Capitolo 15
«Così
questa è la madre di Emile?!»
«Sì,
ha una bella voce, vero?»
Stè
aveva un’espressione concentrata mentre ascoltava i brani di
Claudine, ed era
evidente sul suo volto l’apprezzamento per quel modo di
cantare e per quella voce
così soave:
«È
molto dolce; non capisco nulla di ciò che dice, ma il suo
canto mi resta dentro.»
Avevo
chiesto a al mio amico di rendere più fruibili gli album di
Claudine: tutti i
dischi che mi aveva dato Emile erano dei vinile e in un’epoca
in cui il formato
mp3 è il metodo più usato per ascoltare musica,
era alquanto difficile
recuperare un giradischi per ascoltarli. Inoltre volevo portare quelle
canzoni
sempre con me nel mio lettore e con un vinile sarebbe stato decisamente
impossibile!
Testa
di Paglia ancora una volta fu la mia salvezza: aveva un giradischi e
soprattutto aveva la strumentazione necessaria a trasformare un brano
analogico
in uno digitale, così una sera arrivai a casa sua con il mio
tesoro e mentre
veniva operato il miracolo tecnologico, io e Stè
trascorremmo il tempo ad
ascoltare quei brani melodiosi che, seppur incomprensibili, lasciavano
ugualmente una sensazione di pace e dolcezza nell’animo.
«Sì,
è vero Testa di Paglia, lo trovo perfetto per ridare la pace
al cuore.» e Dio solo sa quanto ne
ho bisogno!
«Dovresti
farti tradurre i testi da Emile, almeno sapresti cosa dicono queste
canzoni.»
«Faccio
prima se mi metto a studiare francese, Stè!» Mi
ammutolii all’istante dopo aver
parlato: involontariamente mi
uscì una
battuta amara che esprimeva tutta la mia tristezza e il senso di
solitudine che
avevo dentro. Non volevo lamentarmi con lui, che aveva il cuore
spezzato dalla
morte di Simona. Mi sembrava del tutto indelicato lagnarmi di qualcosa
che ai
suoi occhi doveva essere come una situazione idilliaca: sicuramente
Stè avrebbe
dato l’anima al diavolo per potersi trovare nella mia
situazione, anziché
rimpiangere di non essere mai riuscito ad esternare i suoi sentimenti a
mia
sorella. Per questo motivo mi diedi della stupida non appena terminai
quella
frase infelice.
«Sento
puzza di problemi Testarossa… qualcosa non va col Bel Tenebroso?»
Stè mi fece quello che era il
fantasma del suo sorriso gioviale: quella frase in tempi normali
avrebbe avuto
un tono allegro e bonario, invece risultò essere acida quasi
quanto la mia: mi
sentii a disagio a parlargli di Emile, ma non volevo nemmeno ferirlo
nascondendogli ciò che mi stava a cuore.
«No
Stè… è tutto a posto… il
fatto è che Emile è impegnato e non
avrà di certo
tempo per mettersi a fare da interprete per me… E poi tutto
sommato, non mi
farebbe male imparare un’altra lingua! Ricordi la prof.
d’inglese cosa mi
diceva? “Isoardi tu hai stoffa, potresti imparare altre
cinque lingue straniere
con facilità.”» Imitai il tono di voce
basso e nasale della professoressa per
calarmi nel personaggio; sperai che nominare il nostro passato comune
distogliesse l’attenzione di Stè dal mio
presente…
«Testarossa,
sai bene quanto me che lo diceva per farti frequentare la sua scuola
privata!»
… e a quanto sembrava c’ero riuscita!
«Ma
non è vero! Sei solo invidioso della mia bravura!»
«Testarossa,
la Filangieri ha detto la stessa frase anche a me, non ricordi? E a
Patrizio, a
Marianna, a Corrado…»
il volto di Stè si
rasserenò tornando indietro nel tempo e fui davvero felice
di aver preso due
piccioni con una fava, sviando il discorso su Emile e dandogli modo di
risollevarsi l’animo.
«Sono
dettagli; la verità mio caro,
è che non
accetti che io sia più brava di te!»
«Tu
dici? Allora facciamo così: da domani iniziamo a studiare
francese e vediamo
chi dei due sarà più bravo!»
