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Autore: PattyOnTheRollercoaster    16/10/2011    2 recensioni
L torna alla Whammy's House, indeciso se continuare la sua carriera da detective dopo il caso Kira. Near si dà alla filosofia, Mello alla boxe e Matt continua con l'informatica.
Mentre vanno avanti con le loro vite Ryuk scrive un nome sul Death Note, una ragazza trova un quaderno incastrato nel portatile, qualcuno viene ucciso e qualcun'altro rapito. Un nome viene scritto e un'altro cancellato.
Si dice che il battito d'ali di una farfalla può causare un uragano dall'altra parte del mondo. Se una farfalla può causare questo, allora cosa causerà uno Shinigami annoiato?
[Dal capitolo 6]
“Ryuk”, chiamò L.
Lo Shinigami si avvicinò con passo lento. “Sì?”
“Ci sono altri Shinigami che vanno in giro a dare Death Note alle persone?”
Il mostro scosse la testa, gli occhi fissi sul detective. “Non che io sappia.”
“Sei sicuro?!”, intervenne impetuoso Mello. “Allora come cazzo è possibile che una bambina abbia gli occhi dello Shinigami?”
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quindici
Night is too long





Noodle faceva grossi passi per la stanza, mentre Mello la osservava pensieroso con sguardo annebbiato, quasi fosse sotto l’effetto di qualche calmante. Matt lavorava febbrilmente al computer, Diane Colfer osservava Near di sottecchi: nel caso avesse tentato di muovere un solo muscolo in modo sospetto, lei avrebbe agito. L guardava fisso di fronte a sé, perso in un altro universo di calcoli, supposizioni, esempi, eventualità. Appena due secondi dopo la chiamata di Roger, si era scatenato il caos.
Near stava seduto in cucina con una tazza di tè fra le mani. Dava la schiena a tutti loro e tentava di concentrarsi sui granelli di zucchero caduti sul tavolo, piuttosto che su altro.
Matt ruppe il silenzio. “Sono riuscito ad accedere ai dati sensibili di Near in meno di dieci minuti con le informazioni che mi hai dato.”
“Che cosa facciamo quindi?”, domandò Diane con sguardo aspro.
“I rischi sono molti”, cominciò Noodle. “Se Kira ha scoperto il nome di Near vuol dire che potrebbe ucciderlo.” Esitò, dando un’occhiata obliqua a Near. Lui sapeva quali erano i rischi, li capiva forse meglio di lei, quindi era inutile barricarsi dietro false speranze e non parlare chiaramente. “Potrebbe addirittura usarlo per uccidere tutti noi.”
“Conta sicuramente sul fatto che nessuno di noi sospetti nulla a proposito di Near”, osservò Mello.
“Ragioniamo. Purtroppo in questo caso Georgie non può aiutarci: Near ha toccato il Death Note come tutti noi, quindi la sua vita non viene visualizzata, in parole povere non sappiamo se sia già sotto il controllo del Death Note. Dobbiamo chiederci come può agire Light, ed elaborare una strategia”, disse L.
Noodle rifletté per un po’. “Se fossi in lui cercherei di far uccidere te, L. Ma di sicuro non fisicamente. Oltretutto, Kira potrebbe sospettare che tu abbia più di un collaboratore, conosce già Near, ha visto me, Mello e Diane.” A quelle parole Noodle realizzò che cosa significava. Lanciò un’occhiata a Mello e scacciò tutti i pensieri al riguardo. “Non sa quanti siamo, quindi potrebbe credere che siamo tutti qui, o che siamo anche un ventina o una cinquantina, anche se suppongo sappia che tu lavori con una cerchia ristretta di personale.” L annuì. “Ha a disposizione un Death Note e Near.” Finito di ricapitolare, Noodle rimase in silenzio. Non sapeva davvero che cosa pensare né come avrebbe dovuto agire in una circostanza come quella.
