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Autore: Pickwick    05/10/2011    0 recensioni
All' improvviso, la vita di Kelsey viene stravolta da una gravidanza inattesa: non si sente per niente pronta, ma è obbligata a prendersi responsabilità che, fino a quel momento, non sapeva neanche esistessero. Si sente derubata della sua libertà, e darebbe di tutto per tornare indietro. Ma forse, la sua situazione non è così negativa.. Forse.
Il problema è che il peggio non ha mai fine.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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So che è passato tantissimo tempo dall’ ultima volta.

Scusate. È successo, in sostanza, che avevo perso la voglia di scrivere. In questo capitolo se ne vedono i risultati, purtroppo. Spero di non aver fatto troppi errori, e di non metterci di nuovo così tanto tempo per il prossimo capitolo.

Un bacio.

 

V.

 

 



OCEAN

 

 

 

 


Quarto mese

2 Settembre 2001

 

Paradiso.

La mia vita si era trasformata in un autentico paradiso. Ero completamente assorbita da Matt – ogni singola fibra del mio corpo lo era.

Ci eravamo trasferiti, io e lui, soli, non troppo lontani dal loft dove convivevano Jared e Meg; la vicinanza con la mia amica era importante, quando Matt era al lavoro. Lo amavo, dannazione.

Passavamo molto più tempo insieme, ora: in un’ improvviso slancio di misericordia – dovuto, molto probabilmente, alla divina intercessione di Diane – il padre di Matt, George, gli aveva drasticamente ridotto le ore di lavoro. Passavamo le giornate insieme: giravamo per la città, compravamo le cose per il bambino (o bambina) oppure ci chiudevamo in casa a rotolarci tra le lenzuola finchè la fame non prendeva il sopravvento, e allora scappavamo a mangiare senza aver prenotato nei migliori ristoranti della città.

Spesso andavamo a fare il bagno nell’ oceano, in quel posto speciale che era diventato solo nostro.

Ancora non avevo riaperto il dialogo con mia madre: al suo posto avevo Diane, che mi trattava come se fossi stata la sua figlia preferita. Mio padre, al contrario, mi chiamava spesso; e nonostante fossi ancora risentita nei suoi confronti perché non mi aveva appoggiata apertamente nelle mie scelte, dentro di me sapevo che, se solo fosse stato di tempra più dura, l’ avrebbe fatto senza rifletterci su troppo. Motivo per cui l’ avevo perdonato. Mi chiamava quasi con la stessa frequenza con cui lo faceva Diane: lei si informava su tutto, dai calci che il bambino mi tirava alla temperatura interna della casa. Spesso la chiamavo di notte in cerca di conforto, quando avevo i miei attacchi di nausea che cercavo di soffocare per non svegliare Matt.

Adesso la mia pancia era ben visibile, e avevo due tette da sballo. Cioè, almeno questo era quello che aveva detto Matt; era lui che teneva sotto controllo questi fattori.

Nonostante avessi iniziato a vivere sopra la mia personale nuvoletta il mio paradiso personale, ci pensavano Matt e Meg a tenermi con i piedi per terra. Infatti continuavano a insistere sull’ argomento ‘College’, in quanto secondo loro non aveva alcun senso che mandassi a monte il mio futuro per un semplice inconveniente. A quel punto, di solito, rispondevo che certo, ovvio che sarei andata al college, se solo loro ne avessero trovato uno in cui alle studentesse madri fosse concesso di portare il proprio figlio in aula, perché io non avrei lasciato il mio per nulla al mondo.

A quel punto di solito Megan sbuffava o cercava di ribattere, mentre Matt sorrideva e le diceva di lasciarmi stare, che tanto – è più testarda di un mulo.-

- Finirai come mia madre.- mi disse una sera Matt, mentre eravamo a letto. – Senza un livello d’istruzione sufficiente a permetterle di trovarsi un lavoro. Non che lavorare le serva, ma ho come l’ impressione che la sua vita sia un po’ vuota.-

- La vita di tua madre è perfetta.- risposi, massaggiandogli la schiena.

- Mia madre è piena di soldi - disse lui - ma è ben lontana da essere una donna realizzata.-

- Oh, dai, milioni di persone ucciderebbero per essere nella sua situazione.-

- Davvero? Non so, Kelsey. Non voglio che tra vent’anni tu rimpianga di non aver fatto scelte diverse.-

- Io ho te - gli risposi - e mi basta.-

 

Matt mi aveva resa più matura e più razionale. Dicevo la metà delle parolacce che ero solita pronunciare solo due mesi prima, il che era, di per sé, un fatto straordinario.

