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Autore: KH4    17/10/2011    6 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Eccomi qua, buon lunedì a tutti quanti! Spero di non avervi fatto aspettare troppo, ma i miei impegni sono molteplici e il tempo è maledettamente tiranno, quindi, bando alle ciance e partiamo col nuovo capitolo! Buona lettura a tutti quanti e grazie mille a chi mi segue, siete dei tesori!!
 
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Era appena l’alba e la superficie dell’oceano era piatta e silenziosa. Gli scintillanti luccichii che i fasci solari producevano, venivano riflessi dall’acqua, creando bislacche pozze dorate che, messe insieme, davano vita ad un fiume spendente e assolutamente unico. Il blu scuro della notte prevaleva ancora, ma all’orizzonte si poteva già scorgere l’azzurro e il giallo del mattino, insieme a qualche nuvoletta che si divertiva a portare curiose sfumature rosee.
 
Sanji era già ai fornelli da almeno una decina di minuti. Con l’immancabile sigaretta e il grembiule allacciato alla vita, il biondo era sempre il primo ad alzarsi, poiché, in qualità di cuoco della ciurma, doveva preparare la colazione ai suoi compagni. La cucina era il suo regno, il fornello e le padelle i suoi strumenti, e l’amore per le fanciulle presenti sulla nave la sua ispirazione. Quando si parlava di cibo, Gamba Nera era il massimo esperto, perché non lasciava mai nulla al caso: valori nutrizionali, colore delle pietanze…. tutto veniva calcolato e studiato affinché i piatti fossero gradevoli sotto ogni aspetto. Mettendola a quel modo, poteva risultare un lavoro lungo, difficile, estremamente pressante per chi era alle prime armi, ma Sanji, oramai, non percepiva più alcuna forma di ansia durante il suo lavoro: gli insegnamenti e i calci del vecchio Zef erano serviti a tirarlo su così bene da fargli apprezzare qualsiasi fatica che riguardasse il campo culinario. Amore e passione, in cucina, erano i due ingredienti principali per eseguire alla perfezione anche la ricetta più complicata: certo, occorreva anche una profonda conoscenza dell’arte, la volontà di testare ingredienti particolari e sconosciuti, ma senza una motivazione più che valida alla base di tutto ciò, il risultato non poteva che essere povero e insipido. Se poi la molla che spingeva Sanji era quella di farsi bello agli occhi di Nami-san e Robin-chan, avrebbe anche cucinato con le mani dietro la schiena, pur di ricevere dei apprezzamenti dalle due ragazze.

Pre-immaginandosi tutta una serie di elogi e complimenti femminili a suo carico, il ragazzo cominciò a sbuffare dolci nuvolette di fumo a forma di cuore, nel mentre finiva di preparare l’impasto della torta.
Il caffè stava bollendo nella caffettiera, borbottando silenziosamente, insieme all’acqua del tè. Seppur questi fossero rumori molto leggeri, il cuoco della ciurma di Cappello di Paglia non udì lo scricchiolio della porta stante alle sue spalle. Se si fosse trattato di Rufy, questa sarebbe stata sbattuta con violenza, seguita dall’acuto “Ho fame!” del capitano e dal suo secco “No!”. Difendere la colazione dagli attacchi multipli di quella testa bacata era diventata un’abitudine giornaliera, quasi quanto il litigare con Zoro, ma, se non altro, ora non doveva più preoccuparsi che quello stomaco senza fondo rubasse di nascosto il cibo dal frigorifero: il lucchetto con la combinazione numerica era una difesa più che sufficiente a fermarlo, visto che il suo cervello non era abituato ad avere a che fare con pensieri matematici.
Si, Sanji non si sarebbe minimamente sorpreso se Rufy gli fosse arrivato addosso con la grazia di un ciclone, ma la porta, quella mattina, si era aperta con troppa delicatezza perché la si potesse paragonare all’entrata dinamica del capitano. I cardini cigolarono appena, zittendosi non appena la porta venne chiusa con silenziosità. Preso dal suo da fare, il cuoco non fece caso a null’altro che non rientrasse nelle sue mansioni, neppure a quei passi impercettibili, quasi impossibili da sentire. Tra i profumi di cui lui stesso era l’artefice e i pensieri idilliaci, lasciò che la seconda persona presente nella stanza appoggiasse i gomiti sul bancone che divideva la sala dalla cucina, di modo che le mani le sostenessero il mento. Non parlò subito, decise di guardare il ragazzo per un pochettino, tutto preso a cucinare, nel mentre si lascia sfuggire qualche affermazione stramboide sul suo immenso amore per le compagne. Dovette ammettere di non aver mai visto nessun uomo comportarsi a quella maniera: pareva che la semplice vista del gentil sesso lo rendesse tanto felice da ucciderlo, il che l’aveva subito incuriosita. Un conto era complimentarsi con una ragazza per la sua bellezza, ma un altro era il rivolgerle interi papiri colmi di venerazioni impensabili , il tutto servito con cuoricini e rose. Le era venuto istintivo pensare che quel tipo fosse drogato, ma il comprendere che quel suo comportamento non derivava da alcuna sostanza tossica, aveva stuzzicato la sua vena approfittatrice.
 
E quando un’occasione ghiotta stava così vicino, non si poteva non approfittarne, no?
 
Una torta con la frutta fresca delizierà il palato di Nami-san e Robin-chan, affermò mentalmente Sanji, nel mentre montava la panna E chissà che…
“Buongiorno”, gli disse qualcuno, con voce soave.
“Oh, buon….MELLORINE!!!”
 
Il flusso di pensieri del biondo si era interrotto per poter salutare chi stava alle sue spalle: Azu stava di fronte a lui, con indosso soltanto una camicia bianca e malamente allacciata.
Senza lasciarsi scappare la fatica con cui quella scollatura nascondeva il petto della ragazza, l’occhio di Sanji cadde immediatamente sulle rotondità pericolosamente sporgenti d’essa, dando il via all’ennesima emorragia nasale, che aumentò d’intensità quando il biondino si accorse che la ragazza, oltre alla camicetta, portava soltanto la biancheria intima. Essendo relativamente presto, gli altri dormivano ancora, quindi l’albina non si era minimamente preoccupata di indossare un paio di pantaloni. Se non ci fosse stato il bancone a dividere la visuale di Sanji da quelle gambe snelle e toniche, poco ma sicuro, quest’ultimo avrebbe accumulato nella sua scheda sanitaria un altro infarto, raggiungendo una quota alquanto inquietante.
 
“Azu-chwan, che sorpresa!” ululò lui, catapultandosi verso di lei “Ti sei alzata presto appositamente per venirmi a trovare? Che cara!!”
“Non esattamente”, disse lei con una grossa goccia dietro la testa.
 
Anche se lo avesse detto ad alta voce, quel biondino dalle sopraciglia attorcigliate era troppo fuori di sé per ascoltare una versione diversa dalla sua.
 
“Allora, mia adorata Azu-chwan, cosa posso fare per te? Come posso esserti utile, mia bellissima fata?” domando lui con tono smielato.
“Cosa puoi fare? Uhm…vediamo…”
 
Seppur conscia del fatto che il cuoco avesse l’occhio più puntato sul suo seno che sul suo viso, Azu sollevò per qualche secondo lo sguardo, fingendosi incerta sul che cosa chiedere, nel mentre uno dei suoi tipici sorrisini approfittatori faceva capolino sulle sue labbra. Non era certo la prima volta che veniva guardata con occhi sgranati e bava alla bocca, ma la differenza, lì, era che ci poteva guadagnare qualcosa che le riempisse lo stomaco vuoto. E difatti, la sua richiesta fu molto semplice…..
 
“Mi è venuta un pochino di fame”, rivelò lei “Non è che saresti così gentile da darmi qualcosina?” chiese con occhi innocenti “Anche un biscotto….”
 
Non ebbe neppure il tempo di finire, che si ritrovò davanti un vassoio colmo di leccornie coloratissime e con un profumino davvero invitante.
 
“Ecco a te, mia adorata!” esclamò il cuoco “Mangiane quanti ne vuoi, non fare complimenti!”
 
Se non lo avesse visto con i suoi stessi occhi, non ci avrebbe mai creduto: ancora una volta, le era stata data la prova che la stramberia non aveva limiti e che su quella nave, ne avrebbe trovata così tanta da riempirci almeno tre bastimenti interi. Sanji la guardava con fare sognante, come se fosse una dea luminescente e benevola, spargendo cuoricini ovunque, perfino sul soffitto. Se gli avesse chiesto di buttarsi da un ponte per dimostrarle il suo amore, sicuramente quel ragazzo lo avrebbe fatto, ma l’albina non era così smaniosa di testare la follia che affliggeva il cuoco.

