CAPITOLO
SEI
Ed
era arrivato anche Febbraio, portandosi dietro
piccoli raggi di sole che cercavano di irradiarsi dietro le nuvole
scure di
inverno, ma inutilmente visto che non bastavano per riscaldare e
sciogliere la
neve. E lì, nei parchi di Hogwarts, ce n’era
veramente tanta.
Ariel
camminava nei corridoi del piano terra,
infagottata con tanto di capotto e sciarpa rossa con lo stemma dei
Grifoni, per
dirigersi fuori e assistere alla partita di Quidditch tra Grifondoro e
Tassorosso; almeno questo l’avrebbe distratta un
po’. Le era sempre piaciuto il
Quidditch e amava moltissimo giocarci con i sui fratelli e i suoi
amici, si
divertivano sempre un mondo.
E
anche stavolta, come succedeva spesso da quando
era arrivata lì, una morsa di nostalgia le
attanagliò lo stomaco.
“Ehi,
ciao!” la salutò la voce di un ragazzo che
l’aveva appena affiancata. Era Harry, come
constatò lei voltando la testa, e
anche lui era piuttosto coperto per andare a vedere la partita.
“Vieni anche tu
a vedere la partita?”
“Certo!”
esclamò lei cercando di mostrarsi allegra.
“Ma tu non giochi? Non sei nella squadra?” gli
domandò poi impallidendo
all’improvviso per l’avventatezza della sua domanda
perché lui avrebbe potuto
accorgersi che lei in realtà non avrebbe dovuto sapere del
suo talento nel
Quidditch. Infatti le avevano sempre parlato delle sue doti in quello
sport e
di quanto fosse bravo sulla scopa e adesso si era stupita un
po’ per non averlo
visto con la divisa rosso oro insieme
ai
suoi compagni di
squadra.
Lui
però, per fortuna, non si accorse del fatto che
Ariel forse sapeva troppo e semplicemente le rispose rabbuiandosi un
po’:
“Infatti ci giocavo però, quando
all’ultima partita ho picchiato Malfoy dopo
che avevamo vinto, la Umbridge mi ha visto e mi ha proibito di giocare
ancora”.
Ariel
rimase piuttosto a bocca aperta; questa era
una cosa veramente perfida e subdola. Se a lei fosse stato impedito di
fare
qualcosa che amava avrebbe dato di matto. E come osava quella donna
cacciare
qualcuno dalla squadra di Quidditch che non c’entrava
assolutamente nulla con
questo, non era lei la capitana della squadra né tanto meno
la Capocasa dei
Grfìifondoro quindi non poteva deciderle lei le punizioni.
“E
come mai avevi picchiato Malfoy? Aveva detto che
avevate imbrogliato per aver vinto?” gli chiese poi
scherzosamente per
cercare di
sdramatizzare un po’ la
situazione.
Ma
non ci riuscì, anzi, sembrò quasi aggravare
ancora di più la situazione per la risposta lapidaria che le
diede il ragazzo.
“Ha offeso mia madre”.
Questa
volta Ariel rimase proprio senza parole,
intanto che avevano raggiunto il portone davanti alla Sala Grande.
Prima di
uscire però, Ariel gli sussurrò con tono dolce e
piuttosto dispiaciuto.
“Mi
dispiace”.
“Per
cosa? Mica l’hai offesa tu, allora non c’eri
neanche”.
Ariel
non riusciva a guardarlo negli occhi, non
sapeva perché, forse per paura di quello che avrebbe visto
in quei grandi pozzi
verdi, il che era strano visto che lei non aveva mai avuto paura di
niente. E
non sapeva nemmeno lei perché si stesse scusando visto che,
proprio come le
aveva detto lui, lei non aveva offeso sua madre. Però,
semplicemente le
sembrava l’unica cosa giusta da dire in quel momento.
“Andiamo
dai”. La esortò poi il ragazzo aprendo la
porta.
