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Autore: ferao    13/09/2011    13 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Dieci buoni motivi





 

 
Sulle prime Audrey pensò di non aver capito bene. Quello emesso da Percy era stato appena un sussurro, non molto diverso in effetti dagli ansiti che si erano accavallati tra loro fino a poco prima.
Dopo qualche secondo, però, la ragazza dovette riconoscere che forse non si era sbagliata: la parola che Percy aveva pronunciato le rimbombava nelle orecchie con sorprendente chiarezza.
Tuttavia rifiutò ancora di preoccuparsi; disse a se stessa che, in fondo, molto probabilmente lui non intendeva davvero dire quella cosa. Insomma, avevano appena fatto l’amore, no? In quei momenti non si sa mai cosa si dice, non ci si sta a pensare troppo su…
Sì, la colpa era della poca lucidità di Percy, senza dubbio. In condizioni normali, infatti, lui avrebbe saputo benissimo che quello era un argomento su cui non si doveva discutere nemmeno alla lontana; se Percy fosse stato presente a se stesso avrebbe potuto prevedere le reazioni di Audrey ad una richiesta del genere e avrebbe quindi evitato con cautela di toccare quel tasto.
Già, certo, era sicuramente così. Percy non voleva dire davvero quella cosa. Ovvio.
Però il dubbio restava, ed era così forte che Audrey non riuscì a resistere.
Costrinse Percy a staccarsi da lei, cercò di guardarlo negli occhi attraverso la penombra e gli disse:
- Come, scusa?
Sulle prime Percy non disse niente. Si rannicchiò nella sua parte di letto, senza smettere di guardare Audrey.
- Sposami - ripeté.
Il suo tono era tranquillo, sicuro; Percy ci aveva pensato su troppo a lungo per potersi sentire imbarazzato o incerto. Tuttavia fu proprio questa sicurezza a far salire l’irritazione di Audrey.
La ragazza si alzò a sedere e contrasse le labbra, stizzita.
- Mi prendi in giro, vero?- domandò, con voce malferma.
Percy l’osservò con estrema serenità; non si aspettava certo salti di gioia dalla sua compagna, anzi, si era preparato a una reazione molto più veemente.
- No. Dico sul serio - rispose.
- Non è possibile.
- Invece sì.
- Allora sei impazzito.
Percy tacque un istante. - Forse.
Inconcepibile. Assolutamente inconcepibile. Da quel lontano febbraio, quando Percy aveva accennato vagamente e goffamente ad una possibilità di sposarsi, l’argomento non era stato più toccato; e ora, quando finalmente avevano recuperato un equilibrio e iniziavano a vivere serenamente…
Inconcepibile.
- Allora? - domandò di nuovo Percy. - Vuoi sposarmi?
Eh no. Lo stava facendo apposta per irritarla, allora.
Se non fosse stato per la bambina, che dormiva nella culla a pochi metri da loro, Audrey avrebbe sicuramente avuto uno scatto di rabbia; riuscì però a contenersi. Si morse forte la lingua, poi, senza degnare Percy di uno sguardo, s’infilò velocemente sotto le coperte e gli diede le spalle.
- Ne parliamo domani - mugugnò a denti stretti, decisa a non aggiungere più una parola a quel dialogo irritante. Sapendo che Percy voleva sempre avere l’ultima parola, tese d’istinto le orecchie per aspettare una replica, ma questa non arrivò. Percy si limitò ad avvolgersi a sua volta nel lenzuolo e a voltarsi dall’altra parte.
 
 
 
 
Non ne riparlarono né l’indomani, né il giorno successivo, né tutta la settimana seguente. Audrey era sempre guardinga, temendo un possibile colpo basso; Percy invece si comportava come al solito, e pareva essersi dimenticato di quello che aveva detto così avventatamente proprio come si dimenticava, di solito, di tutte le incoerenze che diceva nei momenti dopo l’amore.
Insomma, per tutta la settimana nessuno dei due accennò a quel discorso, e basta.
 
 
 
 
È necessario, prima di continuare a parlare degli avvenimenti che conseguirono a questa azione sconsiderata di Percy, che si mettano per un po’ da parte le vicende dei nostri amici e si parli di altre persone molto importanti per questa storia.
Ad esempio, la signora Molly Weasley.
 
Il lutto di una madre è difficilmente concepibile; qualsiasi tentativo di descriverlo o metaforizzarlo risulterebbe vano e riduttivo. Sappiate solo (se ancora lo ignorate) che Molly Weasley era e fu sempre una donna forte, molto forte; era caduta in un baratro, è vero, ma avrebbe potuto uscirne con decisione se avesse avuto dei buoni motivi per farlo.
Verso giugno, un mese dopo la battaglia, avvenne il primo degli eventi che la scossero e la fecero tornare per un po’ quella di una volta: dopo alcune settimane di ricerca, Hermione Granger era tornata dall’Australia insieme ai suoi genitori, i quali – a quanto era stato dato da capire a Percy e Audrey – avevano subìto una modifica della memoria molto forte.
Due giorni dopo il loro ritorno, Hermione Granger era arrivata alla Tana praticamente in lacrime: diceva che i suoi genitori erano apatici, non sembravano felici di essere lì, che lei doveva occuparsi di loro come se fossero degli invalidi e che non sapeva come né quando sarebbero finalmente tornati normali.
Lo sfogo durò qualche minuto; durante questo lasso di tempo Molly rimase ferma, in ascolto, abbandonando il suo frenetico lavoro a maglia. Dopodiché disse senza esitare:
- Portali qui. Potremo occuparci noi dei tuoi genitori, finché non si sentiranno pronti a tornare alle loro vite.
- Signora Weasley, non so se…
- Non discutere, Hermione. - Sorrise per la prima volta dopo settimane. - Sarò vecchia, ma non ancora troppo vecchia per occuparmi di un paio di persone.
 
Nessuno osò controbattere alla proposta di Molly, tantomeno Hermione. Tre giorni dopo, la Tana era pulita, ordinata e pronta per accogliere i suoi ospiti: Molly aveva coinvolto buona parte della sua famiglia nella risistemazione della casa dei Weasley, e aveva diretto i lavori non con l’ormai consueta frenesia ma con un’energia diversa, viva, piena d’amore.
Era davvero quella di una volta, e se ne accorsero tutti.
Il miglioramento dei coniugi Granger, in quel luogo pieno d’amore, fu netto; dopo una quindicina di giorni si erano totalmente ripresi, e tornarono nella loro casa Babbana per riprendere possesso delle loro vite. Due ore dopo che avevano lasciato la Tana, Percy sorprese sua madre a strofinare vigorosamente e inutilmente un bicchiere già pulito.
Le pareti del baratro la circondavano ancora.
 
