Annabelle aveva vomitato, quando si erano avvicinati per recuperare il coniglio che avevano preso e lei aveva visto la chiazza di sangue al suolo e la ferita sulla bestiola. Non era più riuscita a mangiare carne di coniglio per un mese intero, dopo quell'episodio, e anche adesso, dopo anni, faticava ancora a farlo.
<< Finalmente ti ho trovata! >> le disse spuntando da dietro il tronco bruno di un albero, le gote arrossate dal freddo, i lunghi boccoli biondi che danzavano liberi sul mantello che le avvolgeva il corpo fasciato da un vestito azzurro e uno scialle arrotolato fra le braccia.
<< Ti piace? >> domandò indicando il vestito e aprì il mantello per farglielo vedere meglio. << Lo indosserò la sera della Festa >>, sorrise e fece una giravolta su se stessa. << Ti sta benissimo, Anna >> Emily le sorrise di rimando; poi la fissò, aggiungendo al sorriso un'alzata di sopracciglio, << Di' un po', la mamma lo sa che sei uscita che lo avevi ancora addosso? Sai, vero, che si arrabbierà quando vedrà l'orlo bagnato e sporco di fango? >>. Annabelle si strinse nelle spalle, colpevole, trattenendo una risata << A dire la verità, ha cercato di fermarmi quando sono corsa a chiamarti ma io ho finto di non sentirla – ammiccò – Morivo dalla voglia di fartelo vedere! >> e i ridenti occhi d'ambra, che aveva ereditato da loro padre, si animarono di quella luce irriverente che caratterizzava lo sguardo delle giovani ragazze Wright.
Emily rise e scosse la testa – gesto che aveva finito per prendere da lui senza nemmeno accorgersene –, << Va bene – disse –, ma te la vedi tu con lei, quando arriviamo a casa! >>. Poi mise il fucile in spalla e si mosse fra gli alberi, incespicando nella neve dentro cui affondava fino alle caviglie fasciate dagli stivali alti, diretta al sentiero che da quella parte del bosco le avrebbe ricondotte al villaggio, e Annabelle l'affiancò prendendola sotto braccio e sollevando un po' l'orlo del vestito, nell'inutile tentativo di non sporcarlo oltre.
<< Come la fai lunga! A proposito, mamma e papà vogliono parlarti; sono venuta a cercarti per questo >>
<< Sì, lo so. Sono arrivati altri forestieri >>, li aveva sentiti appena erano giunti al villaggio.
<< Già, un uomo e un ragazzo. Suppongo siano padre e figlio, dato che si somigliano; a quanto sembra, papà li conosce >>
<< E sai cosa vogliono, di grazia? E perché è richiesta la mia presenza? >>, domandò Emily ironica. Annabelle ridacchiò e lo sbuffo bianco della sua risata le fluttuò davanti al viso nel freddo del pomeriggio, << Speravo me lo dicessi tu, in realtà! >>.
<< Avevo altro, per la testa >> e fece un cenno al fucile che teneva dietro la schiena << Ho sentito papà uscire dal bosco in fretta per andare ad accoglierli ma non so altro >>, spiegò.
<< Dimmi qual è il senso di avere una sorella telepatica se poi non si preoccupa nemmeno di sapere le cose in anticipo! >> la canzonò la sorella, facendola ridere.
<< Sì, sorellina, dillo a voce un po' più alta, credo che i villaggi sulla costa non ti abbiano sentita bene! >> fece l'altra sarcastica, rivolgendole poi un'alzata di sopracciglia. Annabelle le sorrise colpevole, << Tanto chi vuoi che ci senta, qui nel bosco? Siamo sole >> ma non appena terminò la frase, l'aria fu scossa dal suono di due fucilate sparate non troppo distanti da dove loro si trovavano e che fecero sobbalzare la piccola di casa Wright. Gli ultimi uomini che terminavano di cacciare prima di tornare al tepore delle proprie case.
<< Sole, eh? >> le fece eco Emily, ridacchiando mentre sfregava le mani che le dolevano per il freddo. In realtà sapeva che nessuno aveva sentito ciò che sua sorella aveva detto, ma Annabelle aveva il vizio di parlare sempre a voce troppo alta; prima a poi avrebbero rischiato davvero per quella leggerezza.
<< Oh, dai! Cosa vuoi che sentano col rumore degli spari! >> si difese, ma quando sentì che Emily cominciava a tremare si fermò.
<< Aspetta >> disse, e un istante dopo le posava sulle spalle, già avvolte dal mantello pesante, lo scialle di lana che aveva afferrato prima di uscire, ben sapendo che a sua sorella sarebbe servito. << Meglio, così? >> le domandò riprendendo a camminare. Le mise un braccio intorno alle spalle, stringendola a sé, così da trasmetterle un altro po' di calore. Emily le sorrise riconoscente, << Grazie >>. Non sapeva cosa avrebbe fatto senza la sua piccola Anna.
<< Dio, che freddo, dannazione! >> imprecò poi, sfregandosi le braccia con energia mentre continuava a camminare stretta alla sorella.
Quella neve era stata quasi salvifica, per gli abitanti del villaggio. Una fortuna che non sempre capitava, prima della Festa, considerato che spesso, negli anni passati, avevano dovuto far fronte ai temporali, numerosi in quel periodo benché fosse inverno. Per questo che l'acqua che le dense nubi avevano presagito nei giorni precedenti si fosse invece tramutata in neve, anzi che in pioggia, era stata ritenuta una manna dal cielo da tutti… fuorché, però, da lei. Perché ciò accadesse, infatti, la temperatura era scesa ulteriormente, rendendo quelle necessarie battute di caccia più pesanti di quanto avrebbero dovute essere a causa del freddo che le intirizziva le membra nonostante gli abiti pesanti.
Annabelle rise << Fortuna che Padre John non è nei paraggi o ti avrebbe già sgridata >>, dichiarò e poi si piazzò di fronte a lei, sollevando l'indice e puntandoglielo addosso con sguardo truce << Emily Wright, – cominciò imitando il tono del loro prete e tentando di rimanere seria il più possibile – quante volte devo ricordarti che non bisogna nominare Nostro Signore invano?! E che cosa sono quei calzoni che indossi?! Una donna non può portare vestiti da uomo, va contro le Sacre Scritture! E quel fucile?! Osi ancora andare a caccia come fossi un ragazzo?! Oh, ringrazia il cielo di non essere mia figlia o so io come ti avrei insegnato un po' di disciplina, quando eri ancora una bambina! Se tuo padre non mi avesse proibito di picchiarti quando eri mia alunna, oggi sapresti come comportarti! >> ed entrambe scoppiarono a ridere, riprendendo in fretta a camminare e cercando di non inciampare ad ogni passo nella neve.
<< Devo farti i miei complimenti, Anna: sei ogni giorno più brava! >> sghignazzò.
<< Grazie. Ma hai visto domenica, in chiesa, come ti ha guardata storto tutto il tempo? >>
<< Mhm, davvero? Non me ne sono accorta, stavo leggendo un libro. Dici sarà stato per quello? >> domandò sarcastica Emily, un mezzo sorriso sulle labbra rosse e gonfie per l'aria gelida.
<< Possibile >> Le rispose la sorella con altrettanto sarcasmo << Ah, ma cosa voleva stamani, quando ti ha fermata? >> aggiunse poi.
<< Più o meno, mi ha ricordato che il mio comportamento mi spedirà dritta all'inferno. Suppongo fosse il suo modo di augurarmi una buona giornata >>, sbadigliò. Il freddo le procurava sempre una lieve sonnolenza, durante il giorno – peccato che quella stessa sonnolenza sparisse all’istante, nel momento in cui avrebbe dovuto coricarsi.
Annabelle rise << Ti sei persa la sua annuale lavata di capo in piazza di poche ore fa: Mettere tutto questo impegno in una festa oltraggiosa verso Nostro Signore è peccato mortale! Finirete tutti all'Inferno! – Fece imitando di nuovo il tono del prete – E poi ci ha caldamente invitati a lasciar perdere i preparativi perché potremmo essere ancora in tempo per salvarci dall’Ira Divina >>.
<< Per Padre John commetteremmo peccato anche solo respirando >> commentò l'altra mentre alitava sulle mani fredde.
<< Già. Sono ogni giorno più convinta che, con gli anni, il vino della messa gli faccia tutt’altro che bene >>
<< Io dico, invece, che quel vino non se lo scola solo a messa >> commentò la maggiore delle due sorelle e Anna non riuscì a trattenersi dal ridere di gusto, a quell’allusione.
Continuarono a camminare scherzando a quel modo, l'una stretta all'altra e gli occhi colmi di quella complicità che vi può essere solo fra sorelle. Fu l'eco delle loro risate a precederle, preannunciando il loro ritorno alle orecchie degli uomini riuniti proprio oltre il limitare del bosco, poco prima del centro abitato, prima ancora che le due comparissero sul sentiero fra gli alberi.
Gregory Wright era fra quegli uomini; i folti capelli castani screziati di grigio qua e là, i calzoni e gli stivali sporchi di fango che usava per cacciare e il giaccone marrone scuro, di pelle di cervo col rivestimento interno di lana pesante, che non lo abbandonava mai nella stagione invernale. Era intento a parlare con due uomini, gli stessi per cui Annabelle era andata a cercare la sorella. Due uomini entrambi alti, biondi e dallo sguardo attento; due uomini che avevano l'astuzia tipica dei commercianti della costa, abituati a risolvere qualunque problema si presentasse loro con qualsiasi mezzo, come far passare carichi di merci illegali pagando qualche tangente agli uomini addetti alla sorveglianza dei porti, così che guardassero da un'altra parte.
E fu sentendo proprio le loro voci che tutti e tre si voltarono nella direzione da cui quel suono proveniva, nell’esatto istante in cui le due sorelle Wright sbucavano fra gli alberi.
<< Oh, eccole finalmente! >> disse Gregory, con un largo sorriso che gli campeggiava sulle labbra. L’istante dopo, Emily e Annabelle sollevarono lo sguardo su di lui, ancora ridendo. Incontrarono i suoi occhi ambrati e, subito, ricambiarono il sorriso che il padre rivolgeva loro.
<< Eccoci, papà! >> gli urlò Annabelle.
Emily, invece, rimase in silenzio. L’eco della risata di prima ancora nell’aria, un sorriso sulle labbra e lo sguardo che si spostava, alternando fra i due forestieri. Nel momento in cui li avevano visti, le reazioni delle due Wright erano state diverse: la più piccola aveva continuato a sorridere allegra, accelerando un po’ il passo per raggiungere il padre; la maggiore, invece, s’era irrigidita appena, troppo lievemente perché qualcuno se ne accorgesse – lui, però, lo avrebbe notato –, ma aveva continuato comunque a camminare verso di loro come nulla fosse. Nell’esatto istante in cui aveva incontrato i loro occhi, aveva capito il motivo per cui quei due erano lì; non avrebbe dovuto esserne poi tanto sorpresa, in effetti, ma il punto era che quello che aveva visto nelle loro menti non le era piaciuto. Nel più giovane dei due, soprattutto.
Aveva letto astuzia, ambizione, caratteristiche che, di per sé, non sarebbero state un problema non fosse per l’arroganza e la superbia di cui lo spirito di quel ragazzo era colmo; ma non era nemmeno quello, il vero motivo. C’era dell’altro ed Emily l’aveva visto bene. Era stato qualcosa di peggio, qualcosa che l’aveva resa irritata e un po’ inquieta al contempo, sebbene non lo mostrasse – perché da anni, ormai, aveva imparato a celare certe cose. La necessità di nascondere il suo dono aveva portato anche a quello –, qualcosa che aveva visto e capito nell’esatto istante in cui aveva incontrato quegli occhi grigio-azzurri: una morale tanto labile quanto facile alla mimesi; una morale pressoché inesistente e capace di adattarsi, di plasmarsi a ogni circostanza, così da permettere al proprietario di quegli occhi di cadere sempre in piedi e di ottenere ogni volta ciò che voleva. Aveva guardato negli occhi di una persona capace di ricorrere a qualunque mezzo per raggiungere i propri obiettivi, e quello che vi aveva letto dentro non le era piaciuto affatto.
<< Vi presento le mie ragazze >> disse Gregory, un braccio a cingere le spalle di Anna che a sua volta lo aveva abbracciato, come faceva sempre. << Annabelle, la piccola di casa, ed Emily, mia figlia maggiore. Ragazze, loro sono… >>
<< Isaac Ivory e suo figlio: Max Ivory >> lo interruppe Emily, ricevendo due sguardi sorpresi in risposta. Gregory e Annabelle, invece, erano rimasti calmi; non era raro che Emily anticipasse le risposte davanti ad estranei, lo faceva fin da piccola, e, per quanto suo padre le raccomandasse costantemente di non dare troppo nell’occhio, a quello ormai erano avvezzi, per cui entrambi continuarono a sorridere allo stesso modo di prima e sua sorella, anzi, ridacchiò.
<< Come fate a sapere chi siamo? >>, domandò Isaac, visibilmente stupito.
Emily sorrise garbata, << Nostro padre ci ha parlato spesso del ricco mercante della costa, suo amico, – spiegò – e del figlio che lo aiuta negli affari, e quando vi ho visti ho capito che non potevate essere altri che voi >>
<< E da cosa lo avreste capito, signorina Emily? >>.
Una domanda posta con tono pacato e cortese ma curioso, una domanda del tutto innocente. Eppure era bastato proprio quello stesso tono a darle fastidio, e questo a causa della persona che, quella domanda, gliel’aveva fatta.
Max Ivory, i capelli biondi spettinati ad arte e gli occhi, di un particolare azzurro-grigio, perspicaci e attenti, fissi nei suo, le stava sorridendo gentile. Quella domanda era stata un modo cordiale per rompere il ghiaccio, cercare di instaurare un civile rapporto di qualche tipo, come normalmente avviene tra persone che si incontrano per la prima volta, ma Emily sapeva che in realtà non era così. Perché in quegli occhi lei vi leggeva dentro e, per questo, quegli stessi occhi lo avevano tradito.
Quelle due iridi simulavano un’ingenuità che, invece, non avevano affatto. Tutto in lui era studiato, controllato. Calcolato. Ogni azione, anche il gesto più semplice, era il frutto di ragionamenti ben ponderati al fine di sortire le reazioni volute e, con quella domanda, il giovane aveva sperato che Emily si sentisse lusingata in qualche modo, per l’attenzione che le aveva rivolto.
Ovviamente, non poteva immaginare che lei possedesse un dono fuori dal comune. Non poteva immaginare che nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati, Emily si era vista attraverso quegli occhi e aveva letto le reazione che lui aveva avuto: la perplessità di fronte alla sua treccia scomposta e scarmigliata, di fronte al fucile che portava in spalla con tranquillità, agli abiti sporchi di fango che le davano un aspetto trasandato e che ne nascondevano la figura. Certo, aveva un viso piacevole, tutto sommato avrebbe potuto andargli peggio. Qualcosa, però, lo aveva colpito: gli occhi. Non tanto per il colore, quanto per la luce di arguta irriverenza che vi aveva visto e che lo aveva stuzzicato. Forse, dopotutto, non gli era andata poi così male, aveva pensato.
Emily ricambiò lo sguardo ma non il sorriso, << Semplice, per le vostre scarpe >> replicò soltanto.
<< Le scarpe? >>, stavolta fu Isaac a domandarlo, perplesso.