Quando
raggiunsero gli spalti, coperti e asciutti,
c’erano già tutti i loro amici, Ron, Hermione,
Seamus e Fred e George che
andavano in giro a fare scommesse. Inutile dire che loro puntavano sui
Grifoni,
ma poi si lamentavano con Harry del fatto che se ci fosse stato anche
lui in
quel campo avrebbero avuto la vittoria assicurata. Non che non si
fidassero
della loro sorella, che giocava da Cercatrice al posto del moro, e
delle sue
capacità ma, si sa, meglio puntare sempre sul sicuro.
La
partita finalmente iniziò e, dopo una stretta di
mano tra i due capitani, tutti i giocatori si levarono in aria sulle
loro scope
pronti a battere gli avversari. Dean stava al microfono per fare la
cronaca ma
naturalmente, siccome era di Grifondoro, si trovava spesso a incitare i
giocatori della sua Casa riservando loro pure qualche complimento,
così che la
McGranitt continuava a riprenderlo per essere un po’ meno di
parte, scatenando
le ilarità di tutti.
Harry,
Ron, Hermione, Seamus e Fred e George non
erano più seduti ma si erano alzati in piedi, come la
maggior parte degli spettatori
del resto, per tifare ancora meglio e urlare pure loro qualche
incitamento.
Pure Ariel si era lasciata trascinare dall’emozione e ora
anche lei faceva
fischi di giubilo per la sua Casa, così come aveva sempre
fatto con i suoi
amici quando giocavano i Grifondoro.
Dopo
la breve festicciola che c’era stata nella Sala
Comune Grifondoro per la vittoria della partita a Quidditch, Ariel si
trovò
seduta su una poltrona, a notte fonda, con le gambe incrociate e la sua
chitarra poggiata in grembo.
Fissava
un punto impreciso del pavimento della sala,
completamente persa nei suoi pensieri. Aveva notato solo poco fa che
c’era la
luna piena, se n’era completamente dimenticata e per questo
si sentiva un po’
dispiaciuta. Chissà cosa stavano facendo i suoi amici
adesso; anzi lo sapeva
benissimo che cosa stavano facendo e quindi, chissà se si
stavano divertendo.
Le
corde della chitarra non le aveva proprio
toccate, non ci riusciva, non ce la faceva. Ogni volta le venivano in
mente
brutti ricordi, episodi che voleva proprio cancellare dalla testa. E
doveva
sforzarsi parecchio per non piangere. Cosa che odiava.
“Ciao!”
sentì ad un tratto una voce salutarla, una
voce che riconobbe subito. Si voltò verso il ragazzo che era
appena sceso dalle
scale del suo dormitorio e gli sorrise dolcemente.
“Ciao”.
“Non
riesci a dormire?” le chiese Harry sedendosi
sul divanetto davanti a lei.
La
ragazza scosse la testa con aria abbattuta, senza
guardarlo negli occhi.
“Nemmeno
io”.
Calò
un attimo di silenzio tra i due, in cui
entrambi forse stavano cercando qualcosa di sensato da dirsi. Alla fine
fu
proprio Harry il primo a interromperlo.
“Sai
suonarla? La chitarra intendo”.
“In
realtà è da un po’ che non la
suono”.
“E
come mai? Scommetto che sei bravissima”.
Lei
gli fece un sorriso triste. “Beh me lo dicono
tutti però… beh, ho smesso di suonare e cantare
da quando è morto mio padre”.
Pure Ariel si stupì delle sue stesse parole, in genere non
era una che parlava
così facilmente dei suoi problemi o di quello che la
turbava, specialmente con
chi conosceva da poco. Ed era anche la prima volta che parlava della
morte di
suo padre così liberamente; pure la sua famiglia aveva
notato questo blocco, ma
non si era confidata nemmeno con loro e loro non avevano voluto
sforzarla.
Però
adesso… beh, Harry le dava una sensazione
strana, sentiva che a lui poteva dire tutto non solo perché
l’avrebbe
ascoltata, ma anche perché l’avrebbe capita.
