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Autore: Sara Weasley     11/09/2011    54 recensioni
Un fumo dall’odore dolciastro si diffonde nel vicolo e l’ennesimo boato esplode nell’aria: da qualche parte oltre il terrore, le maledizioni, i rumori assordanti, qualcuno urla e io sento il gelato di Florian risalirmi lentamente lungo la gola. Potrebbe essere chiunque dei miei amici: potrebbe essere Remus, oppure Peter, Frank o Alice… ma io, più di tutto e tutti, spero che non sia Lily. Non può essere Lily.
Imprecando tra i denti, schiaccio ancora un po’ la schiena contro il vecchio muro dietro cui sono nascosto e mi azzardo a fare capolino per cercare di capire cosa Merlino sta succedendo nel putiferio là fuori. La bacchetta nella mia mano freme e asciugo freneticamente un rivoletto di sangue che dalla fronte mi scivola sulle palpebre. Nessun Mangiamorte in vista, potrei…
Sirius lancia un sibilo di avvertimento e riprende a strisciare sotto i cumuli di macerie in cui è quasi intrappolato. "Lo avevo detto" dice tra i denti, con il suo classico tono sarcastico "che i compleanni portano sfiga. Ma tu no, dovevamo per forza fare una festa! E adesso guarda… "
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Da chi lo ha tre volte sfidato. '
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In questo capitolo ci sono alcune scene che forse non sono adatte ai più deboli di stomaco!
Mago avvisato, mezzo salvato!
PS: anche se non è decisamente un capitolo allegro, AUGURI  Cecilycullen94!
In memoria delle Torri Gemelle, solo dieci anni fa.




Capitolo 73.

 
 
 
Ci deve essere uno sbaglio.
Questa è la prima cosa che penso, osservando con un misto di orrore e paura cieca il gigantesco serpente verde che striscia nell’aria intorno alla mia casa, per poi rintanarsi nel teschio di luce dei Mangiamorte.
Ci deve essere uno sbaglio. Forse ho sbagliato casa, oppure sto fissando la gigantografia di una delle foto della Gazzetta del Profeta di questa mattina. Ma… non può essere casa mia. Anche se ci assomiglia, anche se il giardino incolto è lo stesso di quello di mia madre, non può essere casa mia.
Perché non può stare capitando a me.
Non può. Non può, vero?
Mi sento come se affogassi nelle sabbie mobili: i miei piedi, la mia testa, i miei polmoni, ogni cosa sta annegando in un mare di oscurità viscosa che mi si appiccica addosso e che non riesco a lavare via. Dovrei muovermi, scappare, chiamare l’Ordine: ma non riesco a spostarmi di un centimetro.
Questa non può essere casa mia.
Ci deve essere uno sbaglio.
Le mie mani… dove sono le mie mani?
E poi, d’un tratto, mi vengono in mente delle parole, che sembrano appartenere a discorsi fatti una vita fa con persone di cui non riesco a ricordare né il nome né il volto: il mio campo visivo è troppo pieno del Marchio Nero per riuscire a visualizzare altro.
Ma nel gelido silenzio che mi circonda e sembra volermi risucchiare via dal mondo, riesco a sentire ogni cosa, ogni parola che fa capolino nella mia testa insieme al mio urlo muto che non accenna a fermarsi: sono frammenti, per lo più, parti di discorsi incompleti che ho sentito.
 
«Voldemort non ha mai smesso di cercare di scoprire chi appartiene all’Ordine della Fenice, anche se ha evidentemente cambiato i mezzi per capirlo. James, Lily… ricordatevi che siete scappati a Voldemort, e non si fermerà fino a quando non avrà portato a termine ciò che aveva cominciato un mese fa, quando vi ha rapito.»
 
 
Ecco cosa dicono le voci nella mia testa, urlando, gridando, incitandomi e sussurrando il mio nome vicino alle mie orecchie: Silente, James… me l’avevano detto. Ed io non ho dato retta a nessuno, come al solito.
Come la scena di un film, sento il libro che avevo sotto braccio scivolarmi lentamente dalle mani, tracciare una parabola in aria e cadere per terra con un sonoro tonfo: il rumore echeggia sull’asfalto come se qualcuno avesse lanciato una bomba a mano.
E, come una grande carica di esplosivo, ha la facoltà di risvegliare i miei sensi.
La rabbia cieca, una furia folle che sembra troppo grande per entrare tutta nel mio corpo, si impossessa di me, prende le redini del mio cervello e le sforza come briglie, guidandomi al di là dello stordimento iniziale: tutti quei Babbani sono morti perché erano soli e indifesi, ma io sono ancora una strega, e se credono di poter fare qualcosa ai miei genitori senza essere disturbati, si sbagliano di grosso.
L’attimo dopo, ho già la bacchetta in mano e sto correndo verso casa mia, con il cuore schiacciato da qualche parte tra gli occhi, lo stomaco triturato e la voglia di ridurre in minuscoli pezzettini di carne macinata qualsiasi Mangiamorte troverò sulla mia strada.