Diane fu attraversata come da un fulmine. “Obbligherà Near a scoprire i nostri nomi, per poi riferirglieli!”, disse con semplicità.
Matt si voltò ad osservarla. Ora non aveva assolutamente dubbi sul fatto che Diane Colfer fosse sua madre. Si chinò verso Mello e disse con un sorriso di chi la sa lunga: “Tale figlio, tale madre”. Mello lo guardò come si osserva un cretino.
“Potrebbe farlo facilmente.” Noodle si volse piano verso la donna.
“Noi abbiamo Georgie. Potrebbe obbligarlo a minacciarla e dirgli di svelargli i nomi”, rifletté Mello.
“No, non credo. Se lo facesse noi sicuramente lo verremmo subito a sapere da Georgie stessa, e sospetteremmo di lui”, obbiettò Noodle. “Light userà Near nel modo più discreto possibile, lui ha pieno accesso ad ogni cosa qui, ed è di questa sua peculiarità che Kira si servirà, no?” Molto raramente Mello era felice quando veniva contestato su qualcosa ma, osservando Noodle, pensò che quella volta in particolare valeva la pena di essere contraddetti.
“In effetti Near può uscire ed entrare quando vuole”, osservò sommessamente Diane.
In quel momento, Mello si illuminò. “Near farà lo scambio degli occhi.”
Ogni testa si volse a guardarlo, tranne quella di Near. Per la prima volta, pensò il ragazzino seduto al tavolo della cucina, in un auto-isolamento quasi totale, Mello ha preso in considerazione un’ipotesi a cui non avevo pensato. Near sorrise.
“In questo modo l’unica maniera per tutelarci sarebbe cacciare Near immediatamente”, disse Diane Colfer. “So che non è il tuo modo di fare L, ma…”
“E’ un modo di fare molto usato dalla CIA”, disse il ragazzo pensieroso, guardando il soffitto con un indice sulle labbra. “Possiamo fare una sola cosa, usare le stesse armi di Light.”
“Il mio Death Note!”, esclamò Noodle. “Lo useremo? In fondo sappiamo che Light Yagami è Kira, possiamo semplicemente scrivere il suo nome adesso, e poi il caso sarebbe chiuso.” Noodle si guardò attorno, cercando l’approvazione degli altri. Sembravano non trovare obiezioni.
“Questo non è possibile”, disse Near pacato. Si alzò dalla sedia, mise la tazza di tè e il cucchiaino nel lavabo, lo zucchero al suo posto sulla mensola. Si voltò verso i suoi colleghi. “Una volta scritto qualcosa su un Death Note, anche se questi viene distrutto, si verificherà. Non possiamo sapere se Light ha già scritto qualcosa sul suo Death Note, in quel caso sarebbe ormai troppo tardi. Morirebbe Light, sì, ma anche tutti noi.”
“Ma se noi tratteniamo Near in modo che non s’incontrino mai sarebbe per lui impossibile fare lo scambio degli occhi…”, osservò Diane a denti stretti. In quei casi di pericolo era abituata ad agire, non riusciva a comprendere per quale motivo i detective si ostinassero a non fare nulla.
“Potrebbe essere una soluzione, ma in questo modo non sarete mai sicuri di aver vinto prima che non sia passato un mese, dato che, come sapete, quello è il margine di tempo in cui si può utilizzare un Death Note. E’ possibile che ormai io sia destinato, in qualche modo, a fornire le informazioni a Light, così avrebbe altri nomi da associare ad altrettanti volti, e potrebbe comodamente usarli come userà, o come ha già usato, me.” L lo osservò con curiosità, attento ad analizzare ogni sua parola. Sospirò senza farsi notare: Near era davvero un buon detective. “Insomma, se anche io muoio non potete avere la garanzia che io non abbia detto niente.”
“Ma avremmo la garanzia che Kira sia morto. Non basta?”, domandò Noodle piccata, ma venne ignorata.