<< E le vostre giacche >>, intervenne Annabelle, sorridendo furba.
I due forestieri fissarono entrambe le giovani Wright, continuando a non capire, così si rivolsero a Gregory, ma fu Emily a rispondere loro.
<< Sono vestiti pesanti ma scomodi, non adatti ai nostri boschi o alle nostre montagne. Limitano nei movimenti. Senza dubbio, in questo momento non starete patendo particolarmente il freddo, ma sono pronta a scommettere che i piedi vi dolgano molto, stretti in quegli stivali troppo rigidi. Solo qualcuno abituato al clima temperato della costa e non avvezzò al nostro territorio li avrebbe acquistati per spostarsi nell’entroterra >>, spiegò. Ed era vero, anche se non avesse scoperto le loro identità nel momento in cui li aveva visti grazie alla telepatia, lo avrebbe capito ugualmente da quei semplici ma chiari dettagli.
I due Ivory si scambiarono uno sguardo sorpreso e poi fissarono il signor Wright, che sorrideva divertito. Le due sorelle, invece, si scambiarono un mezzo sorriso complice, come sempre.
<< Devo farti i miei complimenti, Gregory: hai delle figlie davvero perspicaci. – disse Isaac, sinceramente colpito – Piacere di conoscervi, signorine >>
<< Piacere nostro, signor Ivory >>, disse Annabelle stringendo la mano ad entrambi.
<< Te lo avevo detto, vecchio mio. Le mie ragazze non sono come le altre >>, commentò Gregory.
Emily strinse la mano ad Isaac, ma quando fu il turno di Max lo ignorò, rivolgendosi, invece, al padre. << Ho preso tre lepri, le porti tu alla signora Cooper? Ho promesso a Peter che lo avrei aiutato a montare delle decorazioni prima di cena >> e si tolse la bisaccia da caccia per porgergliela. << Certo, tesoro. Ah, Isaac, vecchio mio, – disse poi, rivolgendosi all’amico – alloggiate alla locanda dei Moore o a quella dei Price? >>
<< Abbiamo affittato una camera presso i Price e staremo lì fino alla fine della fiera commerciale >>
<< Ne sono lieto, allora mi faresti l’onore di avervi entrambi come miei ospiti, stasera a cena? >>
<< Certo, amico mio, e con grande piacere >>, sorrise il signor Ivory.
<< Bene allora. Pixie, vai tu ad avvisare tua madre prima di andare da Peter? >>
<< Ci vado io! >> intervenne Annabelle prima ancora che l’altra potesse aprire bocca, << Se ci saranno ospiti non mi sgriderà per aver sporcato l’orlo del vestito di fango! >> e l’attimo dopo stava già correndo verso casa in un vortice di boccoli biondi e mantello pesante svolazzante, mentre gli altri ridevano.
Raramente si era visto un uomo tanto orgoglioso delle proprie figlie come Gregory Wright. Isaac Ivory se n’era accorto già durante le prime volte che lo aveva incontrato, parecchi anni prima, e ne era rimasto sinceramente stupito; in realtà lo era ogni volta, perché proprio non riusciva a capire da cosa quell’orgoglio fosse motivato. Sua moglie Eireen gli aveva dato due bambine e nessun maschio, nessuno che potesse prendere il suo posto, nessuno a cui Gregory potesse insegnare il suo mestiere, nessuno che potesse prendersi cura della sua bottega o sostituirlo nei frequenti viaggi commerciali per la regione, quando fosse stato troppo vecchio per guidare il carro da solo, per quelle lunghe distanze. A conti fatti, Gregory Wright non aveva ricevuto molta fortuna, dalla sorte, eppure era orgoglioso di quelle due ragazze proprio come qualunque altro padre lo sarebbe stato se si fosse trattato di due maschi. Anzi, forse lo era addirittura di più. Isaac Ivory lo aveva sempre saputo dacché lo conosceva, ma lo aveva compreso davvero solo nel momento in cui aveva visto lo sguardo che il suo amico rivolgeva a Emily e Annabelle; il modo in cui gli occhi avevano iniziato a brillare nel momento in cui si erano poggiati sulle figlie; il sorriso inorgoglito che gli increspava le labbra quando le ascoltava parlare. Quell’uomo aveva una sincera venerazione per quelle due ragazze. Ed era una cosa così singolare e sconvolgente da lasciare Isaac spiazzato e, doveva ammetterlo, anche un po’ invidioso, sebbene nulla nel suo volto lo desse a vedere – perché era un mercante navigato, lui, avvezzo da anni a non lasciar trasparire emozioni scomode all’esterno –, poiché nonostante tutto, nonostante Isaac amasse suo figlio… la verità era che non aveva mai provato quell’orgoglio che Gregory, invece, portava dipinto sul volto.
Emily era sempre un po’ in imbarazzo quando sentiva pensieri come quelli. Non lo faceva di proposito, le succedeva e basta. Negli anni aveva imparato a nascondere le dimostrazioni più eclatanti del suo dono, ma con gli estranei e i forestieri, con le persone che incontrava per la prima volta era più difficile. Conosceva le menti di tutti, al villaggio, e le riconosceva anche a chilometri. Quando ne cercava una in particolare la trovava subito, ma non lo faceva spesso. In quei sei anni, dopo aver imparato a controllare meglio la telepatia, si era anche esercitata a escludere quel vociare confuso dalla sua testa e con le persone che conosceva da una vita, ormai, le riusciva bene; era come ascoltare con un orecchio solo: stava all’erta, sempre pronta a controllare che nessuno avesse sospetti su di lei, ma il resto era solo un leggero rumore di fondo. Non le piaceva scavare nei pensieri più intimi delle persone, non lo trovava giusto. Non ne aveva alcun diritto, lei, nella situazione opposta non le sarebbe andato a genio che qualcuno ascoltasse costantemente ciò che le passava per la testa, e per questo aveva imparato a innalzare una sorta di muro mentale fra sé e il mondo quotidiano. Ma quando incontrava qualcuno per la prima volta era diverso: lo avvertiva giungere al villaggio, come un suono più acuto nel bel mezzo di una melodia o un bagliore improvviso che colpisce gli occhi durante un pomeriggio estivo, ma non riusciva a leggerne i pensieri finché non vi si trovava vicino – per questo non aveva saputo nulla degli Ivory finché non se li era trovati davanti –; in genere era il contatto visivo a scatenare il suo dono, aprendole quella mente nuova e sconosciuta, ma, quando avveniva, poi le era difficile riuscire a escludere quella nuova voce, relegandola di nuovo oltre il suo muro. Le ci voleva sempre del tempo, giorni, prima di riuscirci.
Per questo, per lei, le settimane di celebrazioni delle varie feste stagionali erano i periodi più faticosi dell’anno. Con tutti i visitatori che si recavano al villaggio, ogni sera si addormentava con un forte mal di testa che difficilmente l’abbandonava al risveglio, facendole affrontare il nuovo giorno con un fastidioso ronzio e una morsa dolorosa a stringerle la mente. Se era fortunata e arrivava alla sera talmente stanca da cadere addormentata non appena la testa toccava il cuscino, a volte c’era la speranza che, la mattina dopo, le sue percezioni sarebbero state in uno stato di semi torpore tale da farle trascorrere il resto della giornata con la mente come immersa in una bolla ovattata. E quando accadeva lo considerava un piccolo miracolo di cui era infinitamente grata a Dio o chiunque vi fosse lassù.
<< Papà, – disse voltandosi verso di lui – io vado da Peter >>
<< Certo, Pixie. Mi raccomando, non fare tardi >>
<< Non preoccuparti, dobbiamo solo montare un paio di decorazioni. Un lavoro veloce di chiodi e martello >> lo rassicurò posandogli un bacio sulla guancia. << A più tardi, signor Ivory >> e, per la seconda volta, ignorò il giovane Max – non le sfuggì, però, il mezzo sorriso e l’alzata di sopracciglio che quello le rivolse, apparentemente divertito – mentre, il fucile ancora in spalla e le dita talmente rigide e intirizzite che la pelle le bruciava per il freddo, s’incamminava verso la piazza, dove sapeva l’amico si trovasse.
Peter Hill, figlio maggiore di Lukas, il migliore amico di suo padre, era un tipo schivo e taciturno. Raramente interveniva alle assemblee cittadine e sempre solo se interpellato. Uno dei cacciatori più bravi del villaggio, aveva solo un anno più di Emily, e loro due erano amici da quando, a otto anni, una notte d’estate, durante una delle gare di coraggio che i bambini organizzavano all’insaputa dei genitori sgattaiolando da casa di nascosto, Peter si era perso nel bosco. La mattina dopo, non trovandolo nel letto della sua camera, i signori Hill avevano dato l’allarme e dopo una mezza giornata di ricerche che non aveva portato a nulla, Emily si era inoltrata nel bosco da sola, senza dire niente a nessuno. Due ore dopo, i cacciatori usciti a cercare Peter si erano visti i due bambini, mano nella mano, andare loro incontro come nulla fosse. Emily aveva spiegato a quegli uomini come Peter si fosse perso dopo aver imboccato la strada sbagliata ad un bivio e come, quando se n’era accorto, preso dal panico aveva finito per addentrarsi ancora di più nel bosco – quello stesso bosco che adesso, più di tredici anni dopo, conosceva palmo a palmo.
E quando gli uomini le avevano chiesto come facesse a saperlo, la bambina di sette anni che era stata si era voltata e aveva indicato col ditino il terreno del sentiero da cui erano venuti.
<< Ho seguito le sue impronte >> aveva risposto con la sua voce infantile.
Aveva mentito, ovviamente. Già a quell’età era perfettamente consapevole che certe cose fosse meglio non dirle, ma al villaggio le avevano creduto. Dopo tutto era la figlia di Gregory Wright, il mercante che era anche uno dei cacciatori migliori; non era poi così incredibile pensare avesse ereditato dal padre una certa abilità. Certo non potevano immaginare fossero in realtà ben altre le capacità da lei sviluppate precocemente.
Quella era stata la prima volta che il suo dono aveva funzionato intercettando i pensieri di qualcuno che non fosse un membro della sua famiglia. E a chilometri di distanza, oltretutto.
L’amicizia tra lei e il maggiore dei giovani Hill era iniziata in quel momento e si era rafforzata negli anni; nemmeno con lei Peter era mai stato tipo di tante parole, ma Emily non ne aveva bisogno. Riusciva sempre a intuire quali fossero i suo pensieri, anche prima di decidere di esercitarsi col suo dono. Tra i due, era lei quella che parlava costantemente e il ragazzo l’ascoltava attento e quasi sempre in silenzio, ma capendo anche quando Emily avesse, invece, bisogno di una risposta fatta di parole pronunciate a voce alta. Non sapeva che Emily fosse una telepate, nonostante tutto, lei non glielo aveva mai detto. Non che non si fidasse di lui, al contrario; sapeva che Peter si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che tradirla, se mai fosse successo qualcosa, ed era proprio quello il punto: Emily non voleva che qualcun altro potesse essere potenzialmente in pericolo a causa sua.
Quando lo vide al lato opposto della piazza – gli abiti pesanti che usava per cacciare, gli stivaloni alti sporchi come i suoi di fango, la sciarpa di lana che la signora Hill gli aveva fatto a maglia qualche anno prima e i capelli castano ramati smossi dalla brezza invernale – gli andò incontro sorridendo, come sempre. Peter aveva finito di cacciare poco dopo di lei ed era uscito dal bosco mentre con suo padre e Anna stavano parlando con gli Ivory. Con la coda dell’occhio lo aveva visto incamminarsi in direzione della piazza – ovviamente, non prima di aver lanciato un’occhiata veloce a lei e ad Annabelle – insieme a James, il più piccolo di casa Hill, che ora era tornato a casa.
<< Scusa il ritardo, – gli disse poggiando il fucile alla scalinata dell’edificio dell’assemblea cittadina – sono arrivati degli amici di papà e Annabelle è venuta a chiamarmi perché lui voleva presentarceli >>.
Peter le rivolse un breve sorriso e un segno affermativo con la testa, in risposta. Nessun commento, proprio come di consueto. Non le era però sfuggito quell’impercettibile irrigidimento delle spalle dell’amico, gesto durato un solo attimo ma che lui faceva sempre istintivamente quando Emily nominava la sorella, e sorrise fra sé divertita.
Peter le passò il martello e iniziarono a lavorare alle decorazioni, veloci e precisi, chiacchierando e scherzando come loro solito – ovviamente, era Emily  a parlare per la maggior parte del tempo e Peter l’ascoltava in silenzio intervenendo solo ogni tanto con qualcuno dei suoi laconici e incisivi commenti che la sua amica tanto adorava.
La giovane, però, fra le altre cose si divertiva a punzecchiarlo, per questo non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione che le era stata servita, ormai quasi un’ora prima, su di un piatto d’argento.
<< Hai visto come stava bene Anna, col vestito nuovo? >> disse ad un certo punto, come cadendo dalle nuvole. Ma nell’istante in cui aveva pronunciato il nome della sorella, il martello con cui Peter stava per colpire un chiodo mancò il bersaglio, colpendo invece la trave di legno su cui comparve una leggera ammaccatura e schivando solo di un centimetro scarso il dito del ragazzo. Peter imprecò e le rivolse un’occhiataccia. << Che c’è, che ho detto? >> chiese lei, simulando un’espressione angelica mentre, in realtà, si tratteneva a stento dallo scoppiare a ridere.
Il giovane emise una sorta di grugnito a mo’ di avvertimento e tornò al chiodo che prima aveva mancato, stavolta centrandolo con precisione. Ma lui conosceva Emily, per questo avrebbe dovuto immaginare che la giovane non avrebbe desistito così facilmente.
<< Ho capito, – riprese infatti quella mentre colpiva anche lei un chiodo – probabilmente non lo hai visto bene a causa del mantello. Ma non preoccuparti, glielo vedrai indosso la sera della Festa. Le sta davvero magnificamente, sai? E’ azzurro, e immagino tu ricordi quanto ad Annabelle doni quel color… >> ma fu interrotta da una colorita imprecazione uscita dalla bocca del ragazzo. A quanto sembrava, questa volta Peter non era riuscito a evitare il proprio dito.
Emily non poté fare a meno di ridere senza ritegno, vedendolo tentare inutilmente di placare il dolore alla parte lesa in qualche modo.
<< Vuoi smetterla di ridere, dannazione?! >> le ringhiò contro, decisamente irritato. Emily però stava ormai singhiozzando; << Scusa – disse –, ma non ci riesco! Dio, sei troppo buffo! >> << D’accordo, allora ti aiuto io >> grugnì  di nuovo l’altro mentre si chinava minacciosamente verso la coltre bianca al suolo. << No! La neve no! >> obbiettò, allora, quella tornata improvvisamente seria, mentre arretrava guardinga. Gli indici alzati in chiaro segno di avvertimento. Schivò una pericolosa sfera bianca e ghiacciata lanciata verso di lei giusto un attimo prima che la colpisse. Fortunatamente, in quei casi il suo istinto di autoconservazione unito all’avversione che provava per il freddo si dimostravano ben più forti di qualunque senso di colpa potesse provare nel leggere la mente di qualcuno senza permesso. L’istante dopo si trovò a ridere insieme a Peter, con cui aveva ingaggiato una battaglia a palle di neve improvvisata e senza esclusione di colpi, all’insegna di quella dolce disonestà tipica fra amici.