Allungò una delle mani per afferrare con la punta del pollice e dell’indice un biscotto con scaglie di cioccolato, per poi addentarlo in tutta tranquillità. Sollevando un sopracciglio, lasciò che il proprio palato si sciolse davanti alla squisitezza di quel dolcetto: era davvero buono, squisito, e non potè fare a meno di prenderne altri due. Dopo un bel bagno rilassante e una dormita, non c’era niente di meglio che riempirsi lo stomaco con qualcosa di stuzzichevole; il suo corpo pareva rinato, ora che era stato privato dalla tensione e dalla sporcizia del giorno antecedente, una cosa che aveva contribuito a migliorare anche l’umore, più tranquillo e rilassato. Il calore dell’acqua, unito ai profumi dei sali da bagno, aveva provveduto a distenderle i muscoli indolenziti. La sofficità del materasso e delle coperte si era occupata di distenderle definitivamente ogni fibra del suo corpo, conducendola nel mondo dei sogni senza troppi problemi, lo stesso dentro cui stava Shion, ancora profondamente addormentata nella stanza che le era stata data insieme a lei. Inizialmente, aveva chiesto di poter dormire in infermeria, per fare compagnia a Lars, ma non era occorso molto per metterla a letto da un’altra parte: la piccola era crollata sul materasso del ragazzo dopo neanche mezz’ora di guardia. 
Azu dubitava sul fatto che si sarebbe svegliata presto, ma non lo escludeva totalmente: Lars, a differenza sua, non era in piedi e pimpante, il che voleva dire che la preoccupazione della piccina l’avrebbe tenuta in piedi per tutto il tempo che sarebbe occorso al ragazzo di svegliarsi. Quando voleva fare una cosa, Shion era capace di saltare il pranzo e la merenda, pur di non distrarsi, e visto che in ballo c’era la salute di Lars, sicuramente sarebbe rimasta al suo capezzale fino a quando lui non avrebbe aperto gli occhi. Un’altra dimostrazione di quanto la cocciutaggine di quella bambina fosse influenzata dalla sua.
 
“Squisiti. Davvero ottimi, questi biscotti”, disse poi, tornando a guardare il ragazzo.
“Oh, Azu-chwan, sei così…….”
 
Stavolta fu lui a venire interrotto e non fu certo un’interruzione verbale.
Era risaputo che Sanji, dopo due anni passati a sfuggire da quei orripilanti Okama, fosse diventato sensibilissimo al genere femminile e a qualunque cosa ad esso collegato: la sua era una malattia incurabile, a detta di Chopper, costretto a imbottirlo ripetutamente di sangue e ferro, nel mentre cercava di farlo riabituare a quella vista che per lui equivaleva alla luce del sole. Con la navigatrice e l’archeologa le cose erano tornare all’assurda normalità di sempre, ma con le straniere………..oh, apriti cielo!
Come Azu aveva allungato il braccio e preso ad accarezzargli la guancia con la mano, le arterie del cuore avevano smesso di pompare il sangue, i polmoni interrotto il loro regolare scambio di ossigeno e anidride carbonica, e il cervello smesso di mandare impulsi elettrici in tutte le parti del corpo. Pareva essersi appena verificato un blackout totale all’interno di Sanji, immobile nel mentre gli occhi perlacei della ragazza lo scrutavano con dolcezza maliziosa, facendo scorrere le dita sulla sua guancia.
 
“Sei proprio carino”, gli disse lei, accarezzandogli il pizzetto “Gli uomini che ci sanno fare in cucina sono i miei preferiti e tu saresti da sposare. Mi verrebbe voglia…”, e lì si sporse quanto bastava per arrivare a meno di cinque centimetri dal viso di lui “Di darti un bel bacio.”
 
Nella mente svuotata di Gamba Nera si udì uno sparo, seguito da una luce accecante e un coro celestiale appartenente al Paradiso, dal cui apice discese tutta una serie di creature dall’aspetto immortale: Principati, Arcangeli, Angeli, Dominazioni, Virtù, Potestà, Serafini, Cherubini, Troni……….Sanji si vide sfilare l’intero corteo angelico davanti agli occhi, nel mentre questi ripetevano con voce soave le parole dette da Azu, abbellite da squilli di tromba e coriandoli colorati. Neppure con le sirene gli era capitata una cosa simile - per quanto queste lo avessero coccolato -, ma i dolci ricordi legati all’isola degli Uomini Pesce stavano venendo pesantemente offuscati dal fatto che l’albina stesse giocherellando con il suo pizzetto e che fosse pericolosamente vicina alle sue labbra. Decisamente un contatto troppo intimo perché lui potesse resistere più di dieci secondi. Infatti….
 
“MELLORINE!!!”
 
STOMP!
 
Con le lacrime ai occhi, le mani congiunte, il naso sanguinante, e un sorriso ebete stampato in faccia, Sanji, cascò a terra senza neppure girare su sé stesso, rigido come una statua di pietra.
 
“Oh, poverino”, sghignazzò lei “Che….”
 
SBONK!
 
Il sonoro colpo in testa che Azu ricevette, interruppe la sua risatina, facendole correre il rischio di spalmare il suo bel nasino sul bancone. Con le mani impiantate nel legno lucido e l’irritazione crescente, l’albina alzò la testa con fare nervoso e tremante, già sapendo chi fosse stato a farle quello sgarbo.
 
“Tu guarda che modi…”, ringhiò lei, nel mentre si girava, coi denti digrignanti “E’ mai possibile che tu non possa essere più delicato?! Mi hai fatto male!”
“Ne dubito, con la testa che ti ritrovi…”, fu la replica del sospirante Lars, col torace fasciato e una mano appoggiata al fianco “E comunque, parlando di modi, io ho la decenza di avere dei pantaloni addosso.”
 
Quell’ultima puntualizzazione fece incrociare le braccia di Azu sotto il prosperoso seno, spingendola a voltare la testa e a storcere il naso. Ti pareva che non tirasse in ballo il fatto che fosse mezza nuda in una cucina estranea!
Lo detestava quando faceva così, specie perché sfruttava quei dieci centimetri d’altezza che lo differenziavano dalla sua statura per troneggiare su di lei come fosse un’autorità da rispettare. Sembrava che quella poca distanza enfatizzasse la posizione di Lars, ancora intorpidito per il sonno e per le cure ricevute; non ricordava perché accidenti si fosse alzato, ma la voce acuta della sorella gli stava facendo desiderare quelle soffici coperte da cui si era inspiegabilmente separato e, dal canto suo, Azu non faceva che domandarsi perché accidenti il fratello irrompesse sempre nei momenti meno opportuni.
La sberla rifilatale era una sorta di marchio di riconoscimento che, oramai, conosceva sotto tutti i punti di vista, ma che riusciva sempre a irritarla: l’albino aveva un tocco secco e deciso, la cui mira perfetta lo aiutava a colpire quel determinato punto della sua testa, che finiva sempre per dolerle quanto bastava per distrarla dall’azione che stava compiendo. Un’altra cosa che non sopportava del maggiore, oltre alle ramanzine.
 
Non volendo perdere quella sorta di pseudo scontro che si era appena creato, la ragazza dischiuse gli occhi perlacei, facendoli incrociare con quelli di Lars, la cui espressione mezza insonnolita lo aiutava a non prendere troppo sul serio le sue uscite. Gli occhi mezzi socchiusi e i capelli, più scompigliati del solito, indicavano che doveva essersi appena svegliato, una piccola constatazione che servì ad alleggerire l’animo della sorella, facendola sentire meglio. Nel profondo di sé, ma molto in profondo, Azu deteneva un’umanità piuttosto sensibile, che molto spesso, anzi, quasi sempre, esternava con azioni esagerate o pugni carichi di isteria. Non che non fosse capace di atti più controllati, ma il suo era un orgoglio piuttosto duro, cocciuto, con una volontà tutta sua, che si placava soltanto quando la ragazza aveva a che fare con la piccola Shion. Voleva bene a suo fratello e, sicuramente, sarebbe passata per un bugiarda se avesse affermato spudoratamente, davanti a tutti, di non essere mai stata preoccupata per lui, ma, piuttosto che ammetterlo, preferiva legarsi ad un ancora e gettarsi in fondo all’oceano.
 
“Se ti sei alzato esclusivamente per farmi la predica, puoi anche tornartene a letto. Sono venuta in cucina perché volevo prendere qualcosa da mangiare”, riprese lei, difendendosi.
“E come? Presentandoti in biancheria intima e stordendo questo tizio qua?” Lars indicò Sanji, ancora steso a terra col naso sanguinante.
“Senti chi parla! Tu mica ti lamenti quando le ragazze ti guardano allenarti a torso nudo!” replicò la minore, inviperita.
“E com'è che sai che le ragazze mi guardano allenarmi?” le domandò ingenuamente lui, abbassando il suo volto su quello di lei "Se non ricordo male, quando io mi alleno, tu preferisci stare d'altro capo dell'isola."
 
I lineamenti facciali del ragazzo avevano assunto una sfumatura maliziosa, che a stento si tratteneva dal mostrarsi interamente. Non era un segreto che Azu odiasse la meditazione, ragione per la quale, si dileguava sempre quando il fratello compiva quell’esercizio: l’idea di stare seduta e ferma era qualcosa di inconcepibile per la sua dinamicità, ma le tirocinanti presenti nella base della Marina numero diciassette consideravano quelle ore di allenamento il momento migliore per osservare il loro beniamino all’opera. Ok, lo doveva ammettere: suo fratello era un bel ragazzo, abbastanza da non passare inosservato. Che fosse per i capelli, il corpo, gli occhi o la cicatrice, Lars veniva guardato e considerato dal genere femminile come un figo di ghiaccio molto appetibile, il che la mandava su di giri, ogni qualvolta sentiva alle sue spalle quelle stridule risatine incapaci di contenersi. Già che c’erano, potevano fondare un fan club, se lo adoravano così tanto!
 