“E cosa dovremmo fare?”, domandò Matt allargando le braccia. “Non vedo altra soluzione Near, mi dispiace. E poi è solo un mese, possiamo aspettare.”
“Noodle ha ragione. Noi abbiamo un Death Note e possiamo benissimo usarlo.”
“Quale sarebbe il vantaggio?”, chiese Mello con sagacia.
“Uccideremo Light Yagami per prima cosa, questo è certo. Ma potremmo anche rivoltare il suo stesso piano contro di lui. Vedete, molto probabilmente Light mi farà fare lo scambio degli occhi, poi farà in modo che io gli riferisca i nomi. Vorrà incontrare di nuovo L, gli serve soltanto per umiliarlo, per spiegargli il suo piano e dimostrargli che lui è il migliore. Ma la cosa più importante è che non sa dove sia Georgie Jonsson, e se organizza un incontro potrà riprendersela.”
“Quindi, perché noi dovremmo attenerci a questo suo stupido piano? Uccidiamolo subito”, insistette Noodle.
“No”, disse L. “Chiederò a Light di portare il suo Death Note, nel caso mi contattasse. Ecco cosa succederà nel piano di Kira. Light darà ordini a Near per sapere i nostri nomi, Near li eseguirà, ci recheremo all’incontro che sicuramente avrà programmato. Lui si libererà di noi e potrà riprendersi Georgie Jonsson. Ma… se noi scriviamo il suo nome, comunque sia Light morirà, rimane solo un interrogativo: adesso Near è sotto le sue direttive?” Tutti, istintivamente, si volsero verso il ragazzo. “Non possiamo saperlo con certezza, quindi è possibile che tutti noi moriremo a quell’incontro.” Un brivido si diffuse lungo le schiene di tutti i presenti, compreso l’inespressivo detective L. “Per cui, all’incontro, ordineremo che Light porti il Death Note, faremo in modo che muoia prima di noi, e in questo modo bruceremo subito i due quaderni. Altrimenti nel caso morissimo e riuscissimo a bruciare solo il nostro ne resterebbe almeno un altro sulla terra, quello di Light.”
“Chi scriverà sul quaderno?”, domandò Noodle.
“Lo farò io”, disse Near.
“No lo faccio io”, obbiettò la ragazza scuotendo la testa. “Voglio farlo”, disse con occhi grandi, pieni di odio. Non avrebbe mai potuto mettere le mani sull’assassino di suo padre, ma almeno poteva ucciderlo con un quaderno, anche se non era proprio quello che aveva immaginato di fare. Avrebbe preferito infliggergli una morte dolorosa con le sue stesse mani, ma alla fine, voleva solo vendetta.
“Noodle tu sai che cosa significa, vero?”, domandò L.
“Certo che lo so”, disse Noodle alzando il mento, fiera. “Ma posso fare questo sacrificio. Ne varrà la pena.”
Mello si alzò e trascinò Noodle da parte, corrucciato. “Non fare la stupida”, sibilò arrabbiato, le sopracciglia contratte. “Che cosa ci guadagnerai? Basta che muoia, no?”
“Non è la stessa cosa”, ribatté Noodle con occhi di fuoco.
“No, no! Lo farò io piuttosto. Tu devi restarne fuori.”
“Credo di averne il diritto. Anche se poi dovrò andare nel Mu.”
Mello la guardò, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Non…” Chiuse gli occhi e fece un lungo sospiro. Quando li riaprì annuì, le diede una leggera botta sulla spalla e le fece segno di tornare in sala. In realtà il ragazzo non voleva affatto lasciar correre, e decise che avrebbe torchiato Noodle più tardi.