“Secondo
me invece non dovresti”. Le disse lui ad un
tratto, con un tono molto dolce. “Lui sicuramente non
vorrebbe che tu smettessi
di suonare. Lui vorrebbe che continuassi a fare quello che ti piace
fare, a
maggior ragione adesso che è morto. Vorrebbe che tu fossi
felice”.
Ariel
fu piuttosto colpita dal suo discorso;
effettivamente non ci aveva pensato. Però…
“Ma
è difficile”. Si lamentò lei tenendo
sempre lo
sguardo basso.
“E’
tutto sempre difficile”. Concordò lui.
“Ma non
per questo dobbiamo mollare. Anzi, dobbiamo riuscire ad andare avanti
proprio
per le persone che ci hanno lasciato, che non sono più con
noi. Anch’io a volte
vorrei mollare tutto e andarmene lontano da qui senza preoccuparmi di
niente,
fregandomene di tutto, persino di Voldemort. Ma sarebbe una cosa da
vigliacchi”.
Pure
Harry era stupito di quello che aveva appena
detto. Non l’aveva mai confidato a nessuno questo pensiero,
nemmeno ai suoi
amici.
Ariel
ad un tratto puntò i suoi occhi grigi in
quelli verdi del ragazzo e i due colori sembrò quasi che si
stessero per
fondere insieme, come una cosa unica.
E
in entrambi gli sguardi c’era tristezza e
malinconia.
“Quindi
adesso prendi quella chitarra e ti rimetti a
suonare. E mi fai sentire una bella canzone”. La
incitò lui alla fine con un
sorriso… malandrino.
Sembrò
che ci fosse riuscito, dato che la ragazza
aveva impugnato la chitarra e si era preparata per suonare qualcosa;
infatti
aveva già fatto due accordi ma poi si era fermata. Lanciando
uno sguardo al
volto determinato di Harry, decise però di proseguire.
Maledizione,
era solo una canzone! Che cosa ci
poteva essere di tanto brutto o sbagliato nel suonarla?
I was riding
shotgun with my
hair undone
In the front seat of his car
He’s got a one-hand feel on the steering wheel
The other on my heart
I look around, turn the radio down
He says “baby is something wrong?”
I say “nothing I was just thinking how we don’t
have a song”
And he says
Sì,
rieccola, quella
sensazione che provava tutte le volte che suonava la sua chitarra e che
sentiva
la sua voce uscire dalle sue corde vocali. Quella sensazione che le
dava un po’
di brividi, ma anche emozione e adrenalina. Quando cantava si sentiva
più
forte, più potente, come se niente potesse abbatterla in
quel momento perché
era una cosa che le riusciva facile e bene e c’erano pochi
che la potevano
battere in questo.
Our song is the
slamming
screen doors,
Sneakin’ out late, tapping on your window
When we’re on the phone and you talk real slow
’cause it’s late and your mama don’t know
Our song is the way you laugh
The first date “man, I didn’t kiss her, and I
should have”
And when I got home before I said amen
Asking God if he could play it again.
Alzò
lo sguardo e puntò di
nuovo i suoi profondi occhi grigi in quelli del ragazzo che la stava
guardando
con un sorriso sghembo che sembrava dire: “Visto che ce
l’hai fatta? L’avevo
detto io”. E le pareva uno dei sorrisi più belli
che avesse mai visto, così
come i suoi occhi. E no, assolutamente non c’era niente che
adesso avrebbe
potuto buttarla giù perché stava
cantando… ed era con Harry.
I was walking
up the front
porch steps
after everything that day
Had gone all wrong and been trampled on
And lost and thrown away
Got to the hallway, well on my way to my lovin’ bed
I almost didn’t notice all the roses
And the note that said
In
quel momento c’erano
soltanto loro due, loro due e nessun altro, loro due e i loro occhi che
continuavano a
puntarsi. E i loro volti
sorridenti. Perché quella canzone faceva sorridere, era una
canzone allegra,
una canzone allegra che non pensava sarebbe riuscita a cantare ora come
ora.