“Allora?” incalzò il fratello, sporgendo la testa in avanti "Sto aspettando."
“Umpf! Chi credi che le rispedisca a fare il loro lavoro?” domandò retoricamente, senza scomporsi “Non voglio che Shion senta parole indecenti, è ancora troppo piccola per queste cose!”
“Ma dai….e io che pensavo che la mia sorellina fosse gelosa”, fece divertito lui.
“Ma fammi il piacere!” strillò lei.
 
Fu molto tentata di mollargli un calcio negli stinchi, ma si limitò a strepitargli contro col viso rossiccio, e non certo per l’imbarazzo!

Gelosa di suo fratello………..ma per favore!
Chi accidenti si credeva di essere per trattarla come una mocciosa?! Solo perché fra loro c’erano tre anni di differenza non significava che lui ne sapesse più di lei.
 
Salvo il periodo passato ad allenarsi, erano sempre cresciuti insieme, imparando a conoscere ogni loro aspetto e abitudine come fosse un gioco d’abilità. Non c’era espressione, sfumatura o comportamento che Azu non sapesse riconoscere nel fratello, ma egli, in una qualche maniera a lei sconosciuta, riusciva sempre a esserle un passo in avanti, dando prova di quanta strada lei dovesse ancora fare prima di imparare a metterlo con le mani nel sacco. Sarebbero potuti andare avanti a scannarsi per il resto della giornata, ma Lars non se la sentiva di sprecare le appena ritrovate energie per prendere a padellate la capoccia della sorella minore: doveva capire se quello che aveva detto nel percorrere il corridoio di quella nave fosse esatto. Fino a quel momento, ogni cosa era rimasta avvolta dentro una spessa nebbia di indecifrabile consistenza e lui, ridotto al minimo delle sue prestazioni, non era riuscito a comprendere cosa realmente gli fosse accaduto attorno. Era fin troppo lampante che non si trovasse più in quella strada maleodorante, ma desiderava comunque conoscere i fatti per quello che erano, anche se un’idea in generale, al riguardo, se l’era già fatta. Il cogliere diversi elementi, semplicemente guardandosi intorno, aveva favorito la concretizzazione della sua ipotesi, portandolo a dedurre che il loro piano di viaggio avesse subito una grossa, ma necessaria svolta.
 
“Immagino che i nuovi amici di Shion si siano offerti di darci un passaggio”, mormorò nell’osservare la cucina “Hai raccontato loro come stanno le cose?” domandò poi alla sorella.
“Ci ha pensato lei, ma senza menzionare i sotterfugi inventati per non farci scoprire dai suoi genitori”, gli rispose lei, sistemandosi una ciocca argentea dietro l’orecchio “Dubito che la cosa rimarrà nascosta a lungo, ma non credo che a questi tizi importerebbe qualcosa: da quel che ho visto, non mi sembrano tanto normali.”
“Come se qualcuno a questo mondo lo fosse”, sospirò il fratello, soffocando uno sbadiglio.
 
Loro due erano un chiaro esempio di quanto la normalità fosse un termine altamente diverso da quello descritto in un vocabolario: Azu era capace di sradicare una quercia a mani nude e usarla come proiettile per affondare le navi, mentre lui, con la sua preziosa Saphira, sapeva trasformare una terra rigogliosa in una landa desolata e ghiacciata.
L’apprendere di essere ospiti della ciurma di Cappello di Paglia non lo aveva scomposto più di tanto: era perfettamente capace di percepire l’ostilità anche se questa si fosse trovata a cento miglia di distanza, ma, non avvertendo alcun segno di essa trasudare dalle pareti, si era detto che poteva anche lasciare la spada nell’infermeria. Sebbene il giorno prima avesse attaccato Monkey D. Rufy, non lo aveva fatto con cattiveria: l’ingente quantità di sangue perso, insieme alla spossatezza fisica e mentale, avevano annebbiato la sua mente, spingendolo ad attaccare il ragazzo con la convinzione che fosse un complice di quei due idioti che avevano avuto l’ardire di svegliarlo con il loro passo pesante. Era ben conscio di aver sbagliato, una ragione per la quale si sarebbe andato a scusare non appena il suddetto si fosse svegliato: a differenza di una certa testona, lui sapeva riconoscere quando sbagliava.
 
“Faresti bene a tornartene a letto”, gli suggerì la sorella “Non vorrei che quel peluche coccoloso dovesse venire a cercarti.”
“Sto bene”, replicò il più grande “Al massimo, è lui che avrebbe bisogno di un dottore.”
 
Nel volgere la testa al di là del bancone, i due albini videro che il cuoco era ancora a terra, con un colorito pallidissimo e la bocca piegata in un sorriso ebete. Tutto rigido e grigio come la pietra, Sanji era talmente immobile da risultare addirittura morto. E intanto, quanto stava sul fornello, bruciava senza che nessuno si adoperasse a rimediare.
 
“Effettivamente non sembra stare tanto bene”, notò Azu, inginocchiatasi di fianco al biondino, e tutta intenta a picchiettargli la guancia con l’indice “Sta pure sbavando”, borbottò poi, nel vedere il disgustoso fiumiciattolo bavoso che colava dalle sue labbra e che stava macchiando la camicia.
“Vorrei ben vedere. Ci mancava solo che gli spiaccicassi il tuo davanzale sul naso”, le disse Lars, nel mentre evitava che il cibo posto sui fornelli prendesse fuoco.
 
Contenendo l’irritazione, Azu afferrò per le caviglie il malcapitato, marciando ad ampi passi verso l’infermeria. Non era nemmeno mezzodì e già desiderava strangolare il fratello, fare a pezzi il suo corpo e spedirli in diverse parti del mondo per evitare che si ricongiungessero.




“Lars, che bello! Ti sei svegliato!”
 
Shion era  al settimo cielo: non appena aveva visto l’amico sorriderle, gli era subito corsa incontro, abbracciandogli la vita con la sua forza di bambina e venendo a sua volta ricambiata con un bel girotondo. Vederlo finalmente in piedi  aveva contribuito a dissipare ogni residuo di preoccupazione che ancora si ostinava a rimanerle attaccata, rendendo quella mattinata splendente ancora più radiosa.
La Thousand Sunny era, senz’ombra di dubbio, la nave più singolare e bizzarra che lei avesse mai visto, ragione per la quale, visitarla, fu quasi un obbligo. Con Franky – l’uomo di latta – e Usopp – quello col naso lungo -come guide, Shion ebbe modo di vedere da vicino quanto quella nave si differenziasse dalle altre, e non soltanto per i suoi colori sgargianti e la polena a forma di testa di leone pelucchioso. Se il tappeto d’erba fresca che rivestiva il ponte di coperta, con gli scivoli affiancati alle scale, l’aveva stupita, il resto la impressionò a tal punto da farla rimanere con la bocca aperta per più di quindici minuti: non le era mai capitato di vedere cose di quel genere e le aveva definite “Cose”, perché non sapeva in che altro modo chiamarle. In cima all’albero maestro era stata costruita una palestra, permettendo a Zoro – lo spadaccino coi capelli verdi -, di allenarsi e, contemporaneamente, di adempiere al suo compito di vedetta. Nami e Nico Robin disponevano di un elegante studio circolare, illuminato da ampie vetrate che filtravano il sole, fornito di scrittoi, libri e di un comodissimo mini-carrello elevatore che Sanji utilizzava per mandare loro dei spuntini. Questo, era ulteriormente collegato al salone-acquario, la stanza più suggestiva di tutte: non che non avesse mai visto un acquario, ma, insomma….un acquario su una nave era tutta un’altra cosa!
 
Inutile dire, che Franky aveva conservato il meglio per ultimo: il Soldier Dock System, coi suoi mezzi e le sue sorprese, aveva sorpreso la bambina a tal punto, da non riuscire a non chiedere al nuovo amico di farle fare un giro sulla Mini Merry II e nel sottomarino Shark. Il gioiellino ideato e costruito dal carpentiere era un sistema basato su un importante meccanismo rotante, situato all’interno della nave, che, a seconda del mare che si affrontava, permetteva di attivare diversi canali. Tale cambiamento, era visibile grazie ai numeri situati sulle fiancate della Sunny, che giravano in senso orario quando si decideva di utilizzare un determinato canale. Ma l’arma più potente di quell’arsenale stava nella poppa, dove vi era nascosta una piccola cabina, al cui interno era stato installato il propulsore che garantiva una fuga immediata dalla Marina e il libero utilizzo del cannone Gaon, arma micidiale che, come tutte altre, utilizzava la cola come carburante.
 
Shion era rimasta di sasso quando poi, aveva scoperto che anche Franky andava a cola: il Cyborg poteva mutare il proprio aspetto a seconda delle esigenze e, cosa ancora più incredibile, se gli si schiacciava il naso, la sua testa si riempiva di folte ciocche azzurre che lui acconciava con un piccolo pettine tascabile.
 