 
In luglio Arthur ebbe la brillante idea di invitare alla Tana Percy con la sua nuova famiglia, sapendo perfettamente quanto questo avrebbe avuto effetto su sua moglie. Bisogna a questo punto precisare una cosa: la signora Weasley aveva visto Audrey soltanto una volta, il giorno della battaglia, mentre questa si trovava in stato d’incoscienza all’ospedale Babbano; idem per la bambina. In un mondo diverso, in cui i suoi figli fossero stati sette, la signora Weasley sarebbe stata così eccitata all’idea di avere una nipotina col suo stesso nome – da Percy, poi! – da non stare più nella pelle: sarebbe andata ogni giorno a casa di Percy per dare consigli alla sua quasi-nuora, per correggerla, criticarla e all’occorrenza occuparsi lei stessa della seconda Molly in nome della propria esperienza pluridecennale; avrebbe invitato di continuo i tre alla Tana per conoscere meglio Audrey, farsi un’idea del tipo di donna che aveva conquistato il più introverso dei suoi figli e capire se era davvero adatta a lui; avrebbe fatto inoltre allusioni più o meno velate ad un possibile matrimonio, di cui naturalmente si sarebbe occupata nei minimi dettagli e che avrebbe reso memorabile, come quello di Bill.
Ma i suoi figli erano sei, quindi Molly Weasley non poteva fare nessuna di queste cose. Per questo, e per una sorta di inutile delicatezza da parte di Percy, fino ad inizio luglio la signora Weasley non conobbe né la sua quasi-nuora né sua nipote.
Per fortuna Arthur conosceva ogni singola piega dell’animo di sua moglie, ed ebbe la prontezza di capire che quello sarebbe stato un evento che l’avrebbe decisamente spinta verso l’apertura del baratro; per questo, il pomeriggio in cui andò a casa di suo figlio accompagnato da Ginny, decise che era ora di far entrare le due sconosciute – Audrey e la seconda Molly – nella sua (e loro) famiglia.
 