“Ricapitoliamo”, disse Diane, un tantino confusa: era difficile per lei seguire i ragionamenti troppo veloci di quei ragazzi. “Noodle scriverà il nome di Light Yagami ordinandogli di portare il suo quaderno all’incontro, in modo da bruciarlo e da uccidere Kira. Allo stesso tempo però Light ordinerà a Near di comunicargli i nostri nomi, ma noi lo fermeremo: come? Insomma, Near potrebbe già essere in collaborazione con lui, ma mettiamo che non lo sia. Se non fa esattamente ciò che il Death Note di Light gli ha ordinato, allora di sicuro lui sospetterà qualcosa.”
Un silenzio greve scese nella stanza. Quasi si potevano vedere gli ingranaggi dei detective che lavoravano ad una soluzione. Alla fine, Near prese la parola. “Abbiamo due alternative. Uno: il Death Note mi controlla ora, in quel caso ormai non resta che uccidere Light e aspettare di morire anche noi tutti. Due: possiamo organizzare noi stessi l’incontro con Light e ucciderlo con il Death Note, ma dobbiamo fare in modo che lui creda che io sia sotto le sue direttive. In entrambi i casi Light morirà, se Noodle accetta di finire nel Mu.” Near lanciò un’occhiata alla ragazza e lei annuì, decisa. “Ma nel caso fossi già sotto il suo controllo, allora non potrò fare a meno di comunicare i vostri nomi a Light, e lui potrà uccidervi. Invece, se siamo ancora in tempo, potreste salvarvi. L’unica pedina che Light ha sono io, lui crede che utilizzerà me per scoprire i vostri nomi.”
L assottigliò lo sguardo e osservò Near. Iniziava ad intuire dove voleva arrivare il ragazzo.
“In entrambi i casi”, continuò Near imperterrito, “per essere sicuri di riuscire dovremmo avvantaggiarci su di lui.”
Di nuovo scese il silenzio, gli occhi di tutti si incrociavano, pieni di sentimenti contrastanti, tranne quelli di Near, che erano puntati a terra. La consapevolezza si introdusse nelle menti di tutti, e inorridirono al solo pensiero. “Scrivete il mio nome sul Death Note”, disse Near.

Light Yagami, 2 Luglio ore 18.20. Organizzerà un incontro al quale porterà il proprio Death Note, venti minuti prima di morire.

Nate River, 12 Luglio* ore 18.30. Seguirà le istruzioni che Light Yagami gli impartirà nel suo Death Note ma falsificherà i nomi che egli gli chiede di scovare.

La notte fra l’1 e il 2 di Luglio nessuno dormì.
Georgie Jonsson si trovava sull’aereo che l’avrebbe portata a Londra, in un posto che chiamavano Wammy’s House. Near le aveva assicurato che era un bel posto dove stare. Georgie era reticente all’inizio, ma quando alla fine il ragazzo le disse che quando aveva la sua stessa età ci era andato anche lui, aveva accettato di vedere com’era. In realtà sarebbe stata più felice di rimanere assieme a Near e agli altri, ma voleva fare un piacere al ragazzo. Voleva fargli vedere che era grande ormai, ed era capace di cavarsela da sola. Aveva già sette anni, accidenti! La poltrona alta sulla quale era seduta era morbida e molto comoda, invitava al sonno, ma Georgie non voleva addormentarsi, nonostante avesse già mangiato molto bene e fosse stata il gioiellino delle hostess durante le precedenti cinque ore di volo. Le avevano portato da mangiare, un libro da leggere -o meglio, guardare le figure, perché lei era un tantino pigra per impegnarsi a leggere-, un album da colorare e anche un gioco da tavolo, che una signorina in abito blu e fazzoletto rosso al collo si era impegnata a giocare con lei. Nonostante questo la bambina non era ancora stanca. Ripensava a ciò che le aveva detto Near e anche se non comprendeva le sue parole, prevedeva che qualcosa di terribile stava per accadere. Ciò che Near aveva detto, prima che lei salisse in prima classe sul volo n° 028714, era: “Mi raccomando Georgie, cerca di fare la brava. Ti aspetterà un uomo di nome Roger all’arrivo. Non andare a cercarlo in giro per l’aeroporto d’accordo? Ti troverà lui e di sicuro qualcuno ti accompagnerà giù”. Georgie aveva annuito. “Sei una brava bambina Georgie, mi mancherai molto.”