Peter era innamorato di sua sorella Annabelle fin quasi dall'infanzia ed Emily lo sapeva bene, esattamente come sapeva quanto l’amico divenisse timido e poco propenso al dialogo – più del solito – quando si trovava vicino alla piccola Anna. Ovviamente, per quel motivo non perdeva occasione per prenderlo in giro, ma la verità era che le sarebbe piaciuto davvero se la sua sorellina si fosse, un giorno, innamorata a sua volta di lui, perché dubitava che al mondo potesse esservi un uomo che avrebbe potuto amarla con una tale abnegazione. Annabelle sognava le fiabe d’altri tempi, ed Emily era certa che, con Peter, l’avrebbe vissuta, perché conosceva entrambi meglio di chiunque altro. Quello che Peter provava per sua sorella, Emily lo aveva visto e letto solo un’altra volta in vita sua: erano l’amore e la venerazione che suo padre riversava ogni istante su sua madre.
In effetti, di ciò che il maggiore dei cinque figli di Lukas Hill provasse per la piccola di casa Wright era perfettamente al corrente tutto il villaggio. E ovviamente, l'unica che lo ignorasse era proprio la destinataria di quel sentimento. A volte, Emily si chiedeva come potesse sua sorella essere davvero così cieca. Non era necessaria una sensibilità verso i pensieri e le emozioni altrui come la sua, per rendersi conto di ciò che Peter provava, nonostante il giovane tentasse di nasconderlo. Proprio per questo motivo, al villaggio, c’era chi riteneva Annabelle in realtà lo sapesse e fingesse semplicemente di non capirlo, magari considerando Peter Hill ben al di sotto di ciò a cui lei credeva di poter ambire. Ma Emily meglio di chiunque altro sapeva che non era vero; l’unico problema di sua sorella era quanto fosse irrimediabilmente distratta. E chiunque la pensasse diversamente, lo faceva unicamente perché mosso dall’invidia che l’anima pura della sua sorellina sembrava attirare come un magnete; era l’incapacità di credere che qualcosa di così innocente esistesse davvero e la voglia, no, la necessità di sporcarlo con false supposizioni, maldicenze o peggio, a spingerli a parlare.
Fu però un momento, quel suono più acuto nel bel mezzo di una melodia, ed Emily smise di ridere, voltandosi vero il lato opposto della piazza con ancora il braccio alzato e pronto a lanciare la palla di neve ghiacciata che teneva nel palmo. Aveva sentito una voce, più acuta delle altre perché nuova, farsi strada fra i vicoli ormai bui del villaggio e avvicinarsi a dove lei si trovava; l’eco dei pensieri di quella mente che l’aveva indisposta dal primo istante in cui vi aveva letto dentro. Peter, che la conosceva bene, comprese immediatamente che qualcosa non andava dal repentino cambio d’espressione sul volto della sua amica e smise di ridere anche lui, fissandola con un sopracciglio alzato, in attesa. Non le chiese il motivo del suo comportamento; sapeva che non era necessario, perché la spiegazione di Emily non avrebbe tardato ad arrivare, come sempre.
<< Sta arrivando una persona >> dichiarò infatti la giovane, e nello stesso istante Max Ivory sbucò dal vicolo dall’altro lato della piazza, facendosi strada verso di loro nel buio della sera ormai calata.
<< E’ uno degli uomini che papà ci ha presentato prima >> continuò, ancora senza che lui glielo avesse chiesto. La palla di neve lasciata mollemente cadere al suolo, vicino al suo piede. << Lui e il padre sono commercianti della costa, stasera sono a cena da noi. Suo padre è amico del mio da anni, ma lui non mi piace affatto >>. Di nuovo, Peter non le domandò il perché non le piacesse; si fidava di Emily abbastanza da sapere che quando diceva una cosa del genere su qualcuno aveva ragione. Emily non gli aveva mai detto nulla riguardo la telepatia ma questo non implicava che il giovane non fosse giunto autonomamente alla conclusione che lei avesse qualche capacità particolare. Dopotutto, era stata lei la bambina di sette anni che si era recata nel bosco sapendo perfettamente dove trovarlo e salvandogli così la vita, e quello non era stato l’unico episodio insolito successo da allora in quei successivi tredici anni – per non parlare di quelli avvenuti in precedenza. Inoltre, negli anni, Emily si era sempre dimostrata la migliore amica che Peter potesse desiderare, ricordava bene le volte in cui si erano difesi a vicenda e, d’altro canto, lui era una delle poche persone con cui Emily potesse permettersi delle stranezze senza, per questo, rischiare qualcosa o essere ritenuta strana.
<< Sai cosa vogliono? >>, le domandò invece.
<< L’ennesima proposta di matrimonio >>
<< Te l’ha già chiesto? >>
<< No, ma lo farà a breve >>.
Il giovane calò di nuovo la testa in segno d’assenso, << Va’ a casa – le disse – qua finisco io >>. Emily si voltò a guardarlo, << Sicuro? >>
<< Sono le ultime due assi, posso pensarci da solo >>, spiegò afferrando di nuovo il martello e tornando al suo lavoro. La giovane sorrise, << Va bene, allora. Grazie, Peter, ci vediamo domani >>.
Recuperò il fucile e andò, tutt’altro che entusiasta, incontro al giovane Ivory.
Lui l’accolse con l’ennesimo sorriso gentile, suscitando in lei unicamente insofferenza.
<< Signorina Emily, ero venuto a cercarla >>
Emily lo fissò interrogativa e sollevò un sopracciglio ma tutto, nell’espressione del suo viso, faceva intendere quanto quell’incontro non le fosse gradito. << E’ successo qualcosa? >> domandò secca. Sapeva già la risposta, ma doveva fingere per amore di normalità.
<< No, affatto. Sua madre ha detto che la cena è quasi pronta e si stava preoccupando perché ancora non la vedevamo tornare >>
Il sopracciglio della giovane, allora, s’inarcò ancora, mostrando chiaramente quanto fosse scettica; avrebbe capito che quella era una bugia anche senza la continua voce, che ancora non riusciva a escludere, dei fastidiosi pensieri di quel biondino nella testa.
<< Ho ragioni sufficienti per credere che mia madre non sia preoccupata affatto per il mio ritardo, esattamente come non lo è mai stata >> dichiarò e subito dopo lo sorpassò, diretta a casa.
Max Ivory rise divertito e l’affiancò. << E’ vero, non mi ha mandato tua madre. Sono voluto venire io >>
<< Da quando siamo passati al ‘tu’? >>
<< Sarebbe così brutto diventare amici? >>
Non gli rispose, era disgustata dalla falsità di cui erano sature quelle parole. Sapeva qual era lo scopo degli Ivory e sapeva che, qualunque cosa quel ragazzo avesse detto, era solo un modo per renderla ben disposta ad accettare.
Percorsero il resto del tragitto in silenzio e quando entrarono dentro casa, trovarono Gregory e Isaac che discutevano di affari in salotto, insieme a Eireen, anche lei divenuta abile commerciante, che – Emily lo sapeva – si alzava dal bracciolo della poltrona a intervalli più o meno regolari per controllare la cena.
<< Oh, siete tornati. Sarà pronto in tavola fra mezz’ora >> li accolse sua madre, andando loro incontro.
<< Max, dà pure il cappotto a me. Emily, hai le mani ghiacciate! E i vestiti sono completamente bagnati! Non avrai fatto di nuovo a palle di neve con Peter?! – la rimproverò – Va’ a cambiarti, subito, prima di buscarti qualcosa e leva gli stivaloni qui o sporcherai di fango ovunque, su! >> e la spinse verso il corridoio che portava in camera sua che ancora saltellava su di un piede solo nel tentativo di togliere l’altro stivale.
Quando chiuse la porta, trovò Annabelle di spalle, intenta a guardare fuori dalla finestra la neve che aveva ricominciato a cadere.
<< Sono arrivati circa mezz’ora fa >> le disse.
<< Lo so. Il figlio è pure venuto a cercarmi >>
Annabelle ridacchiò, << Mamma ha cercato di dissuaderlo ma lui ha insistito >>. Emily storse il naso, << Max Ivory pensa di poter ottenere qualunque cosa insistendo >> osservò.
<< Qualcosa mi dice che tu lo convincerai del contrario >> le sorrise ancora la sorella, girandosi finalmente a guardarla.
Emily si era ormai spogliata quasi del tutto, aveva tolto le varie giacche e camicie pesanti che indossava per andare a caccia e ora stava togliendo la cinghia così da liberarsi anche dei calzoni, ormai fradici di neve. Si sedette sul letto per sfilarli e quando si rialzò era rimasta con solo la leggera camiciola bianca e lunga fino alle cosce che usava come biancheria. Intirizzita, si diresse camminando sulle punte sul legno freddo del pavimento, verso la cassettiera vicino alla porta, su cui poggiò il braccialetto che la sorella le aveva fatto anni prima, e prese il fermaglio che vi stava sopra usandolo per fermare quel che restava della sua treccia, ormai quasi del tutto disfatta, sulla nuca. Annabelle si avvicinò a lei, le prese la mano e la condusse alla grande vasca di legno piena fino a metà d’acqua calda che aveva provveduto a riempire giusto un attimo prima che rientrasse in casa, e l’aiutò ad entrarvi, non prima che l’altra si fosse sfilata anche quell’ultimo indumento.
Nelle sere invernali o dopo una battuta di caccia, un bagno caldo era l’unica cosa che riuscisse a riscaldare davvero Emily, oltre a essere l’unico momento della giornata in cui, nelle settimane di festa, immergendosi completamente sotto la superficie dell’acqua, il naso tappato da una mano e gli occhi chiusi, riuscisse a rilassarsi escludendo il vociare continuo e caotico dei pensieri delle centinaia e centinaia di forestieri.
<< Grazie, Anna >> le disse rabbrividendo piacevolmente quando si sedette, il corpo finalmente immerso fino al collo in quel liquido caldo e profumato.
Annabelle l’aiutò a lavarsi, come ogni sera, passandole sulla schiena e sulle spalle una spugna bagnata e profumata coi sali che loro padre aveva portato dall’ultimo viaggio, ormai quasi un mese prima.
<< Pixie, sei pensierosa. Cos’hai? Nemmeno l’aver passato un po’ di tempo con Peter sembra aver migliorato molto le cose >>
La giovane sorrise, a volte non era del tutto certa di essere l’unica telepatica, fra le due. Sua sorella la conosceva fin troppo bene per non saper interpretare anche il più insignificante gesto da lei compiuto – o anche i gesti che lei non aveva compiuto.
<< Non preoccuparti, sto bene >> la rassicurò. Ma Annabelle aveva ereditato come lei la testardaggine dei Wright – no, l’ostinazione.
<< Dico sul serio, cosa c’è? >>, insistette infatti.
La maggiore sospirò ma rimase ostinatamente in silenzio, gli occhi puntati sulle fiamme crepitanti del camino. Non aveva voglia di condividere i pensieri e l’inquietudine che le affollavano la mente in quel momento, non lo trovava necessario, non quella volta. Non c’era alcun motivo perché una piccola ruga di preoccupazione spuntasse sulla fronte della sua dolce e ingenua Anna. Finché non sentì due braccia avvolgerle il collo, da dietro, il mento di sua sorella che si poggiava sulla sua spalla mentre una ciocca riccioluta e bionda scivolava sul pelo dell’acqua della vasca, inzuppandosi.
<< Sorellina? >> la supplicò quasi, ma lei non rispose di nuovo.
<< Emily, – la chiamò allora un’altra volta – ehi, da quando esiste qualcosa di cui non puoi parlare con me? >> e quel tono così basso e triste, quasi più simile ad un bisbiglio, le strinse il cuore. Solo raramente aveva sentito parole pronunciate con quel tono uscire dalla bocca della sua Annabelle e, ogni volta, era stato in situazioni tristi e dolorose, come quando era morta la loro nonna materna, che erano ancora delle bambine, e avevano passato la notte strette l’una fra le braccia dell’altra, piangendo e bisbigliando il proprio dolore. Quel pensiero la disturbò, la infastidì più del normale e con un’immediatezza disarmante e dolorosa, accrescendo l’inquietudine che già l’attanagliava, tanto che, per un attimo, temette che quello potesse essere un presagio; come il segnale che qualcosa di brutto presto si sarebbe abbattuto sulle loro vite, disturbandone e cambiandone il corso. Rabbrividì e prima ancora che se ne rendesse conto, una mano era già uscita dall’acqua andando a stringere un braccio di Annabelle che ancora le avvolgeva il collo, incurante di starle bagnando ulteriormente la manica del vestito con cui si era cambiata.
<< Scusa, hai ragione >> disse in un sussurro, e piegò la testa di lato così da toccare quella della sorella << Non c’è niente che non vada, in realtà. Ho solo una brutta sensazione >>
<< Riguardo gli Ivory? >>
<< In parte, sì. – sospirò – Max non mi piace, ho visto la sua mente ed è quel genere di persona disposta a ricorrere a qualunque mezzo per ottenere ciò che vuole e questo mi preoccupa >>
<< Che intendi dire? >> le chiese ancora l’altra. Anche se era voltata, Emily poteva comunque vedere la sua fronte corrucciata nel tentativo di capire.
<< Poco fa, hai detto che io gli farò capire che non può ottenere qualcosa solo perché la vuole >>, spiegò.
<< Sì >>
<< Il problema è che non è abituato a ricevere un no come risposta >>.
Con nessuno fuorché Annabelle lo avrebbe ammesso.
Da sempre, loro due erano state le confidenti l’una dell’altra; nessun altro legame che Emily possedesse al mondo era paragonabile a quello che aveva con la sorella e lo stesso era per Anna. Erano anime gemelle, le loro; spiriti uniti in un modo che, ai più, era inimmaginabile.
Ma quella frase, il cui peso sembrava aver schiacciato ogni cosa, nella stanza delle due ragazze, per un istante infinito, inglobando tutto come in un vortice colmo di una gravità palpabile, rimase così, sospesa nell’aria come un’eco, perché qualcuno bussò alla porta e la figura materna e aggraziata di Eireen fece il suo ingresso nella stanza, facendo morire sul nascere la domanda che Annabelle stava per porre.
<< Tesoro, sei ancora nella vasca >> una costatazione più che una vera domanda, sapeva bene quanto la maggiore delle sue figlie avrebbe volentieri trascorso anche giornate intere immersa nell’acqua calda. << Di là è quasi pronto e non è educato fare aspettare gli ospiti, lo sai >> fra le braccia teneva dei panni puliti che depose sul letto, panni con cui Emily potesse asciugarsi dall’acqua del bagno.
<< Sì, mamma. Esco subito >> le rispose alzandosi. Uscì dalla vasca rabbrividendo e gocciolando acqua sul pavimento, mentre Eireen scuoteva la testa sconsolata a quella vista.
<< Asciugo io dopo >> la rassicurò con un sorriso colpevole.
<< Almeno sei riuscita a riscaldarti? – le domandò invece la madre sedendosi sul letto – Quando sei tornata eri davvero fredda. Come fai a essere tanto imprudente da fare a palle di neve senza avere con te nemmeno dei guanti? Soprattutto considerando quanto odi il freddo >>.