 
Torniamo quindi indietro, a luglio, a quel fatidico martedì sera. I fratelli di Percy non gli avevano ancora messo in testa la malsana idea di proporsi a Audrey, e quelli che si trovavano sulla soglia della Tana erano una neo-mamma ancora molto impacciata, un disoccupato decisamente attaccato a entrambe le sue famiglie e una piccola di due mesi che trovava assai divertente agitarsi come una pazza sul marsupio porta-neonati (regalo della signora Bennet) che Percy portava appeso davanti a sé con una certa dignità.
I due adulti apparivano decisamente nervosi, per motivi ben diversi. Audrey si sentiva divisa a metà come un’albicocca aperta: da un lato non vedeva l’ora di conoscere finalmente la famiglia di cui Percy aveva parlato tanto, vedere la casa dove era cresciuto e scoprire se gli altri Weasley somigliavano tutti al suo compagno o se c’era una minima speranza che la sua bambina venisse su normale; d’altro canto, se la stava praticamente facendo sotto per il nervosismo.
E se faccio brutta figura? E se li deludo? E se deludo Percy? E se pensassero che non vado bene per lui? E se sbagliassi qualcosa? E se non gli andasse bene che abbiamo avuto una figlia così giovani? Ecco, lo sapevo. Andrà male. Andrà malissimo. Mi odieranno. Lo so. Anche il signor Weasley mi odierà. Anche Ginny. Oh Merlino. Oh Helga. Oh cazzo.
Che diavolo ci faccio ancora qui?!
Le preoccupazioni di Percy avevano stessa natura ma diversa direzione: sapeva che i Weasley avrebbero letteralmente adorato una come Audrey, persino sua madre; ma cosa sarebbe potuto succedere se loro non fossero piaciuti a lei? Se li avesse trovati troppo espansivi e confusionari, o, al contrario, troppo depressi e tristi per Fred? Se avessero fatto fuggire Audrey a gambe levate?
Percy guardò alla propria destra, verso la ragazza. Si stava mordicchiando l’interno di una guancia, segno che era estremamente nervosa.
D’altronde, prima o poi bisogna farlo. Facciamolo e basta.
Sospirò e alzò la mano per bussare.
- Aspetta!
La mano ricadde giù. Percy si girò di scatto verso Audrey, scatenando le risa di Molly, felice di ritrovarsi faccia a faccia con la sua mamma.
- Che c’è, Bennet? Non avrai di nuovo scordato qualcosa a casa, spero! Ti ricordo che siamo già in ritardo di un quarto d’ora e che…
- No, stavolta sono sicura di aver preso tutto. No, è solo che… Ecco… Mi chiedevo…
Percy scrollò il capo. I quindici minuti sarebbero diventati mezz’ora.
- Bennet, spero che sia una cosa seria, perché ogni minuto passato su questa soglia mi rende più nervoso. Cosa c’è?
Finalmente Audrey si decise. - Ecco, mi è venuto in mente che so come si chiama tuo padre, ma non tua madre.
Argh!
Percy fece un gesto con la mano come per scacciare una mosca. - Che sciocchezza, non ti serve sapere come…
- E invece sì! Diamine, dei tuoi fratelli non mi importa, ma di tua madre sì!
- Beh, ma… Ma… Ma tanto non ti chiederà mai di chiamarla per nome…
- Voglio saperlo lo stesso. Non si sa mai.
Niente: si era impuntata, e nulla avrebbe smosso Audrey dalla convinzione che, in quel momento, la cosa più importante del mondo era conoscere il nome di battesimo di sua suocera. Percy sospirò per l’ennesima volta in quella serata, dopodiché fissò lo sguardo sulla nuca della bambina e sulla rada peluria rossastra che iniziava a spuntarvi sopra.
Il momento della verità, tanto paventato da mesi, era arrivato.
E allora via.
Diede un colpetto di tosse, spostò il peso da una gamba all’altra per due volte, sospirò e disse: - Molly.
- Cosa?
- Molly.
Audrey osservò preoccupata la bambina e le prese le manine, suscitando in lei un gridolino di contentezza.
- Cos’ha Molly?
- Si chiama Molly.
Stavolta lo sguardo preoccupato fu per Percy. - Lo so che lei si chiama Molly! Quello che ti ho chiesto è come si chiama tua madre!
Percy strabuzzò gli occhi. Oh cielo, Bennet, non puoi essere seria!
No, invece Audrey era serissima. Ancora una volta Percy emise un gran sospiro.
- Mia madre si chiama Molly. Molly Weasley. Come lei.
Audrey Bennet – come ricordava spesso sua madre – non era una cima, ma nemmeno stupida; tuttavia le ci volle qualche secondo per registrare quella informazione.
- Tu… Tu… Tua madre si chiama Molly? - balbettò dopo qualche secondo.
Percy annuì gravemente. In fondo, quella era stata la parte più facile della questione: il peggio sarebbe arrivato di lì ad un istante.
La mente di Audrey intanto stava vagliando a velocità supersonica tutte le implicazioni comportate dal fatto che la signora Weasley si chiamasse Molly.
- Oh… Cavolo…
- Già.
- Perce… Ma allora…
- Sì.
- … Ho chiamato nostra figlia come tua madre senza saperlo?!
- Precisamente.
- Ma… Ma… Ma perché non me l’hai detto subito? - Audrey era incredula, ma sembrava anche entusiasta. - Percy, cavolo, è… è bellissimo! Ho dato il nome di tua madre a Molly e non l’ho nemmeno fatto apposta! Ma tu pensa… E dire che ancora all’ufficio dell’anagrafe ti ostinavi a volerla chiamare Lucy, ah! Quando tua madre saprà che è successo tutto per caso si farà di sicuro quattro risate… Oppure lo sa? Glielo hai già detto?
Eccolo. Il momento che Percy temeva di più.
Dai Grifondoro, puoi farcela. Non ti caverà gli occhi con le unghie, se sei fortunato.
Percy diede un altro colpetto di tosse e si preparò a smorzare l’entusiasmo della sua ragazza.
- Mia madre - espose, con finta tranquillità, - è in realtà convinta che io abbia voluto chiamare nostra figlia Molly per far piacere a lei. Per… riavvicinarmi alla famiglia, ecco.
Audrey scoppiò a ridere. - Ah, sì, proprio buona questa! Se penso che…
- E io lascio che la mamma lo pensi, perché in questo modo mi è più facile essere di nuovo ben accetto dai miei parenti. - Colpo di tosse, spostamento del peso da un piede all’altro, sguardo fisso sulla nuca di Molly. - E ti pregherei di non smentire questa versione, per favore.
Audrey lo fissò interdetta. Percy continuò a non guardarla, mentre Molly iniziò a ridere per conto suo agitando le manine.
- Percy Weasley… - ringhiò Audrey, precipitando all’istante al primo livello della fase Banshee. - Io ho dato a Molly un nome contro il quale tu ti sei battuto fino all’ultimo secondo, e adesso vorresti prenderti tutti i meriti?
Percy si sistemò gli occhiali, convinto che quel gesto gli restituisse una parvenza di dignità. - Esatto.
- Dovrei… Dovrei mentire a delle persone che nemmeno conosco solo per non farti fare brutta figura?
- Beh, mentire è una parola grossa… Direi piuttosto “omettere”, “sottacere”, “tralasciare”…
Audrey guardò Molly, e scambiò con lei un’occhiata che voleva essere d’intesa.
Che faccio, Pernille? Lo strozzo, lo trincio o lo frullo?
La faccetta di Molly sembrò dirle: “Mamma, perché lo chiedi a me? Ho solo due mesi, non ho ancora nessuna esperienza della vita. Tu lo conosci meglio di chiunque altro, e se ritieni che il mondo possa fare a meno di lui sei liberissima di ucciderlo; ti faccio però notare che per me ciò costituirebbe un grosso svantaggio: in primis perché difficilmente troverò una persona altrettanto brava a farmi addormentare la notte, e poi perché crescerei priva di una figura paterna e ciò inciderebbe sul sereno sviluppo della mia personalità.”
Ah, beh, rispose Audrey, a questo si può rimediare; ti ho mai parlato di zio Adams?
Audrey interpretò lo sguardo di Molly come un segno di scarsa approvazione. “Un brav’uomo senza dubbio, e anche decisamente affascinante”, sembrò che dicesse, “ma inspiegabilmente sento di preferire questo rosso qui. Mi dispiace, mamma, ma non posso farci nulla: de gustibus disputandum non est.”
Non scusarti, pulcino, non è colpa tua. Hai preso da me, purtroppo.
Audrey scosse il capo, rassegnata. Dentro di sé sapeva che quella non sarebbe stata l’ultima volta in cui sua figlia avrebbe preso le parti di Percy.
Guardò il suo compagno, sperando di trasmettergli un minimo di disprezzo. - Sei sempre il solito politicante ipocrita e approfittatore, Perce. Ti odio.
Per tutta risposta Percy sorrise sollevato.
- Grazie, Audrey.
- Non ringraziare me. E comunque… Mi devi un favore.
- Non mancherò di ricambiare, promesso.
 