A quel punto Georgie aveva domandato, sconcertata: “Non tornerò più qui? Non potrai venire a trovarmi?”.
Near aveva sorriso. “Ma certo, prima o poi ci rivedremo. Tu non preoccuparti per me. Adesso hai sette anni, sei grande, pensa a finire le elementari, poi diventerai la migliore ballerina del mondo.” Near sapeva tutto di lei, sapeva che quello era il suo sogno, e che lei avrebbe ballato Il lago dei cigni quando sarebbe diventata grande, ossia, secondo Georgie, all’età di undici o al massimo dodici anni. “Mi prometti che lo farai? Verrò a vederti ballare a teatro.”
“D’accordo.” Georgie aveva annuito e Near le aveva dato un spintarella verso l’aereo. Georgie si era voltata solo in cima alla rampa metallica e aveva visto il giovane camminare a passi lenti lontano dalla pista di decollo. Una figuretta bianca sottile che spiccava nel buio.
Near aveva preferito così. Non voleva voltarsi a guardarla, perché dirle addio mentendo era stata una bugia troppo grossa per lui. Le aveva promesso che si sarebbero rivisti, quando sapeva benissimo che non era affatto vero. Lui sarebbe morto il giorno dopo alle ore 18.30 precise.
Si girava e si rigirava nel letto, Near, incapace di prendere sonno, la mente invasa da pensieri troppo pressanti per lasciarlo dormire. Stavano rischiando tutto. Ma certo, gli altri rischiavano. Lui invece no: sapeva già a cosa andava incontro, e in un certo senso era rassicurante. Si era offerto egli stesso per quella causa. Si sarebbe sacrificato, ma nessuno al mondo avrebbe saputo del suo sacrificio, non sarebbe stato ringraziato, non avrebbe avuto ovazioni né alcun tipo di riconoscimento. Tutta la sua vita era passata così, senza che nessuno se ne rendesse conto. All’improvviso Near si sentì le spalle schiacciate da un male troppo pesante per essere retto, e il cuore stretto in una morsa che lo avrebbe costretto a fermarsi. Finiva così la sua vita. La sua vita insulsa. La sua vita senza alcuna cosa buona fatta ad alcuno. Se il destino esisteva, allora lui era nato solo per quello? Solo per morire? Cosa c’era in mezzo? Aveva portato qualcosa al mondo? Aveva aiutato qualcuno? Qualcuno lo amava? Lui amava qualcuno?
Near si mise a sedere sul letto e accese la lampada del comò. La luce troppo intensa per qualche secondo lo accecò. Quando si fu abituato scorse un biglietto accuratamente piegato sul suo comodino, sopra il libro Panegirico di Guy Debord, filosofo contemporaneo. Lo aprì e vi trovò scritta una corta lettera a caratteri grossi e disordinati.

Caro Nate,
ciao, sono Georgie. Te lo scrivo, così capisci subito che sono io. Ma tanto sei bravo e lo capisci lo stesso.
Voglio dirti che sono contenta che ti ho incontrato, perché sei il mio migliore amico. Adesso tutti mi dicono solo che devo partire e non mi dicono quando tornerò. Ma io so che ci rivedremo perché ho imparato a memoria dove sta questa casa e tornerò qui a trovarti. Porterò dei giochi nuovi e mi farò dare delle nuove pistole, così potremmo ancora giocare a Spara e Schiatta.
Ti voglio bene,
Georgie.

Near ripiegò la lettera piano, come se avesse paura di sgualcirla. Rimase un secondo con gli occhi fissi sul muro di fronte a sé, illuminato dalla luce fredda della lampada. Un tornado di sensazioni lo assalì, e durarono solo un secondo. Quando fu di nuovo calmo mise la lettera sotto il cuscino, spense la luce e si stese. Nel giro di pochi minuti, Nate River si addormentò.

