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Autore: Emily Kingston    09/10/2011    6 recensioni
Hermione Granger non ha mai ricevuto la sua lettera per Hogwarts e Ronald Weasley ha sviluppato un innato interesse per la Londra Babbana.
“Che c’è? Io sono cosa?” domandò la ragazza, gesticolando.
Ron deglutì, sbattendo le palpebre.
“In mezzo al tavolo.”
Ed era così. Hermione, la strana ragazza che appariva nel suo appartamento, si trovava in mezzo al tavolo, il suo corpo metà sotto e metà sopra.
Ci era passata attraverso.
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 I don’t know who we are

Ron si svegliò con uno strano senso di spossatezza addosso. Si mise a sedere, massaggiandosi la schiena e si sfregò le braccia con le mani, sentendo improvvisamente freddo.
Si guardò intorno, mentre piano, piano i ricordi di ciò che era accaduto la sera precedente gli ritornavano alla mente, giustificando la sua presenza sul tetto del palazzo nel quale si trovava il suo appartamento.
“Hermione?”
Cercò la ragazza con gli occhi, non trovandola al suo fianco sulla coperta. Apparentemente, non c’era traccia di Hermione sul tetto.
“Hermione?”
Si alzò in piedi, barcollando appena sulle gambe, sperando di avere una migliore prospettiva.
“Sono qui,” sussurrò la ragazza e gli occhi di Ron incontrarono la sua figura seduta in un angolo, con le gambe che ciondolavano nel vuoto e lo sguardo rivolto verso le auto che si susseguivano sulla strada.
Con un sospiro Ron si passò una mano tra i capelli, cercando di dar loro un verso, e si avvicinò alla ragazza, arrivandole alle spalle.
“Tutto bene?”
Hermione sussultò, ma non rispose, annuì soltanto. Mosse lievemente le gambe nel vuoto, reggendosi al cornicione con le mani. Era una cosa stupida, lo sapeva, se anche fosse caduta non le sarebbe accaduto assolutamente nulla.
Forse era proprio per quello che desiderava tanto cadere?
“Allora,” esclamò Ron, sorridendo. “Che hai voglia di fare oggi?”
Di nuovo, Hermione non rispose, si limitò a scrollare le spalle, alzando lo sguardo dalle auto che si susseguivano sulla strada verso il cielo, tentando di immaginare quale forma avesse la nuvola che le era passata davanti agli occhi.
“Hai mai fatto il gioco delle nuvole?” domandò, all’improvviso.
Ron scosse il capo. “No,” sussurrò. “Cos’è?”
Hermione voltò appena il viso verso di lui, quanto bastava per incontrare fuggevolmente i suoi occhi. Aveva le sopracciglia inarcate e l’aria contrariata, Ron arrossì.
“Non sai cos’è il gioco delle nuvole?” Ron scosse di nuovo la testa, abbassando gli occhi.
Hermione sbuffò, ma abbozzò un sorriso. Scese dal cornicione ed andò verso la coperta patchwork ancora stesa a terra.
“Vieni qui,” lo invitò, stendendosi a terra.
Ron la seguì, sentendo un lieve spiffero sulla spalla, nel punto in cui si scontrava con quella di Hermione. Lo ignorò.
“Guarda quella nuvola,” disse, alzando il braccio verso il cielo ed indicandone una. “Cos’è secondo te?”
Ron aggrottò le sopracciglia, concentrando lo sguardo sull’ammasso di aria condensata. In quel momento, per la prima volta, si accorse che le nuvole sembravano fatte di zucchero filato.
Dolce e appiccicoso zucchero filato, come quello che i ragazzi regalano alle ragazze quando vanno al Luna Park.
“Secondo me è un Boccino,” disse, infine.
Hermione rise, notando con la coda dell’occhio le sue orecchie arrossarsi. Rimasero per un po’ sdraiati sulla coperta a guardare le nuvole, provando ad indovinare le immagini nascoste in esse.