Anzi, pensava che non sarebbe mai più riuscita a cantare
canzoni allegre. Ma quella canzone
la rispecchiava.
Our song is the
slamming
screen doors,
Sneakin’ out late, tapping on your window
When we’re on the phone and you talk real slow
’cause it’s late and your mama don’t know
Our song is the way you laugh
The first date “man, I didn’t kiss her, and I
should have”
And when I got home before I said amen
Asking God if he could play it again.
L’aveva
composta lei quella
canzone, poco tempo fa tra l’altro, quando aveva avuto la sua
prima cotta, una
cotta che adesso le sembrava ridicola e stupida. Però la
canzone le piaceva lo
stesso, perché rappresentava i momenti più
importanti della sua vita. Ogni
testo delle sue canzoni è collegato a qualcosa, a qualche
momento, a qualche
evento…
I’ve
heard every album,
listened to the radio
Waited for something to come along
That was as good as our song
Cause our song
is the slamming
screen doors,
Sneakin’ out late, tapping on your window
When we’re on the phone and he talks real slow
’cause it’s late and his mama don’t know
Our song is the way he laugh
The first date “man, I didn’t kiss her, and I
should have”
And when I got home before I said amen
Asking God if he could play it again
Play it again.
Ed
era stato un momento felice
quello, quando aveva composto quella canzone, il momento di un periodo
particolarmente felice e spensierato. Una felicità che
avrebbe tanto voluto
avere anche adesso, ma non ci riusciva.
Beh,
forse quello era un primo
passo. Aveva ripreso a suonare e… c’era Harry con
lei.
I was riding
shotgun with my
hair undone
In the front seat of his car
I grabbed a pen and an old napkin
And I wrote down our song.
“Wow!”
esclamò Harry quando la
ragazza ebbe finite di suonare. “E’ bellissima!
L’hai scritta tu?”
“Sì”.
“Beh,
hai un talento naturale.
E la voce… da chi l’hai ereditata?”
“Da
mia madre”. La ragazza fece un sorriso orgoglioso;
d’altronde sua madre era una
cantante famosa. Solo che questo faceva parte del grande segreto di
Ariel B… Martinez.
SPAZIO
PER MEEEEEE!!!
Ed
eccomi di nuovo qua a rompere i maroni :P ehehe, come vi va gente??
Siete
pronti per la magica e tenebrosa notte di Halloween?? Chiederete
dolcetti o
farete subito gli scherzetti?? Puahahahah!!!
Ok,
basta, cerchiamo di essere un po’ seri.
Allora,
che ve ne pare di questo capitolo?? Un po’ malinconico, vero?
Qui ho lasciato
altri indizi su chi potrebbe essere Ariel e su chi sono i suoi
genitori. Avete
capito?? E abbiamo anche scoperto il suo talento J
Sicuramente
avrete notato che un pezzo di questo capitolo è presente
anche nel Prologo
insieme alla canzone che si intitola Our Song di Taylor Swift. Siccome
adoro
questa cantante troverete molto spesso nelle mie storie alcune delle
sue
canzoni. Quindi se vi piacciono la musica country e le canzoni
d’amore andate a
sentirvela.
Bene,
adesso penso di potervi lasciare con la speranza di ricevere tanti
commenti…
Un
beso, Milly.
STEFANMN:
hmmm, non ti piace la coppia Harry/Ariel?? Come mai?? Spero ti sia
piaciuto
questo capitolo e un bacio, Milly.
PUFFOLA_LILY:
purtroppo nel mondo di Ariel sono successe tante cose brutte che
più avanti si
scopriranno. E sì, a quanto pare si è presa una
cotta per Harry. Eheh J
mi fa piacere però che ti stia antipatica la Chang
perché non la tratterò tanto
bene. un bacio, Milly