A poche camere di distanza si consumava un delitto: il personaggio di Matt uccideva brutalmente quello di Diane. Quando lo scontro terminò la donna gettò sbuffando il gamepad sul letto. “Non so come fai, sei mostruoso.”
“Anni di esperienza”, disse Matt con un sorrisino soddisfatto sulle labbra. Il ragazzo si allungò e prese un biscotto al cioccolato. “Sono davvero buoni, complimenti”, aggiunse poi.
“Almeno a qualcuno piacciono”, disse Diane.
“A L piacciono.”
“L mangia qualsiasi cosa contenga zuccheri. Persino Mello me li ha rifiutati”, disse la donna sconsolata.
“Perché?”
“Dice che si sente poco il sapore della cioccolata.”
Matt rise forse ma poi scosse la testa. “Tipico di Mello, non ci fare caso.”
“A proposito…”, cominciò Diane all’improvviso. “Cosa farai quando il caso sarà finito?” Assieme, avevano il tacito accordo di non considerare l’opzione B, ossia che quando il caso sarebbe finito nessuno di loro sarebbe stato vivo.
Matt si strinse nelle spalle. “Non lo so. Ho un bel po’ di soldi da parte. Credo sia meglio andarmene dalla Wammy’s House, tanto è inutile restare lì a fare l’erede di L. Non sarò mai l’erede di L, sarà Mello o…”, si bloccò, prima di pronunciare il nome di Near. Matt si passò la lingua sulle labbra e fece scattare gli occhi altrove, lontano dal viso di Diane. Non voleva che vi leggesse cosa pensava. “Insomma, a me non interessa neanche a dire il vero”, proseguì tentando di cambiare discorso. “Inoltre sono troppo grande per rimanere lì, ormai. Ci sto solo perché ci stava Mello, aspettavo che compisse diciotto anni.”
“E quindi? Cosa farai? Potresti benissimo lavorare come tecnico dei computer, potresti anche trovare lavoro nelle più grandi compagnie, volendo.”
Matt ci pensò su. “Sì, probabilmente sì…”, disse lentamente giocherellando con un elastico. Non aveva mai pensato a quell’ipotesi, in realtà non aveva mai pensato al suo futuro.
“Tornerai in Inghilterra?” Era quello ciò che Diane voleva davvero sapere, e lanciò la domanda come una bomba a mano, all’improvviso.
“Eh?” Matt si volse verso di lei.
“Insomma, pensavo che ora… pensavo che potevi stare da me. Se ti va ovviamente, se non ti va ti capisco. Ormai sei grande, sei indipendente. Però pensavo che forse, insomma, poteva interessarti l’offerta.” Parlò in modo tanto confuso e complicato che Matt, per un momento, non capì che cosa stava dicendo. Rimase in silenzio per un po’ e cominciò a fissare sognante la televisione accesa. “Certo era solo un’idea, se non ti va puoi dirmelo, non mi offendo mica”, disse Diane con una risatina forzata e nervosa, vedendo che Matt non proferiva parola.
Matt si volse verso di lei e sorrise. “Ho visto una bella casa in vendita dalle parti di Central Park, che ne dici se mi accompagni a fare un salto a vederla?”
Diane rimase un secondo in silenzio. Chiuse la bocca, che si era resa conto di aver lasciato aperta per lo stupore. “E’ una bella zona”, disse alla fine sorridendo timidamente, e spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“I vicini sono simpatici”, concordò Matt con un sorriso.

A qualche camera di distanza, nella penombra di una lampada giallastra, Noodle decise di porre una domanda diretta. “Tu credi che moriremo?”
Mello si volse a guardarla e si strinse nelle spalle. “Non lo so”, disse onestamente. “Immagino sia solo questione di fortuna.”