“Forse sarebbe meglio che rientrassimo,” propose Hermione, alzandosi in piedi, lo sguardo improvvisamente spento.
“Sicura che va tutto bene?” lei annuì, dandogli le spalle. “Hermione se c’è qualcosa che vuoi dirmi io-”
“C’è un modo,” lo interruppe, voltandosi verso di lui. “Io ho pensato ad un modo per…per impedire che…”
Ron annuì, facendole intendere che aveva capito di cosa stava parlando. “Vai avanti.”
“C’è un modo, ma è folle e ci serve l’aiuto di qualcuno. Qualcuno totalmente pazzo.”
 
“Harry!”
La voce di Ron rimbombò nel salotto di Grimmauld Place numero dodici. Harry Potter aveva reso la tetra e malandata sede dell’Ordine della Fenice il suo rifugio personale, rimettendo apposto i luoghi più decadenti e rendendola un luogo accogliente e vivibile.
“Cucina!” gridò la voce di Harry in risposta.
Ron arrancò fino alla cucina, con Hermione che camminava alle sue spalle, guardandosi intorno con circospezione, incuriosita dalla scopa che s’intravedeva nell’ingresso e dalla strana foto animata che si trovava su un mobile del corridoio.
Aveva ancora in naso per aria quando si ritrovò stesa a terra, con l’enorme piede di un qualcosa tra le gambe. Aveva la pelle dura e squamosa e le unghie dei piedi erano gialle e scheggiate. Con un verso di disgusto si rialzò, tornando a seguire Ron.
Harry si trovava seduto al tavolo della cucina, chino su un microonde con il libretto delle istruzioni aperto a fianco.
“Che diamine stai facendo?”
Il moro alzò lo sguardo su Ron, guardandolo male da dietro le lenti degli occhiali.
“Ciao anche a te Ron,” cantilenò Harry, lanciando sul piano del tavolo il cacciavite con cui stava trafficando all’interno dell’elettrodomestico.
“Okay, non perdiamo tempo con le stupidaggini,” disse il rosso ed Harry inarcò le sopracciglia, chiedendosi da quando salutare dopo essere piombati senza preavviso in casa d’altri era diventata una stupidaggine. “Ho bisogno di te,” continuò Ron, sedendosi di fronte ad Harry e prendendogli le mani nelle proprie, in un gesto di totale supplica.
“Sentiamo, cos’hai combinato questa volta?” sbuffò Harry, liberando le mani da quelle di Ron ed appoggiando il mento sul palmo della mano, pronto all’ascolto.
Ron inspirò, socchiudendo gli occhi.
“Dobbiamo rapire una persona dall’ospedale.”
“Cosa?!” Harry sgranò gli occhi, aprendo lievemente la bocca.
“Dobbiamo-”
“Ho capito benissimo cosa hai detto!” lo interruppe con una punta d’ira nella voce.
“E allora, per Merlino, perché hai fatto quella faccia?”
Harry sospirò, massaggiandosi la radice del naso.
“Perché è una cosa folle, Ron,” spiegò. “Potrebbero arrestarci e poi…poi perché mai vuoi rapire una persona dall’ospedale?”
Ron deglutì, lanciando un’occhiata ad Hermione che, timidamente, sostava sulla soglia della cucina, con il capo chino.
“Ehm…ti, ti ricordi della ragazza del corridoio?” balbettò, imbarazzato.
Harry inarcò le sopracciglia, guardandolo con scetticismo da sotto le lenti degli occhiali.
“Quella che era colpa della stanchezza?” Ron annuì energicamente. Harry si passò una mano sulla faccia. “Vagamente.”
“Be’, ecco lei non era morta, è solo uno spirito,” spiegò, giocherellando con una vite abbandonata sul tavolo. “E lei in realtà è in coma, insomma il suo corpo,” balbettò, passandosi una mano tra i capelli con frustrazione. “Ma adesso sua madre ha deciso di staccarle la spina, ma lei non è morta, capisci?! Non sta morendo! E noi dobbiamo salvarla, Harry, dobbiamo proprio.”
