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Autore: Katherine Christmas    28/08/2011    2 recensioni
« Si guardarono negli occhi, in silenzio. Erano sicuri che tutto il mondo in quel momento fosse in silenzio. Si guardarono senza saper far altro, perché in fondo, lo sapevano, erano soltanto dei bambini.
Osarono avvicinarsi, osarono farlo. Osare, quello che a lui aveva insegnato l’essere Re del Mondo Emerso e a lei l’essere una spia degli Elfi.
Osarono baciarsi, osarono farlo, quello che ad entrambi aveva insegnato l’Amore. »
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNO

 il Bene e il Male

 
Kalth scrutava l’orizzonte al di là del vetro, chiedendosi ancora una volta se avrebbe mai visto gli uomini dai capelli verdi invadere i suo sguardo. Sapeva bene che il suo volto negli ultimi mesi era cambiato: le occhiaie marcate, i lineamenti del viso sempre più contratti, e gli occhi che tremavano di una stanchezza febbrile. Una mancata forza che per ora faceva credere di avere, che magari così l’avrebbero avuta altri a posto suo. Ma con altrettanta consapevolezza sapeva che tutti riconoscevano quello che era.
Sospirò e posò a terra il suo sguardo.
Già, lo sapevano tutti.
Il sole stava calando, quando sentì un rumore di zoccoli e ruote provenire da di fuori. Vide arrivare una carrozza con intorno più guardie di quante riuscisse a contarne. La intravide dal finestrino, i capelli bianchi, quella che era anche la sua stanchezza negli occhi… eccola lì, Theana. La migliore amica di sua nonna, e il Supremo Officiante. Era venuta a dargli una mano in quel momento di instabilità.
Pensò che non occorresse accoglierla di persona, e che dopo un viaggio lungo come il suo avrebbe soltanto voluto mettersi a letto e dormire fino alla mattina seguente. Era una donna saggia, e lei soprattutto confidava in Kalth.
Sospirò di nuovo, più forte, più a lungo, sperando che qualcuno sentisse quanto fosse dura per lui, ma sapendo che non ci sarebbe stato mai nessuno ad ascoltare i suoi sospiri. Infondo, non lo avrebbe permesso.
Guardò di nuovo fuori dalla finestra, scrutando la sua città che andava in rovina. Il morbo, la guerra con gli Elfi, ora anche questa ridicola guerra civile… troppo. Troppo per lui, troppo per il popolo, troppo per quel suo bel Mondo. E guardando la sua città, si accorse che c’era una definizione migliore di rovina. Morte. La sua città stava morendo, e con lei, i suoi abitanti.
D’un tratto sentì bussare alla porta.
Come sempre, in un gesto così abitudinario da apparire ora involontario, contrasse i muscoli della faccia in modo da avere un volto neutro, che non lasciavano trasparire emozioni. Un volto pacato, come del resto lui era sempre stato.
Con voce più rigida e sicura che gli venne, disse appena « Avanti. »
 