Noodle tornò a guardare il soffitto. Erano stesi a pancia in su sul letto e tutti e due fissavano senza vederle le grosse assi di legno che attraversavano il sottotetto. “Se potessi sapere che questa è la tua ultima notte di vita, cosa faresti?”
Mello rimase un attimo in silenzio. “La passerei con te.”
Noodle ruotò la testa verso di lui e sorrise. “Anch’io credo che farei la stessa cosa.” Rimase in silenzio per un altro po’. “E se invece non fosse l’ultima, cosa faresti dopo? Tornerai alla Wammy’s House?”
“No, non credo proprio. Non voglio più diventare l’erede di L.”
Noodle si puntellò sui gomiti. “Perché no?” Era sinceramente curiosa.
“Non lo so, è come se mi fosse passata la voglia… all’improvviso. E’ che”, Mello si fermò, cercando le parole adatte, “non m’interessa più, non è bello come pensavo.”
“Non ti piace indagare?”
“No, al contrario mi piace un sacco! Ma non voglio dover rinunciare a tutto, a tutta la mia vita, per diventare L. Nessuno mi ringrazierà alla fine, per quanto mi sforzi, nessuno mi… nessuno saprà quel che faccio. Invece mi piacerebbe… non so, fare in modo di essere orgoglioso del mio lavoro. Mi piacerebbe che tutti sapessero quello che faccio, perché lo faccio, e vedessero quanto sono bravo.” Noodle lo guardò, sorridendo. Era più forte di lei. Mello fece una smorfia e chiese: “Ho per caso peccato di superbia?”.
Noodle si strinse nelle spalle. “E allora? Potresti fare il detective nella polizia.”
“I poliziotti sono degli incapaci”, sentenziò Mello. “Sai cosa mi piace?”, domandò poi con occhi eccitati e furbi. “Mi piace risolvere gli enigmi, il ragionamento. Mi piace elaborare strategie, esaminare una situazione e trovare il modo… di risolverla.”
“Quindi non il lavoro investigativo sul campo.”
“No, non proprio. Qualcosa che ci va vicino. Penso, più che altro, agli avvocati. Non so perché mi vengono in mente.” Mello restò un secondo immerso nel silenzio, poi disse: “E tu? Cosa facevi prima di finire in tutto questo casino?”.
“Studiavo all’università. Facevo matematica, ero al secondo anno. Immagino che adesso però dovrò recuperare un bel po’ di corsi”, osservò Noodle alzando le sopracciglia.
Mello sbuffò. “Scommetto che non ti ci vorrà niente. Riprenderai?”
“Sì credo di sì. La voglio finire l’università.”
“E poi?”
“Poi… non lo so. La matematica mi piace. M’interessa. Mi piacerebbe scoprire un sacco di formule nuove, elaborare un sacco di teoremi, e scoprire qualcosa di nuovo.”
“Potresti farcela”, disse Mello. “Credo che tu abbia grandi capacità.”
“Dici sul serio?”, domandò Noodle con una smorfia. “Non lo dici solo perché sono io.”
“Noodle, tu sei come me: sei intelligente, t’impegni. Se continui così potrai fare quello che vuoi. Potresti diventare sia una dottoressa che una matematica, potresti studiare fisica e astronomia!”
“Shhh”, lo ammonì Noodle. La casa era buia e silenziosa, non voleva svegliare nessuno.
Mello continuò bisbigliando: “Voglio dire che basta che scegli cosa fare. Tu sei molto intelligente.”
Noodle sorrise grata e tornò distesa, con gli occhi a fissare il soffitto: nuove prospettive si aprivano di fronte a lei, e prendevano il posto delle tavole di legno sul tetto.
“Noodle?”
“Sì?”
“Se fosse l’ultima notte della tua vita… Noi assieme. Che cosa faresti?” Mello, lo sguardo fisso al soffitto, inghiottì la saliva, temendo di aver osato troppo.