Se osano fare qualsiasi cosa alla mia famiglia, se si azzardano a toccare i miei genitori anche solo con un dito, io…
E poi, BUM.
All’improvviso, una barriera invisibile nell’aria mi fa rimbalzare su me stessa, mozzandomi il fiato per la botta dell’impatto: barcollo un po’ cercando di non cadere, poi ignoro il dolore lancinante, e sono già pronta a neutralizzarla, quando…
«Expelliarmus!» grida qualcuno, e la bacchetta mi vola via dalle dita.
Sento il panico serrarmi la gola, mentre mi giro a guardare la morte in faccia e il mio cervello vibra alla ricerca di un’idea. C’era un Mangiamorte in giro e non l’ho visto?
Se vuoi uccidermi, non ora. Non ora, okay? Dopo, quando avrò salvato tutte le persone che sono in quella casa, potrai fare quello che vuoi. Ma non ora… non ora.
Poi, quello che vedo, mi spiazza completamente, come vedere la luna e il sole insieme nel cielo.
Il vento gelido porta via ciocche dei miei capelli lunghi, che mi volano davanti al viso e agli occhi: e, in un mare di lingue di fuoco che lambiscono l’aria, lo vedo emergere dalle fiamme come un obelisco in questo inferno insanguinato.
Severus Piton se ne sta a qualche metro da me, con i capelli unti appiccicati al volto, un mantello nero che svolazza nel gelido inverno e la mia bacchetta nella mano sinistra: «Lily…» mormora soltanto.
In questo momento così confuso da farmi rabbrividire, per un secondo malsano mi viene quasi da sorridere: ma poi, un urlo alle mie spalle, mi ricorda che Severus non è più il mio migliore amico –il bambino che mi spingeva sull’altalena, quello che mi ha detto per la prima volta che ero una strega. No: il giovane uomo che mi sta davanti non è altro che uno tra i tanti Mangiamorte, e mentre io sono qui a perdermi negli antefatti divorati della mia mente, i suoi amici stanno uccidendo i miei genitori in casa mia.
Il mio cervello intorpidito e paralizzato impiega un solo secondo di troppo a spiegare la presenza di Severus Piton immobile nel ghiaccio di Dicembre, ma alla fine riesce a fare il collegamento necessario per spiegare la situazione, e la delusione mi brucia nello stomaco come se un braccio invisibile si fosse allungato solo per percuotermi dentro.
«TU!» urlo, sentendo l’odio e la delusione traboccarmi da tutti i pori. «Non ci posso credere… tu! Sei stato tu… mi hai tradito…»
«No, Lily, no» dice Piton con calma, scuotendo flebilmente la testa. «Sto cercando di salvarti…»
Salvarmi? Oh, sì, certo: bel modo di salvarmi, tenermi qui mentre i Mangiamorte torturano la mia famiglia e mi rovinano l’esistenza. Grazie del favore, Sev: per il prossimo Natale ti spedirò un mazzo di fiori per ringraziarti della cortesia, stanne certo!
Mi stupisco di essere in grado di fare del sarcasmo in un momento del genere, ma poi la delusione del tradimento si mescola alla rabbia e al muto terrore, così salto su e comincio ad urlare:
«Non voglio niente da te! Niente! Ridammi la bacchetta! Ridammi la MIA bacchetta, Piton!»
«Non posso, Lily. Non posso» ripete tra se e se lui, in maniera quasi automatica.
Dammi la bacchetta. Lasciami andare e ridammi la bacchetta: non ho tempo, dannazione, non ho tempo! Se continuo ad aspettare qui sarà troppo tardi e mamma e papà…
«In quella casa ci sono i mie genitori» continuo a gridare, imponendo ai miei nervi di rimanere calmi ma con un groppo in gola che preme per essere sputato fuori. «Se non faccio qualcosa adesso, li uccideranno! Ridammi la mia bacchetta ora o giuro che me la prenderò a modo mio, Piton.»
Un lampo di luce nei suoi occhi mi informa che Severus Piton mi conosce troppo bene per non sapere che farò sul serio. «Lily…» comincia, con un tono conciliante.
Prima ancora che lui possa fermarmi, sono già addosso a Piton: alla maniera Babbana o a quella dei maghi, non importa: io devo avere la mia bacchetta, io ho bisogno della mia bacchetta come un annegato ha bisogno di aria, altrimenti…
La lotta non dura molto: riesco ad assestargli un pugno con tutta la forza che ho dalle parti del viso, e credo di averlo perfino graffiato in qualche punto. Ma la differenza di forza fisica e magica è troppa: con due bacchette dalla sua parte, Piton mi ha in pugno.
«DAMMI LA BACCHETTA! DAMMI LA MIA BACCHETTA» urlo in preda alla furia cieca.
Sono consapevole che potrei staccargli la testa a morsi, pur di avere quello che voglio: e lo farei anche adesso, per non perdere tempo, per impedire che i miei genitori vengano torturati o peggio…
Evidentemente, lo sa anche Piton: sento le sue braccia stringersi intorno alle mie per immobilizzarmi, mentre le sue dita artigliano i miei polsi, con forza. «Lily» continua a mormorare, «Lily! Lily sta zitta o ci sentiranno!»