<< E’ stato lui a cominciare >> si difese Emily, poi afferrò un panno e se lo avvolse addosso. Mezza verità, Peter l’aveva fatto per vendicarsi, dopo che lei lo aveva punzecchiato come suo solito. Mezza verità che, ovviamente, sua madre le lesse in faccia perché le lanciò un’occhiata che, senza dubbio, doveva essere di rimprovero, ma che cozzò irrimediabilmente con il sorriso che la donna tentava di reprimere e con scarsi risultati. Dimostrazione che una madre non aveva la necessità di leggere nel pensiero.
<< E’ incredibile quanto quel ragazzo si apra con te, Pixie. Con me è sempre così serio e silenzioso, non mi guarda nemmeno in faccia quando mi parla. Quelle rare volte che lo ha fatto, voglio dire >> commentò Annabelle alzandosi da terra. Il vestito pulito con cui si era cambiata era schizzato d’acqua, le maniche erano quasi zuppe nella parte inferiore e la ciocca che era caduta nella vasca quando si era sporta per abbracciare la sorella le stava bagnando la parte alta del corpetto. Si avvicinò al fuoco, nel tentativo di asciugarsi giusto un po’, mentre continuava a fissare la sorella.
<< E’ incredibile quanto tu sia così… così, Anna >> le fece eco Emily, divertita. Il come non comprendesse il comportamento di Peter era un mistero, un po’ come la sua capacità di dormire in qualunque condizione e con qualunque tempo all’esterno.
<< Così? – i grandi occhi d’ambra la fissarono confusi – Così come? >>
<< Emily? >> sua madre la chiamò prima che potesse rispondere alla sorella.
Si voltò verso di lei ma sapeva già cosa volesse dirle.
<< Tranquilla, mamma >>
Eireen la fissò qualche momento e poi fece segno d’assenso con la testa. << D’accordo. Fate in fretta, mi raccomando >> disse soltanto e l’attimo dopo uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Emily si rivestì in fretta e vicino al camino, così che le sue fiamme prolungassero la piacevole sensazione di benessere che il bagno le aveva lasciato. Indossò delle camicie pulite – a strati, come suo solito – e i calzoni che usava normalmente ogni giorno, nessun vestito o altro che potesse far supporre a Max Ivory che lei avesse voluto agghindarsi per lui; sopra le camicie, infine, indossò il corpetto di cuoio marrone scuro che la madre le aveva regalato anni prima e che,da quel momento, aveva insistito affinché portasse ogni giorno, per sostenere il seno prospero che entrambe le giovani Wright avevano ereditato da Eireen. Prima che uscisse dalla stanza, però, Annabelle la costrinse a sedersi sul letto per farle nuovamente la treccia. Più per la sofferenza che le provocava l’idea di doverla osservare disfatta a quel modo per un altro paio d’ore, che per altro.
<< Bene, ho fatto. Ora possiamo andare >>
<< Annabelle? >> la fermò per un polso prima che si avvicinasse alla porta.
<< Riguardo a prima… Comportati normalmente, di là >>
<< Credi di sbagliarti? >> le domandò la sorella.
<< No, affatto. Però potrei star esagerando e magari non accadrà nulla. Soprattutto, non voglio che mamma e papà si preoccupino oltre, quindi comportati semplicemente da Anna, d’accordo? >>
<< Certo, Pixie, – le sorrise – non preoccuparti >>
In cucina, Eireen era intenta a controllare per l’ultima volta la cena, ancora pochi di minuti e avrebbero potuto sedersi a tavola. Emily rimase ad aiutarla disponendo piatti e posate, mentre Annabelle andò in salotto dove venne accolta da tre sorrisi di cui Emily sapeva essere sinceri solo due.
<< Tua sorella è ancora dentro la vasca? >> le domandò Gregory. Annabelle scosse la testa, << Aiuta mamma in cucina >>.
Poi l’occhio le fu attirato da qualcosa e sorrise divertita avvicinandosi al giovane Ivory che le dava le spalle.
<< Faresti meglio a posarlo o mia sorella potrebbe diventare di colpo violenta. Detesta che gli estranei tocchino i suoi libri >>.
Il ragazzo sobbalzò appena, puntando poi gli occhi grigio-azzurri su di lei.
La bellezza di Annabelle lo abbagliò per qualche istante, tanto che non le rispose subito. Troppo rapito dalla pelle chiara del suo collo, così esposto alla vista nonostante il vestito sobrio, e dai lunghi riccioli biondi che le ricadevano sulle spalle e sul seno, e che le incorniciavano il volto. La giovane sorrise furba e alzò un sopracciglio – troppo ingenua per poter davvero immaginare ciò a cui il suo interlocutore stesse pensando in quel momento – e fu la luce vivace e irriverente che le vide nelle iridi d’ambra a riportarlo alla realtà, la stessa luce che lo aveva stuzzicato in sua sorella. Era un vero peccato che i Wright non volessero ancora che la minore delle loro figlie si sposasse. Certamente non era più una bambina, avrebbe fatto diciotto anni entro pochi mesi e alla sua età altre giovani del suo villaggio avevano già un marito e almeno un figlio. Ma i suoi genitori erano stati chiari riguardo quel punto, esattamente come lo erano stati sul fatto che l’ultima parola su una qualunque proposta non spettasse a loro.
Si schiarì la voce << Oh, mi spiace >> disse e lanciò un breve sguardo al libro che teneva aperto in mano, prima di tornare a fissare la ragazza che aveva davanti. << Non sapevo fosse suo >> e riposò il volume nello scaffale da cui lo aveva preso.
<< Per la verità, quasi tutti i libri che ci sono in casa appartengono a Emily >> gli spiegò la giovane, poggiandosi con la schiena alla libreria del salotto. << In camera nostra abbiamo due librerie piene e altre tre mensole occupate solo dai sui libri, qui tiene quelli che non entrano più da noi >>
<< Non sapevo fosse un’avida lettrice. Avrei potuto portarle qualche nuovo romanzo arrivato con l’ultimo carico delle nostre navi >>
<< Nemmeno quello l’avrebbe bendisposta >> fu il serafico e divertito commento di Annabelle, prima di muoversi e scomparire verso la cucina.
La cena trascorse tranquilla e senza spiacevoli incidenti. Anzi, tutto sommato fu anche piuttosto piacevole. Emily conversò col signor Ivory ed entrambe le sorelle Wright mostrarono ai loro ospiti come ne sapessero, di affari, esattamente quanto i genitori.
<< Devo dire, Gregory, che sono ogni minuto più colpito dalle tue ragazze. – Commentò infatti Isaac – Parlando in franchezza, ho sempre creduto che avere due figlie fosse per te uno svantaggio e invece mi accorgo che entrambe potrebbero tranquillamente prendere il tuo posto, quando deciderai di ritirarti >> << Infatti lo faremo >> gli rispose Anna.
<< E’ vero >> confermò Eireen ed Emily sentì chiaramente il moto di orgoglio di sua madre, prima che continuasse << Tutto quello che Gregory e io abbiamo fatto in questi anni appartiene a loro e le ragazze sembrano voler continuare il nostro lavoro >>.
Ed era effettivamente così, né il padre né la madre le avevano mai forzate in qualcosa, avevano preso autonomamente quella decisione; se le due giovani avessero avuto altri desideri, Gregory avrebbe venduto l’emporio e il carro, così da garantire loro una buona rendita per il resto della vita, consentendo alle due sorelle di trascorrerla nel modo che avrebbero preferito – i Wright, inoltre, erano diventati una famiglia già di per sé parecchio benestante. Entrambe, invece, avevano mostrato da subito interesse e propensione verso il commercio e la volontà di prendere in mano l’azienda familiare quando fosse giunto il momento.
<< Tutte e due? – chiese il signor Ivory, sempre più colpito – E vi occuperete entrambe dell’emporio qui al villaggio? >>
<< No, dell’emporio se ne occuperà Anna. Per me sarebbe un impegno troppo sedentario, preferisco prendere il posto di papà lungo le vie commerciali >>
<< E guideresti da sola il carro per quelle lunghe distanze? Lo faresti senza alcuna paura? >> ribatté.
<< Perché dovrei averne? Ho accompagnato mio padre così tante volte e conosco tutte le strade da qui fino alla costa occidentale. Dubito che qualcosa di male potrebbe accadermi e, anche in quel caso, dubito che non sarei in grado di cavarmela >>
<< Qualcuno potrebbe scambiare quest’ultima frase come uno sfoggio d’arroganza, signorina Emily >> l’avvertì Isaac, un mezzo sorriso sulle labbra.
La ragazza sorrise anch’essa, << No, non sono arrogante, signor Ivory. Conosco, però, le mie capacità e so fin dove posso spingerle >>.
Isaac Ivory rimase in silenzio per un minuto, meditabondo. Poi sollevò gli occhi sull’amico, sorridendo. << Gregory, amico mio, hai delle figlie uniche nel loro genere! Tu e Eireen avete fatto un ottimo lavoro, tirandole su >> fu il suo commento, per il quale le due sorelle, ridendo, lo ringraziarono.
Emily, in realtà, sapeva che quelle rivelazioni avevano colpito Isaac Ivory molto più di quanto non desse a vedere. L’idea di avere una nuora così intraprendente lo allettava sinceramente, pensava che lei avrebbe potuto essere davvero la moglie perfetta per suo figlio. Quell’uomo era diverso dal ragazzo che aveva allevato, Emily lo vedeva chiaramente. Era anche lui pronto a fare molte cose – e molte già le aveva fatte – per raggiungere i propri scopi ed era un uomo per molti aspetti corroso dall’ambizione e dalla sete di potere, capace di diventare ambiguo all’occorrenza, ma c’erano dei limiti che non avrebbe valicato. Limiti netti, che in Max Ivory, invece, mancavano.
<< Devo ammettere, Emily, che mi hai colpito più di quanto mi aspettassi >>.
Poteva una voce esserle diventata odiosa in sole poche ore? Poteva un tono gentile come quello che le era appena stato rivolto – di nuovo – suscitarle un tale fastidio? Si volse verso Max, il boccone in bocca che doveva ancora finire di masticare e che le impediva di parlare. Non potendo far altro e non potendo ignorarlo come aveva cercato di fare per tutta la sera, dato che le si era rivolto direttamente, alzò un sopracciglio interrogativa, invitandolo così – suo malgrado – a proseguire. Il giovane le sorrise – in quel modo che le provocava sensazioni ben diverse da quelle che Max era abituato a sortire –, << Avevo sentito dire che eri un tipo particolare – ammise – ma ad essere sinceri, quando ti ho vista sono rimasto comunque stupito e più cose so di te, più il mio stupore aumenta >>
<< Particolare? >> fece perplessa, ovviamente sapeva già dove volesse arrivare con quel commento, ma doveva rispondergli per amore di educazione e, soprattutto, perché non poteva di certo rivelare ai loro ospiti la verità sul suo dono.
<< Beh, sei stata cresciuta praticamente come un maschio >> spiegò quello con fare ovvio. Il sopracciglio della giovane saettò ancor più verso l’altro, << Non credo proprio: mi lavo molto di più di quanto non faccia la maggior parte dei miei coetanei >> gli rispose fredda e indifferente, bevendo un sorso d’acqua e facendo ridere tutti i commensali di quella tavola.
<< Emily! >> fece Eireen, ridendo.
Non voleva essere sgarbata, ma non voleva nemmeno dare a Max Ivory alcun motivo per pensare di avere anche solo una possibilità con lei.
<< Perdonala, Isaac >> disse suo padre, divertito anche lui.
<< No, non scusarti, non ce n’è alcun bisogno! Tua figlia è una ragazza che non ha problemi a dire ciò che pensa e questo lo apprezzo. E poi credo sia la prima ad essere riuscita a zittire Max! >>.
Oh sì, di quello ne era certa anche lei. Lo aveva capito dalla nota di fastidio che aveva sentito farsi via via strada nella mente del giovane dopo quel suo ultimo commento, nonostante avesse riso anche lui a quella battuta; lo irritava vederla sempre così pronta allo scontro, con lui… ma al contempo lo attraeva innegabilmente. C’era qualcosa, nell’atteggiamento schivo e scontroso di Emily, che lui trovava allettante. Anzi, non era un qualcosa d’indefinito, si trattava proprio di quella luce irriverente che Max considerava come una sorta di garanzia. La promessa di qualcosa celato sotto la superficie che, una volta fosse riuscito a far cedere le difese della giovane, era certo non lo avrebbe deluso. Emily strinse un pugno sotto al tavolo, trattenendosi dall’impulso di colpirlo sul naso. Un’idea che si faceva via via più allettante, ogni volta che lui aveva pensieri del genere su di lei. Pensava ad Emily in termini di domanda e offerta; valutava la forma, la confezione, del contenuto considerava quanto, poi, avrebbe potuto allietarlo nel tempo libero, sperando che soddisfacesse davvero le sue aspettative. Come fosse stata un oggetto da acquistare al mercato.
Quando gli ospiti se ne andarono, ingoiati dai viottoli bui e coperti di neve del villaggio per tornare alla locanda dei Price, la famiglia Wright tirò un sospiro di sollievo. Finalmente potevano concedersi un po’ di riposo dopo la giornata faticosa che avevano passato, impegnati tra la caccia e i preparativi per la Festa. La serata era trascorsa in maniera gradevole, ma tutti avrebbero preferito una cena veloce per poi andare a letto presto, così da essere riposati per il giorno successivo.
<< Hai freddo? >> domandò Gregory a Emily, posandole un bacio sulla tempia. Lei sorrise, << No, papà, sto bene >>.
<< Come ti è sembrata la serata? >> le chiese poi.
<< Isaac è una brava persona, tutto sommato. Ma credo tu sappia quale sia la mia risposta >>.
Gregory rise, << Certo che lo so, Pixie. – poi il suo volto s’incupì appena – Detesto che per causa mia tu debba trovarti in situazioni del genere >>
<< Papà, tu non hai colpa - lo rassicurò -, gli Ivory cercano un modo per stabilirsi in questa zona così da avere una linea diretta col Castello dei Roses. E un matrimonio con la figlia di uno dei mercanti più ricchi dell’intera regione, che dalla sua possiede rapporti già avviati con vari dignitari di Palazzo, è quello vogliono >>. In quegli ultimi due anni, era già la quarta proposta di matrimonio che le veniva fatta per quel motivo. E sarebbe stata anche la quarta che avrebbe rifiutato. Ma a differenza delle proposte precedenti, in cui il motore che girava gli ingranaggi era l’avidità, in questo caso vi era dell’altro.
<< Quello che non capisco è perché proprio gli Ivory >> intervenne Annabelle, sedendosi e poggiando un braccio sulla tavola. << Sono molto più ricchi di noi, hanno una delle imprese commerciali più avviate della costa est, una flotta di ben tredici navi da carico, rapporti con paesi stranieri… Hanno una rete commerciale così vasta che non potrebbero mai ricrearne una simile sulla terra ferma, qui. Cosa possono volere di più? – domandò – Sinceramente non capisco perché vogliano trasferirsi al villaggio e avere rapporti diretti con la corte, con tutto quello che hanno già >>. Sua sorella aveva un mente pronta e acuta e aveva già compreso che vi doveva essere qualcosa di più, che mancava un tassello a tutta quella storia, ma la sua ingenuità le impediva spesso di vedere oltre molte cose.