«D’accordo
Testa di Paglia, ci sto!» sigillammo il nostro patto
stringendoci i mignoli,
come facevamo sin da piccoli, quando frequentavamo le scuole medie e
ogni cosa
era un pretesto per sfidarci. La nostra
amicizia era nata facendo una gara dopo l’altra
e continuava ad esserci
tutt’ora una sana rivalità che dopo otto anni
tornava a sancire
il nostro legame.
*****
«Domani
iniziamo ad incidere i brani.»
«Davvero?!
Sono così contenta Emile!» e
magari
riusciremo a vederci, finalmente!
L’unico
modo che avevamo per tenerci in contatto erano quelle brevi telefonate
notturne, fatte sull’orlo della stanchezza traboccante di una
giornata intera,
quando lo stato di veglia è particolarmente vacillante e
comunicare risulta
arduo. Non erano mai chiamate soddisfacenti per me, che sarei rimasta
ore a
parlare con lui, ma cercavo
di accontentarmi
sapendo che in quel periodo non avevo altra scelta.
«Già…
dovrà essere tutto perfetto, non tollererò il
minimo errore da parte di
nessuno!»
Nonostante
la stanchezza, al solo parlare del suo futuro,
la voce Emile si fece tagliente e immaginai
l’espressione di gelida
determinazione del suo viso, riflessa in quel tono che
d’improvviso m’intimidì.
«A…allora
sarai più libero nei prossimi giorni…»
Quando
lo sentivo così freddo e determinato, percepivo maggiormente
la distanza tra di
noi, al punto da sembrarmi quasi un estraneo…
«Ancora
no, proprio ora dovremo continuare a provare i brani prima di
inciderli, questa
è la nostra occasione e niente e nessuno si
frapporrà fra me e quest’album!» No,
non era ancora giunto il tempo per me…
Pazienta
ancora Pasi, pazienta ancora…
«Capisco…
allora buonanotte… e in bocca al lupo!»
«Crepi…
buonanotte.»
*****
«Buongiorno!»
«Mmmm…
‘giorno.»
Altro
che buongiorno, non avevo praticamente chiuso occhio quella notte; la
mia mente
era un turbine di pensieri tristi e angoscianti e l’unica
volta che ero
riuscita ad addormentarmi avevo sognato Emile che mi volgeva le spalle e si allontanava
da me, insensibile
alla mia voce che lo chiamava… non era affatto un buongiorno
quello!
Rita
invece sprizzava felicità da tutti i pori, aveva gli occhi
luminosi e un
sorriso stampato sul viso che non riusciva a celare: osservandola mi
sentii un
po’ più sollevata e mi ripromisi
di non
guastarle la giornata col
mio cattivo
umore.
«Ti
ho preparato la colazione, Pasi.»
Avvicinandomi
alla cucina, notai la tazza di latte fumante, i biscotti, i cereali e
persino
un cornetto dall’aria invitante: con quella colazione si
sarebbe sfamata
l’Africa!
«Ma
quanto devo mangiare?! C’è una carestia dietro la
porta?»
«Coraggio
mangia che devi nutrirti, stai dimagrendo troppo, sono sicura che non
mangi da
un pezzo.» in effetti in quegli ultimi giorni
l’appetito mi era drasticamente
calato, non ricordavo più da quando non mangiavo un pasto
completo.
«Sei
particolarmente protettiva oggi Rita… qualcosa bolle in
pentola?»
Ero
grata alla mia amica per le attenzioni che mi dimostrava, ma non
essendoci
viste per giorni, dubitai che si fosse resa conto del mio stato
d’animo:
l’unico momento in cui eravamo insieme in quella casa era la
notte, mentre
dormivamo… Forse mi aveva sentita mentre mi lamentavo nel
sonno?
«Non
posso essere premurosa con la mia amica? Dopotutto viviamo insieme e
chi
convive deve prendersi cura l’uno
dell’altro.»
Mi
parlò con quell’espressione insopportabilmente
felice e dopo iniziò a
canticchiare dandomi una carezza sulla testa: era troppo persa nei suoi
pensieri per essere cosciente del mio umore e capii con un misto di
delusione e
sollievo, che quelle premurosità avevano a che fare con il
suo stato d’animo e
non con il mio.