Era tutto bello, talmente entusiasmante che, per qualche secondo, la piccola aveva creduto di star vivendo in un sogno. Un bellissimo sogno piratesco, dove c’erano gli stessi pirati di cui possedeva i manifesti.
 
“Wow! Fantastico! Sei riuscita a tradurre anche questa pagina! Ma come fai?”
“Eh eh, sono un’archeologa. E’ il mio lavoro.”
 
Per una bambina solare come Shion, fare amicizia era più facile dell’imparare a camminare. Nel giro di quella mattinata aveva legato con ogni membro dell’equipaggio, scoprendo a grandi linee il loro carattere e le loro attitudini: Nami, per esempio, era il cervello del gruppo. Lo aveva realizzato subito fin dalla sera prima, per la sua serietà nel prendere in mano la situazione, ma nei suoi confronti, si era dimostrata molto gentile e disponibile, esattamente come Nico Robin, il suo nuovo idolo. Il conoscere una persona così bella e colta aveva subito fatto emergere in lei il desiderio di tempestarla di domande sulle leggende e sulle storie che più l’appassionavano, certissima che quest’ultima le avrebbe risposto senza alcun problema.
 
“Incredibile…”, mormorò la piccola, nel guardare i voluminosi tomi che circondavano la corvina “Davvero hai letto tutti questi libri?”
“Si. Ci sono ancora molte cose che devo imparare”, le disse al Bambina Diabolica “Ma vedo che anche tu ti dedichi a letture piuttosto impegnative.”
 
L’occhio attento della donna non aveva mancato di osservare il libro che Shion teneva ben aperto davanti a sé: era un volumetto dalla copertina consunta, scura e robusta, con le pagine già prossime all’ingiallimento e pieno di foglietti messi dalla bambina.
 
“E’ il mio libro preferito”, spiegò la piccina, prendendo fra le mani il tomo “Dentro c’è la storia del sogno che voglio assolutamente realizzare.”
 
Lei e Nico Robin erano sedute attorno a un tavolino al di fuori di fuori del ponte superiore. L’ombrellone, usato per fare ombra, riparava la donna e la piccola egregiamente, creando un piccolo angolo fresco.
L’archeologa non mancò di guardare la biondina con occhi più profondi, nell’istante in cui pronunciò la parola “Sogno”: la sua voce si era fatta più sicura, accentuata da quello sguardo che teneva fisso sul libro. Il solo vedere quei foglietti da lei inseriti, contenenti appunti, scritte e cancellature, le fece dedurre parte di quelle determinazione che Shion nascondeva dentro il suo corpo di bambina ancora in fase di crescita.
 
“E di che sogno si tratta?” le domandò lei, con voce gentile.
“……Prometti di non ridere?” aveva esitato prima di pronunciare quelle parole.
“Lo prometto”, le giurò, alzando la mano in segno di promessa.
 
Poggiando il libro sul tavolino, la bambina indugiò nuovamente, con gli occhi rivolti alla gonnellina. Ogni qualvolta che parlava delle sue intenzioni, del suo sogno, gli adulti le sorridevano, dicendole candidamente che una simile aspirazione era ammirevole, ma che col tempo, sarebbe svanita, sostituita da un obbiettivo più fattibile per il suo futuro. Altri, invece – ed erano per lo più alcuni suoi coetanei -, le ridevano direttamente in faccia, prendendola in giro, una cosa che più volte l’aveva spinta a gonfiare le guance e a spingere in acqua quei antipatici – anche se poi, pure lei ci finiva dentro -. Forse era vero, il suo sogno pareva veramente irrealizzabile, considerando il fatto che le sue basi erano poco più che una leggenda, ma lei ci credeva, più di chiunque altro, e questo le bastava per provarci con quanta più ambizione possedeva.
 
“Voglio trovare Endora”, disse poi.
“Endora?” Nico Robin alzò un sopracciglio con fare stupito.
“Si”, annuì la piccola, riaprendo il libro su una determinata pagina “E’ un’isola leggendaria che, secondo quanto c’è scritto qui sopra, si troverebbe da qualche parte nel Nuovo Mondo. E’ completamente immersa nel verde, incontaminata, ci sono piante rarissime e mai viste, e si dice che il suo equilibrio sia così delicato che basterebbe pochissimo per rovinarlo!” raccontò tutta eccitata “Nessuno l’ha mai vista o ci è mai stato, però alcuni studiosi hanno esaminato delle rovine sparse nel mondo e, secondo queste, il luogo sarebbe abitato dalle….”
“Epigee”, concluse la donna per lei.
“Esatto!” esclamò Shion, per poi sbattere le palpebre in segno di confusione “Ma….tu come fai a saperlo?”
“Te l’ho detto: sono un’archeologa e il mio lavoro prevede che studi ogni tipo di storia, leggende comprese.”
 
La vasta conoscenza di Nico Robin non si limitava soltanto ai Poigne Griffe, ma a molti altri campi che, messi insieme, formavano una vasta rete storica vecchia quanto il mondo. Endora era uno di questi.
 
Era un’isola leggendaria, come aveva detto Shion, sconosciuta, immersa nel verde, mai esplorata dall’occhio umano, ma avidamente ricercata dagli antichi per via del suo più grande tesoro: L’Imperior. Si trattava di un albero sacro, come Eve e Adam, preziosissimo, e con una storia tanto incredibile quanto plausibile. La due pagine che Shion stava guardando con tanta intensità raffiguravano un grande albero dalla grassa corteccia marrone, come quella di una quercia, con rami grossi e folti, che ricadevano in avanti quasi fossero quelli di un salice piangente. L’ambiente che lo circondava era scuro, con chiazze bluastre e azzurre, illuminato da un’indescrivibile e fiocca luce proveniente dall’alto. Stava su una specie di isolotto, circondato da un piccolissimo laghetto che era stato colorato con delle tempere ad acqua, insieme a quelle strane forme umane che ci danzavano sopra o che preferivano rimanere sdraiate. Erano le Epigee, menzionate poco prima nel loro discorso. Il loro aspetto era ignoto, ma quei pochi riferimenti che si avevano sulla faccenda, le descrivevano come spiriti luminescenti, purissimi, leggeri quanto una piuma e sfuggenti come le stelle. Le protettrici del Giardino Eterno, ecco com’erano state soprannominate.
 
“Dunque, se non ricordo male, qui dovrebbe esserci qualcosa su loro conto”, mormorò Nico Robin, sfogliando uno dei libri appartenenti alla pila che si era portata fuori “Eccole qui” trovata la giusta pagina, l’archeologa iniziò a leggere quanto c’era scritto “Le Epigee sono comunemente conosciute come le ninfe della terra, creature aventi un aspetto simile all’umano e strettamente legate agli elementi della natura. Sono esseri mitologici, collegate alle usanze dell’antichità di alcuni popoli, ma alcune testimonianze scritte, citano la loro comparsa in differenti parti del mondo. Non se ne conoscono le motivazioni, ma diversi ricercatori ipotizzano che queste abbiano abbandonato la loro terra d’origine per vedere cosa ci fosse al di fuori d’essa e che, visto il comportamento indegno degli umani, non si siano fatte più vedere. Molti suppongono che abbiano fatto ritorno alla loro isola, un luogo dove, secondo alcune ipotesi, risiede lo stesso spirito della terra, e che non ve ne siano più uscite, al fine di proteggerlo.
 
“Ecco, vedi? Lo dice anche qui!” esultò Shion, balzando in piedi “Secondo me le due cose sono collegate: il luogo d’origine di cui parla il tuo libro è sicuramente Endora e lo spirito della terra è senza dubbio l’Imperior! Gli alberi sacri sono considerati una sua emanazione e, anche se non si sa con certezza se quest’albero ci sia, esiste comunque una possibilità, vero Robin?”
 
“Eh eh, è una buona teoria da cui partire.”
 
L’archeologa non aveva potuto fare a meno di sorridere davanti a quella parlantina vivace ed eccitata. Shion era fermamente convinta di quel che diceva, trasudava felicità da tutti i pori e l’avere lei come mentore, la rendeva ancora più entusiasta: la sua ipotesi era perfettamente plausibile, seppur la versione dei due libri fosse diversa su alcuni punti, ma, sicuramente, non l’unica: poteva darsi che l’isola menzionata non fosse Endora e che lo spirito della terra, protetto dalle Epigee, non fosse specificatamente l’albero chiamato Imperior. Anzi, poteva addirittura non trattarsi di un albero, ma anche lei era portata a pensare che il tesoro delle ninfe fosse qualcosa di strettamente collegato alla terra. Era difficile affermare quale potesse essere la verità: di questa ce ne era una sola, ma le ipotesi erano tante, una più disparata dell’altra.
 
“Tu pensa che grande cosa sarebbe poterlo vedere!” esclamò la bambina girando su sé stessa, con fare sognante “Potrei essere la prima esploratrice a scoprire da dove provengono i frutti del diavolo! Sarebbe magnifico!”
“I frutti del diavolo?” la donna si lasciò sfuggire una nota interrogativa dalla propria voce.
“Si, non lo sapevi? L’imperior è l’albero da cui provengono i frutti del diavolo, è lui che li fa nascere”, rivelò lei, senza accorgersi di aver paragonato l’oggetto in questione a una professione umana.