Noodle rimase un attimo in silenzio, poi disse: “La passerei con te”. Si allungò, spense la luce della lampada e cercò le labbra di Mello nel buio.
Si scontrarono, con la stessa energia dell’onda che si infrange sulla roccia. I loro corpi si inondarono l’uno dell’altra, si riempirono di forza, di gratitudine, di speranze. I loro occhi, legati fra loro, si compresero all’istante. La loro pelle bruciava, così come il loro cuore. E al momento del piacere i respiri si mescolarono pronunciando parole d’amore.

Fine.
L tracciò le quattro lettere nella sua mente.
Fine.
Sarebbe stato più bello assaporarle sulle labbra.
“Fine.”
Il giovane detective sorrise appena nel sentire la sua voce, sussurrata e leggermente roca, pronunciare quella parola. Sapeva di orgoglio.
L aveva finito di tracciare la dettagliata trama del suo libro. Era molto soddisfatto del risultato, ci aveva pensato e ripensato, aveva ragionato e preso in considerazione ogni possibilità, scartando le più improbabili e gettando via nel cestino della sua memoria le più scontate. Ragionava come se fosse un caso al quale lavorava lui, non il suo personaggio.
Già, il suo personaggio. Era perfetto, aveva una storia, una personalità, dei difetti, delle manie, aveva un aspetto che L aveva già deciso, ma gli mancava ancora una cosa per essere completo. Non aveva ancora un nome, nella sua testa lo vedeva semplicemente come un’entità. Ma ne aveva bisogno, cavolo!, era essenziale. Il protagonista doveva avere un nome, ma doveva essere adatto. Doveva dimostrare quanto valesse. L aveva preso in considerazione tante ipotesi, ma aveva finito per scartarle tutte. Nessun nome lo convinceva. Nessuno andava bene, non rispecchiava la sua personalità.
Il detective si alzò dal divano e raggiunse il pc fisso che si trovava in salotto. Lo accese e attese che si avviasse. Nel frattempo pensava ad un nome adatto.
Come un lampo gli venne in mente!, come una rivelazione. Il suo stomaco sobbalzò alla consapevolezza che doveva fare così. Assolutamente. Quello era il suo nome, e nessun’altro. A volte le soluzioni appaiono all’improvviso e si riconoscono subito come le più adatte. Era la cosa giusta.
L Lawliet aprì un nuovo documento di word, allungò le mani dalle lunghe dita pallide e sottili sopra la tastiera e rimase fermo qualche secondo, senza osare poggiarvi sopra i polpastrelli, osservando i tasti. Ritrasse un secondo le dita, poi prese un grosso respiro e cominciò a scrivere:

Nate River guidava lungo la statale 62 quando il suo cercapersone lo avvisò di aver ricevuto un messaggio…




















Ciao, eccomi qua =)
Allora, su questo capitolo non ho molto da dire, credo che sia chiaro cosa significhi: è l'evoluzione personale e privata dei personaggi. Ognuno di loro in quella notte, che potrebbe essere l'ultima della loro vita, hanno comportamenti diversi, perché hanno capito che i cambiamenti nella loro esistenza hanno portato loro qualcosa di diverso che è diventato molto importante. Ognuno cerca di sfuttare questa notte in maniera diversa, personale, e di godere di ciò che hanno scoperto essere una parte importante della loro vita.
Riguardo a Near, il prossimo capitolo sarà dedicato interamente a lui e spiegherà anche che cosa ne penso io del personaggio (almeno nel contesto della fanfiction), ma intanto mi farebbe piacere sapere come vi sembra questa svolta, e anche se si è capito che cosa intendono fare xD (ho tentato di speigarlo al meglio delle mie capacità, ma ho sempre paura di non essere stata in grado e aver fatto solo un gran casino).
Quindi vi lascio lo spoiler e un ciao! Alla prossima settimana!
Patrizia
   
 
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