Harry deglutì, guardando verso Ron con rassegnazione.
“Lei è qui, adesso?” Ron annuì, lanciando uno sguardo verso la porta.
Con un sospiro Harry si alzò, si sistemò gli occhiali sul naso e guardò diritto verso l’arcata dell’uscio, lo sguardo serio puntato verso il vuoto.
“Senti, io non so chi tu sia né se tu ci sia davvero. Potrebbe anche essere che Ron abbia bevuto troppo ieri sera e che adesso stia riversando i postumi della sbornia su di me. Però è il mio migliore amico e se dice che dobbiamo proprio salvarti, ti salviamo,” disse, gettando uno sguardo veloce a Ron, che li osservava dal tavolino. Hermione, sulla soglia della porta, stava sorridendo. “Infondo quando l’ho scelto come migliore amico, l’ho scelto per tutta la vita no?” sorrise in direzione di Hermione, lo sguardo stranamente concentrato anche se non poteva vederla, poi si voltò verso Ron: “Cosa dobbiamo fare?”
 
L’ospedale era affollato come sempre; un gran via, vai di persone riempiva i corridoi, tutti troppo occupati per notare le piccole stranezze che gli accadevano intorno.
“Sei sicuro di questa cosa?” borbottò Harry, sistemandosi il cartellino sul camice.
Ron annuì, camminando a passo sicuro lungo il corridoio del terzo piano, diretto verso la stanza numero ventiquattro.
L’infermiera che si trovava al banco informazioni del piano gli sorrise arricciandosi una ciocca di capelli attorno all’indice.
Ron le fece un accennato cenno con la testa prima di richiudere la porta della stanza nella quale si trovava Hermione.
“Cavolo,” sussurrò Harry, guardando il corpo di Hermione steso sul lettino.
Ron sorrise.
“E’ bella vero?” Harry annuì, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Hermione, alle loro spalle, arrossì. Ron si voltò verso di lei poco dopo.
“Cosa dobbiamo fare?”
Hermione aprì bocca per parlare quando, da lontano, una profonda voce maschile raggiunse le loro orecchie.
“Ci sto andando adesso,” diceva. “Hanno firmato dici? Bene. Controllo le funzioni vitali e poi procediamo. Okay.”
Hermione imprecò, sporgendo la testa nel corridoio.
“E’ Jonathan, il tizio che ha dato i fogli a mia madre,” spiegò, avvicinandosi al lettino. “Va allontanato.”
Ron deglutì, guardando verso Harry.
“Io penso a quello lì fuori, tu porta fuori lei.”
Harry fece un cenno d’assenso con il capo e si avvicinò al lettino mentre Ron lasciava la stanza con Hermione che gli fluttuava alle spalle.
“Non sei bravo a mentire, ti scoprirà subito,” gli sibilò in un orecchio. “Lui non è come Christina e Showna, non si fa abbindolare facilmente.”
Ron la ignorò, avviandosi verso l’uomo in camice bianco che veniva verso la ventiquattro dalla direzione opposto a quella del rosso.
“Tu preoccupati solo di suggerirmi le risposte,” sussurrò, attento che nessuno lo sentisse.
L’infermiera del banco informazione lo guardò di nuovo con aria sognante ed Hermione le rifilò un’occhiataccia, borbottando qualcosa tra sé.
“Ehm, salve dottor…” Ron balbettò, fermandosi davanti a Jonathan. I suoi occhi saettarono verso il cartellino appeso alla tasca del camice. “Miles, vero?”
L’uomo annuì, infilando il cellulare in una delle due tasche basse del camice. Ron deglutì.
“Sono il dottor Weasley,” continuò Ron stringendo la mano di Jonathan.
“Salve.”
Hermione sussurrò qualcosa nell’orecchio di Ron.