«Rita,
è successo qualcosa con Fede, vero?» Mi
decisi ad affrontare il discorso che sicuramente non vedeva
l’ora di iniziare:
«Oh
Pasi, speravo che lo chiedessi! Sono così felice e avevo
bisogno di condividere
la mia gioia con qualcuno che mi avrebbe capito!»
Eh
già, Sofia non si era dimostrata lieta all’idea
che Fede e Rita tornassero ad
essere una coppia, mentre io ero stata più che felice
all’idea…
«Io
e Fede abbiamo ufficialmente deciso
di
riprovarci, ci siamo visti in queste settimane e ne abbiamo parlato,
abbiamo
discusso tantissimo analizzando ogni piccolo fattore positivo e
negativo… poi
ieri all’improvviso mi ha guardato e mi ha detto:
“Basta, mi sono stancato di
parlare, io ti amo e voglio stare con te, il resto lo affronteremo
insieme,
qualsiasi cosa accada!” Non sono parole
meravigliose?»
Il
viso di Rita era così luminoso da rischiarare
l’ambiente in cui eravamo: erano
davvero delle belle parole quelle di Fede, talmente belle che mi fecero
male:
Emile mi avrebbe mai parlato in quel modo, mi avrebbe mai rivolto
parole
simili?
«Sì,
sono davvero belle!»
Stiracchiai
il mio migliore sorriso e ascoltai il racconto di Rita, che persa nella
sua gioia
egoistica da innamorata, non si era minimamente resa conto di quanto mi
stessi
sforzando di essere allegra: m’immersi nella sua
felicità gioendo con lei, ma
con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi per il senso di
tristezza
e solitudine che sentivo dentro.
*****
«Ora
basta! Mi sono davvero stancata!»
«Testarossa…
che ti prende?» Stè mi guardò con
l’aria più sorpresa del mondo: eravamo da
Simona, ognuno immerso nei propri pensieri, quando
all’improvviso quella parte
di me che più amavo, quella che mi aveva sempre incitato a
combattere per ciò
in cui credevo, prese finalmente il sopravvento sulla Pasi piagnucolona
e
triste che ero stata negli ultimi giorni.
Emile
faceva il prezioso? Allora gli avrei ricordato che esistevo anche io!
Non
dovevo assoggettarmi alla sua volontà, doveva rendersi conto
che stare con
qualcuno significava venirsi incontro ed io ero stanca di essere messa
all’angolo!
«Sto
bene Stè, non è niente… potresti darmi
un passaggio?»
*****
Mi
feci accompagnare a casa di Emile: molto probabilmente era ancora a
provare e
molto sicuramente non sarebbe stato contento di vedermi lì,
ma io ero
esasperata, la sua mancanza mi stava lacerando e la paura che si stesse
allontanando da me non mi faceva più dormire, avrei
preferito mille volte vederlo
arrabbiato, piuttosto
che continuare
questo gioco dell’indifferenza!
Appena
entrai, sentii le familiari vibrazioni provenienti dal piano
sottostante e le
parole di Alberto confermarono che, come previsto, i GAUS erano ancora
intenti
a provare.
«Sì
bimba mia, sono lì sotto da ore… sicuramente
Emile li sta sfinendo, è un
perfezionista e dato che questi sono i brani da incidere, sta
massacrando i
ragazzi con le prove! Scendi da loro, serve un po’ di pausa a
tutti!»
Ero
già determinata a scendere quelle scale, ma
l’incoraggiamento di Alberto mi
diede del coraggio aggiuntivo, in più ero desiderosa di
vedere Emile in sala
prove, così non persi tempo e scesi nel piano interrato. Le
scale conducevano
ad un piccolo ambiente più lungo che largo, in cui
rimbombavano le vibrazioni
emesse dagli strumenti musicali: un tavolino circondato da sedie era
situato
verso la parete di sinistra e un divanetto
era posto lungo il resto della stanza, mentre sul fondo
era visibile un
piccolo frigorifero. Le pareti erano tappezzate di posters dedicati
alla storia
della musica, interrotti solo da una bacheca su cui erano apposti un
calendario
scribacchiato su cui campeggiavano una sequenza quasi ininterrotta
delle parole
“prove” e “incisione”
più qualche sporadico: “incontro col
produttore”. Accanto
ad esso c’erano anche dei bozzetti,
con il nome dei GAUS in bella mostra: probabilmente erano le prove per
la
copertina dell’album!