<< E’ questione di politica, Anna. – le rispose Emily – Gli Ivory non vogliono trasferirsi alle pendici dello Shadow-Caster per diventare ancora più ricchi, ma per diventare più potenti. Isaac spera che, un giorno, il figlio raggiunga una posizione a corte, in questo modo il nome degli Ivory diverrebbe importante e conosciuto, e l’unico modo per far sì che ciò avvenga è un matrimonio >>, non le era stato difficile leggerlo, nella mente degli Ivory. Soprattutto considerando che le ci sarebbero voluti giorni prima di riuscire a escludere le loro voci dalla sua mente.
<< Non potrebbero trasferirsi e basta? >>
<< E ricominciare tutto d’accapo? Senza la certezza che le cose vadano come desiderano? Non lo farebbero mai, l’hai detto anche tu che sarebbe illogico. Ma se Max mi sposasse, Isaac usufruirebbe delle conoscenze di papà; avrebbe il nome dei Wright a fargli da apripista e la sicurezza economica data dall’essere legato ad una famiglia già di per sé ricca, come garanzia >>
<< Questo matrimonio sarebbe un affare, per gli Ivory. Probabilmente, ciò li renderà più determinati degli altri a far sì che avvenga >> commentò Eireen, intenta a sparecchiare aiutata dal marito. << Ma devo ammettere… che questa sete di potere la trovo sinceramente sconcertante. M’inquieta l’idea che dei progetti del genere debbano coinvolgere mia figlia >>, aggiunse lasciandole una carezza sui capelli scuri. Emily non rispose ma le rivolse un sorriso per tranquillizzarla. Sapeva, però, che nel medesimo istante suo padre la stava fissando, sentiva i suoi occhi – quegli stessi occhi che Anna aveva ereditato – pizzicarle la nuca, esattamente come avvertiva la preoccupazione che essi volevano celare. Si volse verso di lui, nella speranza che la vista del suo volto rilassato potesse rassicurarlo, ma non fu così.
<< Cosa, papà? >> domandò quindi, corrugando appena la fronte.
Gregory la fissò per qualche altro secondo, poi scosse la testa. << Avevo sospettato ci fossero delle motivazioni simili, dietro la richiesta di Isaac. Lo conosco da più di dieci anni, ormai, e so quanto ambisca ad un ruolo attivo nelle alte sfere, ma non pensavo sarebbe arrivato a coinvolgere un amico nelle sue macchinazioni, per riuscirci >>
<< Non è nulla di personale, papà. Per lui sono solo affari, non pensa che agendo in questo modo potrebbe ferire qualcuno. Non lo pensa perché non è contemplato nel suo piano >>, per Isaac Ivory qualcosa che non aveva previsto semplicemente non poteva accadere e questo perché lui pianificava ogni cosa fin nel più piccolo dettaglio.
<< Dovrebbe, invece! Siamo amici, per Dio, e lui vuole trascinare mia figlia in tutto questo! >>. Si contavano sulle dita di una mano le volte in cui Gregory Wright aveva alzato la voce mosso dall’ira, e ogni volta era stato in seguito a qualcosa che aveva riguardato direttamente la sua famiglia, come quando Emily, a sette anni, era tornata a casa col polso dolorante e arrossato, perché Padre John glielo aveva storto dietro la schiena a scuola, per punirla – in quell’occasione anche Peter era tornato a casa col braccio livido, perché l’aveva difesa cercando di liberarla dalle grinfie dell’uomo. Non era riuscita a scrivere per una settimana, dopo quel fatto, e quella era stata anche la prima e ultima volta che il prete aveva osato torcerle un capello. Gregory era stato chiaro, se ci avesse provato ancora lo avrebbe ucciso.
<< Papà, calmati. Sono grande ormai, e so badare a me stessa. Dovresti saperlo >> gli sorrise.
<< Sarai anche grande ma rimani mia figlia! E non tollero che qualcuno voglia usare te o Annabelle in questo modo, chiunque esso sia! >>
<< Gregory, adesso calmati. Emily non è sola, ci siamo noi e quando rifiuterà la proposta del giovane Ivory, Isaac non potrà far altro che accettare la cosa >>, sua madre Eireen riusciva sempre a mantenere la calma in ogni circostanza, ad acquetare gli animi grazie alla sua capacità di ragionare sempre lucidamente – quella sua capacità di vedere i problemi per quello che erano e di saperli affrontare con una lucidità disarmante, fino a farli sembrare semplici inezie di poco conto. Ma Emily sapeva che sotto quella calma apparente si celava la voglia di esplodere come suo padre aveva fatto poco prima, perché lei tollerava una cosa del genere forse anche meno di Gregory. Eireen aveva avuto la fortuna di sposare l’uomo di cui era innamorata e che, a sua volta, l’amava e la rispettava, ma sapeva che erano pochi gli uomini come Gregory, sapeva che erano pochi gli uomini che tenevano l’opinione della propria moglie in così grande considerazione, tanto da consultarla prima di prendere qualunque decisione davvero importante. Eireen non avrebbe mai permesso che le sue figlie finissero legate a uomini che non le avrebbero mai trattate per come meritavano, ma sapeva anche che reagire mossi dalla rabbia era controproducente e basta. Li avrebbe resi ciechi. Quegli sfoghi, per quanto liberatori, non avrebbero arrecato loro alcun aiuto. Oltretutto, ancora non era successo nulla.
Suo padre sembrò calmarsi un po’ dopo il richiamo della moglie, tanto che quando parlò di nuovo alla figlia non c’era più traccia di rabbia nella sua voce, nonostante la tensione nei muscoli delle spalle e del viso.
<< Max mi ha chiesto il permesso di chiedere la tua mano già prima di cena >> << E tu cosa gli hai risposto? >>, gli domandò la ragazza. Lo sapeva già, ovviamente; aveva sentito quell’intento nella mente di entrambi i loro ospiti e la sorpresa per la risposta che Gregory aveva dato loro,mentre faceva il bagno, ma aveva letto anche come quella reazione fosse stata momentanea, perché, per i due, non cambiava poi molto. Erano entrambi convinti di riuscire a convincerla facilmente. Dopotutto, quale ragazza avrebbe coscientemente rifiutato un matrimonio così economicamente vantaggioso? A volte la logorava non riuscire a escludere le menti di chi aveva appena conosciuto, perché la costringeva a sentire cose che non avrebbe voluto, ma in quel caso indubbiamente l’aveva aiutata a prepararsi.
<< Che non era il mio permesso quello che doveva chiedere ma il tuo, dato che sei perfettamente in grado di prendere le tue decisioni da sola >> le rispose.
<< Andrà tutto bene, Emily saprà cosa dirgli >> concluse sua madre, sorridendo alla figlia.
<< Aspettati una sua proposta in settimana – riprese il padre –, gli Ivory non sono persone pazienti >>
<< Non preoccuparti, saprò come comportarmi. Credo di conoscerli abbastanza, ormai. Sai che per ora le loro menti mi sono del tutto aperte >> commentò la maggiore delle giovani sorelle Wright, con l’intento di rassicurarli. Ma Gregory era rimasto serio, << Emily, dovrai essere molto decisa quando rifiuterai – l’avvertì –, gli Ivory non sono nemmeno abituati a ricevere un no come risposta >>.
E in quell’istante, con l’eco di quell’ultima frase sospesa nell’aria, aveva intercettato gli occhi di Anna – rimasta in silenzio fino a quel momento –, seri e fissi su di lei. Sapeva perché sua sorella la stesse fissando a quel modo: Gregory aveva ripetuto la stessa cosa che Emily le aveva detto nella vasca.
 

*****
 

Circa un’ora dopo, le giovani Wright erano entrambe a letto, al caldo sotto le coperte. Il camino era ormai spento ma dalle sue ceneri proveniva, ogni tanto, ancora un leggerissimo bagliore. Emily fissava il soffitto, immersa nei suoi pensieri, ma sapeva che neppure Annabelle dormiva ancora. Non aveva detto una parola da quando erano entrate in stanza, tranne che per darle la buona notte e girarsi dall’altro lato subito dopo. Non era da Anna, lo sapeva, esattamente come sapeva che fosse preoccupata. Glielo leggeva dentro senza bisogno di sforzarsi.
<< Anna? >> la chiamò a bassa voce.
<< Mhm? >>
<< Girati, per favore >>.
Fece come le aveva chiesto e si voltò verso di lei rotolando nel letto, i grandi occhi d’ambra che incontrarono quelli verdi della sorella. Anna era distesa sul lato destro del corpo, una mano sotto al cuscino e l’altra poggiata mollemente sul polso chiaro, intorno al quale spiccava il braccialetto uguale a quello che aveva regalato alla sorella. Emily, che era distesa supina sulla schiena, si girò anche lei nella stessa posizione, in modo che il loro visi fossero a pochi centimetri di distanza sui cuscini posti come sempre vicini.
<< Cosa c’è? >> bisbigliò.
Anna abbassò gli occhi per un momento e poi tornò a fissarla.
<< Non voglio che ti sposi >>, confessò come se quel desiderio fosse un crimine di cui lei era colpevole.
<< Nemmeno io, se è per questo. Quindi direi che è tutto a posto >>
<< Non voglio che ti sposi con Max Ivory né con nessun altro… Non per ora, almeno >>
<< Anna, sai bene che non ho intenzione di sposarmi. Né adesso né in futuro >> << Nemmeno se dovessi innamorarti? >>
<< La trovo un’ipotesi improbabile >> rispose.
<< Cosa, innamorarti? >>
<< Sì >>
<< Perché? Se io fossi un ragazzo e tu non fossi mia sorella, probabilmente mi sarei già innamorato di te >>.
L’altra sorrise. Poteva davvero esistere una persona tanto dolce? << Ecco, visto? E’ il destino a volere che io rimanga sola, se tu sei nata come mia sorella >>, scherzò.
<< Dico sul serio, perché pensi di non poterti innamorare? >>
Emily si tirò meglio la coperta sulla spalla, << Perché non penso che al mondo ci sia qualcuno adatto a me >> rispose sincera. Non vi era traccia di tristezza nelle sue parole, semplicemente la pensava a quel modo.
<< Peter, però, è innamorato di te >> fece Annabelle con convinta ovvietà.
La sorella scoppiò a ridere, << Anna, Peter non è innamorato di me! >>
<< Come lo sai? >>. Ed Emily sollevò il sopracciglio, sorridendo ancora.
<< Oh, – fece quella – giusto, hai ragione. Chi meglio di te può saperlo >>
<< Già. E comunque, io non potrei mai innamorarmi di lui; sarebbe come innamorarmi di mio fratello, se ne avessi uno >>
<< Ma se t’innamorassi di qualcuno che, a sua volta, lo è di te? >>
Non capiva il perché di quell’insistenza. Sua sorella era preoccupata in una maniera strana e troppo intensa per lei, sembrava quasi… panico. Sì, sembrava quasi che Annabelle stesse cercando di nascondere il panico che l’attanagliava, ed Emily non ne capiva il motivo.
<< Anna, perché mi stai facendo tutte queste domande? >>
<< Rispondimi >> la voce ferma cozzava con quello che le leggeva dentro.
Sospirò, << Penso che anche se m’innamorassi non mi sposerei comunque. Quello che hanno mamma e papà è qualcosa di più unico che raro e io non voglio essere la serva di nessun uomo, tanto meno una sua proprietà >>
<< E se si trattasse di lui? >>
<< Lui chi? >>, il suo cuore aveva saltato un battito ma non lo diede a vedere.
<< Lo sai chi, non fingere. Il ragazzo del tuo sogno >>
Annabelle era l’unica a cui lo avesse raccontato, perché loro due erano anime gemelle, confidenti l’una dell’altra, e non avevano mai avuto segreti a dividerle.
<< Anna, io so poco di Adam. Non ho nemmeno la certezza che sia reale e non soltanto un sogno. Pensi davvero che lo prenda in considerazione? >>, le domandò, pratica. Ma Anna la ignorò << Secondo me ne sei innamorata >>, affermò infatti.
Emily sbuffò, << Di Adam? E da cosa lo dedurresti? >> chiese di nuovo.
<< Non riesci a dormire >> fu l’ovvia risposta.
<< Certo, perché il rumore dei tuoi pensieri mi tiene sveglia >> fece quella con altrettanta ovvietà.
<< Non è vero e lo sai. Non riesci a dormire perché questa è la notte >> ribatté l’altra con la sicurezza di chi sa di avere ragione.
Dal canto suo, Emily si trovava scissa a metà fra la voglia di comprendere cos’avesse sua sorella e quella di cambiare argomento di conversazione. E al più presto. Decise di puntare sulla prima così di ottenere la seconda.
<< Annabelle, si può sapere cosa ti prende? >>, domandò quindi, così da sviare il discorso. Stavolta sua sorella non le rispose e abbassò di nuovo gli occhi. Emily la fissò con la fronte corrucciata, era preoccupata. Più i minuti passavano e più sentiva l’inquietudine che attanagliava sua sorella crescere, senza capirne il motivo. Ricordò cosa le avesse detto Adam, sei anni prima, riguardo alla sua mente che sembrava chiudersi a lui, quando era pensierosa. Da quando aveva sviluppato le proprie abilità, con la sua famiglia era la stessa cosa. In quei casi poteva sentire le loro emozioni, ma non a cosa stessero pensando di preciso. Non le accadeva con nessun altro, quindi probabilmente era a causa del legame di sangue che li univa.
<< Ehi >> le sussurrò afferrandole la mano e stringendola nella sua. << Sorellina, cos’hai? >>
Ancora silenzio.
<< Anna, da quando esiste qualcosa di cui non puoi parlare con me? >> la pungolò, con la stessa frase che la sorella le aveva detto prima di cena.
<< Non voglio che ti sposi adesso, perché non voglio perderti >> Annabelle buttò fuori tutto insieme, per la seconda volta come confessando un delitto.
<< Perdermi… >> fece confusa Emily, ma la sorella la interruppe. << Se tu ti sposassi, andresti a vivere da un’altra parte. Se fosse con qualcuno del villaggio continuerei a vederti, ma se ti sposassi con un forestiero allora non ti vedrei più e non potrei sopportarlo. Io non voglio perderti, Emily >> parlò con bisbigli veloci, tanto che se non fossero state distese l’una accanto all’altra avrebbe fatto fatica a sentirla. Bisbigli veloci, quasi colpevoli, e la voce rotta dal pianto che tentava di non sfogare. Sua sorella si sentiva in colpa per ciò che sentiva, ma la paura che provava era quanto di più sincero avesse mai sentito.
<< Annabelle, questo non accadrà mai! >> non lo urlò a stento, alzandosi a sedere di scatto nel letto, le coperte ridotte a una massa informe sui fianchi e incurante – forse per la prima volta in vita sua – del freddo che, rapido, le cinse col suo abbraccio gelido le spalle. << Anna, dico sul serio, ascoltami – riprese, gli occhi seri e la mascella contratta –: noi due siamo sorelle e questo è il legame più forte! Nessuno, mai, nemmeno l’amore della mia vita, se mai dovessi incontrarlo, si metterà fra te e me, mi sono spiegata? >> ma Annabelle non rispose, continuava a fissare il materasso dove prima era stesa Emily, trattenendo le lacrime che le affollavano gli occhi e premevano per uscire a rigarle le guance, soffocando a stento i singhiozzi che le chiudevano la gola. << Anna? >> la chiamò, di nuovo senza risultato. Così le afferrò il polso e la costrinse ad alzarsi anche lei. << Anna – insistette –, guardami >>.