“Mi ha fatto chiamare il dottor Tight,” disse, sperando di sembrare abbastanza convincente. “Voleva un ultimo parere per il caso della ventiquattro.”
Jonathan annuì, apparentemente interessato. Hermione sussurrò qualcos’altro all’orecchio di Ron e lui continuò a parlare mentre Jonathan lo ascoltava ed annuiva di tanto in tanto.
“Be’, non ne sapevo nulla,” osservò il dottor Miles. “Non le dispiace se scambio due parole con il dottor Tight, sa, per sicurezza.”
Ron scosse il capo, abbozzando un sorriso.
“No, no,” lo rassicurò, con un po’ troppa enfasi. “Vada pure dal dottor Tight e chieda tutto quello che vuole, faccia pure con calma.”
Afferrandogli un braccio lo spinse lievemente verso il corridoio.
“Oh, farò prima con una telefonata,” disse, tirando fuori il cellulare dalla tasca.
Ron ed Hermione si scambiarono uno sguardo di panico. Lei fece per aprire bocca quando Ron, senza alcun preavviso, colpì Jonathan sul naso, facendolo cadere a terra.
“Sei impazzito per caso?!” sbraitò Hermione, mentre Harry alle loro spalle sgattaiolava fuori dalla stanza.
“Io..io mi sono fatto prendere dal panico,” balbettò Ron, arrossendo furiosamente sulle orecchie. Hermione sbuffò, irritata.
“Andiamo!” esclamò Harry, guardando verso di loro.
Ron annuì, dirigendosi a passo svelto verso l’ascensore davanti al quale si trovava Harry, con Hermione che gli camminava alle spalle.
Nel momento in cui le porte si aprirono con un lieve e musicale tin, davanti ai loro occhi si presentò un uomo corpulento con indosso una divisa blu scuro ed un distintivo cucito sulla tasca sinistra.
Harry e Ron deglutirono, squadrando la guardia della sicurezza che si ergeva davanti a loro.
“Dottori,” l’uomo fece un gesto di saluto e li lasciò entrare prima di uscire.
“Salve,” balbettò Harry mentre Ron abbozzava un sorriso, incapace di spiccicare parola.
“Che diavolo sta facendo?” urlò una voce. Jonathan si teneva la testa con una mano mentre con l’altra si reggeva alla parete. “Sono loro, li prenda!”
Harry fece appena in tempo a spingere il bottone con il numero zero prima che la guardia tentasse di infilare le braccia all’interno dell’ascensore.
“Deve aver chiamato la sicurezza mentre aspettavamo l’ascensore,” sussurrò Hermione, guardando con apprensione il suo corpo steso nel lettino.
Ron annuì, mentre una flebile luce gialla illuminava il bottone con il numero zero. Le porte si aprirono con lo stesso suono che aveva preannunciato l’arrivo dell’ascensore quando erano al terzo piano.
Il corridoio era affollato, pieno di infermieri, medici e pazienti che andavano da una parte all’altra, ignorando chiunque gli stesse attorno.
Con circospezione Harry e Ron tirarono fuori dall’ascensore il lettino sul quale era stesa Hermione ed iniziarono a spingerlo lentamente per il corridoio, attenti che non sbattesse contro le pareti o contro altri oggetti.
Erano quasi arrivati al bancone della reception, quasi davanti alla porta che li avrebbe portati fuori di lì quando, dalla parte opposta del corridoio, quattro guardie della sicurezza vennero loro incontro.
“Eccoli laggiù!”
Ron ed Harry si scambiarono un’occhiata d’intesa e fecero velocemente dietrofront, dirigendosi di nuovo verso gli ascensori.
Sarebbe bastato trovare un posto isolato, uno sgabuzzino o un corridoio meno frequentato, sarebbe bastato soltanto essere lontani da occhi indiscreti per pochi secondi, quel tanto che bastava per Smaterializzarsi.