«Lasciami andare!» strillo io, «lasciami andare, Severus! Lasciami!» e tento di scalciare, e mi dimeno cercando di liberarmi da questa sorta di sadico abbraccio che mi separa da una delle cose più importanti della mia vita. «Lasciami andare! LASCIAMI ANDARE IMMEDIATAMENTE.»
Sento il fiato attorcigliarsi intorno ai miei polmoni, e la furia cieca e lacrime di sangue amaro che spingono per uccidere come una bomba che deve per forza scoppiare: tutto, in me, lotta per cedere. Ma non posso arrendermi, non posso smettere di dimenarmi, scalciare, di combattere per liberarmi: anche se non serve a niente, è l’unica cosa che mi rimane. E non voglio pensare al dopo, a quando  combattere e scalciare non servirà più: ricordo vagamente i discorsi che ho fatto giorni fa che sembrano una vita con James, quando parlavamo del mio lavoro di medimago… che idiota!, improvvisamente tutto il mio futuro si è ridotto a questi pochi attimi di furia e dolore assordanti.
Non so quanto tempo passa, in questa sorta di abbraccio maligno in cui sono intrappolata e da cui non riesco ad uscire, ma l’unico risultato è che mi ritrovo stremata e senza fiato, vicina al crollo nervoso che sto cercando di rimandare.
Quel marchio, quell’orrendo marchio sopra il tetto di casa mia…
I miei genitori lì dentro, con i Mangiamorte…
Usa il cervello, Lily. Scalpitare come un’idiota non serve a nulla. Usa il cervello…
«Severus» gemo alla fine, e capisco che devo abbassarmi a fare una cosa che non ho mai fatto prima, neanche quando Voldemort torturava me e rischiavo di annegare in un mare di sangue. «Severus, ti prego» supplico, mandando al diavolo l’orgoglio e la dignità. «Se la nostra amicizia ha contato qualcosa per te, ti prego, ti scongiuro… lasciami andare dalla mia famiglia.»
«La nostra amicizia per contava più di qualsiasi altra cosa, Lily» sussurra Piton, e la sua voce suona spaventosamente triste. «Proprio per questo, non posso lasciarti andare.»
«Devo salvarli, devo aiutarli» biascico, la mia voce seppellita da un mare di dolore che non posso ancora fare uscire. «Li uccideranno, se non mi lasci andare. Li faranno a pezzi… ti prego, dammi la mia bacchetta.»
«Sono qui per te. Loro sono qui per te» mormora ancora Severus e, con una sorta di tuffo al cuore, riesco a sentire la presa sulle mie mani allentarsi un poco. « Se ti lascio andare, ti uccideranno, Lily.»
È la tua unica opportunità, Lily: adesso o mai più, adesso o mai più.
Con uno scatto fulmineo, giro su me stessa in maniera tanto veloce che perfino Piton –che pensava mi fossi arresa- rimane sorpreso per un attimo: prendere la bacchetta per me è impossibile, così corro in avanti, verso la barriera invisibile che mi divide dalla mia casa.
«SONO QUI» urlo, con tutto il fiato che mi rimane in gola. «SONO QUI, SONO QUI! È ME CHE VOLETE, NO? ALLORA VENITE A PRENDERMI, SONO QUI!» 
Per favore, Merlino, fa che i Mangiamorte mi sentano:fa che escano qui, fa che mi trovino e mi portino via, da qualche parte lontano da questa casa, da questa città, da questo mondo. Perché preferirei vivere cinquecento giorni di tortura a questo strazio, perché pur di vedere sani e salvi i miei genitori implorerei per la morte.
Ma si sa, gli istanti durano poco: Piton non impiega molto per riprendersi dalla sorpresa.
«Lily» dice lui, e lo vedo distintamente puntarmi contro la sua stupida bacchetta: all’inizio penso che voglia Cruciarmi per farmi stare zitta e buona, ma poi si limita a borbottare un semplice «Silencio!» e d’improvviso non ho neanche più la voce per urlare e il mio piano è andato in fumo.
Con la voglia di urlare contro Piton tutti gli insulti peggiori che so, tutte le maledizioni, le bestemmie, gli improperi, lo vedo avvicinarsi e afferrarmi di nuovo, per evitare di farmi scappare. «Lily…» ripete.
Lily il cavolo, Severus! Smetti di chiamarmi per nome, smettila ti avvicinarti a me, smettila di fare queste assurde sceneggiate per cercare di proteggermi, lasciami andare- ma dalla mia bocca non esce nulla se non aria muta e singhiozzi sbiaditi.
Poi, d’un tratto, l’inferno comincia.
È un urlo, uno solo, ma sembra occupare tutta l’aria, risucchiare tutto l’ossigeno ed echeggiare nella mia testa all’infinito: e se c’è una cosa che so, è che non dimenticherò mai mia mamma –la donna gentile, dolce e un po’ timida- strillare di dolore fino a prosciugarsi i polmoni.