Sulla
parete di destra, mimetizzata dallo stesso colore azzurro delle pareti,
c’era
la porta di quella che doveva essere la sala prove: da quella direzione
sentivo
provenire le vibrazioni, ma in quel momento mi accorsi che
l’ambiente si era
fatto improvvisamente silenzioso e privo di onde sonore. Immaginai che
i
ragazzi avessero sospeso le prove, quello era il momento propizio per
annunciarmi! Mi avvicinai alla porta: mi stavo allungando alla maniglia
per aprirla,
quando d’improvviso ne uscì Claudio, col viso
arrossato e un’asciugamani sul
collo. Fu sorpreso di vedermi lì, ma c’era
più che altro una nota di disappunto
sul suo viso, come se non fossi una presenza gradita…
«Emile!
C’è la tua coda qui!»
Stavo
per replicare a quel modo sgarbato di presentarmi, ma Claudio
salì le scale,
probabilmente in cerca di refrigerio, togliendomi la
possibilità di difendermi.
«Pasi!
Che ci fai qui?»
La
voce sorpresa di Emile mi arrivò come una scossa dietro la
schiena, mi preparai
a ricevere una sonora ramanzina per il mio autoinvito non richiesto, ma
quando
mi voltai l’unica cosa che il mio cervello riuscì
a comprendere, fu quanto
profondamente mi fosse mancato quel viso!
Il
mio Pel di Carota si avvicinò e gli presi una mano:
«Avevo
voglia di vederti, è da tanto che non abbiamo modo di stare
insieme… Mi mancavi
e speravo che avessi finito con le prove…» i suoi
occhi si fecero intensi, non
saprei dire se fosse per piacere o fastidio nel sentire quelle parole,
però non
mi mandò via, né mi fece ramanzine come avevo
temuto.
«Ne
abbiamo ancora per un po’, mancano alcuni pezzi…
puoi restare qui se vuoi.» mi
fece un caldo sorriso e mi accarezzò la guancia,
così presi coraggio ed entrai.
Maurizio
a stento mostrò di avermi vista, mentre Francesco e Filippo
mi salutarono
allegramente: grazie a loro mi sentii la benvenuta e quando Claudio
tornò, gli
lanciai un’occhiata inacidita e mi accoccolai in un angolo
pronta ad
ascoltarli.
La
prima nota la sentii dritto nel cuore e per tutto il resto del tempo,
la musica
e il canto diventarono parte del mio sangue: il mio corpo percepiva
tutte le
vibrazioni e le assorbiva dentro di sé, divenni un
tutt’uno con le loro melodie.
Fu un effetto molto più forte e intimo rispetto alle volte
in cui li avevo
sentiti dal palco: l’ambiente era piccolo e gli amplificatori
erano tutti
intorno a me e la voce di Emile, quella voce che tanto mi aveva rapito
mesi
prima, ascoltata ad una distanza così ravvicinata mi dava i
brividi.
Mi
sentii pervasa dalla musica e per un attimo capii come doveva sentirsi
un
musicista, con quel dono nel sangue che scalpitava ogni giorno: sentire
la musica
nel proprio respiro, nel proprio battito cardiaco, essere in grado di
creare
nuove melodie direttamente dall’interno di sé,
non per una pressione indotta come con gli strumenti, ma
perché era già
dentro il proprio animo. Quell’animo in grado di percepire le
note in un alito
di vento o nello sciabordio dell’acqua…
Il
mondo dei musicisti era un mondo più ricco, carico di
espressioni da esternare
o nuove melodie da scoprire… un mondo sospeso tra il nostro
e quello
dell’immaginario.
Sull’onda
di quei pensieri, paradossalmente d’un tratto sentii Emile
lontano da me, per
quel suo essere così speciale, perché tutto
ciò che sentiva quando scriveva,
quello che provava quando cantava e suonava, io potevo a malapena
immaginarlo.
