Ed ecco il seguito, come avevo previsto la storia si chiude qui. Ho scriutto questo capitolo in modo da "illuminare" la trama della storia e renderla più ricca di particolari, visto che mi avete fatto capire che l'idea non è proprio da buttar via :)
Ringrazio qui, ufficialmente, le persone che hanno recensito quello che,ora, è diventato il prologo e spero lo rifacciano con questo capitolo/epilogo.
Buone lettura, e... fatemi sapere che ne pensate^^
Grimmulad Place, ex quartiere segreto dell’Ordine della
Fenice, alla caduta del Lato Oscuro, era invaso da suoni allegri e festivi.
Tutto l’Ordine, assieme ad altri Auror del Ministero ed il Ministro della Magia
in persona, festeggiava la vittoria nel luogo in cui i piani d’attacco, le
strategie e le informazioni erano state elaborate, analizzate e rese
infallibili.
Era quella una più che rispettabile dimora e diversamente non poteva essere,
dato che, era stata una delle case facenti parte del patrimonio dei Black. Una
di quelle case che erano abituate ad aprire le porte, a ricevimenti di alta
nobiltà, almeno una volta al mese.
Il vociare della gente, le risate, il tintinnio più o meno forte dei bicchieri
eleganti che si urtavano mentre venivano innalzati al cielo, tutto giungeva
alle sue orecchie, in quella camera isolata, ovattato e confuso.
Aveva sigillato la porta con un incantesimo. Nulla che un buon Alohamora non
avrebbe potuto infrangere, ma l’aveva fatto giusto così, per rendere più
scocciante e puntigliosa l’operazione di raggiungerlo a chiunque avesse avuto
l’idea di andarlo a disturbare.
Seduto su di una antica e pregiata sedia a dondolo Draco, il capo chino
all’indietro, le braccia abbandonate lungo i braccioli, le palpebre abbassate e
le labbra socchiuse, di tanto in tanto, facendo lievemente pressione sul
pavimento e poi lasciandosi andare all’indietro, si dondolava. Era l’unica cosa
che, in quel momento, aveva la forza e la voglia di fare.
Fuori il sole picchiava forte, era pieno giorno, l’ora di pranzo da quanto
poteva sentire, ma nella sua stanza le spesse tende erano tirate. Solo
qualche raggio di sole riusciva a passare, andando così a formare solitarie
strisce luminose sui tappeti rossi.
Gli piaceva il buio, lo voleva. L’Oscurità, in tutte le sue forme, l’aveva
sempre attratto. Forse però, se non si fosse lasciato attrarre e sedurre, non
si sarebbe ritrovato in quella situazione.
Si rifiutava ancora di accettare la realtà. Scene, immagini, fatti a cui lui,
evidentemente, aveva preso parte gli scorrevano davanti agli occhi. Vedeva lui
stesso agire, parlare, puntare la bacchetta e si sentiva come uno spettatore
estraneo.
Cinque volti sconosciuti, trasfigurati dall’orrore e della paura, riempivano i
suoi “sogni”, torturavano la sua dormiveglia e rendevano in vivibile la sua
realtà. Due altri volti, due altre voci lo rendevano incapace di andare avanti
nei ricordi. Lo rendevano incapace di superare quel gradino che gli avrebbe
mostrato cosa era realmente successo. Perché davvero, non ricordava. Non ci
riusciva. I suoi ricordi si interrompevano…
Il braccio destro teso in avanti ad impugnare la bacchetta, con sicurezza.
Non un tremito, non un incertezza nei movimenti o negli occhi. L’altro braccio
disteso lungo il fianco, a contatto con la tunica nera. Lo sguardo fisso su
quelle due figure a terra, sfinite e malconce.
A lui l’onore di finire l lavoro. Così gli era stato detto, così Lui gli
aveva ordinato di fare, e così lui avrebbe fatto.
Una donna bionda, pallida più del solito, graffiata ed affaticata. Sua
madre.
“Draco, non…lo fare. Combatti l’Imperius. Ce la puoi fare…”
Aveva fatto un passo avanti, lasciandosi scivolare sopra quelle parole come
acqua. La donna aveva sussultato, addossandosi di più al muro e avvicinandosi
ancora all’uomo che le era accanto. Biondo anche lui, di un biondo chiarissimo.