**
 
Fu svegliata di buon’ora, da una brusca botta sulla porta e una voce che gridava « Su, alzatevi, forza!» , come, da quanto aveva capito, era usanza fare in quel palazzo per svegliare le serve.
Quell’ultima parola la fece rabbrividire.
Un’elfa come lei, un soldato che a quanto ricordasse non  aveva mai fatto altro che combattere per la propria patria, si ritrovava a fingere di essere una serva qualunque, tra l’altro tra i suoi nemici. Ne era quasi disgustata.
Ma come al solito represse in fretta la sua rabbia,  pensando che quella commedia avrebbe giovato  molto al suo popolo. Infiltrarsi era stata un’idea di Kryss, il loro Re, e lo aveva chiesto proprio a lei. Aveva visto in lei qualcosa, e per questo Imeh si sentiva onorata. Sarebbe inoltre stato un gioco da ragazzi ricavare informazioni, pensò. Il Supremo Qualcosa, che aveva capito investire una delle cariche più prestigiose di quel Mondo, sarebbe arrivata fin lì da Laodamea e sicuramente non era venuta da così lontano per prendere un tè. Avrebbero parlato di affari, di strategie, e – Imeh ne era sicura – avrebbe scoperto tutto. Erano ormai settimane che era là dentro, e in quel tempo era riuscita ad escogitare un piano.
Quindi si alzò in fretta, si sciacquò in un recipiente pieno d’acqua. Alla vista del suo riflesso rimase un attimo confusa, ma poi si ricordò dell’incantesimo: i suoi amati capelli verdi erano diventati si un nero opaco, mentre le sue orecchie a punta avevano ora una forma tondeggiante. Anche il viso lo era, e gli occhi avevano un taglio diverso. Se non fosse stato per qualche piccolo segno che la distingueva, non si sarebbe riconosciuta nemmeno lei.
Mise gli stracci da serva, ben controllando come sempre che i suoi veri abiti fossero ancora dove li aveva nascosti, poi uscì.
La mattinata passò lentamente, a strofinare pavimenti che non sarebbero mai potuti essere puliti ai piani inferiori, e ai piani superiori spolverando arazzi così lucenti da rimanerne anche lei affascinata. Ognuno di loro narrava un pezzo di una storia diversa, e Imeh ammetteva che fossero davvero belli e ben fatti.
Quella mattina, le capitò un arazzo con raffigurato un drago. Ma non era un drago come quelli che lei conosceva. Era diverso, in che modo non avrebbe saputo dirlo, ma sembrava più… maestoso. Era un drago verde di tutte le sfumature possibili, grande, con occhi come il fuoco. Rimase stupefatta da tanta bellezza. Però si disse che sicuramente anche da loro esistevano draghi così, forse addirittura più belli, solamente che per la guerra usavano gli altri. Forse… .
Tra una pulizia e l’altra, Imeh arrivò al pranzo distrutta.
Mangiò da sola, come sempre, senza permettere a nessuno di avvicinarsi, sentendo però delle ragazze che vociferavano su un certo posto fuori del palazzo, dove c’erano dei draghi.
La ragazza sperò vivamente che avrebbe avuto l’occasione di vederli, un giorno o l’altro.
Appena ebbe finito di mangiare la sua porzione di pane e formaggio, si diresse in cucina per svolgere il suo incarico, datole da appena qualche giorno.
Bussò alla porta delle cucina, da cui proveniva un gran baccano, ed entrò senza attendere risposta. Come al solito, nessuno badò a lei, e si diresse da Galia. Lei era il capo della cucina: un donnone sempre paonazzo, e la bocca perennemente rivolta all’ingiù.
« Sono venuta per il pranzo » gridò Imeh per sovrastare le voci che avvolgevano la testa di Galia. Quella si girò verso la ragazza, con l’umore più nero del solito, e con voce roca e profonda borbottò « Oggi il Re non pranza » poi ritornò al suo bel da fare.
Imeh rimase spiazzata.
« Cosa? E che faccio allora? » gridò di nuovo, ma la donna non le badò, e quindi lei uscì dalla cucina.
Senza sapere che fare, gironzolò un po’ per i piani inferiori, senza avere davvero un meta, e si permise di pensare liberamente. Pensare per una volta senza avere regole, domandandosi cose proibite. Per la prima volta, ripensò al suo viaggio. In quei giorni non faceva caso a nulla, era troppo emozionata di svolgere una missione direttamente per il Re. Ma in quel momento, pensò realmente a cosa aveva visto, e si fermò di scatto, domandandosi come aveva potuto non rabbrividire davanti all’orrore che l’aveva circondata per giorni.
Ripensò dunque a tutti i cadaveri che aveva incontrato, abbandonati in ogni posto possibile: sul ciglio della strada, tra i vicoli delle case, alcuni addirittura sopra i tetti. Terrorizzata, rivide i bambini che urlavano pieni di macchie nere, stringendo i corpi senza vita dei genitori.
E in un attimo, si rese conto quello che davvero stava succedendo in quegli anni, in quel Mondo. Capì cosa fosse la guerra, e si ritrovò disgustata.
E finalmente, si domandò perché lei stesse combattendo questa guerra con tanto ardore, in un accampamento dove la realtà arrivava ovattata, e si fece una domanda, seriamente, soltanto per un attimo, senza paura di ciò che i suoi compagni avrebbero potuto pensare di lei.
In quella Guerra c’era un Bene e c’era un Male. Ma qualeerano loro, e quale erano gli altri?
Ma fu un attimo, e nello stesso tempo la domanda scomparve dalla sua testa, vergognandosene, e ritornò alla tranquilla finzione che, con il tempo, aveva creduto essere reale.
 