Quando
cantava, Emile vibrava: il suo sguardo era intenso, la sua voce mi
scuoteva… e
sentivo in ogni sua nota, la dedica silenziosa a sua madre e al mondo
che era
stata costretta ad abbandonare. Era così intenso che solo le
loro continue
interruzioni riuscivano a distogliermi da ciò che mi
trasmetteva.
E
in uno di quei frangenti, mi resi conto di quanto fosse esigente col
suo
gruppo:
«Claudio
eri fuori tempo.»
«Ma
cosa dici? Io ero perfettamente in tempo, sei tu che hai
l’abitudine di variare
i pezzi e poi non ti trovi più.»
«Le
mie variazioni sono minime e sono per sperimentare
l’esecuzione migliore, o
preferisci offrire al pubblico una
versione scialba e incolore del nostro primo album?»
«Emile
non essere pignolo, era impercettibile, nessuno si sarebbe accorto che
era
fuori tempo e poi siamo un po’ stanchi, è normale
avere qualche calo
nell’esecuzione.» disse Filippo, conciliante.
«Io
non ero fuori tempo! Vi siete messi d’accordo per far fare
bella figura al
signorino con la ragazza?»
«Che
cosa vuoi dire!?» Emile iniziò ad infuriarsi:
aveva lo sguardo pericolosamente
concentrato su Claudio e la voce minacciosa.
«Calma,
calma, ragazzi! Stiamo provando da ore e siamo stanchi, smettiamola con
questi
toni, non è una serata di lotta libera!»
Al
pari del fratello, anche Francesco cercò di smorzare la
tensione improvvisa che
si era creata nell’aria… ma gli sguardi tra Emile
e Claudio non promettevano
nulla di buono.
«Vuoi
fare sempre la primadonna, ecco cosa intendo! Decidi tu il tempo di un
brano,
poi lo cambi improvvisando, decidi tu quanti pezzi includere nella
scaletta,
quando fare le prove… Ti comunico che in questo gruppo siamo
in cinque! Ci hai
lasciato come degli idioti in Germania per due giorni, per correre
dietro le
gonne di quella lì: eravamo
in tour se
non sbaglio! Non sei tu quello che non guarda in faccia a niente quando
c’è la
musica di mezzo? Quello che non ha avuto remore a dirmi che se non mi
stava
bene ad anteporre il gruppo su tutto, potevo anche andarmene? Allora
piantala
di fare la primadonna isterica e impara ad ascoltarci!»
Emile
era furioso, «Razza di smidollato…»
stava per saltare addosso a Claudio,
nonostante il batterista fosse più alto e più
grosso, quando m’intromisi nel
discorso: ero stata messa in causa e non potevo lasciar correre:
«Ehi,
parla di me con più rispetto! Emile non è venuto
dietro le mie gonne, si dà il
caso che…»
«Pasi
non t’intromettere!» Emile si rivolse verso di me
furioso, ma non mi feci
intimorire e replicai:
«No
Emile, mi ha tirato in mezzo!»
«Non
m’interessa! Non è una cosa che ti riguarda
questa!»
«Ah
beh, scusami tanto se ho le orecchie e gli occhi e ho sentito e visto
che mi si
tirava in ballo! Fino a prova contraria, questo significa che mi
riguarda!»
«Pasi
esci fuori di qui!»
«No,
non me ne vado!»
«Ti
ho detto ESCI FUORI DI QUI!»
Il
suo volto era furente, gli occhi erano due pozze azzurre
d’ira, il viso rosso
di rabbia: per un attimo ebbi paura di lui. Ma dopo pochi attimi,
ripresi
padronanza di me stessa e del mio corpo e uscii da quella saletta
furiosa e
umiliata.
*****
Me
ne andai nel laboratorio di Alberto a sfogare la mia rabbia, per essere
stata
trattata da Emile in quel modo. E soprattutto davanti al suo gruppo,
che mi
aveva criticato.
Mi
sedetti a terra, accanto al cavalletto e ai colori abbandonati, immersa
tra le
tele di Alberto che sprizzavano gioia di vivere e serenità
proprio come lui.
Strinsi
le ginocchia al petto e piansi di rabbia, e solo quando scaricai tutto
il
nervosismo, iniziai a respirare lentamente per riacquistare
serenità. Solo
mezz’ora prima ero finalmente con lui e unita alla sua musica
e invece ero
finita con l’essere cacciata via in malo modo dal suo mondo.