Quando la porta si aprì, davanti a Audrey si parò una visione inaspettata: sulla soglia c’era un ragazzone muscoloso che aveva l’aspetto di chi, nella vita, non fa altro che vivere all’aria aperta, mangiare bene e far felice ogni donna che passa per la sua camera da letto.
Soltanto i capelli rossi lo qualificavano come “parente di Percy”. Nient’altro.
… Ah, beh. Si comincia bene!
- Tu sei Audrey - disse il ragazzone con un gran sorriso. - Finalmente riesco a conoscerti! Molto piacere, sono Charlie.
Il piacere è tutto mio, amico…
Audrey sentì lo sguardo di Percy trapanarle la nuca, e smise di pensare ciò che pensava. Non si sa mai, potrebbe essere un Legilimente senza che io lo sappia…
- Venite, mancate solo voi ormai; Bill e Fleur sono arrivati ore fa, Harry invece non c’è, è impegnato a fare chissà cosa chissà dove…
Prima di voltarsi e far loro strada verso il retro della Tana, Charlie rivolse un altro gran sorriso a Audrey, che inspiegabilmente si sentì molto meno agitata e molto più a suo agio.
Alla tavola erano già sedute diverse persone. C’era il signor Weasley, che si alzò subito per accogliere il figlio e la quasi-nuora; dopo di lui venne Ginny, che corse a prendere in braccio Molly e la mostrò poi in giro agli altri presenti, orgogliosa come se fosse figlia sua. Percy e Audrey furono fatti accomodare di fronte a Ginny e ad un altro fratello che si presentò come Ron.
- Ho già visto la tua faccia… - commentò Audrey, gentilmente ironica. - Doveva essere su una delle ultime Gazzette, se non sbaglio.
Ron arrossì, ma sembrava contento. Iniziarono a parlare, ma poi l’attenzione di Audrey fu catalizzata da Charlie che si accomodò alla sua sinistra. - Così, sei una mezza specie di mia cognata… Peccato, come al solito le ragazze più carine sono già occupate.
Beh, ora non farti condizionare dal fatto che ho una figlia con tuo fratello…
- Non hai un altro posto dove sederti, Charlie?
Audrey si girò verso la propria destra e fulminò Percy con lo sguardo, ma lui non ci badò. Se Audrey avesse avuto una memoria migliore, avrebbe notato che l’espressione con cui il suo compagno guardava Charlie era identica a quella con cui Ben, il suo ex, era stato congelato molti mesi prima.
- Mi spiace, Perce, come vedi è già tutto occupato, e quelli liberi sono i posti di mamma e George. Allora, - fece, tornando a rivolgersi a Audrey, - devi assolutamente raccontarmi come hai fatto a trovare Percy e a trasformarlo in un essere quasi umano.
A quella Audrey scoppiò a ridere, ma sentendo un silenzio di gelo alla propria destra smise subito. - Beh… Ehm… Immagino che tu voglia sapere come ci siamo conosciuti.
- Sì, mettiamola così. Lavori anche tu al Ministero?
- Lavoravo. Ero agli Archivi, e lui…
- Mi sembra di averti già raccontato questa storia, Charlie - la interruppe Percy, sempre gelido.
Charlie lo guardò sorpreso, poi sorrise di nuovo. - È vero, scusa… Devo essermene dimenticato.
Audrey avrebbe voluto rimproverare Percy, ma fu fermata da una voce che ancora non aveva mai sentito.
- Ci siete tutti? Arthur, manca qualcuno?
- No, Molly, solo tu…
Audrey drizzò le orecchie, imitata da Percy.
Cavolo!
La signora Weasley era appena uscita dalla cucina, con l’intenzione forse di controllare che a tavola fosse tutto a posto. Audrey pensò subito che con una madre così non ci si doveva annoiare mai in casa: sprizzava letteralmente energia da ogni poro.
Lei e Percy si alzarono e fecero per andare incontro alla Molly adulta, ma questa li precedette dirigendosi decisa verso di loro.
- Percy! Che bello averti qui… E tu devi essere…
- Audrey. Molto piacere, signora Weasley.
Le due donne si osservarono.  Audrey aveva solo cinque centimetri di vantaggio sulla signora Weasley, per cui quest’ultima riusciva a guardarla negli occhi senza difficoltà.
- Il piacere è mio, Audrey. Dico davvero. - Sorrise e si rivolse a Percy. - E… Per caso, avete portato anche… Oh!
Individuò la seconda Molly che gorgogliava gioiosa in braccio a Ginny. Sia Percy che Audrey osservarono attentamente la signora Weasley, aspettando di vedere come avrebbe reagito di fronte alla sua prima nipote.
Lì per lì la signora Weasley guardò la bambina da distante, in silenzio; dopo qualche secondo si voltò verso Percy, con gli occhi lucidi. - È… È così bella, Perce…
Audrey sorrise, estremamente intenerita. La signora Weasley prese finalmente in braccio la sua omonima, osservandola con qualcosa di simile all’adorazione, sotto gli sguardi silenziosi di tutti gli altri partecipanti alla cena.
- Oh, - sospirò alla fine la signora Weasley, - voi… siete stati così gentili a chiamarla come me… Sai, Audrey, Percy mi ha detto che tu avresti voluto chiamarla come tua madre, ma poi… Oh, sei stata così carina ad accettare di chiamarla Molly nonostante…
Il sorriso si congelò sul viso di Audrey, ma Percy fu rapido a darle, non visto, una gomitata nelle costole.
- Ah, non lo dica neanche - rispose la ragazza riprendendo fiato, - è stato un… un vero piacere… E poi Percy ci teneva così tanto
Approfittando del momento in cui la signora Weasley si voltava di nuovo a guardare la sua nipotina, Audrey scoccò un’occhiata molto, molto significativa a Percy.
Mi devi un favore ENORME, amore mio.
 
Nessuno dei timori di Percy e Audrey si realizzò durante la cena: la ragazza non fece nessuna brutta figura, e i Weasley non la fecero fuggire a gambe levate. Anzi.
Stare in loro compagnia era molto, molto più semplice e piacevole di quanto lei immaginasse.
Soprattutto se si tratta di Charlie…
- Davvero non ti piace il Quidditch? Naaa, non ci credo!
- Credici! Non lo sopporto, e in più soffro di vertigini.
- Scommetto che se ti portassi a volare cambieresti idea… Ero un ottimo giocatore a scuola, sai? Non è vero, Perce?
Quello che dava maggiormente chiacchiera a Audrey era proprio Charlie, che sembrava ben deciso a bombardare la ragazza di domande di tutti i tipi. Le aveva già carpito informazioni sulla sua famiglia, sulla Casa a cui era appartenuta, sui suoi hobby e adesso era arrivato – naturalmente – al Quidditch.
Chissà perché, al contrario di Audrey, Percy era rimasto silenzioso per tutta la serata. Alla domanda diretta di Charlie sollevò le spalle.
- Non so, non mi intendo di Quidditch…
- Oh, andiamo! Non vuoi proprio darmi soddisfazione? - fece Charlie ridendo. - Che fratello noioso…
Più noioso del solito, in effetti. Come mai è così giù? Pensavo fosse felice di presentarmi ai suoi… Tu che ne dici, Pernille? Non trovi che Percy sia decisamente monotono stasera?
La bambina sulle sue ginocchia la osservò priva d’espressione, poi, senza preavviso, rigurgitò sulla gonna di Audrey.
Ma che diamine! Cos’è, non posso dire proprio nulla di male su tuo padre?!
Tra mille scuse, Audrey si alzò e si diresse verso il bagno. Ci mise un po’ a trovarlo, visto che in proposito aveva ricevuto indicazioni diverse e persino contraddittorie; quando finalmente tornò, trovò il proprio posto accanto a Charlie occupato da Percy.
- Beh? - gli chiese, sorpresa.
Lui assunse l’espressione più innocente del mondo.
- La mia sedia è più comoda - spiegò con una tenerezza molto inconsueta.
Audrey lo osservò sospettosa, poi si sedette. Quella sedia era identica all’altra, se non più scomoda.
Guardò di nuovo verso Percy, che era tornato a mangiare senza dir nulla, e notò che ora si frapponeva casualmente tra lei e Charlie.
Ma…?
- Non badarci - le bisbigliò una voce alla sua destra. Audrey si trovò faccia a faccia con Hermione Granger, una ragazza dall’aria simpatica e decisamente sveglia.
- Come, scusa?
La ragazza sorrise. - I Weasley sono tutti così, dal primo all’ultimo: gelosi per natura.
Rivolse un’occhiata significativa a Ron, che non se ne accorse perché impegnato a parlare con Bill.
Finalmente Audrey riuscì a fare il collegamento che le mancava: Percy si stava semplicemente ingelosendo, forse a causa dell’interessamento che suo fratello stava dimostrando nei confronti di lei.
Cavolo… questo SÌ che è inaspettato…
Più che inaspettato, imbarazzante. Quasi imbarazzante come il momento in cui, poco prima, George era sceso dalla propria camera per mangiare: nessuno gli aveva rivolto la parola e lui stesso non aveva salutato nessuno, aveva ingoiato due bocconi ed era tornato al piano di sopra quasi senza far rumore.
Solo che adesso è ancora più imbarazzante.
Cavolo.
Ma che razza di sciocco che sei, Perce. Come puoi pensare che io… Eh?
Istintivamente allungò la mano verso quella di Percy, come per chiedergli scusa; lui la strinse forte e sorrise a Audrey, confortato.
Per fortuna che per dirsi certe cose non servono tante parole.
Lo sai che preferisco te, sempre e comunque. Un po’ come nostra figlia.
 