Una simile rivelazione lasciò interdetta l’archeologa, sorpresa per quel particolare tanto importante. Il fatto che l’Imperior potesse essere l’albero che generava i frutti del diavolo, era una notizia che meritava di essere studiata e approfondita in tutte le sue angolazioni. Tra le molte lacune riguardanti quei frutti, la loro origine era forse uno dei punti più importanti di tutto l’argomento: si sapeva soltanto che venivano trovati in mare, nient’altro. Nessuno si era mai soffermato a pensare che questi potessero nascere come dei comuni frutti, il che aveva consentito a Shion di costruirsi una teoria tutta sua, incerta, ma avente una logica accreditabile. Orgogliosissima, la bambina dai capelli dorati le diede il suo libro, mostrandole tutto quel che c’era da sapere sui cosiddetti “Doni”, inizialmente simili a dei bitorzoluti e verdi bacelli: nel disegno appariva come puntini verdi piuttosto sbiaditi, dalla forma irregolare e grassa.
 
“Qui dice che, originariamente, i frutti del diavolo sono dei semplici semi e che, a seconda del tempo che necessitano, maturano e cambiano colore”,  narrò la più piccola, indicando le scritte presenti nella pagina successiva “Secondo l’esploratore che ha scritto questo libro, alcuni antichi li chiamavano “Doni” perché credevano che l’albero fosse un regalo della terra e che le Epigee fossero le sue guardiane, in quanto creature sensibili alla natura.”
“E dimmi un po’, come pensi che riescano i frutti del diavolo ad arrivare sulle altre isole, se Endora è così ben nascosta?” le domandò Nico Robin, appoggiando i gomiti sul tavolo, con quel suo bel sorriso incuriosito in vista.
“Canali marini”, rispose l’apprendista esploratrice, tutta raggiante “Secondo me, l’Imperior è nascosto in un grotta sotterranea, dove ci sono tutti questi passaggi collegati all’oceano. E’ un po’ come uno stagno, uno di quelli col salice piangente in mezzo alla pozza, proprio come si vede nel disegno”, cerco di spiegare “Quando il frutto è maturo, cade dal ramo e finisce in acqua, che lo trasporta in uno dei canali e lo fa andare nell’oceano. Come uno scompare, l’albero ne produce subito un altro. E’ così che funziona.”
 
Fra le pochissime certezze che si erano acquisite sui frutti del diavolo, c’era quella riguardante il loro strano ciclo vitale: se una persona in possesso di uno di questi periva, anche il suo potere scompariva nel nulla. E come quel particolare frutto del diavolo svaniva dal mondo, subito ne compariva un altro, identico, con gli stessi poteri, pronto a rimpiazzare il precedente. Nessuno aveva mai capito come ciò fosse possibile, ma una simile domanda non aveva mai interessato chi mirava soltanto a impossessarsi dei loro poteri: i Rogia erano i più ambiti per la devastazione che sapevano creare e per la questione dell’intangibilità, ma nessuno avrebbe mai sdegnato un Paramisha e uno Zoo-Zoo, se potente. Il loro ritrovamento erano una sorta di corsa dell’oro, dove non c’erano regole o giudici che sancissero dei limiti. Tutto era lecito. Se Nico Robin si fosse immersa pienamente in quell’argomento intricatissimo, non ne sarebbe uscita tanto presto: quando impegnava la sua mente a riflettere, le parole dei suoi compagni non riuscivano mai a raggiungerla, tanto si concentrava. La storia era il suo mondo e il scoprirne i segreti la sua passione, ma al momento era troppo presa dal sorridere davanti alla piccola Shion, nella cui testa stavano comparendo numerosi punti interrogativi. Subito, la piccola pensò che stesse ridendo di lei e delle sue supposizioni, e per questo, corrucciò le labbra e il nasino: eppure sembrava così interessata! Possibile che anche una celebre archeologa come Nico Robin, aperta a tutte le possibilità, considerasse Endora e le sue idee soltanto una sciocchezza?
 
“Tu non mi credi, vero?” brontolò piano.
“Non vedo perché dovrei farlo”, rispose lei, accarezzandole la testa “Trovo le tue supposizioni molto interessanti e realistiche. Hai lavorato esattamente come un bravo esploratore, non mi stupirei affatto se fossero vere al cento per cento.”
“Davvero?” Il modo in cui sgranò i tondi e brillanti occhi azzurri, intenerì ancor di più l’archeologa.
“Ma certo.”
“Evviva!” esultò tutta contenta, saltellando “Vedrai, un giorno dimostrerò a tutti che esiste! Diventerò la più grande esploratrice del mondo e gliela farò vedere a tutti, anche a quel brutto antipatico baffone occhialuto!” affermò coi pugni stretti, pregustandosi la faccia shoccata del suo professore.
 
Non le importava se ci avrebbe impiegato tutta la vita: avrebbe raggiunto la meta, costi quel che costi. Non avrebbe guardato in faccia a nessuno, sarebbe andata avanti a costruirsi la propria strada come stava facendo adesso. Già sognava di poter indossare il bel caschetto che teneva appoggiato sulla sua scrivania e di partire alla volta di misteri e terre da scoprire, ma il rumore proveniente dal suo stomaco placò tale fantasia in un sol colpo. Era scattata l’ora dello spuntino mattutino e il suo pancino lo stava reclamando ad alta voce, con tanto di borbottii. Bloccatasi con le braccia all’aria, Shion arrossì vistosamente: l’adrenalina che le scorreva nelle vene, accompagnata da tutte quelle emozioni eccitanti, aveva occultato ogni altro pensiero o bisogno, lasciando che tutta la sua concentrazione si focalizzasse sul suo nuovo idolo, ovvero Nico Robin. Con diverse goccioline a imperlarle la nuca, la piccola desiderò di poter tornare indietro nel tempo e bloccarsi prima che la sua pancia prendesse il comando. Non voleva fare cattiva figura con l’archeologa, la prima persona – oltre a Lars, Azu, e ai suoi genitori – ad averle creduto. Quella donna dall’aspetto enigmatico e gentile al tempo stesso, l’aveva colpita fin da subito, suscitando in lei un inarrestabile senso di adorazione. Sofisticata, bella, intelligente…..si, Nico Robin il genere di persona che le sarebbe piaciuto diventare un giorno. Non che non ammirasse Azu, ma l’ultima archeologa di Ohara vantava quella conoscenza storica che Shion tanto amava, conoscenza dentro cui sarebbe rimasta più che volentieri, se il suo stomaco non avesse cominciato a fare i capricci.
 
“Ah…..io…” tornata in possesso delle parole, la biondina si grattò la nuca senza guardare in faccia la nuova amica.
“Direi che è giunto il momento di fare un piccolo spuntino, che ne dici?” le domandò la più grande, chiudendo un libro.
“Si, ma non se Sanji………..”
“ROBIN-CHWAN!!!”
 
Con ancora il dubbio in mano, la bambina si fermò nuovamente, piuttosto sorpresa di sentire quella voce. Avvolto nel suo Love Tornado, Sanji turbinò verso il tavolo dove era seduta la compagna, per poi fermarsi e inginocchiarsi davanti alla donna, porgendole un vassoio pieno dei suoi sandwich preferiti, accompagnati da una caraffa piena di succo d’arancia. La sua comparsa suscitò non poco stupore nella piccola, che inclinò la testa nel non comprendere gli strani sproloqui del ragazzo più grande. Ancora non le era chiaro come mai il cuoco si comportasse a quel modo solo con le ragazze: con i maschi era severo e fermo, con lei gentile, ma con Azu, Nami e Nico Robin, sembrava perdere completamente la ragione.
 
Magari ha qualche malattia strana, aveva pensato una volta.
 
Per quanto ci avesse rimuginato sopra, non era stata capace di giungere ad alcuna conclusione. Così, non potendo far uso delle sue sole forze, aveva chiesto ai suoi nuovi amici il perché il biondo avesse simili attacchi ogni volta che vedeva una ragazza. Con sua grande sorpresa, aveva ricevuto la risposta dalla persona con cui più Sanji si accapigliava: Zoro. Lui era un tipo molto taciturno, intrigante – come l’aveva definito Azu -, che passava la maggior parte del tempo ad allenarsi e a dormire. Cosa significasse “Intrigante” poi, proprio non lo sapeva…….
 
Comunque, fatto stava che quando gli aveva domandato che tipo di malattia fosse affetto Sanji, lo spadaccino le aveva dato una risposta molto concisa.
 
“Rincretinismo acuto”, le aveva detto, con l’asciugamano sulle spalle “Uno senza speranze, in pratica.”
“Quindi è tanto grave?” gli aveva chiesto lei, un po’ preoccupata.
“Fra qualche anno lo potrai constatare coi tuoi stessi occhi”, e così era terminata la loro prima conversazione.
 