Suo padre. Del sangue, sulle mani e sul viso, fuoriusciva da ferite non proprio
piacevoli alla vista. Poi la sua voce fioca, rassegnata, che non serbava però
nessun rancore.
“Lascia perdere Narcissa… non può, non ci riuscirei nemmeno io.”
Si avvicinò di un altro passo. Sentì le risatine dei Mangiamorte attorno a
lui, lo sguardo del suo Signore ghignante, aprì la bocca e…
Ed era qui che non aveva il coraggio di proseguire. La sua mente si chiudeva,
come due battenti di un grande portone che di colpo si chiudono e lasciano solo
il buio.
Non che non sapesse, in fondo, cosa stava per pronunciare. Non che non capisse,
in coscienza sua, cosa era accaduto dopo. Solo che… non lo ricordava. Non
voleva ricordare. Ogni volta serrava occhi e denti e, scuotendo la testa,
mandava via quel ricordo.
Era accaduto così anche quella volta. Aveva smesso di dondolare, portò il busto
in avanti, stringendo con le mani il legno liscio e pregiato dei braccioli, e
poi aveva scosso energicamente il capo sostituendo quel pensiero ad un
qualsiasi altro.
Un pensatoio, ecco di cosa aveva bisogno. Un pensatoio da sigillare e da non
aprire mai più una volta riempito.
Aveva diciassette anni da poco compiuti ed era probabilmente il giovane più
ricco del Mondo Magico. Stranamente però, quella notizia non lo toccava più di
tanto. Attirava poco la sua attenzione, come altrettanto poco lo facevano le
voci che iniziavano a circolare in giro. Aveva letto la Gazzetta del Profeta,
l’unico contatto con il mondo che gli era rimasto, e svariate teorie erano
state formulate sulla morte dei coniugi Malfoy. Alcuni sostenevano che lui non
era affatto sotto Imperius. Semplicemente, dicevano che era troppo simile a suo
padre e come si dice… tale padre tale figlio, il lupo perde il pelo ma non il
vizio.
Avrebbe anche avuto un’ udienza, se non sbagliava. Sì, Piton gliene aveva
parlato.
Sinceramente, non aveva idea di come sarebbe andata a finire quella storia,
però, per una volta in vita sua, poteva dire di essere nel giusto. Nessun
inganno, niente traffici loschi. Lui era una vittima e l’avrebbero dovuto
trattare come tale.
Se c‘era una cosa che non desiderava, era finire ad Azkaban. Era da quando
aveva sei anni che suo padre gli insegnava a come sfuggire a quel isola
dimenticata da Dio e, questa volta, si sarebbe solo dovuto affidare a quella
cosa chiamata Giustizia.
Prese a guardarsi intorno, ancora con gli occhi socchiusi. La Gazzetta del
Profeta era appoggiata su di un mobile pieno di polvere, messa in risalto da un
fastidioso raggio di sole. Del resto della stanza, immersa nel buio, poteva
vedere i mobili, uno specchio (da cui si teneva attentamente alla larga), un
letto e una piccola porticina che portava ad un bagno di servizio. Notò,
comunque, che l’edifico era stato abbandonato a sé stesso. Reso abitabile,
certo, ma niente a che vedere con lo splendore che doveva aver avuto in tempo.
Ma d'altronde, da quelle persone rozze che vi erano venute ad abitare o che si
erano prese l’incarico di “risistemare” l’abitazione, non ci si poteva
aspettare altro.
Grimmulad Place, quella era pur sempre una dimora Black. Non poteva sicuramente
dire di trovarsi a casa, ma…
Forse si era stancato di stare rinchiuso lì, anche se per sua scelta, ma di
certo non sarebbe mai sceso di sotto. Mai si sarebbe mischiato a quella
marmaglia tanto insulsa quanto felice.
Ancora sentiva quel fastidioso brusio provenire da sotto, quando avrebbero
smesso? Tra quanto avrebbe potuto ritornare ad ignorare che neanche a qualche
metro di distanza da lui, c’era gente che si godeva una nuova vita e che
sembrava avere una paralisi facciale, dato che non riusciva a tenere giù quei
maledetti angoli della bocca?