**
 
Venne la sera, e Imeh si diresse di nuovo in cucina, per portare la cena al Re. Nonostante tutto, si sentiva meglio: una pausa le aveva fatto bene.
Stavolta in cucina trovò addirittura un po’ di pace, ma non vide invece Galia. Al suo posto, chi dava ordine con tono che non ammetteva repliche, c’era un vecchio signore dai capelli radi e grigi, una naso aquilino e un corpo nodoso. La ragazza si avvicinò titubante, e appena la vide, il signore le andò subito incontro con aria accigliata. « Cosa fai qui, ragazzina? » sbraitò, e la sua voce risuonò in quel silenzio pieno di tensione.
Imeh, che non era poi così spaventata – di cose peggiori, in guerra ne aveva viste – rispose con voce solamente un po’ più roca del solito: « Devo portare la cena al Re »
Quello la squadrò. « Ah, sei tu quindi. Ma quanti anni hai? »
« Quasi quattordici » ammise lei.
« Proprio una bambina… » commentò il vecchio accigliato. Poi però alzò le sopracciglia, come se si fosse ricordato qualcosa tra sé e - Imeh avrebbe giurato sapere cosa - ordinò che le venisse data la cena del Re.
Così si incamminò con il vassoio retto da entrambe le mani, ed era così pieno che avrebbe potuto mangiarci lei per settimane. E sarebbe rimasto pressappoco così, il piatto, lo sapeva. Il Re avrebbe mangiato solamente qualche pezzo di pane aromatizzato e una fetta di carne. Tutto il resto, lo avrebbe rispedito in cucina, non prima di aver chiesto ad Imeh se gradiva qualcosa. Lei, ovviamente, rispondeva di no tutte le volte.
 Bussò alla porta, e gli venne in mente la prima volta che l’aveva aperta, appena qualche giorno prima.
 
Rimase ferma qualche secondo, eccitata dal fatto che sarebbe stata una delle poche ad aver visto il nemico in faccia. Alla fine si decise, e bussò. Una voce diversa da quella che si sarebbe aspettata disse di entrare. Lei aprì la porta.
Il Re era in piedi vicino al tavolo, e Imeh, dalla sua posizione, immaginò che la stesse aspettando.
La ragazza rimase sconvolta dall’aspetto del Re.
Si era immaginato un uomo grande, possente, con voce autoritaria.
Invece, davanti a lei, c’era una bambino, di pressappoco la sua età.  
Guardò quelle esili spalle, e pensò con stupore che erano quelle a reggere il fardello di quel Mondo. Immaginò la sua bocca, ancora troppo piena per aver un qualunque dubbio, che pronunciava parole più grandi di lui; immaginò la sua mente, che si sforzava più di qualunque altro per prendere le decisioni più grandi del mondo; immaginò il cuore piccolo, piccolo forse quanto il suo, che sussultava ogni volta che lo elogiavano o dubitavano di lui.
Guardò quella figura, che era il Re. Che doveva avere pressappoco la sua età.
Guardò quella figura, che era il Re Bambino, di quel Mondo ormai vecchio che stava morendo.
Aveva un’espressione così neutra da pensare portasse una maschera. Non tradiva alcunaemozione, e appariva quasi come un contrasto su un corpo così giovane. Estremamente serio, chiese cortesemente e pacato ad Imeh di appoggiare il vassoio sul tavolo, chiedendole poi se gradiva qualcosa. Lei rifiutò, e con un saluto semplice e veloce, uscì dalla stanza.
Così confusa non lo era mai stata. Come poteva lui, essere il Re? Come poteva un bambino di appena quattordici anni essere così saggio?
Non trovò mai risposte, e solo dopo qualche giorno si abituò a vederlo in quel corpo, il Re che lei si era sempre immaginata possente e fiero.
 