E di nuovo, comincio a lottare per cercare di sfuggire a Piton: ma lui questa volta non si fa ingannare, così mi rivolta e mi serra le braccia intorno ai fianchi e allo stomaco con tutta la forza che ha.
Lasciami andare! Non mi toccare, mostro! Non osare neanche avvicinarti a me, vorrei urlare, ma non posso neanche fare questo, ormai: prigioniera di Piton e di me stessa, senza neanche più la voce per piangere o disperarmi.
Un tonfo incredibile –forse la libreria che papà aveva nello studio-  si abbatte sulla casa, e le urla questa volta ricominciano: riesco a distinguere con una nitidezza allucinante la voce di mio padre da quella di mia madre, e il dolore muto che sento nel petto è così forte che vorrei strapparmi il cuore e gettarlo in un tritarifiuti.
Per l’ennesima volta, comincio a lottare di nuovo: tempesto di pugni ogni parte di Piton che riesco a raggiungere, ma lui non mi lascia, non si lamenta, non dice niente. Se non sentissi il suo petto abbassarsi e alzarsi convulsamente sopra la mia schiena, penserei di essere incatenata ad una statua di pietra grezza.
Non so per quanto tempo la carneficina continua: è come se dalle mie orecchie colasse sangue scarlatto. O forse è davvero così? Non ne ho idea. Ma le urla e i tonfi, il fumo nero che si alza nell’aria, mi impediscono di pensare.
Rimango intrappolata a guardare il marchio nero che sovrasta casa mia come un sole maligno che illumina il mondo, con grida, gemiti e pianti che si ripetono fino allo sfinimento come colonna sonora.
Se penso a mia madre e a mio padre, così tranquilli e sereni, con una vita pseudo perfetta e niente che manca per vivere bene, torturati, incatenati, picchiati a sangue o peggio: è come se qualcuno stesse Cruciando me, e il dolore è così fisico che ad un certo punto sento le gambe cedermi come gelatina e Piton deve sorreggermi per non farmi cadere.
«Mi dispiace, Lily» sta gemendo lui, con quel tono triste che mi fa venire voglia di strappargli la lingua e camminarci sopra con i tacchi a spillo. «Ma lo faccio per te, lo faccio per te.»
Farmi assistere alla morte dei miei genitori senza poter fare niente per aiutarli?  Credi che questo possa in qualche modo farmi bene? Come pensi che farò a dormire, da oggi in poi?
Perché continuo a sentire urla e tonfi anche adesso, e mi sembra di impazzire. O forse è solo la mia immaginazione? O forse intorno a me è arrivato ormai il silenzio?
La parte più lucida di me, mi avverte che c’è qualcosa di diverso di prima: la voce dei miei genitori che si espande terrorizzata e sofferente nella strada, ha qualcosa di diverso, come se fosse strozzata. Ma d’altra parte, ho le orecchie così sanguinanti che non riesco più a distinguere la realtà dall’eco nella mia testa.
Voglio solo che tutto questo strazio finisca: voglio smetterla di sentire mia mamma gridare disperata, voglio smetterla di sentire mio padre urlare di dolore. Riesco quasi a vederli contorcere sul pavimento, come piccoli insetti a cui stanno tagliando le ali: l’odio, in me, è così traboccante che schiaccia la disperazione, la rabbia, la paura e l’impotenza.
Basta.Vi prego, basta: fate smettere mia madre di gridare. Basta. Non ce la faccio più, basta. La sua voce acuta si strazia l’aria, mi scortica il cuore, mi scartavetra il cervello e mi riduce lo stomaco in poltiglia.
Forse anche Piton lo capisce. Stretta a lui in una sorta di malsano abbraccio, il contatto con la sua pelle –per la prima volta nella mia vita- mi fa venire voglia di vomitare: eppure, in qualche modo, è lui che mi sostiene e mi impedisce di crollare per terra e frantumarmi.
Anche se, adesso, andare in pezzi è l’unica cosa che voglio.
Se fossi un po’ più lucida, direi che la cosa, da un certo punto di vista, è quasi comica: è come se il mio migliore amico stesse tentando di consolarmi, è come se mi stesse abbracciando per farmi forza e coraggio.
Peccato che, in realtà, lui è il carnefice, e l’unica cosa di cui ho bisogno è una bacchetta per poter combattere: con quel bastoncino in mano sono una guerriera brillante, senza, non sono altro che una semplice ragazzina indifesa.  
Quando le urla continuano e io mi avvicino ad un punto che rasenta la pazzia, Piton comincia a muoversi avanti e indietro, quasi mi stesse cullando. «Il Signore oscuro vuole trovare te e Potter, Lily» dice ad un tratto Severus, come se con la sua voce potesse coprire le urla strazianti che fanno piangere l’aria. «Ma Potter è ben difeso, e tu.. tu non saresti mai dovuta tornare a casa, Lily. Lo sapevano… Mulciber, Avery e Nott sapevano che io e te eravamo amici. Non ho potuto fare niente, niente» balbetta con una punta di disperazione che è solo una millesima parte della mia. «Ho dovuto dirglielo. Ma ho aspettato che tu uscissi di casa, prima di chiamarli: e poi, ti ho aspettata qui. Non posso permettere che ti facciano del male, Lily, non posso.»