Ron pigiò il bottone alla sinistra delle porte dell’ascensore, sentendo il rumore metallico della carrucola che si muoveva, segno che il loro passaporto per la salvezza non si trovava al piano.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli con frustrazione, mentre teneva d’occhio le guardie sempre più prossime a loro.
Nel momento in cui le porte si aprirono successero una serie di eventi confusi e disastrosi. Una delle guardie era riuscita ad afferrare Harry che, per dare tempo a Ron di scappare, l’aveva spinta nell’ascensore. Ron aveva iniziato a correre spingendo il lettino di Hermione e le porte dell’ascensore si erano chiuse davanti agli occhi di Harry e della guardia che si trovavano all’interno.
Solo dopo che l’ascensore ebbe iniziato la sua corsa verso i piani superiori e Ron si fu trovato abbastanza lontano dalle guardie per concedersi una pausa, entrambi notarono che c’era qualcosa che non andava.
Il corpo di Hermione non aveva più la mascherina azzurra che le copriva il naso e la bocca e la guardia intrappolata con Harry nell’ascensore aveva tre le mani un respiratore.
“Il respiratore,” gemette la ragazza, guardando il proprio corpo stesso nel lettino dell’ospedale.
“Cosa?”
Hermione non fece in tempo a rispondere poiché due guardie avevano afferrato Ron per le braccia, allontanandolo dalla ragazza.
Dall’altro lato del corridoio arrivarono Christina, Showna, Jonathan ed i genitori di Hermione. Gli occhi della signora Granger e quelli di Ron s’incrociarono per un attimo.
“Ron,” il ragazzo spostò gli occhi sull’immagine di Hermione, più sfocata rispetto al solito. “Ron non ce la faccio.”
“Sì che ce la fai,” la incoraggiò, ignorando gli sguardi curiosi della gente che gli stava intorno. “Devi resistere okay?”
L’immagine di Hermione era sempre più chiara, sempre più trasparente.
“Non ci riesco, mi sta portando via.”
“No!”
Ron si mosse bruscamente nella presa delle due guardie, allontanandole da sé. Si avvicinò al lettino, guardando gli occhi dello spirito di Hermione.
“Io…Ron io credo di essere pronta,” sussurrò la ragazza, sempre più sbiadita.
“Io no.”
Una delle grandi mani di Ron andò a ricoprire quella di Hermione, e come era accaduto il giorno della loro prima visita all’ospedale, lei riuscì a sentirlo.
“Lasciami andare Ron, ti prego,” lo implorò. Per qualche strana ragione sentiva che finché fosse riuscita a sentire la sua presenza sulla propria pelle non sarebbe stata in grado di andarsene, di lasciarsi la sua vita alle spalle.
“No,” disse secco, aumentando la presa sulla mano di Hermione. “Non posso. Non voglio.”
“Devi.”
Ron scosse la testa, puntando gli occhi dentro quelli scuri di Hermione. L’immagine della ragazza era sempre più trasparente ed il bip che segnalava i suoi battiti cardiaci si faceva sempre più irregolare.
“Addio Ron.”
“Hermione!”
Accadde tutto molto velocemente. Il volto di Ron si abbasso su quello della ragazza stesa sul lettino e baciò le sue labbra. Solo per un attimo, quanto bastava per sentirne la presenza sotto le proprie.
Hermione spalancò gli occhi, sfiorandosi le labbra, prima di scomparire del tutto nell’aria.
Due mani prepotenti allontanarono Ron dal lettino, spingendolo lontano.
Nel silenzio che si era creato in quella parte dell’ospedale spiccava soltanto il regolare ed acuto bip del battito di Hermione.
E quando gli occhi di Ron incontrarono la linea continua che si stagliava sul monitor che segnalava le sue funzioni vitali non poté fare a meno di pensare che la persona che aveva inventato la frase “per sempre felici e contenti” sarebbe dovuta essere presa a calci nel culo molto forte.*


*cit. Grey's Anatomy

   
 
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