La serratura girò e con un lieve scatto la porta si aprì. Qualcuno entrò nella
stanza e per pochi secondi, il tempo di richiudere l’uscio, il chiacchiericcio
allegro delle persone al piano di sotto giunse più forte che mai.
Il ragazzo continuava a guardare dritto davanti a sé, non c’era bisogno di
voltarsi per sapere chi fosse entrato.
Sentì un basso sospiro.
“C’è bisogno di sigillare la stanza tutte le volte? Come vedi, non ottieni
nulla.”
La voce strascicata del suo ex professore di Pozioni (perché sempre così
l’avrebbe ricordato, non ostante l’ultimo anno, finalmente, avesse raggiunto la
tanto agognata cattedra di Difesa contro le Arti Oscure) lo raggiunse forte, chiara
e per niente clemente.
Draco non rispose, come molte volte in quei giorni.
“Ti volevo ricordare, dato che tu sembra essertene scordato, che mangiare è una
delle azioni necessarie per la sopravvivenza. Nonché, volevo farti
notare, che morire di fame è una tra le morti più lunghe e sofferenti che un
uomo potrebbe decidere di intraprendere.”
“Io, non ho fame.”
“Non la senti, la fame, ma il tuo corpo sì. Ti ho portato un po’ di cibo dal
piano di sotto, c’è troppo persino per loro. Cerca di non fargli fare la fine
di tutti gli altri vassoi che ti ho portato in questi due giorni.”
“Anche se stessi morendo di fame, non mangerei mai quel cibo. Dallo a
chi ha qualcosa da festeggiare, non sono d’umore giusto per mangiare la Torta
della Vittoria, è così che si chiama, no?” la sua voce era bassa ma chiara. Il
suo sguardo era perso nel vuoto. Guardava qualcosa di indefinito e solo un
attimo aveva spostato gli occhi su quel cibo. Giusto il tempo di riconoscere
quello che era il Menù, di solito usato nelle grandi famiglie, in onore di un
grande evento da festeggiare. Erano tutti cibi squisiti con un significato
particolare, perché legato ad una qualche tradizione. Doveva esserci un esperto
dietro all’organizzazione di quella festa.
Piton sbuffo di nuovo lanciando uno sguardo al vassoio da lui portato.
“E’ comunque cibo. Non posso stare dietro alle frivolezze a cui voi amate tanto
andare dietro… Non sapevo ci sarebbe stata una festa.”
Si stava scusando, forse? La voce annoiata a distaccata direbbe il contrario,
ma allora perché precisare una cosa tanto inutile?
Si stava scusando per averlo portato lì, senza un consenso, senza aver posto
una domanda, essendo sicuro che ancora non era il caso di abbandonarlo nella
sua casa, a Malfoy Manor, troppo grande per sole tre persone figurarsi per una,
vuota?
Si stava quindi scusando per avergli fatto passare due giorni in solitudine,
perché due soli giorni erano passati dalla grande vittoria di Harry Potter, in
una casa stracolma di allegria dove si stava addirittura, in quel momento,
consumando una festa?
Forse sì, ma comunque doveva ringraziarlo. L’aveva capito più di tutti, perché
lui non voleva davvero vedere Malfoy Manor.
In quei giorni se ne era stato sempre buono, cercando di essere ignorato
da tutti. Non aveva lasciato un secondo la camera chi gli era stata assegnata e
non aveva mai parlato di quello che era successo, ma ora non poteva più
esimersi dal fare una domanda che l’aveva torturato in quelle ore, almeno
quanto quei volti e quelle voci.
Piton stava per uscire, aveva già la mano sulla porta quando la sua voce lo
trattenne.
“Perché non mi avete fermato?”
Solo il silenzio come risposta.
“Perché? Lo sapevate. Tu lo sapevi che ero sotto Imperius e
probabilmente sapevi anche che cosa Lui aveva in mente, allora perché?”
Ora c’era anche rabbia nella sua voce, quel rancore che piano a piano si faceva
sempre più vivo. Quel rancore che era solo il tentativo di dare la colpa a
qualcuno, di puntare un dito e di scaricare così la propria rabbia. Contro
tutti e contro sé stesso.