Le mani di Severus smettono per un secondo di stringermi forte per salire lungo le mie braccia, in maniera lenta e delicata: forse vuole riscaldarmi, forse vuole farmi forza. Ma il suo contatto –le sue carezze, il tocco delle dita sulla mia pelle- ha qualcosa di così incredibilmente malsano e sbagliato che mi fa venire voglia di vomitare. Dovrebbero esserci altre dita al posto suo, altre mani, un'altra voce tranquillizzante e un odore che sa di shampoo e cuoio: qualcun altro dovrebbe essere qui a consolarmi, a farmi forza e a tenermi insieme, non Severus Piton, non lui, non così.
E così lasci che lo facciano ai miei genitori? È per non farmi del male che fai in modo che la mia famiglia venga torturata davanti ai miei occhi?  
«Ho fatto un incantesimo di Disillusione qui intorno… è quello in cui sei sbattuta prima. Per questo, non ci possono vedere. Qui sei al sicuro, Lily.»
Ma i miei genitori stanno morendo a qualche metro da me!La mia vita sta andando in pezzi ed è anche colpa tua: mi hai tradito,  e per salvarmi lasci che le persone che amo subiscano quello che spettava a me.
Gli occhi neri di Severus, profondi come pozzi, sembrano volermi invitare a fare un bel tuffo nell’oscurità: c’è una sorta di muto compiacimento, mista alla disperazione addolorata, nel modo in cui mi guarda con le labbra assottigliata.
Come se potesse piangere da un momento all’altro.
«Ti aspetteranno per un po’, ma quando capiranno che non arriverai, penseranno che L’Ordine della Fenice ti ha avvertito e se ne andranno via tutti, Lily. Allora sarai al sicuro.»
Un altro pensiero, improvviso come una tempesta, mi da un briciolo di speranza. Se riuscissi a Materializzarmi alla sede dell’Ordine, allora potrei avvertire Silente, e a quel punto, con lui dalla mia parte, le cose andrebbero bene. Ma, quando provo a smaterializzarmi e capisco che non ci riesco, perdo anche la più piccola speranza che avevo per salvare i miei genitori: oltre all’incantesimo di Disillusione, Piton deve aver pensato bene di piazzare anche una Fattura Anti-Smeterializzazione
Se Severus stava cercando di consolarmi, quando la sua voce si spegne e le parole si perdono tra le urla che non riusciranno mai a sovrastare, mi sento ancora peggio: perché se tutto questo sta accadendo qui è colpa mia, solo colpa mia, e lui non ha fatto altro che riconfermare ciò che già io sapevo.
Petunia aveva ragione, penso dolorosamente,  non avrei mai dovuto rimettere piede qui. Perché la mia presenza in questa famiglia è come una maledizione che colpisce e uccide tutti, uno per uno, in un mare di sangue e sofferenze.
È colpa mia, è colpa mia, è colpa mia…
Il mio cervello non riesce a stabilire un filo conduttore che viaggia nel tempo: domani e ieri per me non esistono, perché in qualche modo so che dopo di oggi la mia vita finirà. Anche se Severus Piton ha fatto tutto questo per cercare di salvarmi, ho l’impressione che, prima che il sole tramonti, io smetterò di esistere.
Perché non c’è modo che io possa continuare a vivere con la consapevolezza che i miei genitori stanno morendo per colpa mia, con le immagini del marchio nero sopra il tetto della casa in cui sono cresciuta per i primi anni della mia vita, con le urla strazianti di mio padre e mia madre che mi gelano il sangue nelle vene.
Poi, all’improvviso, tutto finisce.
Non so bene quanto tempo sia passato, se un’ora, un minuto, qualche secondo oppure un giorno intero: a me sembra vagamente un secolo, perché la mia vita è cambiata per sempre e non sarà mai più come prima. Ma, in ogni caso, Piton lascia delicatamente la presa, togliendo le sue braccia dai miei fianchi e lasciandomi respirare: sono contenta di interrompere quel contatto che adesso mi disgusta, ma quando lui mi lascia andare sento più parti di me sbriciolarsi, e solo dopo capisco che era Piton che mi stava tenendo insieme.
È allora che vedo tre Mangiamorte incappucciati uscire dalla porta di casa mia, con le bacchette ancora in mano e i mantelli che macchiano il cielo già sporco per via del Marchio Nero. Ho l’inquietante impressione che stiano sorridendo, anche se non posso esserne certa: e, all’improvviso, la rabbia emerge in me come un’onda che cerca di schiantarsi su una scogliera.