Megan aveva debuttato a Broadway con la sua compagnia teatrale, nel ruolo di uno dei protagonisti di Fame: a parer mio era stata spettacolare, superba, tanto che ero quasi arrivata a tirare su una rissa con degli stronzi con la puzza sotto il naso che non avevano fatto altro che criticarla per tutto lo spettacolo.

Ho detto di essere maturata, non di essere diventata una persona civile.

Jared ogni tanto rievocava, tra le risate generali, la scena della bionda incinta - testuali parole - “che cercava di spaccare il naso a due femminucce visibilmente scandalizzate”.

Era così infantile!

Ogni tanto, mentre Matt era al lavoro (in quegli ultimi giorni doveva essere spesso presente a riunioni con i rappresentanti dell’ azienda di mio padre; da quel che avevo capito, si prospettava la conclusione di un’ affare molto importante per entrambi i partiti) salivo in metropolitana e facevo i giri per le fondamenta della città, osservando la gente. Probabilmente il mio atteggiamento spesso arrivava a sfiorare la maleducazione; immagino che essere fissati da una sconosciuta dall’ espressione vagamente schizzata non rassicuri nessuno.

Mi piaceva guardare le persone, mi faceva sentire una di loro. La cosa spettacolare era vedere persone diverse per età, razza e ceto sociale sedersi senza problemi uno accanto all’ altro per pochi, distratti minuti delle loro vite.

(Va bene, magari nessuno si sedeva volentieri di fianco ai barboni a causa dell‘ odore, ma questa è un’ altra storia.)

Il punto è che lì nessuno mi considerava strana o diversa. La gente si sedeva nel posto di fianco a me senza badare alla mia pancia, come se, invece che della ribellione di una diciottenne insicura essa fosse il frutto di troppe birre bevute davanti alla tv.

Avevo riallacciato i rapporti, per così dire, con qualche vecchia compagna del liceo, amiche dell’ epoca cheerleader, per intenderci. Cioè, ad essere sinceri erano presenti la sera dello spettacolo di Meg e avevano gratuitamente assistito al mio spettacolino, che le aveva poi spinte ad attaccare discorso, e, si sa, una cosa tira l’ altra fino a che non avevamo deciso di uscire a fare un po’di shopping insieme.

Mi ero trovata bene nella mia estate da solitaria asociale sclerotica, ma dovevo ammettere che tutto quello mi mancava. Mi mancava avere delle amiche, uscire, non pensare a niente, se non ad essere belle e a fare i pigiama party.

Magari quest’ ultima parte non s’ incastra molto bene con l’ immagine giovane madre - indipendente - prossima al mondo del lavoro eccetera, ma non posso negare che la prospettiva di farsi le unghie e mangiare gelato alle due di notte non abbia un certo fascino.

Avevo preso gusto anche a fare i controlli, ormai. Alla clinica avevo fatto amicizia con l’ inserviente/uomo delle macchinette e la portinaia, che mi faceva sempre grandi sorrisi e mi chiedeva del bambino.

Avevo l’ impressione che quella donna vedesse oltre le cose. Un giorno disse che, a suo parere, il bambino sarebbe stato un maschio: previsione che venne accertata all’ ecografia seguente.

Non lo dissi mai a nessuno, perché ero sicura che mi avrebbero passata per scema: tuttavia rimasi della mia opinione, ostentando una dignitosa indifferenza alle bizzarrie di quella vecchia signora che lasciva dietro di sè un vago sentore di naftalina.

Tornai a casa in taxi, osservando preoccupata il cielo che andava via via annuvolandosi. Di quel passo, il pic-nic con Meg e Jared organizzato per quel week-end sarebbe tristemente sfumato.

Quella sera Matt tornò a casa tardi, quando con mio immenso dispiacere la cena era già fredda.

Facemmo l’ amore con più foga del normale. Di solito stavamo attenti ad andarci piano, per non fare male al bambino, ma quella sera era diverso. Era come se entrambi avessimo una strana sensazione addosso, che cercavamo di allontanare l’ uno tra le braccia dell’ altro.

Matt si addormentò quasi subito, con la testa appoggiata sulla mia pancia. Era bellissimo. Ero legata a lui da un sentimento forte, unico; una dipendenza che non avevo mai sperimentato con nessun altro.

Se era felice lo ero anche io, se era triste cercavo il modo di tirargli su il morale. Vivevo le mie giornate in funzione del momento in cui avrei potuto abbracciarlo; e avevo tante, tantissime cose da dirgli, che non gli dicevo perché avevo paura di sembrare stupida e banale. Lo amavo perché dava un senso alla mia vita, ed ero sicura che senza di lui non avrei mai trovato la forza per sopravvivere.

Mi addormentai. 

   
 
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