Piton si era voltato e ora lo guardava negli occhi. Anche Draco lo guardava, si
era alzato in piedi e lo sfidava rispondere.
“C’era un disegno preciso, un piano organizzato dall’Ordine nei minimi
particolari. Un lavoro costato mesi e mesi di ricerche e di rischi. Noi, non lo
avevamo previsto.
Mi ero messo d’accordo con tua madre, avrei dovuto allontanarti da Lui… ma ci
ha preceduto.
Non potevamo fare passi falsi, eri ben protetto e sorvegliato. Quasi sempre al
Suo fianco e negli attacchi intervenivi solo alla fine, per dare il colpo di
grazia. Se c’era pericolo, se gli Auror erano in giro, il Signore Oscuro non ti
mandava in missione. Io non potevo fare niente, avevo le mani legate. Salvare
te sarebbe stato come gridare al mondo che ero una spia.
Non avevo idea che al tuo rifiuto di uccidere, Lui ti avrebbe imposto di farlo
con una maledizione. Pensavo piuttosto che ti avrebbe voluto morto, così
avrebbe avuto la sua vendetta sui fallimenti di tuo padre. Era questa la sua
intenzione fin dall’inizio, ne abbiamo già parlato. Ma mi sbagliavo. Sarebbe
stato troppo banale e “indolore” questo tipo di vendetta da parte dell’Oscuro.
Agendo come ha fatto, ha trovato il modo di vendicarsi su Lucius e di eliminare
una presenza scomoda come quella che si stava rivelando essere tua madre, più
preoccupata di proteggerti che di assolvere i suoi doveri. Il Signore Oscuro
temeva un tradimento da parte di Narcissa e forse non sbagliava, tua madre per
te l’avrebbe fatto. In più, così facendo, puniva anche te. Ingegnoso, no?”
“Non potevamo aspettarci altro… dal Grande Signore Oscuro.”
Stringeva i pugni violentemente, aveva serrato la mascella e fissava
insistentemente una tenda da dove trapelava un po’ della calda luce solare.
Piton gli parlava in una maniera così naturale e disinvolta dei suoi genitori,
che quasi iniziava ad odiare quella sua freddura e quella naturale perfidia che
accompagnava sempre le sue parole.
“Ma non credere, Draco, che mi sia piaciuto vederti sotto l’Imperius e fare
quello che so non avresti mai voluto fare…”
“Tsk… per favore ora non parlare come Silente. E’ morto finalmente, non c’è
bisogno di un sostituto.”
L’oscurità della camera tirava davvero brutti scherzi, perché alla sua
reazione, alla sua risposta irrispettosa, gli era sembrato di vedere spuntare un
sorriso su quella pallida faccia, tra i lunghi capelli untuosi. Un sorriso
soddisfatto e diabolico.
“Silente è morto, hai ragione. Tutto da lì ha avuto inizio…”
“Hai deciso di prendere a turno le parti di ogni insegnante di Hogwarts, che
cos’è la Cooman questa?”
Un verso sommesso, che doveva essere la sua risata, gli fece capire che la cosa
più che infastidirlo lo divertiva. Si divertiva, lui!
“Vedo che per lo meno ti è rimasto il senso dell’umorismo, o forse dovrei
chiamarla sfacciataggine…”
“Fa come vuoi. Ora potresti lasciarmi solo, per favore?”
In realtà con quella richiesta, lui, non aveva intenzione di chiedere nulla. Il
“per favore”, la sfumatura interrogativa nella sua voce, erano tutte cose fatte
per forma. Evidentemente però, il suo interlocutore non era dello stesso
avviso.
“No. Non ho finito.”
Roteò gli occhi all’in su e si ributtò sulla sedia.
“Di sotto, è stata davvero organizzata una bella festa…”
A sentire quelle parole Draco corrugò la fronte e poi strinse gli occhi. Non
poteva credere che gli stesse davvero dicendo quelle cose, che gli stesse
dicendo che…
“Secondo te, cosa me ne può importate di quella stramaledetta festa? A me, ora,
dopo tutto quello che è successo!”
Non aveva gridato, anzi, ma era sicuro che tutta l’incredulità e il disgusto
che provava, erano state recepite più che bene tramite il suo sussurro.