Non era del tutto sicura che il Rincretinismo acuto fosse una malattia a tutti gli effetti, ma il vedere come Sanji si stesse sciogliendo davanti all’archeologa, spinse Shion a tener buona la risposta datale da Zoro. Sarebbe stato più facile, se qualcuno si fosse degnato di spiegarle l’argomento a dovere, ma la questione “Uomini”, per lei, era e doveva ancora rimanere una proibizione fino alla maggiore età, sebbene Azu, ogni tanto, dispensasse affermazioni e consigli che lei, secondo Lars, non doveva mai prendere troppo sul serio.

Addentando uno dei panini, rimase a osservare la scenetta senza aprir bocca, sforzandosi di tradurre le diverse parti di quelle filippiche mai sentite prima.
 
“Mia adorata, la luce del sole non può essere minimamente abbagliante quanto la tua bellezza!” esclamò il cuoco, con una mano sul cuore e l’altra rivolta al cielo “Per te, ho preparato questi panini colmi del mio amore, che spero tu accetterai con gioia!!”
 
Nico Robin sorrise gentilmente, afferrando quanto le veniva porto con molta eleganza.
 
“Sei gentilissimo, Sanji. Grazie.”
“Questo e altro per le mie dee!” ululò.
“Mi sa tanto che Zoro ha ragione”, mormorò Shion “Forse Sanji soffre veramente di Rincretinismo Acuto.”
 
Seppur fossero distanziati, le orecchie del cuoco, nel sentire pronunciare il suo nome e quello di Zoro messi insieme, si erano raddrizzate immediatamente. I cuoricini che gli svolazzavano intorno scoppiarono come tanti palloncini e, ancora prima che la piccina potesse capirci qualcosa, si ritrovò col cuoco inginocchiato davanti a lei. Aveva un’espressione seria, con la sigaretta accesa e gli occhi puntati su di lei. Quando poggiò le mani sulle sue esili spalle, Shion credette di averlo fatto arrabbiare con la sua supposizione: eppure non l’aveva detto con cattiveria e nemmeno ad alta voce, come aveva fatto a sentirla?
 
“Shion, voglio che tu, adesso, mi ascolti attentamente”, le disse.
“Ok…..” annuendo pianissimo, la bambina strinse le labbra.
 
Era la prima volta che lo vedeva così fermo. Il silenzio calato enfatizzò la situazione, caricandola di una tensione talmente incisiva, da renderla palpabilissima. Shion non sapeva che cosa aspettarsi dal cuoco, ma qualunque cosa lui dovesse dirle, doveva essere molto importante.
 
“Questo lo dico per il tuo bene”, riprese poi “In qualunque situazione, non devi mai, mai, mai, credere alle parole di Zoro.”
“Eh?” per la sorpresa, una grossa goccia comparve a lato della tempia sinistra della piccina.
“Fidati, so quel che dico”, continuò lui, serissimo “Forse hai pensato di trovare il lui un punto di riferimento, ma non è così: lui nemmeno sa cosa sia l’orientamento. Quel deficiente di un marimo non è un buon modello da prendere in considerazione, finiresti per ricevere solo una cattiva influenza.”
 
Shion era allibita. I suoi occhi si erano ridotti a due punti neri piccolissimi, puntellati da tantissime goccioline azzurre che pendevano dalla sua testa come degli orecchini; Sanji pareva aver indossato i panni di un padre che avvertiva la figlia sui pericoli che poteva correre se, sulla sua strada, incontrava un maniaco. Ovviamente, la mente di lei non era arrivata a concepire quel paragone, tant’era paralizzata, ma il cuoco era fermamente deciso a spiegarle che lui, un gentiluomo di classe, non poteva essere in alcuna maniera paragonato a quel buzzurro dalla testa verde. Una bambina così piccola e graziosa non doveva assolutamente ricevere l’influenza di quell’affettatore ambulante, e mentre lui parlava e parlava, Shion si ritrovò ad annuire meccanicamente, incapace di dire o fare altro, con la convinzione che assecondare Sanji fosse la scelta migliore.
 
“Ok, Sanji”, riuscì a dire dopo aver ascoltato il suo monologo “Farò attenzione a quel che mi dice Zoro.”
“Brava, piccolina”, sorrise lui, nel farle “Pat-Pat” sulla testolina “Su, prendi un altro…..NON CI PROVARE, RUFY!!!”
 
Con prontezza degna del suo nome, il cuoco scattò verso il tavolino e pestò la mano di Rufy, emersa da dietro i cespugli e i vasi di fiori che decoravano il ponte superiore, pronta a rubare lo spuntino di Nico Robin e quello riservato a Nami. Shion, accortasi solo in quel momento del braccio allungato, fece scorrere i propri occhi su quest’ultimo, scoprendo che il capitano era seduto sulla polena della Thousand Sunny. Gamba Nera lo aveva bloccato in tempo, ben conscio di quanto danno potesse fare la fame del capitano, se posta davanti a una qualunque forma di cibo commestibile o meno.
 
“Ma, Sanji, io ho fame!” urlò quest’ultimo, ma senza alzarsi dalla polena.
“Fatti tuoi! Questo non è per……..BROOK, CHE DIAVOLO FAI?!?!”
 
Distrattosi, il biondo non si era accorto che il Canterino era arrivato sul ponte e che, in tutta tranquillità, aveva preso la porzione riservata a Nami, con l’intenzione di portargliela.
 
“Yohohoho! Nami-san, le ho portato del succo e dei panini!” la chiamò lo scheletro, dopo aver bussato alla porta dello studio “Visto che c’è, non è che mi fareste vedere le sue….?”
“FERMO DOVE SEI, PERVERTITO DI UNO SCHELETRO! NAMI-SWAN E ROBIN-CHWAN LE SERVO SOLO ED ESCLUSIVAMENTE IO!!!!”
 
In un nanosecondo, Sanji fu addosso allo scheletro parlante, battibeccandoci come se volesse accopparlo a suon di calci.
Quest’ultimo era stato uno dei primi con cui Shion aveva legato, oltre a Rufy: fra tutte le stramberie che quel viaggio avrebbe potuto riservarle, uno scheletro con un afro voluminoso era l’ultima cosa o essere che fosse, che si sarebbe sognata di vedere. Sapeva correre sul pelo dell’acqua, infilarsi in angolini strettissimi e suonare ogni genere di strumenti, privilegiando moltissimo il violino e la chitarra con cui aveva conquistato i cuori di miliardi di fan. A quanto pareva, era un sorta di divo del soul, e gli abiti eccentrici che indossava, rappresentavano il suo nuovo e personalizzato look. Tuttavia, nonostante l’incredibilità delle sue doti, anche lo scheletro, ogni tanto, si comportava insolitamente, seppur non in maniera delirante come il compagno: alternava buone maniere ad atti indecenti, come rutti o pernacchie, il tutto unito da un’insensata fissazione per il voler vedere la biancheria delle ragazze. Azu lo aveva definito “Uno sporco maniaco ossuto”, ma anche lì, al posto di una risposta, era emerso un bel punto interrogativo , accompagnato da una calda raccomandazione, che la invitava a non stargli troppo vicino.
 
“Mi sa tanto che lui soffre di una forma diversa di Rincretinismo acuto”, mormorò nel mentre Nami usciva e sedava lui e Sanji con un doppio cazzotto incrociato.
 
Vedendo che la sua nuova insegnante si stava godendo piacevolmente la sua pausa e ricordandosi che Lars era stato costretto da Chopper a tornare a letto, per evitare che gli saltassero i punti, la bambina decise di scendere sul ponte di coperta, con tutta l’intenzione di farsi un bel giretto. Avrebbe chiesto ad Azu di giocare con lei, ma l’albina era immersa nella vasca da bagno - per via dell’allenamento fatto - e gli altri pirati erano tutti occupati a fare altro. Tutti tranne Rufy, ancora seduto sulla polena: fissava l’orizzonte col cappello calcato in testa e le gambe incrociate, senza muovere un solo muscolo.
 
Chissà cosa fa…
 
Le sembrava che nel suo semplice osservare l’orizzonte ci fosse qualcosa di più profondo: non sapeva bene spiegarselo, era solo una sensazione scaturita dal suo animo. Roteando su sé stessa, corse verso lo scivolo e si precipitò sul ponte di coperta a gran velocità, per poi salire le scale e camminare a quattro zampe sui pochi scalini che servivano per salire sulla polena. Come appoggiò la mano sull’ultimo scalino, i suoi occhi incontrarono la faccia di Rufy, sorridente come sempre.
 
“Oi, Shion!” la salutò lui.
“Ciao, Rufy”, disse lei di rimando, per poi porgergli i panini presi dal vassoio “Tieni, sono per te.”
“Davvero? Grazie! Avevo proprio fame!”
 
Per una persona che non conosceva Rufy, il fatto che questo avesse ancora fame, dopo essersi spazzolato quattro colazioni consecutive, con tanto di furtarelli ai danni dei propri compagni, era qualcosa di assolutamente inconcepibile. La voracità del ragazzo era insaziabile, un buco nero camuffato da comune stomaco. Beh, proprio comune non lo era, visto che questo era di gomma. In realtà, di comune, Rufy aveva pressa poco niente, il che lo rendeva quello che era: uno dei pirati più in vista della Rotta Maggiore, con una bella taglia di quattrocento milioni di Berry sulla testa. Suonava ridicolo, perché a vederlo, dava tutt’altra impressione: se in quel momento, un qualche viandante lo avesse visto ingozzarsi come un’incivile con un panino, di certo non avrebbe trovato il coraggio di dire che fosse un buon esempio educativo, ma Shion non era intenta a costruirsi un’opinione dettagliata del suo nuovo amico, non in quel frangente.