 
 
Quella lontana sera di luglio nessuno pensò nemmeno lontanamente di chiedere a Percy e Audrey quando si sarebbero sposati; come ben sappiamo, i fratelli Weasley iniziarono a cercare di convincere Percy solo da ottobre, e verso la fine di quel mese lui stesso decise che era giunto il momento di pensarci seriamente.
La signora Weasley, invece, ci pensava già da parecchio tempo. Per l’esattezza, ci pensava già dalla lontana sera di luglio che è stata descritta poco fa.
La signora Weasley era sposata da molto tempo e innamorata da ancora più tempo; nonostante una fitta nebbia avvolgesse i suoi pensieri, quella sera non era riuscita a non accorgersi di ogni sguardo, parola o gesto intercorso tra Percy e Audrey. Non aveva potuto non notare la gelosia di suo figlio e il silenzioso gesto di scusa della ragazza. Non aveva potuto non pensare che quei due dovevano sposarsi, perché sì.
Ci pensava, e più ci pensava più si convinceva che era così, che se Percy aveva trovato Audrey se la doveva tenere; ne trovava conferma ogni volta che li vedeva insieme, con o senza la bambina.
A inizio novembre lasciò che quell’idea vaga si trasmettesse anche ai suoi figli, e quando giunse a Percy la signora Weasley rimase in attesa, aspettando che lui facesse la cosa giusta.
Una volta che l’avesse fatta, avrebbe poi saputo lei come regolarsi. Eccome, se l’avrebbe saputo.
 
 
 
 
 
Torniamo però a quel freddo e piovoso novembre. Una settimana dopo l’avventata proposta di Percy, Audrey iniziò a rilassarsi; il suo ragazzo non dava segni di voler tentare di nuovo il suicidio per mezzo di richieste assurde: probabilmente si era reso conto che lei mai e poi mai avrebbe accettato di sposarlo.
Ma figurati. Come se non glielo avessi detto mille volte: non c’è bisogno di sposarsi per stare bene insieme. Alla fin fine due persone possono amarsi senza doverlo dichiarare davanti a tutti, no?
Che poi, che vuol dire “per tutta la vita”? La vita finisce. È inutile fare promesse su una cosa che dura così poco.
Vedi mio padre, per esempio.
E comunque, se anche decidessi di sposarlo non sarebbe adesso; ho ventun anni, cavolo, vorrei almeno evitare di sentirmi legata già da adesso. Sbaglio?
Contro questi pensieri sarebbe stato inutile far leva su elementi quali il fatto che, alla fin fine, lei e Percy vivessero già come una coppia sposata e che avere una figlia era già un legame piuttosto forte, a ventun anni: niente e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. “Zuccona”, avrebbe detto la signora Bennet.
Ad ogni modo, Percy non le chiese più nulla fino al dieci novembre.
 