Non posso gridare, altrimenti lo farei: mi lancio di corsa verso di loro, vagamente consapevole della barriera che ancora ci divide, ma con la certezza che sarei disposta a uccidergli con le mie mani, nella maniera più brutale possibile, se solo ne avessi l’occasione. Quando, per la seconda volta in pochi minuti, rimbalzo sull’incantesimo di Piton, mi ritrovo con il fiato corto e le costole schiacciate per l’urto: provo vagamente a prendere a pugni l’aria intorno a me, con il solo risultato di scorticarmi le nocche: i miei occhi analizzano le spaventose maschere bianche desiderando guardarci attraverso, ma i tre incappucciati sono identici l’uno all’altro. Il Mangiamorte che apre la fila ha una postura eretta e altera, al contrario del suo ultimo compare, che marcia in maniera salatamente bizzarra e un po’ gobba: solo la figura del centro ha qualcosa che brilla di rosso intorno al polso, come piccole, orrende gocce di sangue… e forse lo sono davvero.  L’attimo dopo, però, i tre Mangiamorte si sono già Smaterializzati e l’unica persona a contemplare la mia gelida sofferenza è Piton, che rompe la magia con un semplice gesto della mano e mi restituisce la voce e a bacchetta.
«Non rimanere qui troppo a lungo» è l’unica cosa che dice per congedarsi. «Potrebbero ritornare.»
Io non rispondo, non aspetto neanche che mi volti le spalle: stringo la bacchetta tra le dita e corro così veloce che l’aria mi frusta il viso, mi punge gli occhi e quasi mi soffoca. Eppure, nonostante tutto, appena metto piede sul pianerottolo, oltrepasso la porta spalancata senza neanche fermarmi un attimo per riprendere fiato.
Con la bacchetta tra le dita, sono di nuovo una strega… sono di nuovo me stessa.
«Mamma?» chiamo e sento il panico nella mia voce. «Papà!»
La casa è buia, e appena entro nel salone uno strano odore pungente mi si infila tra le narici: eppure, nonostante ho paura per quello che può essergli accaduto, le mie gambe sono stranamente piantate sul pavimento, e la mano con cui reggo la bacchetta non accenna a tremare neanche un po’: so che farei a pezzi qualsiasi cosa mi trovassi davanti, qui dentro.
Mentre, ora come ora, non ho tempo per le emozioni o la paura: non se voglio trovare i miei genitori. E mi sento così svuotata, mentre avanzo a tentoni nel corridoio buio che ad ogni passo mi sembra che l’oscurità tenti di risucchiarmi.
«Mamma! Papà!» chiamo di nuovo, e stupidamente non faccio altro che aspettarmi una risposta. Poi, aggiungo lentamente: «Lumos
La leggera luce della mia bacchetta illumina la distruzione. Deglutisco, mentre il mio cuore comincia a battere così forte che ho paura faccia crollare i muri della casa. I quadri che mia mamma aveva appeso al muro con tanto amore e costanza adesso non sono altro che carta straccia ammucchiati sul pavimento, mentre le cornici appese alle pareti sembrano lische di un pesce sventrato. Mentre continuo a chiamare il nome di mia madre e mio padre, faccio capolino nello studio, ma l’unica cosa che riesco ad intravedere è la libreria che giace a terra e le pagine bianche che si riversano sul pavimento come le piume candide di un cigno che ha spiccato il volo e poi è precipitato al suolo.
«Mamma! Papà, dove siete? Uscite fuori… se ne sono andati… siete la sicuro adesso!» grido ai piedi delle scale.
Nessuno risponde, e nonostante la parte più lucida di me sa perfettamente che non sentirò mai più la voce di entrambi, non faccio altro che ripetermi che sicuramente non mi rispondono perché pensano che sia una trappola, che si stanno nascondendo in attesa di fuggire: uso questa speranza come una fune che mi permette di salire le scale, gradino dopo gradino.
È così buio, qui sopra, che mi accorgo solo distrattamente che il linoleum è stranamente umido e appiccicaticcio: non prendo tempo ad indagare di cosa sporchi le mie scarpe da ginnastica, troppo occupata a far luce tutt’intorno con la bacchetta.
La porta della mia camera e quella di Petunia sono chiuse, e sono certa che non sono state più aperte da quando io e mia sorella siamo uscite di casa. Nel corridoio, vicino ad un mucchio di stracci ammassati sul pavimento, la porta della camera dei miei genitori è l’unica aperta, e si staglia davanti a me buia e minacciosa come la bocca di un mostro che vuole inghiottirmi e utilizza la corrente per mangiarmi.
Ma poi, quando faccio un passo avanti, mi rendo conto che c’è qualcosa che non va: e, con una fitta di orrore che per poco non caccio un urlo dalla bocca, mi accorgo che il mucchio di stracci che avevo visto prima non è un mucchio di stracci.
È mio padre.
…o quello che resta di lui, aggiungo mentalmente, mentre mi avvicino di corsa e mi butto sul pavimento sbucciandomi le ginocchia: l’attimo dopo, inorridita, mi ritraggo con la profonda voglia di vomitare stomaco, intestino, cuore, anima e cervello in una pianta.
Riesco a capire che è mio padre solo dal suo orologio dorato, allacciato al polso che si trova staccato dal resto del corpo e giace sul linoleum a qualche centimetro di distanza da tutto il resto.