C’era qualcosa che aveva attirato la sua attenzione, qualcosa appartenente al fisico del suo nuovo amico e che difficilmente poteva sfuggire all’occhio umano, considerata la sua grandezza.
Sporgendo la testa poco più avanti, la bambina ampliò la propria visuale, indirizzandola laddove voleva: corrucciò le sopraciglia per quello che vide, percependo un lungo brivido percorrerle la schiena. I suoi occhi azzurri erano puntati sul torace scoperto di Rufy, segnato da una vistosa cicatrice a forma di “X”, che lo avvolgeva quasi del tutto. La pelle d’essa era scura e piena di pieghe, con sfumature carnose che davano la forte impressione che la ferita volesse mangiarsi anche le poche parti rimaste sane. Il far scorrere le sue pupille sui contorni d’essa, spinse la biondina ad indietreggiare appena, intimorita dalle emozioni che si stavano affollando nel suo piccolo cuoricino: non era la prima volta che vedeva delle cicatrici, lei stessa se ne era procurate alcune giocando, ma si era sempre trattato di tagli e lividi che sparivano con un cerotto e un bacetto. Il solco che invece Rufy si portava a presso, aveva scavato nel suo corpo con tutta l’intenzione di ucciderlo, ma senza riuscirci. Abbassando per qualche istante lo sguardo, Shion si raggomitolò interiormente su sé stessa, cercando di scacciare quel batticuore ansioso che stava tentando di farla agitare in tutti i modi: anche il suo papà aveva una brutta cicatrice, e questo pensiero pareva essere diventato il motore di tutta quella catena di emozioni inarrestabili. Lui non si mostrava mai sofferente davanti ai suoi occhi, però lei non era così cieca da non intuire che, comunque, quella ferita causava al genitore un fastidio piuttosto difficile da ignorare.
 
“Rufy…”
“Ghi?” bofonchiò lui, nel mentre ingeriva l’ultimo panino.
“Come……Come te la sei fatta quella?” domandò nel tornare a guardare la cicatrice.
 
Non era riuscita a trattenersi, non ce l’aveva proprio fatta a non domandarglielo. Era come se qualcuno avesse dato un grosso pizzicotto al suo io interiore, al fine di spingerla a dar voce alla sua curiosità.
 
“Questa?” e si indicò la ferita “Allenandomi con Rayleigh-san. Mi ha portato su un’isola piena di mostri incredibilmente forti. Li avessi visti, erano alti come montagne! C’era perfino un leone gigantesco e se non fosse stato per il vecchio, sicuramente sarebbe riuscito ad uccidermi, shishishi!” sghignazzò lui, nel grattarsi il naso.
 
Per qualche secondo, Shion credette di aver visto male: davvero Rufy stava ridendo del fatto di essere stato quasi squartato da una Bestia Infernale? Sbattette gli occhi più e più volte, ma nulla cambiò: era tutto vero, compreso quello strano menefreghismo di Rufy sulla propria incolumità.
 
“Ma, Rufy, tu……….aspetta! Hai detto Rayleigh? Vuoi dire il grande Silvers Rayleigh? Il braccio destro di Gol D. Roger?? Il Re Oscuro???”
“Si, lui”, annuì il ragazzo.

Oddio, non poteva crederci. Mancò poco che scivolasse giù dalle scale e che capitolasse vicino al timone, ma la fortuna volle che, al posto di cascare come un peso morto, si pietrificasse per l’emozione, con tanto di bocca ampiamente aperta. Non si premurò neppure di chiedere a Rufy se quel che le aveva appena detto fosse una bugia: il volto del ragazzo rasentava la sincerità fatta a persona e, francamente, egli non aveva ragione per mentirle. Inoltre,  semmai avesse provato a raggirarla, lei lo avrebbe capito subito, dato che il suo nuovo amico era completamente negato nel raccontare bugie. Forse, per Cappello di Paglia, quella persona non era così importante, visto che ci aveva passato due anni insieme, ma per il resto dell’umanità, Shion compresa, il nome di quella persona era facilmente ricollegabile a una figura straordinaria, quasi intoccabile. La Pirateria vantava nomi che erano divenuti addirittura leggenda, tanto erano conosciuti e temuti, e Silvers Rayleigh era uno di quelli. Il braccio destro di Gol D. Roger vantava una reputazione e un potere che gli avevano conferito il titolo di Re, esattamente come il suo capitano. Alcuni lo credevano morto, altri lo pensavano nascosto da qualche parte, ma fatto stava che una personalità di spicco come quella, aveva lasciato al suo passaggio una scia così indelebile, da rimanere impressa addirittura nel mare stesso.

“Non ci posso credere, tu hai incontrato Silvers Rayleigh!” esclamò la bambina, completamente esterrefatta “E com’è? Cosa ti ha insegnato? Dai, dimmelo, voglio saperlo!”
“Beh, è uno che picchia duro”, le rispose Rufy, massaggiandosi la nuca “Molla certi pugni….”
 
Come scordarsi delle salassate di Haki rifilategli…..
 
“Incredibile…”, mormorò Shion, con gli occhi colmi di stelline luccicanti.
 
Poi, come fosse appena cascata dalle nuvole, la mente della biondina tornò a proseguire su quel filo logico da cui era partita. Aveva iniziato a parlare con Rufy per una ragione precisa, una ragione che il mondo intero non conosceva e che lei, vista l’estrema vicinanza, poteva scoprire. Il seguire così appassionatamente il mondo della Pirateria l’aveva spinta a crearsi un piccolo quaderno pieno di articoli, foto e ritagli di giornale, riguardanti i pirati che più la affascinavano. La ciurma di Cappello di Paglia era uno delle sue preferite e lo scoprire che, per un motivo sconosciuto, questa fosse misteriosamente scomparsa dall’occhio del mondo intero, l’aveva alquanto spiazzata. Moriva dalla voglia di scoprire quanto i giornali non erano stati in grado di spiegare e se avesse sprecato quell’unica occasione concessale, sicuramente lo avrebbe rimpianto per tutta la vita.
 
“Senti, Rufy…” e si fece nuovamente avanti “Mi dici perché per due anni non ti sei fatto più vedere? Tu e i tuoi amici siete spariti all’improvviso….”
“Te l’ho detto: per allenarmi, e ho detto la stessa cosa ai miei amici”, le rispose tranquillamente.
“Si, ma perché?” insistette “Perché siete spariti di punto in bianco?”
“Non è che siamo spariti, ci siamo solo momentaneamente ritirati”, le spiegò “Ho deciso che ci saremmo rincontrati più in avanti quando sono riuscito a salvare Ace.”
“Ace?” a quella risposta, la bambina batté nuovamente le palpebre “Cioè….ah, si, ora ricordo! Il grande incidente di Impel Down! Ne parlavano tutti i giornali!........Ma com’è che c’eri anche tu?”
“Beh, Ace è mio fratello maggiore e non potevo certo lasciarlo solo!” esclamò l’amico.
 
Ancora una volta, la piccola credette di aver udito male.
 
“Tuo…….fratello………maggiore?” pronunciò lei a scatti.
“Certo. Shion, tutto bene? Hai una faccia….”
 
Il viso paffuto della bambina era sconvolto dall’incredulità, non sapeva più da che parte girarsi. A forza di ricevere notizie sconvolgenti, sconnesse fra di loro, la sua testolina stava iniziando a fondere e a breve, dalle sue orecchie sarebbe uscito del fumo. Pensieri e immagini avevano iniziato a vorticare pericolosamente, cercando di sovrapporsi a vicenda, come a voler stabilire un primato e lei, nonostante stesse cercando in tutti i modi di porre ordine a queste, si ritrovò miseramente schiacciata e confusa più di prima.
 
“Ah….io….credo di essermi persa”, rispose lei, con fare ancora più meccanico.
 