“Perché, cosa è successo?”
Sgranò gli occhi, con uno scatto si alzò dalla sedia e fece un passo in avanti.
Come “Cosa è successo?!”, lo stava prendendo in giro?
Strinse ancora una volta i pugni mentre sentiva una rabbia incredibile, che mai
aveva provato verso il suo insegnante, crescergli dentro.
“Cosa vuoi dire? Lo sai benissimo cosa è successo…”
“Evidentemente no. Dimmelo tu, Draco.”
“Mi stai infastidendo, ora… ora vattene.”
“Perché non rispondi?”
“Si può sapere cosa vuoi?!”
“Non mi stai rispondendo.”
Piton aveva fatto qualche passo avanti. Ora erano molto vicini e fu Draco ad
allontanarsi, avvicinandosi ad una finestra dalla tenda tirata.
“Cosa è successo, Draco?”
Un gemito di impazienza mista a disperazione anticipò la risposta tanto attesa.
“Ho ucciso i miei genitori, ecco cosa è successo! Contento ora? Te ne eri
scordato, per caso?”
“No. Non è questa la risposta.”
“Senti…” parlava tra i denti e vibrava di rabbia.
“Tu non hai ucciso Lucius e Narcissa.”
Ora Draco lo guardava senza dire una parola, basito, sconcertato.
“Ma che stai dicendo…?”
“La verità, voglio farti aprire gli occhi. Voglio che tu capisca bene che è
stato Lord Voldemort ad uccidere i tuoi genitori, non tu.”
Draco scosse la testa ed abbassò gli occhi.
“Io… io avrei dovuto combatterlo. Avrei dovuto liberarmi della maledizione…”
“Con tutto il rispetto per le tue doti magiche… quella era una Imperius
lanciata dal Signore Oscuro in persona… e tu hai solo diciassette anni” l’ombra
di un sorriso incurvò le labbra del temibile professore.
“No, non è così. Malocchio, o chi chiunque fosse, ci aveva insegnato come
fare.”
“Non cercare di darti la colpa, Draco. Non ne hai.”
Quella era una cosa che gli aveva già detto. Erano state tra le prime parole
che gli disse quel giorno. Come fosse una certezza che voleva mettere davanti a
tutto.
Era ancora piegato sui corpi dei suoi genitori. Piangeva e ripeteva in
continuazione la stessa cantilena.
“Mi dispiace… mi dispiace... ”
Una lieve pressione sulla sua spalla e poi la voce bassa, strascicata e
conosciuta.
“Draco…”
“Perdonatemi…”
“Draco…non è tua la colpa.”
“Mi dispiace…”
La stretta della mano pallida sulla sua spalla si faceva sempre più forte e
lo tirava indietro. Lo voleva portare via.
“Draco andiamo…”
Quella voce che gli parlava, era come fosse lontana chilometri e chilometri.
Capiva solo che voleva allontanarlo e lui non voleva. Restava fermo a terra,
continuava a piangere, a sussurrare quelle parole e a scuotere la testa.
“L’Imperius sembra la Maledizione meno pericolosa, la meno dannosa… Anch’io,
quando mi parlavano delle Maledizioni Senza Perdono, collegavo sempre quelle
tre parole alla Avada Kedavra o alla Cruciatus, poi, solo dopo, veniva
l’Imperius. Invece…”
“Invece, proprio quella Maledizione che veniva sempre lasciata per ultima, ti
ha distrutto la vita. Benché questa, tra le tre Maledizioni, sia la più facile
da imparare e dominare, l’Imperius è quella che annienta più di tutte una
persona. Mi puoi capire, credo. Hai provato sulla tua stessa pelle cosa
significa essere soggetto a tale potere oscuro.
L’ Imperius azzera completamente il volere di una persona, la rende un
burattino estremamente docile da domare ed è in fine molto utile. Sicuramente
più di tutte le altre. Concordi, Draco?”
Annuì lentamente.
“Ti manca la barba…”
“Prego?”