L’undici novembre Percy tentò il suicidio un’altra volta.
Verso le sei di sera, come al solito, si Materializzò silenziosamente davanti alla porta di casa e andò a scontrarsi con la signora Bennet, che stava uscendo di corsa.
- Oh… Scusa, Percy…
- Nessun problema.
- Ah! - esclamò allora la signora Bennet, mettendo su un cipiglio inferocito. - Lo dici tu, che non c’è nessun problema! Vallo a dire a quella sciroccata di mia figlia, per cortesia!
E con una rapida piroetta scomparve.
Percy sospirò. Quella storia andava avanti ormai da mesi: ogni volta che la signora Bennet veniva a trovare Audrey, finiva per litigare con lei a proposito del modo in cui si occupava di Molly.
Una volta era per i vestiti, un’altra per il bagnetto, un’altra volta ancora per i giocattoli “poco adatti”… La signora Bennet, in buona fede, credeva di dispensare utili consigli, ma non capiva che Audrey non ne aveva affatto bisogno visto il modo eccellente in cui stava crescendo la bambina; quando la ragazza glielo faceva notare, la signora Bennet si offendeva e accusava la figlia di essere testarda e di non voler ammettere di aver bisogno d’aiuto.
Era così da mesi; la signora Bennet se ne andava affranta, lasciando Audrey afflitta e piena di dubbi.
E io raccolgo i cocci.
Queste donne…
Entrando in casa trovò un silenzio decisamente pesante, il tipico silenzio che segue alle discussioni urlate. Non so se avete mai fatto caso a quei silenzi, ma hanno sempre un che di strano: è come se, una volta cessate le urla, qualcosa sparisse dalla stanza, o al contrario compaia qualcosa di invisibile ma palpabile che toglie l’aria.
In questo silenzio stava Audrey, fissando senza vederla la libreria di fronte al divano.
E io raccolgo i cocci.
- Ehi…
Audrey tirò sul col naso, poi si voltò a guardarlo. Era ancora più triste del solito, ancora più bisognosa di conforto.
Percy sospirò di nuovo, levò il pesante mantello e andò a sedersi vicino a lei; Audrey si accoccolò contro di lui, le gambe ritirate sul divano.
- Per cos’era, stavolta? - domandò Percy, un po’ ironico.
- Il cibo. Ho dato a Molly una mela a pezzetti, e mia madre ha detto che è troppo presto, che a sei mesi deve mangiare ancora pappe e schifezze simili. - Tirò di nuovo su col naso. - Ma ormai ha i denti, e vuole cose più sostanziose, e…
Si accoccolò ancora di più. - Ho sbagliato, vero?
Bene, adesso toccava a lui. Ogni volta che la signora Bennet le metteva un Chizpurfle nelle orecchie, Audrey chiedeva il parere di Percy; aveva sempre bisogno di conferme, o al limite di consigli.
Il bello era che nelle sue risposte Percy era assolutamente sincero: dava ragione a Audrey solo quando pensava davvero che lei fosse nel giusto. Vi parrà strano, ma Audrey apprezzava moltissimo questo suo modo di fare, questa sua schiettezza anche nel mostrarle i suoi difetti – tranne quando mancava totalmente di tatto, ovvio.
Anche quella sera Percy fu onesto. - No, non hai sbagliato per niente; anzi, hai fatto tutto benissimo.
- Ne sei sicuro?
- Non fare domande sciocche, Bennet: se lo dico io significa che è vero.
Audrey sorrise, sebbene non del tutto consolata. - Sbaglio, o più lavori col Ministro più ti monti la testa?
Anche Percy sorrise. - Beh, sei stata tu a volere che tornassi al Ministero a tutti i costi… - Finse di pensarci su. - Se ricordo bene, avevi anche detto che se non avessi ripreso a lavorare mi avresti lasciato.
Audrey si alzò un po’ e lo guardò. - Che sciocco che sei. Non ti lascerei mai, lo sai.
Poi tornò a stringersi contro di lui, senza vedere che Percy stava arrossendo. Diamine, quasi due anni che stiamo insieme e ancora non mi abituo a queste frasi…
- Quindi, - fece Audrey dopo qualche istante, - non ho sbagliato? Non sono una frana, una testarda, una ragazzina senza esperienza?
- È questo che ti ha detto tua madre?
Audrey alzò le spalle. Percy iniziò ad accarezzarle i capelli.
- No. Non sei nessuna di queste cose, e lo sa anche tua madre. Tu sei… - si fermò, pensando alle parole da usare per esprimere ciò che aveva in mente. - Sei... Beh, sei la migliore.
… La migliore cosa?!
- La migliore… cosa?
Audrey osservò Percy vagamente preoccupata, ma lui sembrava stranamente convinto di quello che diceva.
- La migliore e basta. In assoluto. E…
Tacque. Ecco, lo sapeva: l’avrebbe detto di nuovo.
Già farselo sfuggire una settimana prima era stato rischioso, sapeva quanto Audrey desiderasse non parlare di matrimonio… Ma niente, era più forte di lui. Una parte di Percy – la parte che credeva nella famiglia, che pensava che promettersi di stare insieme per tutta la vita avesse un significato che andava ben oltre la brevità di questa – continuava a mettergli in mente l’idea di chiedere a Audrey di sposarlo. A nulla valevano la paura di litigare con lei o di farla scappare via, aveva quell’idea fissata nella mente come un chiodo.
Voleva sposarla. Glielo aveva già detto due volte, glielo avrebbe detto anche una terza volta.
- … E vorrei che mi sposassi, Audrey. Lo so che non ti piace sentirtelo dire, ma vorrei che mi sposassi.
 