L’incidente di Impel Down era stato uno degli eventi più clamorosi che fossero mai stati registrati. Un vergognoso smacco che la Marina e il Governo Mondiale erano stati costretti a ingerire forzatamente davanti alla supremazia dell’uomo più vicino a conquistare il trono lasciato libero da Gol D. Roger: Barbabianca. In quell’occasione, il nome dell’imperatore era risuonato nei cieli come un coro di cannoniere nel pieno della battaglia, distruggendo l’impenetrabilità della prigione più orribile del mondo e rovesciando i progetti orditi contro di lui. Sfidarlo senza prima buttare giù uno straccio di strategia equivaleva andare incontro a una sorte poco dignitosa, ma la Marina, al fine di ottenere da lui la più completa attenzione, aveva sfruttato a suo vantaggio un’esca portata come merce di scambio: il comandante della sua seconda flotta, Portuguese D. Ace, detto Pugno di Fuoco. La sua esecuzione avrebbe dovuto tenersi nel cuore di Marineford, dove la giustizia avrebbe atteso a braccia aperte l’arrivo del più antico pilastro che ancora teneva aperta la vecchia era. Era stato tutto organizzato nei minimi dettagli e il mondo stesso ne sarebbe stato testimone, ma qualcosa aveva provveduto a cambiare drasticamente i fatti, ancor prima che si verificassero: Barbabianca non era un uomo che ignorava il guanto di sfida lanciato, e questo, i cinque Astri della Saggezza, lo sapevano perfettamente, ma, nonostante il forte attaccamento a questa consapevolezza, il Re dei Mari, ancora una volta, si era dimostrato a dir poco imprevedibile, puntando direttamente ad attaccare la prigione dentro cui era rinchiuso il figlio. Nessuno di loro aveva compreso per quale motivo il pirata avesse deciso di cambiar rotta, così come nessuno aveva compreso come Monkey D. Rufy fosse riuscito a penetrare in quella fortezza a spirale, senza essere visto dal plotone di guardia messo fuori Impel Down.
 
Shion conosceva bene la vicenda, perché suo padre era stato uno dei diplomatici che avevano partecipato alle numerose assemblee tenutesi dopo il disastro; ricordava che era stato via per tre settimane abbondanti, senza avere la possibilità di sentirlo tutti i giorni.
 
In quell’occasione, non si era cercato solamente di ricostruire una prigione, ma di attutire il colpo inflitto e di ridurre la vergogna e il fallimento quanto bastava, perché la gente non sollevasse un polverone: l’immagine della Marina era stata deturpata, la stabilità del Governo Mondiale messa a dura prova, e tutto per colpa di alcuni pirati che avevano contribuito alla distruzione interna di Impel Down. Nell’ascoltare la versione di Rufy, raccontata con parole sintetiche e gesti manuali, Shion venne a conoscenza di quella parte di verità su cui da tantissimo tempo fantasticava: non si sarebbe mai aspettata che Orso Bartholomew avesse diviso la sua ciurma e che li avesse spediti su isole differenti.  E dire che sembrava una brava persona: quand’era andata col suo papà al Quartier Generale, per una breve visita, quell’enorme omone le aveva fatto compagnia, anche se non aveva spiccicato parola per tutto il tempo. Fatto stava che, col suo intervento, Rufy era finito su un’isola abitata da sole donne e che lì, avesse appreso che suo fratello stava per essere giustiziato.
 
“Scusa, Rufy, ma io continuo a non capire”, lo interruppe a un certo punto “Sei riuscito a entrare a Impel Down senza farti vedere e salvare tuo fratello. Perché non sei andato subito a cercare i tuoi compagni? Forte come sei, avresti potuto farlo benissimo!”
 
Quello era il nodo della questione che lei voleva afferrare e districare, ma, nella sua ingenuità di bambina, Shion non poteva conoscere il reale valore della sua domanda, ragione per la quale, non riuscì a comprendere l’espressione appena comparsa sul volto dell’amico: sorrideva, ma non con così tanta enfasi come le volte precedenti.
 
“Lo pensavo, ma non lo ero” le rispose “Non abbastanza da farcela da solo.”
“Uh?
 
Quei cinque secondi di silenzio vennero accompagnati da uno sbuffo ventoso, che si disperse nell’orizzonte.
 
“Non ho saputo proteggere i miei amici quando ne avevano bisogno….”, cominciò lui, sistemandosi il cappello di paglia con una sola mano “Ne ho salvato Ace da solo. Sono stato aiutato.”
“Ma ci sei comunque riuscito”, replicò la bambina.
“Si, ma non come volevo io.”
 
Dischiudendo le labbra, Shion rimase nuovamente incerta davanti alle parole di Rufy, i cui occhi erano momentaneamente occultati dal cappello. Non riusciva a cogliere il significato profondo delle affermazioni dell’amico, ma ne intuiva comunque la presenza, poiché il ragazzo stesso pareva essersi appena gettato in una sorta di buco nero pieno di ricordi e vicende passate. Lottando e continuando a resistere contro attacchi che erano stati capaci di piegarlo, era riuscito a salvare quella promessa fatta con suo fratello tempo addietro. Era caduto, aveva sputato sangue e inalato polvere, arrivando anche a portare il suo fisico a una condizione estrema, ma non aveva mai mollato, e tutto perché lui stesso non avrebbe potuto accettare di perdere una persona preziosa come Ace. Tuttavia, sebbene fosse riuscito nel suo intento, quella vittoria non era stata completamente sua: i compagni di Ace e il suo capitano erano intervenuti per aiutarlo e la loro presenza sul posto non aveva avuto bisogno di spiegazioni. Lo ammetteva: senza il loro aiuto, forse lui e il suo fratellone, non ce l’avrebbero mai fatta a uscire, ma non era quello che l’aveva impensierito per diversi giorni. Per quanta forza mostrata, per quanta grinta egli avesse utilizzato per ribadire la sua resistenza, ogni suo sforzo era stato annientato da una presenza che era entrata e uscita in scena senza neppure prendere parte attivamente al combattimento, lasciando che il suo passaggio venisse ugualmente notato da tutti quanti.
 
Portava lo stesso nome del bastardo che aveva sconfitto Ace, era colui che aveva gridato senza alcuna paura che i sogni, per quanto creduti folli o futili, non sarebbero mai svaniti.
Quella volta, Barbanera gli aveva dimostrato che, per quanta impulsività e rabbia potesse tirare fuori, niente di quanto aveva in mano sarebbe stato abbastanza potente da non essere respinto e ingoiato dalla sua oscurità. Col suo potere, lo aveva reso vulnerabile a quei colpi che solitamente non sentiva, sbattendolo a terra con vigore e mostrandogli un’impotenza mai percepita sulla propria pelle.
In quel momento, ricordando i volti terrorizzati dei suoi amici, Rufy aveva realizzato che la sua forza non era sufficientemente grande, che ne lui ne i suoi compagni erano pronti per andare avanti. Aveva affondato le unghie nei pantaloni quando aveva deciso la sorte del proprio equipaggio, ma non aveva potuto fare altrimenti e il Re Oscuro, trovandoselo sul ciglio della porta di casa, era già pronto a portarlo sull’isola di Rusukaina, al fine di addestrarlo a dovere sulle sue potenzialità ancora latenti.
 
Era stato un lavoro duro, più del dover imparare a controllare la propria elasticità, ma dopo il tempo pattuito, era potuto tornare nuovamente a rincorrere il suo sogno insieme a tutti gli altri, e questa volta, nessuno lo avrebbe fermato.
 
“Ci ho messo un po’ a capire come funziona l’Haki, ma devo dire che è utilissimo. Pensa un po’, io nemmeno sapevo che esistesse e che l’avessi!” ridacchiò lui.
 
Tralasciando il fatto che non sapesse cosa fosse l’Haki, Shion rimase comunque molto colpita da quanto il suo nuovo amico aveva dovuto sopportare, tanto che gli occhi le si inumidirono e dovette mordersi il labbro inferiore per trattenere un singhiozzo. Aveva rischiato di perdere suo fratello dopo che era stato separato dai suoi compagni e aveva scelto di non andare a cercarli per allenarsi e diventare più forte. Fosse stata al suo posto, non sarebbe mai stata capace di una simile decisione.
 
“Non sapevo che avessi dovuto affrontare tutte queste cose….”, mormorò lei, un po’ rammaricata per la propria insistenza “Però sono contenta che tuo fratello stia bene e che tu sia di nuovo con i tuoi amici”, aggiunse poi con più allegria.
“Shishishi, anch’io! Sono sicuro che lo incontrerò di nuovo, vuole rendere il suo capitano il Re dei Pirati!”
“Ed è quello che vuoi essere tu, vero? Tu vuoi diventare il Re dei Pirati, giusto?”
“Certo, è il mio sogno! Tu invece vuoi essere una escora….no, esploca…..”
“Esploratrice!” ridacchiò la bambina “Quando sarò un po’ più grande, partirò per cercare la mitica isola di Endora e la troverò! Vedrai, dimostrerò la sua esistenza a tutti quanti: ad Azu-chan, a Lars, al papà, alla mam…………………LA MAMMA!!!!!!!”
 
Il suo urlo fece volare via un gabbiano comodamente appollaiato sull’albero maestro. Così presa ed eccitata per tutto quello che le era accaduto, si era dimenticata dell’unica cosa veramente importante, a cui non poteva mancare di rispondere: la chiamata giornaliera a sua madre. Almeno una volta al giorno, la doveva chiamare, per farle sentire la sua voce, ma il destino aveva voluto che nella sua mente passasse tutt’altro. Se ne era completamente dimenticata e il realizzarlo, la fece ruzzolare giù dalle scale, nel mentre si gettava malamente sulla sua borsettina a tracolla, dentro cui teneva alcuni suoi effetti personali.
 
“Scusa, Rufy, devo fare un cosa! Ci vediamo dopo!!” gli urlò lei, nel mentre le teste di alcuni componenti della ciurma, compresa una Azu con indosso soltanto un asciugamano, la seguivano con lo sguardo.
  
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