Finalmente sua sorella sollevò gli occhi posando le iridi d’ambra, liquide per le lacrime che s’impediva di versare, su di lei. Emily le prese il volto tra le mani con presa salda ma dolce, e puntò gli occhi nei suoi.
<< Non ti lascerò mai – disse –, è escluso. Anche se dovessimo essere distanti per dei periodi, alla fine ci ritroveremo sempre! Io tornerò sempre da te! Pensi che per me sarebbe più facile? Che trascorrerei felicemente una vita lontana da te? Siamo sorelle, Annabelle, sorelle. Non è un legame che si possa spezzare, non il nostro. Qualunque cosa accadrà, chiunque incontreremo nella nostra vita, ti prometto che tu verrai sempre prima di chiunque altro perché sei la mia Anna! Io ci sarò sempre per proteggerti e so che tu ci sarai sempre per proteggere me, perché è sempre stato così >> non vi era bisogno di specificarlo, per capire che quella di Emily era una promessa solenne.
Rimasero a fissarsi, occhi negli occhi, mentre i secondi passavano. Emily teneva ancora le mani sul viso della sorella, finché non vede un luccichio scendere oltre la barriera delle ciglia di un occhio d’ambra, e poi giù lungo la guancia chiara di Annabelle, fino a bagnarle la mano. L’attimo dopo, la giovane si gettò piangendo fra le sue braccia, i lunghi boccoli biondi che le coprivano il viso e le mani che le stringevano convulsamente la camicia da notte. Emily la cullò, sussurrandole con fare materno all’orecchio che non era niente, che andava tutto bene. In momenti come quelli, la sua Annabelle era indifesa proprio come una bambina.
Chissà per quanto tempo, negli ultimi due anni, si era tenuta quel peso dentro, invece di confidarle le sue paure. Chissà da quanto tempo, una proposta di matrimonio dopo l’altra, provava quell’angoscia che aveva lasciato a logorarla dall’interno, pur di non parlarne. Annabelle era fatta così, non diceva mai quando c’era qualcosa di serio che non andava, finché non scoppiava. E – dannazione! – come aveva fatto lei, una telepate, a non accorgersene fino a quel momento? Sapeva bene di avere ancora molta strada da percorrere prima di affinare davvero il proprio dono, benché avesse fatto parecchi progressi da sola in quegli anni, ma non riusciva proprio a concepire come non fosse riuscita a sentire una cosa del genere da Anna. Lei, che non aveva mai dovuto sforzarsi per sapere cosa pensassero i membri della sua famiglia, che condividevano con lei il sangue; lei che sentiva sempre quando qualcosa – qualunque cosa – non andava. Come aveva potuto sfuggirle un’angoscia di quel tipo, come aveva fatto a non sentirla? Possibile avesse dato così per scontato la facilità con cui leggeva la sua famiglia, da non essersi accorta che qualcosa si celava sotto la superficie? Possibile fosse stata così superficiale?
Era colpa sua, se non fosse stata così presa dal timore che qualcuno scoprisse il suo segreto, sicuramente lo avrebbe capito prima; se fosse stata più attenta, Annabelle non sarebbe mai arrivata a quel punto; se l’avesse capito prima, se lo avesse letto prima, le avrebbe risparmiato quell’inutile timore.
Ma perché, perché non gliene aveva mai parlato?
<< Scusa, Emily >> le disse ad un certo punto, parecchi minuti dopo essersi calmata. Erano di nuovo distese l’una accanto all’altra, abbracciate, ed Emily le carezzava i capelli come quando erano piccole, per farla addormentare.
<< Shh. Va tutto bene, tesoro, non hai motivo di scusarti >>
<< No, fammi parlare >> insistette Anna, la voce stanca del pianto e impastata dal sonno che avanzava, << Io desidero prima di tutto che tu sia felice. – continuò – Qualunque sia il modo. E so che un giorno potremmo non vivere più vicine >> << Anna, non pensarci adesso. E poi ti ho già detto… >>
<< Sì, so cosa hai detto, ma tu desideri viaggiare. E’ il tuo sogno fin da bambina e so che un giorno lo farai, non sei adatta a questo posto. Il villaggio è troppo piccolo per te >>
<< E’ troppo piccolo anche per te, ma rimane casa nostra. Mamma e papà vivono qui e dopo ogni viaggio si torna sempre a casa, no? >>
<< Quello che intendo dire… è che so che un giorno te ne andrai di qui e girerai il mondo ed è giusto, lo voglio per te. Però ne ho anche paura, ho sempre guardato a una tua partenza come a qualcosa di lontano ma ormai siamo cresciute, non siamo più bambine, e il momento si avvicina. La verità è che… ho il continuo timore che accada qualcosa che ci divida e noi non potremo impedirlo, e io non voglio che accada >>.
Annabelle si era sforzata per non ricominciare a piangere, lo sentiva dalla sua voce, ma lo sapeva anche nel modo in cui lei sapeva sempre.
<< Anna, io leggo nel pensiero, non vedo il futuro, ma posso assicurarti una cosa: qualunque cosa dovesse mai capitare, io farò più di quanto sia umanamente possibile per tornare da te >>.
La sentì sorridere senza bisogno di vederla, << Lo so. – le disse – So che faresti qualunque cosa per me. Tu lo sai che io farei qualunque cosa per te, vero? >>. Ora fu il turno di Emily di sorridere, << Certo, tesoro. Comunque non hai tenuto conto di una cosa, nel tuo ragionamento >> disse mentre si tirava meglio le coperte addosso, per coprire entrambe.
<< Cosa? >>
<< Semplice, quando girerò il mondo tu verrai con me. Pensi davvero che ti lascerei qui? Solo con te mi divertirei davvero >> spiegò. Annabelle rise, lo scampanellio della sua risata rimasto inalterato fin da quando era bambina. << E’ vero, il mondo sarebbe un posto vuoto e buio senza di me >> scherzò, ma per Emily lo sarebbe stato davvero.
Qualche minuto dopo, la sorella la chiamò sbadigliando.
<< Mhm? >> fu il suo assonnato mugolio di risposta.
<< Buon compleanno, Pixie >>
 

*****

 
Buon compleanno, Pixie
 
Fu col suono di quelle parole nelle orecchie che finalmente si addormentò.
Non le ci volle molto, vedere la sua Annabelle piangere a quel modo l’aveva sfiancata più degli Ivory, le preoccupazioni ad essi legate, la caccia e il freddo messi insieme.
Furono sogni confusi, all’inizio. Visioni indistinte e inquietanti, ombre che cercavano di afferrarla e trascinarla nel buio, ma quando si voltava per capire dove fossero non vedeva nessuno. E c’era vento. Le ombre volevano portarla in un’oscurità fredda animata unicamente dalle sferzate di un vento gelido e urlante.
Poi la scena cambiò di colpo e l’oscurità fece posto alla piccola radura illuminata dal sole alto nel cielo. La loro radura.
Sorrise grata, il fastidioso senso d’inquietudine che l’abbandonava, sostituito dalla serenità e dall’impazienza. Ma anche l’attesa durò un attimo, perché l’apparizione di una rosa rossa dallo stelo lungo davanti al viso e un sussurro all’orecchio catturarono la sua attenzione.
<< Buon compleanno, Pixie>>.
Di nuovo sentì l’eco dell’augurio di sua sorella, ma stavolta pronunciato da una voce diversa. Una voce che conosceva bene.
Represse a stento il brivido che le era sceso lungo la schiena, nel momento in cui il fiato caldo di lui le aveva sfiorato la pelle. Sorrise poggiando la mano su quella che le porgeva il fiore e avvicinandolo al viso per sentirne il profumo. Ne ispirò la fragranza dolce, in silenzio e ad occhi chiusi. La sorprendeva sempre quanto quei sogni fossero reali fin nei più piccoli dettagli.
<< Grazie, Adam >> disse riaprendo gli occhi. Si voltò leggermente e gli depositò un bacio sulla guancia, vicino a dove era raffigurato il contorno dello stelo della rosa del suo tatuaggio. Si aspettava che lui sparisse allontanandosi l’attimo dopo, come faceva sempre, invece rimase lì, dietro di lei, stupendola. Al contrario, posò una mano sul suo fianco, come per prolungare quel momento, ed Emily dovette trattenere un altro brivido, provocato stavolta dal tocco leggero di lui. Adam non fece alcuna pressione, nessun movimento. Rimase immobile e basta, eppure lei sentiva la saldezza della sua presa anche se non vi aveva messo alcuna forza. Quando staccò le labbra dalla sua guancia, venne catturata dai suoi occhi scuri e dal sorriso – quel particolare sorriso che nasceva dagli occhi – che le rivolgeva e che si trovò a ricambiare come ogni volta. Come potevano due iridi scure cancellare ogni sensazione negativa di quella giornata? Come potevano due iridi scure provocarle una tale sensazione di gioia e serenità, quando solo poche ore prima altre due iridi grigio azzurre le avevano provocato l’effetto contrario?
Forse non avrebbe dovuto meravigliarsene così tanto; nessuno meglio di lei poteva sapere quanto gli occhi fossero davvero lo specchio dell’anima.
<< Quest’anno non mi rimproveri per il ritardo? >> fece ironicamente la giovane. Le era mancato scherzare con lui. Le mancava ogni volta, ogni giorno di ogni anno che trascorreva in attesa di quell’unica notte in cui poteva vederlo.
<< No. So che è stato per un buon motivo >> le rispose.
Solo allora si staccarono, andando verso il grande masso al centro della radura. Eppure lei sentiva la mancanza della sua presenza alle spalle, la mancanza di quella mano sul suo fianco.
<< Come sta adesso Annabelle? >> le chiese, sinceramente interessato.
<< Bene, finalmente si è addormentata. Detesto vederla il quello stato, non è da lei >> << Conosci tua sorella, se ha qualcosa preferisce tenersela dentro >> disse Adam, sedendosi accanto a lei sulla roccia dura. Tanto vicino che le loro gambe si sfioravano di lato ed Emily avvertì quel tocco appena accennato in maniera ben più intensa.
C’era qualcosa di strano, quella volta, differente; lo sentiva chiaramente. Ogni movimento di Adam, ogni suo impercettibile tocco scatenava un tumulto di sensazioni, dentro di lei. Le faceva aggrovigliare lo stomaco ed era sempre più difficile reprimere, come nulla fosse, le cascate di brividi che s’irradiavano lungo tutto il suo corpo.
Si diede della stupida. Perché diavolo stava reagendo a quel modo per dei semplici sfioramenti? Perché, improvvisamente, la sola vicinanza di Adam la sconvolgeva tanto? A parte quelle sensazioni, a conti fatti, non vi era nulla di diverso, quella notte, rispetto a tutte le volte precedenti. Allora perché il suo corpo reagiva così, come sfuggisse al suo controllo? Possibile che i discorsi che Anna aveva fatto l’avessero condizionata a tal punto? Inoltre, neppure Adam sembrava lo stesso. C’era un che di diverso anche in lui, una tensione nelle spalle che non aveva mai avuto… e si domandò se anche lui reprimesse gli stessi brividi che sconvolgevano lei.
No, è impossibile, pensò. Me lo sto solo immaginando.
<< Sì, ma perché con me? Quello che non capisco è perché non me ne abbia parlato prima >> insistette, tentando di concentrarsi su altro.
<< Perché non voleva ti preoccupassi >> rispose Adam << E perché si sente un’egoista >> concluse, il viso era una maschera di calma imperturbabile, nonostante quella strana rigidità delle spalle. Ma, probabilmente, si stava immaginando anche quella.
Emily corrugò la fronte, confusa << Un’egoista? >>
<< Non vuole tu ti senta in gabbia. Sei uno spirito libero e non vuole che questo cambi a causa sua. Tua sorella ti ama tantissimo e non vuole esserti di ostacolo in nulla, per questo si sente egoista. Sa che se dovessi scegliere tra qualunque cosa e lei, sceglieresti lei >>
<< Lei farebbe lo stesso per me, questo non è egoismo >> commentò ostinata.
<< Ma se fossi al suo posto, non ti sentiresti anche tu in colpa? >>
Non aveva pensato a quello. Adam aveva ragione, a situazione invertita anche lei si sarebbe sentita egoista.
<< Siamo sorelle, probabilmente è normale sentirci così, pensare certe cose >> concluse a quel punto, dopo qualche attimo di riflessione.
<< Non è così matematico, il vostro è un rapporto speciale. Non tutte le sorelle sono così unite come voi due >> ed era vero anche quello. Emily lo aveva visto più volte, al villaggio, ma anche fuori di esso, le volte in cui accompagnava il padre: fratelli e sorelle che a stento si sopportavano o si erano indifferenti, o, ancora, semplicemente non avevano quel rapporto viscerale che lei e Anna condividevano. Un legame come il loro… era vero: era raro e speciale.
<< So che hai ricevuto visite, oggi. Se non sbaglio, questa dovrebbe essere la quarta proposta di matrimonio, giusto? >> dichiarò ad un certo punto Adam, con un tono fin troppo ilare, riscuotendola dai suoi pensieri. Si voltò verso di lui e si accorse che la fissava, palesemente divertito.
<< Per favore, non ricordarmelo >> lo implorò sconsolata.
<< Quel biondino ti ha proprio irritata, eh? >>
<< Credo che irritata non renda adeguatamente l’idea >> fu il conciso commento di risposta. Lui rise, << E’ solo un ragazzino, dovresti preoccupartene meno >> << Ha ventidue anni, tecnicamente è più grande di te >>.
Stavolta Adam non rispose ma sorrise scuotendo la testa, come sua abitudine. Dopotutto sapeva che non avrebbe colto quella provocazione. Era bravo a raccontarle di sé solo quanto riteneva dovesse essere raccontato.
<< Come va con gli altri forestieri? Il mal di testa? >> le chiese infatti, cambiando argomento.
<< Per ora sto bene, ne sono arrivati pochi e la maggior parte li conosco. Nei prossimi giorni, forse, sarà un po’ più faticoso >>
<< Pixie, non fingere con me. – l’ammonì – So che quando il villaggio si riempirà di forestieri starai male >>
<< Sai anche che le quattro feste sono i periodi dell’anno che amo di più. Posso sopportare un po’ di mal di testa, non mi pesa poi così tanto >> gli rispose e Adam sbuffò contrariato.
Mentiva sapendo di mentire e mentiva sapendo che lui sapeva stesse mentendo. La verità era che quei mal di testa, in realtà, le pesavano e anche molto, ma non vi era nulla che potesse fare e non era il tipo che amasse lamentarsi, per cui sopportava e basta. In fin dei conti, era innegabilmente vero quanto aveva detto riguardo alle feste. E poi, ormai, vi era abituata.
Poco dopo erano stesi sull’erba, l’uno accanto all’altra, a fissare il cielo. Chiacchierando di ogni cosa passasse loro per la mente, come d’abitudine. Vicini, con quella particolare sensazione che non dava alcun segno di voler scemare e, anzi, si faceva ogni secondo più acuta. E comunicando, anche, come riusciva a fare solo con lui – perché Adam era proprio come lei.
Tu, invece, cosa hai fatto quest’oggi?,gli domandò ad un certo punto. Cercava di non pensare a quello che stava provando in quel momento, di ignorare il calore che le invadeva le membra ogni volta che le loro gambe si sfioravano per sbaglio o la tensione che continuava a notare in Adam.