Tutte le mie
angosce, tutti i dubbi che si erano arrovellati nel mio cervello in
quei giorni,
esplosero dentro di me: mi sentii un peso per lui, qualcosa di estraneo
al suo
cuore, qualcuno che non voleva far entrare nel suo animo. Ero davvero
offesa e
furente con lui per il modo in cui mi aveva trattato e per come mi
stava
facendo sentire. Ma ero furiosa anche con me stessa, per essermi
mostrata nuovamente
una sciocca emotiva, per essermi sentita così legata a lui
da non riuscire ad
attendere un altro giorno per vederlo e finire con l’essere
cacciata via in
quel modo.
Dov’era
la Pasi orgogliosa, quella che non si faceva zittire, che sapeva
difendersi da
tutti? Dov’era la me stessa che s’infuriava e
reagiva e che non finiva a fare
la stupida ragazzina offesa e in lacrime, incapace persino di lasciare
quella
casa per il desiderio di essere rincorsa e non lasciata a se stessa?!
Ero
davvero patetica, non ero cambiata minimamente e questo forse mi
bruciava anche
più del modo duro con cui mi aveva trattato Emile.
Poco
tempo dopo, sentii le voci dei ragazzi che risalivano dal sottoscala e
la porta
di casa che si apriva per farli uscire. Attesi di veder comparire
Emile, nella
speranza che mi cercasse: quando emerse dall’uscio della
porta mi chiusi in un
mutismo offeso, pronta a sentire cos’aveva da dire. Mi
guardò con
un’espressione intensa tra l’arrabbiato e il
preoccupato, poi lo vidi abbassare
le spalle e sospirare prima di sedersi accanto a me.
«Scusami,
lo so che sono stato rude, ho avuto una reazione eccessiva...»
«Mi
hai umiliata.» sentenziai con rabbia, senza nemmeno guardarlo
in viso.
«Cosa?
Umiliata? E in che modo scusa? Solo perché ti ho detto che
la faccenda non ti
riguardava?»
«È
stato il modo, Emile!» mi girai in sua direzione furente:
«Mi hai imposto di
stare zitta, come se fossi stata una stupida oca, davanti a tutto il
tuo
gruppo! Sono settimane che mi allontani da te, che mi sento qualcuno di
troppo
e con il tuo comportamento di oggi mi hai fatto sentire una
nullità, proprio
quando mi stavano anche offendendo!»
«Claudio
non ce l’aveva con te! Offendeva me casomai! Tu eri solo il
mezzo con cui
voleva colpirmi!»
La
voce di Emile iniziò ad assumere dei toni più
alti; stava per nascere una bella
discussione.
«Proprio
perché sono stata messa in mezzo, volevo replicare! Nessuno
può parlare di me
in quel modo senza che io replichi!»
«Lo
vuoi capire che non c’entravi nulla nel discorso?! Eri solo
un pretesto per
mettere zizzania, ma tu non hai nulla a che vedere con il mio gruppo e
la mia
musica!»
Emile
era adirato ed io ancora ferita e quella frase fu un colpo diretto al
mio cuore:
«Scusami
tanto se sono un fardello da portare, un peso che ti trascini e ti
tiene
lontano dalla musica!» Iniziai a sentire le lacrime tornare
nei miei occhi e
lottai per cacciarle dentro.
«Ma
cosa vai farneticando, Pasi? Ma quale fardello? Perché fai
la melodrammatica
ora?»
«Io
non faccio la melodrammatica! Parlo per ciò che vedo e ho
visto che sono di
troppo, che quando suoni io non conto più nulla, non hai
più bisogno di me!» Nonostante
le mie proteste, iniziai a piangere…
«Te
l‘ho detto sin dall’inizio che la musica
è al centro della mia vita ed ora
soprattutto non ho tempo per altro! E se vogliamo dirla tutta, nemmeno
tu hai
bisogno di me quando hai il tuo cavaliere biondo accanto!» Il
tono di voce di
Emile si fece amaro, come se portasse un pensiero doloroso dentro di
sé da
tempo.