« Avanti ». Quella stessa voce di allora interruppe i suoi ricordi.
Lei entrò, non più titubante come una volta, e andò a posare il vassoio sul tavolo.
« Oh, sei tu. » disse distrattamente il ragazzo.
Era appoggiato alla finestra, con il volto più contratto del solito. Imeh gli diede una rapida occhiata, e le sembrò di vederlo diverso.
Inaspettatamente, ma sempre con il volto e la voce più pacati possibile, posò gli occhi su di lei.
« Sono ormai giorni che mi servi, ed io non so il tuo nome. »
Senza un apparente motivo, il cuore della ragazza perse il battito. Forse, era stata la strana sensazione del sentir la sua voce rivolgersi a lei, quella stessa voce che invece comandava l’intero Regno, quella voce che ordinava alla gente come comportarsi, quella voce che prendeva decisioni così grandi. Ora, quella stessa voce, voleva sapere il suo nome. Solamente questo. E in un flash l’elfa pensò che Kryss non lo sapeva.
E, senza pensare che forse sarebbe stato meglio mentire, rispose.
« Imeh »
« Che nome strano » commentò il Re, con voce gentile e neutra.
La ragazza si sforzò di sorridere, capendo però quel che aveva fatto. Si rese conto che ora il Re nemico sapeva il suo nome. Il suo, di Re, no. Ma dopotutto si disse che il ragazzo sapeva quello, quello e basta di lei. Kryss sapeva tutto il resto.
Nel momento in cui piegò la testa, però, vide una cosa che non avrebbe mai voluto vedere. Una ciocca dei suoi capelli le ricadde sul volto, e vide con i suoi occhi una macchia verde che si espandeva in fretta e inesorabilmente per tutta la ciocca.
L’incantesimo.
Se l’era completamente dimenticato.
Sperando con tutta se stessa che il Re non facesse caso a lei, bofonchiò un saluto, e corse via, nella sua stanza, rinnovando in fretta l’incantesimo.
Prese di nuovo il catino con l’acqua, e si rassicurò di un poco vedendo i capelli, ormai tutti verdi, tornare neri, e le orecchie riprendere quella forma tondeggiate.
Quella notte non dormì, dandosi mille e mille volte della cretina, pregando Sheevrar che il Re non avesse notato i suoi capelli verdi.
Dopo un po’ si costrinse a pensare a qualcosa di più rassicurante. Se li avesse notati, sicuramente avrebbe subito chiamato le guardie. A quell’ora, di certo, non sarebbe nel suo letto. Sarebbe già morta.
Ma non lo era, questo significava che non l’aveva notato. Dopotutto, pensò tra uno stranissimo misto di sollievo e delusione, il Re non l’aveva mai notata.
Pensò che a quell’ora Theana sarebbe già arrivata. E la mattina seguente avrebbe discusso con il Re di strategie.
Li avrebbe sentiti, spiati. Avrebbe riferito tutto a Kryss e li avrebbero distrutti una volta per tutte. Avrebbero distrutto il Re e tutto il Mondo Emerso, per riprendersi finalmente quello che gli spettava. Parte del merito sarebbe stato suo… .
Contro ogni sua volontà, però, si addormentò con il volto del Re in testa, immaginando il suo dolore nel vedere il Mondo Emerso cadere, sotto i suoi occhi.
 
 
 
 


-          Sul mio primo capitolo ho poco da aggiungere, solamente che ho preso spunto, per quanto riguarda la parte da “infiltrata”, da Dubhe, anch’essa infiltrata a    palazzo.
-          Ringrazio ancora inoltre chi arriverà alla fine del capitolo soddisfatto, e con la voglia di continuare (:
K. Christmas

  
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