«Papà…» mormoro. «Papà…»
Ma è ovvio che non può sentirmi. Non ha più neanche le orecchie.
La sua faccia assomiglia vagamente alla carne dei cinghiali che mio padre e mio zio macinavano quando ancora d’estate andavamo in Irlanda a trovare i nonni e gli uomini si divertivano cacciando. È a questo che penso, mentre cerco di usare un po’ di fantasia per ricostruire il volto di quello che un tempo è stato mio padre:
Dove sono gli occhi? Qual è la bocca? Quella? Oh, no.. mi sa tanto che quello è il naso.
Visto che la cosa non mi riesce, mi concentro sul resto del corpo: se i vestiti fossero o no colorati, prima che io uscissi di casa, non mi è dato saperlo. L’unica tinta presente adesso è il rosso: papà è steso per terra supino, con una polpetta al posto della testa, una strana cosa bianca che gli macchia i pochi capelli rimasti, e le gambe piegate in maniera contorta e decisamente poco innaturale, con i piedi che formano angoli piatti e le ginocchia che bucano la carne. Da un braccio manca una mano, mentre l’altra è ancora attaccata al corpo ma le sue dita sembrano così simili al pesto che mamma faceva in casa che…
Vattene via, Lily. Non guardare più. Girati e scappa, vai via da qui. Non andare avanti, non guardare, non guardare. Basta. Vai via, vai via.
Ma non lo faccio. Perché devo ancora trovare mia mamma.
Così aggiro il corpo di mio padre senza neanche più capire come facciano i miei piedi a muoversi e i miei polmoni a respirare: il mio cuore sta ancora battendo? Perché, se sì, non ne sono per niente cosciente: il dolore è così sordo da annebbiarmi la testa, come se avessi battuto la testa a ripetizione contro una parete di marmo e poi avessi deciso di mettere le dita in una presa elettrica con i vestiti bagnati.
E il mio cuore si sta logorando pian piano, scartavetrato senza pietà.
Appena entro nella stanza, l’odore amaro e metallico che sento è così forte che sento lo stomaco gemere e devo fermarmi un secondo per smettere di respirare. È in questo momento che abbasso la punta della bacchetta e vedo mia madre.
O meglio, capisco che è mia madre perché quello fuori dalla stanza è sicuramente papà.
Scuoto la testa così forte che sento il cervello sbattermi da una parte all’altra del cranio: devo stare immaginando tutto, non può essere vero.
Tutto questo dolore non può essere reale.
Boccheggio un po’, annaspando nella stanza in cerca di aria: ma trovo solo l’odore aspro del sangue e delle Maledizioni Oscure, così non posso fare altro che sentire i miei polmoni gemere disperati e la gola ardere come se stessi soffocando in un incendio.
Non guardare, Lily. Non guardare, vai via. Che aspetti, vai via! Scappa da qui!
E lo faccio davvero, o almeno ci provo: ma dopo pochi passi il dolore è così forte che mi sento piegare su me stessa e, questa volta, vomito per davvero il pranzo consumato non so quale vita fa.
Se dovessi descrivere mia madre con una parola, adesso, direi rivoltata. Come un calzino,allo stesso modo sembra che qualcuno le abbia messo una mano in bocca e l’abbia girata piegandola su se stessa: il sangue viscoso gocciola sul pavimento producendo un rumore che mi rimbomba nelle orecchie come delle campane che suonano un requiem.
Mentre rigetto la torta di mia madre sul linoleum chiaro della stanza dei mie genitori sento di buttare via anche la vita, perché se c’è una cosa che mi è chiara adesso, è che niente sarà più lo stesso. Poi, quando dentro di me non è rimasto più niente –neanche un briciolo di umanità- in qualche modo riesco finalmente ad alzarmi, e all’improvviso capisco che non posso rimanere in questa casa un minuto di più perché, se lo faccio, le pareti si allungheranno e mi assorbiranno dentro di loro, murandomi viva nella mia oscurità personale.
Non so dove trovo la forza di alzarmi in piedi e correre via giù per le scale, sorpassando il corpo di mio padre, la mia infanzia, i miei ricordi e perdendo, gradino dopo gradino, la capacità di provare qualsiasi tipo di felicità, ora e per sempre.
Perché non sarò mai più felice, questo è certo.
Perché anche se il sole sorgerà, per me sarà sempre buio.
Quando esco fuori, inciampo su qualche cosa: probabilmente deve essere una delle radici rinsecchite che mamma si ostina a chiamare sempre fiori. Ma poi ripenso che mia madre non pianterà mai più una piantina nella sua vita, che non si alzerà mai più presto per annaffiare i suoi fiori nella speranza che assomiglino vagamente a qualcosa di vivo: perché lei è morta e non canterà mai più, né si impiastriccerà i capelli di farina, e non mi arriverà nessuna lettera ad Hogwarts, perché è morto anche mio padre ed io sono sola.
Affondo le unghie nella terra congelata, sentendo il sangue che scorre dai miei polpastrelli e piegandomi su me stessa così tanto che per poco non sfioro la terra con la punta del naso.