Dannazione, era davvero una stupida. Quello era pur sempre un sogno, non poteva comportarsi come una ragazzina alla sua prima cotta, non in un sogno. Anche se quello era il loro sogno. No, dannazione, no. Doveva concentrarsi sulla domanda che gli aveva fatto e di cui era realmente interessata.
Come? Che intendi con ‘cosa hai fatto’?Adam sembrò cadere dalle nuvole ma lei sapeva che non era così. Conosceva i suoi trucchi, ormai.
Non mi racconti mai delle tue giornate. Mi piacerebbe sapere come trascorri il tuo tempo, spiegò. Fremeva dalla curiosità ma, in tutta onestà, dubitava anche che le avrebbe risposto. Lo conosceva fin troppo bene, e non era la prima volta che gli domandava qualcosa del genere; era certa avrebbe detto qualcosa in modo da distogliere l’attenzione da se stesso e ricondurla su di lei.
Mhm, in effetti sono rimasto incuriosito da delle cose che ho sentito. Le rispose, quasi, per la prima volta, volesse davvero accontentarla, ma Emily non si fidava. Sarebbe stato troppo facile.
Sì? Da cosa?
Da quello di cui parlavi prima con Annabelle, in realtà.
E il cuore di Emily perse un battito, per poi iniziare a correre più velocemente. Si alzò di scatto sollevandosi sui gomiti e puntò gli occhi su di lui.
Cosa? Ci stavi ascoltando?
Adam rimase tranquillo a osservare il cielo, il corpo placidamente rilassato e le braccia incrociate dietro la testa come se nulla fosse successo. La perfetta rappresentazione di un’incurante indolenza. Anche in quel modo traspariva l’eleganza dei suoi gesti, un’eleganza che era sempre stata connaturata al suo stesso essere, le era impossibile pensarli separatamente.
A volte, le rispose semplicemente. Come se quella ammissione non avesse, in realtà, nulla di speciale.
<< A volte? Questo vuol dire che entri nella mia testa quando vuoi e ascolti qualunque cosa io stia pensando? >> domandò tornando a parlare con la voce e non più col pensiero. Davvero non sapeva se esserne più sorpresa o arrabbiata.
<< Non hai risposto alla mia domanda >> replicò l’altro.
<< E tu non hai risposto alla mia >> No, si corresse, decisamente era più arrabbiata e in quell’istante si chiese se in quel sogno che aveva sempre avuto poco del sogno, così come lei riusciva a sentire nitidamente l’odore di una rosa come se l’avesse avuta davvero fra le mani, Adam avrebbe potuto avvertire l’inconfondibile sensazione di un pugno in pieno viso, perché lei era sul punto di dargliene uno.
<< Mi ha incuriosito il discorso che hai fatto riguardo il matrimonio >> ovviamente la ignorò. Come aveva immaginato, Adam era stato bravo a rigirare la questione, proprio come ogni volta. Emily non gli rispose così quello voltò appena la testa per guardarla: era seduta di fronte a lui, le braccia incrociate al petto e un’espressione sinceramente adirata in viso. Non l’aveva mai vista così. Non con lui, almeno.
<< Che c’è? Perché ti sei arrabbiata? >> chiese, con finta innocenza.
<< Da quanto tempo mi ascolti? >>
<< Da un po’. Ora spiegami cosa intendevi di preciso, riguardo quell’argomento. L’ho trovato davvero interessante >>.
Il sopracciglio di Emily s’inarco pericolosamente e il suo sguardo si assottigliò. << Non c’è nulla da spiegare. E’ esattamente quello che hai sentito: non mi sposerò, né ora né mai >>
<< Per questo hai rifiutato tutte quelle proposte e lo stesso sarà per quella di Ivory, quando te la farà? >>
<< Hai sentito quello che ho detto, non ho intenzione di diventare la proprietà di nessun uomo >>.
Non era saggio, per Adam, continuare a provocarla a quel modo. Avrebbe dovuto saperlo, lo scherzo era andato troppo oltre perché, a fine conversazione, uno dei due potesse davvero sperare di rimanere incolume, mentre lui, invece, sembrava sprezzante del pericolo; infatti continuò, incurante. E la collera della sua amica continuò a crescere, anch’essa.
<< E invece, riguardo all’innamorarti? Pensi davvero che non ci sia nessuno adatto a te, in tutto il mondo? >>
<< Sì >> sibilò. Era arrabbiata. Anzi, era molto più che arrabbiata: era furiosa oltre ogni dire. Non solo Adam aveva eluso la sua domanda iniziale, come faceva sempre, ma adesso scopriva anche che entrava nella sua mente ogni volta che voleva. No, questo non poteva accettarlo. Che diritto ne aveva, lui? Che diritto aveva di invadere così il suo essere senza alcun permesso? Di prendere e basta, come faceva ogni volta, senza nemmeno rivelarle qualcosa di se stesso in cambio?
<< Non è possibile che, invece, tu rifiuti le proposte che ti vengono fatte perché nessuno de quei ragazzi è quello che desideri in realtà? >> la pungolò, sollevandosi anche lui sui gomiti.
<< E questo che vorrebbe dire? >> un altro sibilo. La situazione era sul punto di sfuggire al suo controllo, un altro solo passo falso di Adam e il muro che ancora faticosamente arginava l’ira di Emily sarebbe crollato inesorabilmente.
<< Vorrebbe dire che trovo molto interessante l’opinione di Annabelle, tu no? >>. No, quello non lo avrebbe accettato. Si tratteneva a stento dal colpirlo per quello che aveva appena scoperto, ma che la canzonasse a quel modo era troppo. Si alzò senza degnarlo ulteriormente di considerazione, e si diresse a passo deciso verso il limitare degli alberi, alla fine della radura.
<< Dove stai andando? >> Adam le comparve davanti, bloccandole la strada.
Qualcosa, nei suoi occhi scuri, le fece capire che non l’avrebbe lasciata andare senza una risposta. Qualcosa, negli occhi verdi di lei, avrebbe dovuto avvertirlo che ormai aveva oltrepassato il limite.
<< Via! Voglio svegliarmi! Non ti permetto di prendermi in giro in questo modo! >> gli urlò. Il muro era crollato e la rabbia della giovane era ora libera di colpire ogni cosa sul suo percorso.
<< E’ vero quello che ha detto Annabelle? Rispondimi >> insistette l’altro, nonostante tutto. Era incredibile che non comprendesse davvero quanto Emily fosse sul punto di esplodere come non aveva mai fatto in vita sua. Ma il ragazzo aveva commesso un errore: aveva parlato con tono autoritario, come quello fosse stato un ordine e questo non fece altro che indisporla ulteriormente. Perché lei non prendeva ordini da nessuno.
<< Perché dovrei? Tu non rispondi mai alle domande che ti faccio, quindi che diritto hai, tu, di pretendere che io risponda alle tue solo perché lo vuoi?! >>
<< Dannazione, perché fare così?! >>
<< Hai pure il coraggio di chiedermelo?! >>
Adam sospirò e si sfregò la fronte, come improvvisamente stanco.
<< Non intendevo farti arrabbiare >>
<< Entrando nella mia testa a tuo piacimento e tenendomelo nascosto per tutto questo tempo, dici? >>
<< Pixie, ti prego… >>
<< No! >> urlò di nuovo. Era troppo tardi, l’errore era stato commesso. << Io non ti ho mai tenuto nascosto nulla, sono stata sempre del tutto sincera, sono sempre stata un libro aperto, per te! Se c’era qualcosa che volevi sapere non hai mai dovuto fare altro che chiedere, Adam! Ma una cosa del genere… >>
<< Ti ho sempre letto nella mente, ogni anno, qui. L’ho sempre fatto e lo sai >> ribatté quello, come a volersi giustificare. No, come volesse scaricare una responsabilità, in effetti, ma lei non glielo avrebbe permesso.
<< Appunto, – urlò ancora – qui! Con il mio permesso! Ma non hai mai detto che avresti continuato a farlo anche al mio risveglio! Non mi hai mai detto che potevi farlo! >>. Era stata una sciocca, solo una sciocca. Come aveva fatto a non pensarci da sola? Dopotutto, quante volte prima che decidesse di sviluppare il suo dono, Adam le aveva detto cose che lei non poteva sapere e che quindi, di certo, lui non poteva aver letto nei suoi ricordi? Non era stato forse lui a dirle che suo padre si era fermato dagli Hill, la notte di sei anni prima quando l’aveva convinta a esercitare il suo dono?
E tu come lo sai?
Nello stesso modo in cui lo sapresti anche tu, se solo ti sforzassi di provare.
<< Pixie, lasciami spiegare… >> quasi la supplicò.
<< Perché?! Così da lasciarti trovare il modo per cambiare discorso, esattamente come fai sempre?! No, non questa volta! E la cosa peggiore è che non capisco il perché! Che motivo avevi di agire in questo modo, di spiare ogni mia mossa?! Accidenti, non sono io quella che ha dei segreti, qui! >>
<< Chi ti dice che io abbia dei segreti? >>
<< Per favore, tutto, di te, porta inciso a grandi lettere la parola ‘segreto’, Adam! >>. Ormai era ben oltre la rabbia. Sentiva come un retrogusto amaro, in bocca. Il sapore della delusione, ecco cos’era.
Era offesa, era furiosa ed era delusa. Non se l’aspettava, una cosa del genere, non da lui.
<< Vieni nei miei sogni da quando avevo cinque anni e non mi hai mai detto davvero come fai o perché, solo risposte vaghe per quindici anni! >> riprese, ora non più in grado di fermarsi << Vuoi sapere se quello che ha detto Anna è vero, Adam? D’accordo, ti accontento: non lo so! Non so se sono innamorata di te, perché come faccio a essere certa di quello che provo se non mi hai mai dato nemmeno un motivo valido per credere che tu sia reale?! >>.
Era scoppiata, completamente e definitivamente. Le parole le erano uscite dalle labbra come un fiume in piena, non avrebbe potuto trattenerle nemmeno se avesse voluto, non quella volta e, in tutta onestà, non aveva nemmeno pensato di farlo. Ma era stata cattiva. Non ne aveva avuto davvero l’intenzione, quello no; nonostante la rabbia non era così che voleva dirglielo, ma aveva finito coll’urlargli contro qualcosa che pensava davvero, col rivelargli i suoi dubbi – che in un’altra circostanza avrebbe semplicemente confidato e basta, chiedendogli di darle una risposte concreta, per una volta – nel modo peggiore.
Distolse lo sguardo, arrabbiata e in colpa. Due emozioni che si alimentavano a vicenda perché il senso di colpa la faceva adirare ulteriormente. Aveva tutto il diritto di avercela con lui, non avrebbe dovuto sentirsi lei nel torto, per quello che gli aveva detto. Dopotutto era stato lui a commettere l’errore, era stato lui a violare la sua mente, scavando nel suo inconscio a proprio piacimento e chissà quante volte, chissà per quanto tempo. Perché doveva essere Emily  a sentirsi in colpa solo per avergli detto la verità? Solo per avergli urlato quanto l’avesse ferita, lui di cui si fidava ciecamente, comportandosi in quel modo?
<< Emily, guardami per favore >>, Adam le parlò con tono calmo, non c’era traccia di rabbia né di altro nella sua voce. Apparentemente voleva solo che lo guardasse, come le aveva chiesto. Lei non voleva voltarsi ma fu costretta a farlo, si sentiva quasi in dovere dopo quanto gli aveva urlato prima – quel maledetto senso di colpa che aumentava la sua rabbia –, ma nonostante questo non gli avrebbe permesso di blandirla. Non lo permetteva a nessuno.
Quello che vide nei suoi occhi, quando catturò quelli verdi di lei, però, la fece vacillare: era rimorso.
Possibile che quanto gli aveva detto avesse davvero sortito il suo effetto, intaccando il guscio di non detti dietro cui lui si trincerava?
<< E’ da quando eri bambina che continui a pensare una cosa del genere >> le disse semplicemente, con un sorriso amaro.
<< Puoi forse darmi torto? >> stavolta non lo urlò, ma la delusione permeava comunque ogni sua parola.
<< Però i sentimenti che provi sono reali >> insisteva di nuovo. Proprio non ce la faceva a essere sincero senza pretendere che fossero prima gli altri, a farlo? Che lo fosse prima lei?
<< Come fai a dirlo se non ne sono certa neppure io? >> Emily non avrebbe ceduto. Non poteva, non dopo che i dubbi che si era tenuta dentro per anni erano stati buttati fuori.
<< Lo sai, invece. Solo che non vuoi ammetterlo >>
Ostinazione.
<< E sentiamo, perché non vorrei ammetterlo? >>
Orgoglio.
<< Perché hai paura >>
<< Tu parli a me di paura, Adam? >> quasi scoppiò a ridere per l’assurdità di quello che aveva sentito, la presunzione con cui lui traeva conclusioni. << Tu che glissi costantemente, quando ti chiedo di raccontarmi qualcosa che ti riguardi? Sì, è vero, io ho paura. E ce l’ho costantemente, perché ogni giorno temo di commettere un errore o che qualcuno possa scoprirmi. Ho paura per la mia vita, ma soprattutto temo per quello che ne sarebbe della mia famiglia se una cosa del genere dovesse capitare, ma tu questo lo sai, no? E lo sai proprio perché io, al contrario ti te, non ti ho mai nascosto nulla >>.
E’ una cosa potente, la delusione. Soprattutto se causata da qualcuno in cui si era riposta la più completa fiducia. In quel caso le era impossibile impedire che sgorgasse e basta, senza sosta, saturando l’aria. Come sangue scuro che sgorgasse da una ferita infetta – perché la delusione è una ferita infetta, una ferita dello spirito.
<< Tu sai già di me tutto quello che c’è da sapere, Emily! Mi conosci meglio di chiunque altro al mondo, sai di me cose che chiunque altro ignora! E sono queste le cose importanti, dannazione! Come può cambiare le cose sapere dove vivo o cosa faccio durante la giornata?! Non è questo a indicare il grado di confidenza fra due persone! Tu sai praticamente ogni cosa di ogni abitante del villaggio ma conosci davvero solo pochi di loro e ancor meno conoscono davvero te, e nessuno di loro, tranne forse tua sorella, ti conosce quanto ti conosco io! >>
<< Non vuoi capire. Non è questo il punto >>.
Sembrava quasi che le parti si fossero invertite: Adam che gridava, esasperato, ed Emily che scuoteva il capo e volgeva lo sguardo altrove, esausta e abbattuta.
<< Hai ragione, il punto è che cosa provi in realtà. Perché tu lo sai, quello che senti, e sai quello che senti per me, quindi perché non smettiamo questa sterile lite e vediamo le cose per quelle che sono? Perché non accetti quello che io provo per te? >>
<< Accettarlo? – sbottò con un tono di aspra ironia – Ammesso che tu sia reale e non il frutto di una mia fantasia infantile? >>, era più forte di lei, proprio non ce la faceva a chiudere in un angolo la rabbia che lui le aveva acceso dentro. Si era sentita tradita, da lui che credeva fosse una delle poche persone al mondo che non lo avrebbe mai fatto. Si era sentita tradita e sarebbe stato difficile assorbire quel colpo. Per questo era stata cattiva una seconda volta.
<< Se sono solo una tua fantasia infantile, allora perché continueresti a sognarmi anche adesso? >> replicò esasperato, neanche lui sembrava voler desistere.