Fondatori, vi prego, aiutatemi.
Se c’era una cosa che Percy sapeva far bene, oltre che consolare Audrey, era polverizzare in un nanosecondo il suo equilibrio mentale.
Non. Ci. Posso. Credere.
Stavolta non c’erano giustificazioni: non si poteva addurre la scusa della confusione, delle endorfine, della guerra incombente. Percy voleva sposarla, e basta.
Il viso di Audrey doveva tradire qualche emozione negativa, perché Percy si scansò da lei.
- Perce…
Ahia.
La calma con cui aveva pronunciato quel “Perce” faceva molta più paura di qualsiasi altra cosa. Percy si scansò ancora di più.
- Pensavo che avessimo chiarito - concluse Audrey, gelida.
A questo punto, se avesse ragionato in maniera più razionale, Percy sarebbe rimasto zitto; la sua parte irrazionale però andava ormai a ruota libera.
- Beh, tecnicamente non abbiamo chiarito proprio nulla. Hai detto solo che ne avremmo riparlato…
Non essendosi aspettata una replica così diretta, Audrey contrasse le labbra, stizzita.
- Non dirai sul serio, spero.
- Secondo te?
- Perce… Oh, maledizione!
Audrey si alzò bruscamente dal divano, le braccia conserte e lo sguardo fiammeggiante.
- Dimmi, quante altre volte dovrò ripeterti che non voglio sposarmi adesso?
- Almeno finché non mi dirai perché non vuoi sposarmi.
- Io… oh, non fare lo stupido, lo sai benissimo il perché.
- No che non lo so.
Inconcepibile.Audrey iniziava seriamente ad arrabbiarsi, e tanto; e ciò che la faceva arrabbiare ancora di più era la calma olimpica di Percy. Dove diamine era finito il ragazzo che farfugliava non appena si toccavano argomenti anche solo vagamente sentimentali? Chi era quel tizio che adesso le parlava di matrimonio come se fosse la cosa più facile del mondo?
Come se fosse la cosa più bella del mondo?
Inconcepibile.
Audrey si allontanò di qualche passo, furibonda. - Non voglio sposarmi, punto.
- Perché?
- Perché no!
- È me che non vuoi?
Oh, no, adesso non provare a metterla sul personale! Tanto non ci casco, retore da strapazzo!
- Allora? Sono io il problema?
- Non dire idiozie. Io…
- E allora perché? Dammi un motivo, avanti.
Oh, cielo, adesso si permetteva anche di sfidarla?
Inconcepibile!
Audrey guardò in terra, trattenendo la rabbia. Ciò che più la disturbava, in tutte quelle domande, non erano le domande in sé né il tono con cui venivano pronunciate: la cosa peggiore era che lei stessa non aveva una risposta.
Era facile dire “non voglio sposarmi così giovane”, “sto bene anche così” e “non ho bisogno del matrimonio per essere felice”; più difficile era capire perché diamine si sentisse così irritata, così infastidita dalla sola idea di una unione stabile col padre di sua figlia, nonché unico uomo della sua vita futura.
E che cavolo ne so!
Invece di rispondere, pensò bene di rigirare la domanda.
- E tu, allora? Tu hai un motivo valido per cui dovrei sposarti? Hai un motivo valido per cui le cose, tra noi, dovrebbero cambiare?
Percy ammutolì, colpito. Accidenti, quella che era una bella domanda; proprio azzeccata.
Dovete sapere, lettori, che prima di cedere alle insistenze dei suoi fratelli e decidere che era il momento per proporre il grande cambiamento a Audrey, Percy si era posto quella domanda svariate volte.
Perché voglio sposarla?
Il risultato finale era questo: Percy Weasley non aveva un motivo.
Ne aveva dieci. Tutti più o meno validi ed accettabili.
- Allora? Sentiamo, visto che sei tanto convinto che sia la cosa giusta; perché dovresti sposarmi? - insistette Audrey, a voce più alta.
- Io…
Perché uno con la mia reputazione e la mia posizione non può restare in una situazione ambigua come la convivenza.
Perché, dopo tutto quello che abbiamo passato, mi sembra la cosa più logica da fare.
Perché se non lo facessi i miei fratelli mi prenderebbero in giro a vita.
Perché la mamma ci tiene, anche se non lo dice.
Perché non troverò mai una suocera migliore di tua madre.
Perché adoro la tua famiglia e voglio farne parte.
Perché sì, cazzo.
Perché ti amo, e ho motivo di ritenere che anche tu mi ami.
Perché sono sicuro di volere solo te, e nessun’altra.
Perché ho bisogno che nella mia vita ci sia qualcosa di certo, di concreto, che non finisca.
Deglutì forte.
- Perché… Perché…
Prese fiato, ma inutilmente: non sapeva più cosa dire.
L’espressione irata di Audrey si contrasse in una smorfia trionfante.
- Visto? - esclamò. - Non lo sai nemmeno tu! Tu… Tu vuoi sposarmi solo perché… Perché hai paura, o non so quale altra sciocchezza ti passa per la testa. Non ne sei convinto nemmeno tu, questa è la verità!
Niente di più falso, Percy lo sapeva benissimo. Eppure…
Eppure davanti alla veemenza di Audrey qualcosa in lui crollò. La ragazza era veramente turbata, ad un livello che Percy non aveva immaginato; magari non sapeva nemmeno lei perché fosse così ostile all’idea di sposarlo, o magari lo sapeva benissimo, ma non era questo il punto.
Il punto è che le cose si fanno in due. Se è uno solo ad essere d’accordo allora è tutto inutile.
Osservò Audrey, che in quel momento aveva smesso di parlare, con un’espressione che non aveva mai avuto prima d’ora, di totale rinuncia.
- Va bene - disse.
- Cosa?
- Va bene. - Percy iniziò a fissare il pavimento, concentrandosi su una mattonella sbreccata. - Va bene. Hai ragione tu, non… Non dovevo insistere.
- Perce, io…
- Hai ragione, hai perfettamente ragione. Insomma… non è importante.
- Non…
- A me basta che vada bene a te. Scusami.
Audrey sgranò gli occhi e ammutolì. Stava dicendo… davvero? Intendeva davvero smetterla con quell’assurdità del matrimonio, oppure fingeva una resa per tornare a tormentarla di lì a una settimana?
Attese che Percy aggiungesse qualcosa, ma lui sembrava aver esaurito gli argomenti. Rimasero così, lui seduto con lo sguardo perso, lei in piedi con le braccia strette, per una manciata di lunghi secondi.
- Perce, io…
Percy alzò lo sguardo su di lei; uno sguardo triste, distante. - Mi rendo conto che non posso costringerti a fare quello che non vuoi. Va bene così, sul serio. È la stessa cosa, in fondo.
Di nuovo, silenzio; un tipo di silenzio diverso da quello di prima, uno di quei silenzi che riempiono anche la testa, e ti impediscono di pensare a qualcosa da dire.
In quella, Molly decise che era il momento di sbloccare la situazione – o forse aveva semplicemente voglia di fare qualcosa di diverso che dormire; fatto sta che iniziò a piangere, facendo sobbalzare i due ragazzi.
- Vado…
- No, sta’ tranquilla, ci penso io.
Percy si alzò e si diresse verso la camera, dando le spalle a Audrey. Fu in quel momento, come in un flash, che la ragazza si rese realmente conto di quanto fosse cambiato dal giorno lontano della battaglia: non camminava più tutto rigido e altezzoso, con la schiena ben dritta, la testa alta e quel portamento un po’ ridicolo che l’aveva incuriosita nei primi tempi; al contrario, ora sembrava volersi nascondere. Le spalle erano ricurve, il capo sempre chino, e, se si faceva attenzione, ci si accorgeva del fatto che Percy trascinava un po’ la gamba sinistra, come se questa fosse leggermente più rigida dell’altra.
E quando le parlava di sposarsi non balbettava, non era insicuro né intimidito. Percy Weasley sapeva cosa significava avere una cosa e perderla, o rischiare di perderla; sapeva cosa significava non fare la cosa giusta e pentirsene; sapeva cosa significava sprecare il proprio tempo e non poterlo recuperare mai più.
Sapeva cosa voleva, e voleva mettere ordine nella propria vita; voleva tenere al sicuro quanto di più caro gli restava, e l'idea del matrimonio così romantica e dunque così lontana dalla sua personalità di una volta era perfetta per questo suo scopo. Certo, non avrebbe mai saputo spiegare tutto ciò con questi termini, e nemmeno Audrey – nel luminoso istante in cui comprese tutto quanto – avrebbe saputo farlo. È il genere di cose che si percepiscono e basta, come si percepisce l’aria ma non la si può indicare.
 