Petunia. C’è ancora mia sorella. Ma lei non è qui, e io non saprei dove andare a cercarla…
Così chiudo gli occhi e rimango immobile sulla terra, sentendomi tremare senza mai smettere di restare rannicchiata: penso che non riuscirei a stare in piedi neanche volendo, e il dolore è così forte che scariche elettriche si abbattono su di me come fulmini lanciati dal cielo, lasciandomi senza fiato e con i nervi contratti. E vorrei piangere, vorrei urlare, gridare, maledite tutto e tutti e poi singhiozzare: ma non ci riesco. I miei occhi devono essersi congelati come i fiori nelle aiuole dopo la tempesta di neve dell’altro giorno, ed è come se Piton non avesse mai tolto l’incantesimo dalla mia bocca: anche se cerco di dire qualcosa, le parole non mi escono, mi rimangono impigliate nelle corde vocali come sbuffi e sillabi.
È in un momento imprecisato che mi accordo che sta piovendo. Spero che la pioggia battente riesca a portarmi via tutto il dolore che sento, che lavi la disperazione e i sensi di colpa come l’acqua fa con qualcosa di molto sporco. A giudicare dai miei capelli e dai miei vestiti va avanti così da molto, ma non devo averci fatto caso: così, quando mi azzardo a sollevare gli occhi dalla terra che ormai è diventata fango, mi rendo conto anche di un'altra cosa: è scesa la sera e il sole deve essere tramontato ormai da ore.
Eppure, mi sembrava che solo poco fa fossero le quattro del pomeriggio, quando leggevo il libro sulla Medimagia in silenzio: o forse questo è successo ieri? o il mese fa?
Mi chiedo perché sono rimasta accovacciata in questa posizione scomoda per un mese o un anno o un giorno: se sto aspettando Petunia, mi sono appena ricordata che lei passerà a casa di Vernon i prossimi giorni, qualunque sia la data di oggi.
Ma forse non è così: forse sto aspettando i Mangiamorte, pregando affinché vengano per finire il lavoro, così potrei alzarmi e ucciderli in maniera tanto dolorosa da far implorare loro la morte.
Alla fine, capisco che non verrà nessuno. Così alzo gli occhi al cielo, lasciando che la pioggia che scende come se la stessero gettando a secchi mi lavi il viso e mi inzuppi i capelli, poi rivolgo un ultimo sguardo alla luna e, infine, senza neanche avere la forza di sollevarmi, mi smaterializzo al primo indirizzo sicuro che mi viene in mente.





Note dell'autrice:  Come ho detto all’inizio, questo capitolo è un po’ cruento! Da amante dei film Horror, non ho potuto farne a meno: è una guerra, e se avevano tutti paura di trovare l Marchio Nero sopra il loro tetto, un motivo doveva pur esserci!
Scusate se ho scombussolato lo stomaco di qualcuno!
E scusate anche se non ho ancora finito di rispondere a tutte le recensioni, ma… erano tantissime! Ancora non posso crederci, 42! Cioè, 4-2. Prima del due c’è un quattro! O___O sono incantata da ogni vostra parola, grazie grazie grazie! Remus regalerà a tutti voi una tavoletta del suo prezioso cioccolato, vero Rem? *____* Vi adoro!
Domani comincia la scuola, posto anche per augurarvi un buon inizio anno –Esamiiii! HELP!- anche se non so proprio come la vedo XD
Ora, a tutte le persone – e sono TAAAAANTE- che hanno minacciato di cruciarmi\affatturarmi\uccidermi perché non dovevo fare morire il Signor Evans… ehm… vi preeeeeego, abbiate pietà! ^^” era una cosa necessaria, Harry non deve più avere parenti oltre Petunia e Vernon, quindi… cercate di lasciarmi in vita almeno fino alla fine della storia, anche perché sono certa che ci sarà qualcosina che almeno un po’ vi piacerà, tra poco!
Per il resto, non so cosa dire: sapevate già che Severus stava facendo qualcosa, anche se non so se sospettavate anche di questo! è un modo un po’ strano per far morire qualcuno, no? O_o non so neanche da dove mi è  uscito XD
Beeeene… allora io vi posto le foto e me ne vado, ok? XD
Oggi è il turno di Marlene:
http://www.effe-siti-torino.com/img_puzzle/Anne_Hathaway/143/Anne_Hathaway_rid.jpg
http://www.ciaknet.com/images/stories/00Foto/Attrici/A/AnneHathaway/5.jpg
http://www.ciaknet.com/images/stories/Attrici/A/anne-hathaway.jpg
 Io adoro questa attrice: e per Marlene trovo che sia perfetta! Anche se adesso non ha un grande ruolo, con il tempo –quando i Malandrini e co usciranno da Hogwarts-  i personaggi dell’Ordine saranno sempre più importanti.
Per il resto, che dire?
Vi ringrazio ancora tantissimo per tutte le recensioni! Anche se non ce la faccio mai a rispondere a tutte –perdonatemi!, ma io ci ho provato!- non so come farei senza!
Grazie grazie grazie,
Sara!






   
 
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