<< Magari la mia mente si è aggrappata a questa fantasia; magari non ha voluto abbandonarla perché donava quel pizzico di mistero capace di farmi evadere dalla monotonia quotidiana >> replicò tagliente. << Dopo tutto, cosa sappiamo delle reali capacità della mente umana? Basta leggere un libro qualunque, immergersi nel mondo creato dalla fantasia di un autore per rendersi conto di quanto possano essere vaste e sterminate le potenzialità della nostra mente. Io stessa riuscendo a leggere nelle menti altrui sono la prova vivente di queste sterminate potenzialità >> fece con un sarcasmo amaro.
<< Quindi è questo che io sono per te: solo una piacevole evasione? >> era ferito. Adesso lo vedeva chiaramente. Lo comprese da come la fissava, dallo sguardo improvvisamente spento fisso su di lei, quasi disorientato. Volse di nuovo gli occhi altrove, un nodo doloroso che le serrava la gola. Dannazione, perché doveva essere così difficile?!
<< Non ho detto questo >> disse a voce bassa, cercando di mantenerla il più ferma possibile.
<< Però l’hai pensato >> l’accusa nelle parole di lui.
No, non era quello ciò che intendeva dire, non era quello ciò che pensava di lui, dannazione! << Accidenti, non lo so nemmeno io quello che penso, Adam! Non so più a che cosa credere, è questo il punto! >> sbottò, e poi calò il silenzio. Pesante e doloroso.
Perché non riusciamo ad affrontare questa discussione come abbiamo sempre fatto con qualunque altra?Fu lui il primo a rompere il silenzio, parlandole con la voce del pensiero.
Non gli rispose, non poteva. Perché tu vuoi che sia solo io a parlare davvero, avrebbe voluto dirgli, ma si trattenne anche dal pensarlo, dal formulare quella frase nella sua mente. Non poteva lasciare che lui la sentisse e, nello stato in cui si trovava in quel momento, non era certa sarebbe riuscita a barricare quel singolo pensiero dietro una barriera che lui non potesse valicare.
Fidati di me, Emily. Di nuovo ruppe il silenzio che lei si era ostinata a mantenere. Di nuovo, la giovane non gli rispose.
Emily… Una supplica. Un tono che non gli aveva mai sentito usare in quindici anni. Un tono che la trafisse al centro del petto; un’unica parola che le bloccò il respiro come dopo un colpo ricevuto all’improvviso – perché era stato un colpo ricevuto all’improvviso, tutta quell’intera conversazione lo era stata. Finché non si ritrovò il viso fra le sue mani e gli occhi che annegavano in quelli marrone scuro di lui. E fu in quel momento che la vide, la comprensione. Era arrivata all’improvviso anche quella, dopo che aveva tentato di ignorarla per tutto quel tempo, alla fine Adam se l’era ritrovata davanti con tutta la sua cruda verità. Finalmente aveva capito qual era stata la vera portata del suo errore: la stava perdendo.
Emily, ti prego, fidati di me. Di nuovo quel tono, di nuovo una supplica.
Come faccio a…
Verrò da te.
Come?Sbatté più volte le palpebre, disorientata. Adam l’aveva interrotta e aveva parlato così velocemente che credette di esserselo immaginato. Non poteva essere vero, non poteva dire sul serio, non poteva aver detto…
Verrò da te.
Di nuovo quelle tre parole. Stavolta era certa di non essersele immaginate, le aveva sentite davvero. Lui gliele aveva dette davvero.
Quando?Chiese soltanto, troppo stravolta per dire altro.
La sera della Festa d’Inverno.
Ingoiò a vuoto,Dici sul serio?
Per anni me lo sono impedito, ma ormai questo non mi basta più e non basta nemmeno a te. Era serio. Assolutamente, totalmente, innegabilmente. Non vi era traccia di scherzo nelle sue parole, anzi, avrebbe potuto affermare glielo stesse giurando. Ti perderò se non lo farò, – riprese –lo vedo nei tuoi occhi e non permetterò che accada. Aspettami la sera della Festa d’Inverno, durante le celebrazioni. Mi troverai in mezzo alla folla quando meno te lo aspetterai.
Deglutì, di nuovo a vuoto perché aveva la gola secca. Se avesse tentato di parlare normalmente, in quel momento non ci sarebbe riuscita. E in più c’era di nuovo quello strana sensazione, quel qualcosa che le faceva aggrovigliare lo stomaco. Solo in quel momento si rese realmente conto di avere le mani di Adam sul viso, i suoi occhi puntati addosso, che non lasciavano andare le iridi verdi di lei un solo secondo, e soli pochi centimetri a separarli. E, improvvisamente, qualcosa cambiò; la presa di Adam si allentò appena e sul suo volto comparve un’espressione sorpresa. Cominciò a spostare freneticamente lo sguardo sul suo viso – dagli occhi alle labbra, alle guance, e poi di nuovo agli occhi – come accortosene anche lui solo in quell’istante.
Il cuore di Emily aveva iniziato a battere sempre più veloce, come quando correva nel bosco, solo che non stava correndo. Era ferma di fronte ad Adam, che ancora le teneva il volto fra le mani a coppa e che, con un pollice, aveva iniziato a carezzarle la guancia, lentamente. Lui si avvicinò, con altrettanta lentezza, poco alla volta, piegando la schiena quel tanto che bastava per essere alla stessa altezza di Emily, e si fermò quando ormai vi era solo lo spazio di un respiro a separarli. Deglutirono entrambi, stavolta non a vuoto, il respiro accelerato, il fiato fresco che s’infrangeva sul visto dell’altro, ed Emily sollevò le mani afferrando i polsi di lui, istintivamente. Non per allontanarlo, ma per aggrapparsi a qualcosa per non cadere. Pochi attimi, poi Adam scese una mano, posandogliela sul collo, e lei era certa che, col palmo, potesse sentire la pulsazione frenetica che riecheggiavano nell’arteria del collo. Poi lui piegò il viso e sfiorò con le labbra e la punta del naso il profilo della sua guancia, solleticandole la pelle col suo fiato. Stavolta la giovane non riuscì a reprimere i brividi che, veloci, le scesero lungo la schiena, esattamente come non riuscì trattenere il sospiro che le sfuggì dalle labbra, quando quelle di Adam le lasciarono una carezza che partiva dal mento e arrivava su, fino al lobo sensibile. Strinse la presa sui suoi polsi, le gambe improvvisamente molli e il cuore che credeva le sarebbe uscito dal petto. Vampate di calore che le percorrevano continuamente le membra.
<< Verrò da te, Pixie, aspettami >> le bisbigliò all’orecchio, la voce diventata un alito denso di qualcosa che Emily riconobbe come eccitazione e che lei stessa sapeva di stare provando. Le sensazioni da cui era attraversata le ricordavano in parte quelle che provava da bambina, durante una gara nel bosco; quell’esaltazione particolare, quell’euforia che si diffondeva in ogni suo muscolo. Solo che, adesso, tutto era molto più intenso. Più volte aveva letto e sentito quelle stesse sensazioni nelle menti degli altri abitanti al villaggio, ma ogni volta aveva sollevato con più tenacia il suo muro. Erano emozioni troppo intime perché lei le spiasse.
In fine, le mani di Adam scesero a posarsi sulle sue spalle e lui le depositò un piccolo, lieve bacio sulla guancia. L’attimo dopo, sentì che le metteva qualcosa in mano e riconobbe subito lo stelo della rosa che ricordava di aver lasciato dimenticata sul prato, quando si era alzata in preda alla rabbia. Abbassò gli occhi e trovò conferma a quanto aveva supposto nel cremisi dei petali del fiore. Rialzò lo sguardo su quello marrone scuro di lui – le iridi liquide come non le aveva mai viste – e vi lesse dentro la promessa che le aveva fatto.
Quando la mattina dopo si svegliò – era davvero trascorsa un’intera notte? Oppure erano passati solo pochi istanti da quando aveva chiuso le palpebre? –, il letto era vuoto e Anna non c’era. Le ci volle qualche istante per riprendersi dal torpore del sonno e quando la sua mente fu abbastanza lucida per ragionare, sentì i pensieri e subito dopo le voci di sua sorella e dei suoi genitori provenire dalla cucina, dove stavano facevano colazione. Nello stesso istante, come un lampo che squarciava il buio, ricordò con lucidità disarmante il sogno di quella notte.
Non poteva essere vero, si disse, non poteva. Non doveva credere a quanto aveva sognato, se si fosse concessa quell’illusione e poi nulla fosse accaduto ne sarebbe stata annientata.
Adam non era reale e non sarebbe venuto da lei per la Festa d’Inverno. Non doveva crederci, non poteva farlo… Ma allora perché sentiva ancora nitida la sensazione lasciata dallo stelo della rosa tra le dita e la fragranza dei suoi petali nell’aria?







Angolo autrice:
*Cof cof* ehm… saaaalve gente! xD come vedete non sono scomparsa, non mi hanno rapita gli alieni e non sono morta *si dà una grattatina perché non si sa mai* ed eccomi a voi con il nuovo capitolo! Lo so, sono in ritardo in una maniera schifosamente e atrocemente imperdonabile e per questo mi prostro supplicando il vostro perdono. Sinceramente, mi dispiace tantissimo e giuro solennemente che farò in modo non succeda più. So che vi avevo avvertiti che poteva esserci la possibilità di un ritardo, per l’aggiornamento, causa sessione estiva ma la suddetta è finita – bene <3 – il 4 luglio facendomi fare dei signori botti di gioia tanto per festeggiare insieme agli americani e dopo sono stata presa da una tanto meritata quanto indecorosa accidia – no, ok, diciamolo come si dice dalle mie parti: a lagnusia mi manciò viva… – che mi ha impedito di scrivere, per cui non ho reali giustificazioni. Insomma, sto cercando di corrompervi con la mia sincerità d’animo e il mio visino pulito :D non vi faccio tanta tenerezza, dopotutto?? *-* *modalità paracula ON*
Il capitolo era già iniziato ma proprio non riuscivo a finirlo e questo mese ha visto l’alternarsi di una fase escrementizia dopo l’altra in cui lo riprendevo, scrivevo un po’ e poi lo posavo di nuovo. Motivo per cui ecco le sue papiriche dimensioni finali! :D il senso di colpa per avervi fatto aspettare così tanto ha portato a ben trentanove pagine word tutte per voi, che culo che avete avuto, eh! xD direi che mi sono fatta perdonare, su… *mente sapendo di mentire e spera che le tirino solo pomodori*
A dirla tutta ci sono alcune parti di cui non sono sicura, piccole ma ci sono, anche se, nel complesso, del capitolo sono soddisfatta (essenzialmente sono una perfezionista quindi non mi va mai del tutto bene nulla -.-“). La parte finale è una di quelle che mi ha creato più problemi ma alla fine è venuta come la volevo io xD insomma, spero che le due facce di culo vi piacciano quanto piacciono a me! Come avete visto ho introdotto nuovi personaggi e alcuni di essi avranno ruoli fondamentali nei prossimi capitoli, ma anche ai fini della trama in sé. Cosa ne pensate di Max Ivory? Credete che Emily stia esagerando o vi ha ispirato la stessa violenza che ispira a lei? xD e Peter? Io lo adoro, Emily è proprio una disgraziata! Ma quella che adoro più di tutti è Annabelle <3 cucciola! Mi sono innamorata del suo personaggio, per tanti motivi!
Il rapporto tra le due sorelle è una delle cose a cui tengo di più e su cui mi sono soffermata e mi soffermerò ancora e ammetto di essermi commossa molto – come una cretina, lo so – mentre scrivevo il dialogo che le due fanciulle hanno prima di addormentarsi, un dialogo che, per quanto mi riguarda, ha molto di reale. Ho cercato di rendere il loro rapporto il più vero possibile – manca l’elemento “bisticci fra sorelle” ma penso che, proprio per amore di sincerità, arriverà anche lui! xD
E insomma, non ho molto altro da dirvi sul capitolo a parte che, come ho potuto costatare dalla recensioni al precedente (<3), c’è chi si è accorto e si accorgerà anche qui che ci sono ancora taaante cose da dire, misteri da rivelare (e qui, fallsofarc c’ha avuto occhio perché ha capito una cosa anche se non le dico cosa…)… Tutto questo, signore e signori, a Voyager! Ehm, no, scusate! Credo di aver sbagliato canale! ^^ ecco, mi risintonizzo su Radiocazzona, il mio canale radiofonico personale!
Scherzi a parte, ci sono ancora degli interrogativi di cui non ho parlato ma che saranno oggetto d’interesse nei prossimi capitoli – u.u – tipo da chi Emily ha ereditato il suo dono. C’è stato un salto di sei anni e ci sono, giustamente, delle cose che vanno spiegate.
Cosa ne dite, Adam verrà (non pensate a quello a cui io so state pensando! xD) davvero da Emily, per la Festa d’Inverno? Oppure ha ragione lei, ed è solo frutto della sua immaginazione? Oppure ancora credete che la fanciulla si faccia troppo problemi e invece di litigarci doveva saltargli addosso, nel sogno? xD (ci sarebbe anche un’altra ipotesi da non escludere, quella dei funghi allucinogeni, ma quelli sono da imputare a me, non a Emily xD ecco spiegato il perché io scriva certe cose!).
Va bene, va bene, non ve ne frega – giustamente – una mazza dei miei sproloqui, quindi mi eclisso – e sarebbe pure ora!
Concludo dicendovi un grosso, enorme (e di nuovo, non pensate a quello a cui io so state pensando!), immenso grazie dal profondo del cuore! Grazie alle anime pie che hanno recensito e che mi hanno emozionata con le loro parole, grazie alle altre anime pie che hanno messo questa mia – adorata – sega mentale nelle seguite e a quelle che l’hanno messa tra le ricordate così, a scatola chiusa, dal primo capitolo! Non me lo aspettavo, davvero, e mi avete riempita di gioia e gratitudine!  Un grazie alle più di duecentosessanta – O__O miseria ladra! – visite per cui mi manca il respiro! Un grazie alle mie tesore, che mi hanno minacciata più volte di amorevoli – mica poi tanto – violenze fisiche e morte, nonché pungolata disonestamente con sensi di colpa vari, affinché finalmente aggiornassi e che avevano perso le speranze dato che è più di una settimana che dico loro che lo avrei fatto! xD (Sì, Emily Alexandre, Sif e sawaade, parlo di voi!) e alla mia Corazòn che ha letto il capitolo in anteprima, dandomi la sua benedizione a postare e che, come sempre, mi ha minacciata perché secondo lei la torturo, ma io la amo per questo – a mia sorella no, perché è cattiva e non ha voluto leggere il capitolo! :P (scherzo, amore mio, se mai leggerai)!
Insomma, grazie, grazie davvero!
Ah, e NON può mancare un grazie immenso seguito da complimenti al mio tessssorissimo: MusicDanceRomance <3 che è stata l’unica ad aver azzeccato la fiaba fin dal primo capitolo (e no, è inutile che andiate a spulciare la sua recensione perché l’ha fatto in altra sede! :D)!
Giuro, ho finito con la mia logorrea! Vi avviso solo che, d’ora in poi, saranno aggiornamenti ogni due settimane, così da ridurre il più possibile il pericolo ritardi.
Un bacione a tutti, spero di nuovo di non avervi spaventati più con le note che col resto! xD
 
P.s. (perché ci mancava pure il post scrittum, eh!) Emily Alexandre, spero di essere riuscita a strapparti un sorriso, tesoro mio!
 


Graine
 
   
 
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