L’istante di comprensione di Audrey durò, appunto, il tempo di un attimo. Bastò però a condizionare tutti gli attimi successivi.
Quella sera Audrey e Percy non si parlarono; il mattino dopo era quasi tutto normale, e a sera erano già tornati a comportarsi come al solito.
Sarebbe stato tutto esattamente come prima, se non fosse che Audrey aveva iniziato a pensare.
Nulla come i nostri stessi pensieri influenzano le nostre decisioni. Siamo lì, ancorati ad una certezza assoluta… e il momento dopo stiamo riflettendo, ponderando e valutando, e ci facciamo un’idea totalmente diversa da quella di partenza.
Audrey Bennet aveva questo grosso difetto: se qualcosa la colpiva, iniziava a pensarci su. E quando pensava non si sapeva mai a cosa poteva arrivare.
Mentre si comportava normalmente con Percy, pensava. Pensava a lui, a loro, a quello che avevano passato ed avrebbero passato. Pensò alle sue spalle curve e alla sua espressione spenta.
Pensò che in fondo era come se fosse già suo marito; pensò che qualcuno doveva averle rubato l’animo romantico, se ancora non si era smossa dopo ben tre proposte; pensò che c’è una sola vita ed è breve, ma se non la doniamo non ha valore, e ci sono tanti e tanti modi di donarla.
Pensò tanto e a lungo; pensò così tanto che, alla fine, non ricordava più perché avesse rifiutato di sposare Percy, perché l'idea di stare con lui per tutta la vita non le sembrava poi così stupida, in fondo.

















*saltella felice*
Sono tornata! Sono tornata!!! *spupazza i lettori*
Non avete idea di quanto mi siete mancati! Mi dispiace seriamente di aver tardato così tanto, ma sappiate che, come voi eravate impazienti di leggere, io ero impaziente di scrivere e pubblicare.
Beh, che dire? Mi pare che il capitolo non abbia bisogno di spiegazioni particolari, e direi che è abbastanza succoso da potervi accontentare. Personalmente, poi, mi piace da matti: non so perché, ma scriverlo mi ha davvero resa soddisfatta… Sarà che ho aspettato tanto tempo e non vedevo l’ora di riprendere in mano questa storia.
Non so quando arriverà il capitolo 27, perché a fine mese ho un esame un po’ impegnativo… Ma non disperate.
(Mamma mia, e pensare che al capitolo 20 avevo detto che ci sarebbero stati sì e no solo altri 5 capitoli… Ah, che ingenuità!)
Piccole note:
1) Ecco, credo di aver accontentato tutte le persone che – più o meno minacciosamente – hanno chiesto l’incontro Molly-Molly e Molly-Audrey. Tutto l’excursus sulla signora Weasley diventerà rilevante dopo, non temete.
2) Il Chizpurlfe, se non vado errato, è tipo un parassita che si nasconde nelle pellicce degli animali: perfetto, quindi, per sostituire la pulce del proverbio Babbano che ho citato.
3) Spero davvero che, dopo tutta questa attesa, il capitolo non vi abbia delusi. Ecco, io so già che, due minuti dopo aver pubblicato, smetterò di essere fiera del mio lavoro e inizierò a vergognarmi di quanto ho scritto; poi, insomma, sapete che la sottoscritta non ha una concezione esatta del bello e del brutto per quanto riguarda le proprie ff, e veramente non so mai quando un capitolo è accettabile oppure no… quindi, davvero, spero che a voi piaccia. Se non è così, mi dispiace sul serio.
4) SPAM! Leggete questa storia, merita davvero TROPPO (e tanti spupazzamenti all’autrice ^^): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=807298&i=1
5) Sì, i Bennet. RICOMPARIRANNO, okay? Non chiedetemi QUANDO ma ricompariranno. So già in che scena (anzi, scene) inserirli. Oh.
6) Spero che si siano capite un po’ le motivazioni di Audrey. Personalmente non sono contraria a chi sceglie di convivere ma credo nel matrimonio (ossia, credo che io farò sicuramente la scelta di sposarmi), quindi mettermi nei pensieri di una che rifiuta il matrimonio “a prescindere”, per motivi che tra l'altro non sono chiari nemmeno a lei stessa, non è stato semplice. Come al solito, più rileggo il capitolo meno mi convince. Uff.
7) Perché Charlie? Perché sì. Ecco. Volevo mettere una scena con un po' di colore (che ricorrerà in seguito, tra l'altro), e Charlie era il più adatto. Spero che non troviate la scena "campata per aria" perché, ripeto, mi serve anche per dopo.
8) Perché i litigi tra Lucy Bennet e Audrey? Perché, per esperienza personale (non mia, ma della mamma), quando una donna si ritrova ad essere nonna ritiene, in genere, di essere migliore della propria figlia/nuora nell’accudimento dei bambini. La mia povera mamma ricorda ancora le discussioni sul come controllare la temperatura dell’acqua del bagnetto. (Gomito o termometro a forma di pesciolino? Per la nonna la prima soluzione, perché "ora che prendi il termometro e lo metti in acqua questa si è già raffreddata!". Questo è il genere di discussioni che, almeno nella famiglia, sono sempre andate avanti tra madri e figlie; se tra qualcuno di voi ci fosser persone che non hanno avuto queste esperienze, beh, BEATE VOI!)
Quando poi a scontrarsi sono due personalità come Audrey e Lucy, meglio fuggire.
9) La scena che trovate nell'introduzione doveva comparire qui, ma l’ho spostata al prossimo capitolo (o tra due capitoli? Boh! Tanto ormai c’è una parte di me che aggiunge scene e dialoghi senza che io li abbia progettati in precedenza, e non so mai quando e se questa parte di me decida di intervenire… per cui chissà).
10) Ho già detto che MI SIETE MANCATI TANTO?!
 
 
 

Ah, prima che mi dimentichi: se siete a Roma, il 29 settembre (“Seduto in quel caffè, io non pensavo a te…”), fate un salto al Romics, alla Nuova Fiera di Roma. Potreste trovarci nientepopodimeno che il signor Percy Weasley in persona, pronto a firmare autografi e a rispondere alle vostre domande.
... Perché quelle facce? Sì, ci sarà Percy.
No, non sto scherzando. Ci sarà davvero. Davvero!
(Lascia stare, tanto questi Babbani non ci crederanno mai.)
Mi sa che hai ragione. E vabbè… Peccato, avete perso un’ottima occasione.
(Eh già. Avevo in progetto di distruibuire copie autografate di "Prefetti che hanno conquistato il potere", opera d'inestimabile valore che...)
... Forse fate bene a non venire, lettori cari.
 

Grazie di aver letto, carissimi! Alla prossima!
*manda baci bavosi&abbracci pelosi*
Fera

   
 
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