“Ti manca la lunga barba è poi sei perfetto. Ti avviso però che hai saltato la
McGranitt e Vitious… anche se le caratteristiche soporifere le hai già… e poi
non ti scordare di Ruf e… ”
Un lieve e infastidito sbuffare lo interruppe e sentì a seguire un rumore, uno
strisciare fulmineo, come… come un tirare di tende. La luce chiara e intensa
del sole invase la stanza e i suoi occhi, si portò il braccio destro a coprire
il volto e assunse un’espressione infastidita.
“Chiudi! Ma che fai?!”
Assieme alla luce, una fresca arietta gli accarezzò la pelle. L’aria leggera ed
estiva.
“Fa entrare un po’ d’aria fresca e di luce… ogni tanto ci vuole.”
Piano a piano si abituò al nuovo ambiente illuminato e abbassò il braccio, poi,
delle grida festose giunsero da sotto.
“All’Ordine della Fenice e alla sua vittoria!”
Un forte tintinnio e l’esplosione di un applauso, annunciarono che si era
appena concluso l’ennesimo brindisi della giornata.
“Non hanno proprio nient'altro da fare? Al prossimo brindisi giuro che scendo
giù e faccio evanscere tutti i bicchieri.”
“Ti darei volentieri una mano, ma sono centinaia… e poi, dopo poco, farebbero
ricomparire gli altri. Sarebbe uno spreco d’energia inutile.
Lasciali fare, comunque. Lasciali illudere un altro po’. Vogliono credere che
la guerra sia finita… ma si sbagliano e in fondo lo sanno.”
Draco storse le labbra in una smorfia di costretta constatazione, sia per
quanto riguarda il progetto di far evanscere i bicchieri, sia per le sue ultime
parole.
Si era messo poi a guardare fuori dalla finestra, immerso nei suoi pensieri.
Sentì Piton dirigersi verso la porta e poi fermarsi un attimo prima di aprirla.
“Noto che ti sei ripreso bene, comunque.”
“Che vuoi dire?”
“Erano giorni che ti comportavi come fossi assente, sarebbe stato un problema
se avessi continuato così. Certe persone non si riprendono da shock così forti.
E’ servito spronarti, vedo.”
Ecco allora il perché di quello strano sorriso, non l’aveva immaginato.
Draco non rispose e, poco dopo, sentì la porta aprirsi e richiudersi.
Non passò in realtà molto tempo, forse solo pochi minuti, quando, dopo che
Piton se ne fu andato, sentì provenire da sotto altra grida. Erano però grida
diverse questa volta, non gioiose, non divertite. Erano impaurite e furiose e
molto, molto acute.
Subito tese l’orecchio per capire meglio cosa stesse succedendo, ma un rumore
di passi frettolosi catturò la sua attenzione. Chiunque fosse, si stava
avvicinando alla sua stanza e di fatti, la porta si spalancò.
“Draco! Vieni, dobbiamo andare via!”
Un Piton insolitamente trafelato e guardingo si affacciò all’entrata della
stanza con la bacchetta stretta in un pugno. Ora le voci erano più forti e
confuse.
“Che succede?”
“Stanno combattendo.”
Al esplicito gesto dell’uomo di velocizzarsi e seguirlo Draco obbedì e si
incamminò, alle spalle del suo professore, per il corridoio.
“Chi?! I Mangiamorte sono qui?”
“No, gli Auror.”
Scesero velocemente le scale, Piton parò uno Schiantesimo e si precipitarono
verso la porta spalancata.
“Scusa ma non capisco…”
Fece in tempo a guardarsi un attimo in torno e vide Malocchio Moody ruggire
qualcosa ad un Auror e puntare la bacchetta contro un altro. Il Ministro della
Magia era stato completamente accerchiato dal corpo di difesa personale che
l’avrebbe protetto. Riuscì anche a vedere Potter, affiancato dalla Granger e da
Weasley, con la bacchetta in pugno, che si guardava in torno spiazzato.
Non un mantello nero là in mezzo, non una maschera argentata.
Il suo professore respinse violentemente una maledizione, che Draco non riuscì
a riconoscere per la velocità alla quale era stata scagliata, rimandando
indietro un Pietrificus Totalus. Intanto avevano superato la porta.
Poi capì.
“Vuoi dire che…?”
Severus Piton annuì, ancora con la bacchetta spianta in avanti.
“Imperius.”