«Il
mio cav... Emile non posso crederci! Stè è come
un fratello per me! Cosa
diavolo stai insinuando? Nemmeno i quindicenni fanno più
capricci simili!»
Sapevo
che con quest’accusa l’avrei ferito, Emile era
sempre stato responsabile, anche
da bambino e dargli dell’immaturo era un’offesa
pesante per lui, un po’ come lo
era per me sentirmi dare della pettegola.
«Ah,
quindi sarei uno stupido quindicenne? Ok, va bene, allora lo stupido
quindicenne ora alza i tacchi e si chiude in camera sua a sentire
musica, perché
è un moccioso idiota che non vuole confrontarsi con gli
altri!»
Detto
questo si alzò e andò via furioso dal
laboratorio, dove io rimasi sola e in lacrime.
Dopo una mezz’ora, ripresa la calma e la padronanza di me, mi
alzai e me ne
andai, incurante di salutare Alberto o di sapere dove fosse Emile.
*****
Ero
davvero sfinita, confusa, arrabbiata… ero preparata ad un
confronto tra noi, ma
non avrei mai creduto di finire in quel modo quella giornata,
maledicendo me
stessa per la mia stupidità, per la mia fragilità
e arrabbiata a morte con
Emile che non mi aveva capita e che era stato in grado di umiliarmi
più volte
nel giro di poche ore. E quell’assurda gelosia nei confronti
di Stè!
Avevo
sempre dovuto combattere per affermare il mio legame con Testa di
Paglia e
alcune volte, avevo anche scelto di allentarlo per evitare discussioni
sterili
col ragazzo di turno… ma non avrei mai più
anteposto qualcun altro ai miei
amici: i ragazzi vanno e vengono, mente loro mi sono sempre stati
accanto! Per
di più non avrei mai immaginato che una persona come Emile,
potesse essere
preda di un sentimento così sciocco!
Eppure
era la testimonianza che lui ci tenesse a me… anche se era
il modo più stupido
di manifestarlo: proprio Stè, che era a pezzi per il vuoto
che gli aveva
lasciato Simona! E poi quel suo ritorcermi contro, la stessa accusa che
gli
avevo fatto io, quello era stato davvero un atto infantile! Non
l’avrei
perdonato facilmente, non mi sarei di nuovo abbassata ad andargli
incontro! No,
non dovevo più annullarmi e perdonare sempre…
soprattutto con lui!
Avrebbe
dovuto riflettere su ciò che aveva fatto, su come mi aveva
umiliato, sulla
sciocchezza che aveva insinuato! Non
avrei tollerato altro che le sue scuse, anche se fossi stata costretta
a
soffrire per la sua mancanza, anche se mi fosse costato non vederlo per
un po’,
ma io non avrei ceduto!
Sentii
il bisogno di sfogare la mia rabbia con qualcuno… in una
vita che mi sembrò
lontana anni luce, sarei andata direttamente da Stè, ma con
l’accusa che mi
aveva rivolto Emile e sapendo quanto ancora lui stesse male per Simona,
i miei
problemi sentimentali erano l’ultima cosa che avrebbe dovuto
sentire! Fede e
Rita molto probabilmente erano insieme e la presenza di un terzo
incomodo non
sarebbe stata affatto gradita… Mi restava Sofia e pensai che
forse il suo modo razionale
di vedere le cose, che normalmente aveva la capacità
d’irritarmi, in quel
frangente mi sarebbe stato d’aiuto per schiarirmi le idee e
riflettere a mente
lucida… Anche se ero certa che non avrei mai cambiato la mia
risolutezza a non
cedere di fronte ad Emile.
Non
mi soffermai nemmeno a chiamarla per sapere se fosse in casa: Sofi era
una
pantofolaia convinta e probabilmente anche un po’
sociopatica, tuttavia aveva
un modo sottile e attento di comprendere il mondo e le sue leggi.
Bussai
alla porta di casa e mi aprì suo padre: era
l’unico genitore con cui vivesse da
quando la madre si era separata dal marito. Siccome non era stata
reputata in
grado di mantenere la figlia piccola, Sofia era stata affidata al
padre,
vivendo da quel momento come se avesse un solo genitore,
poiché sua madre
risultò davvero poco capace di prendersi a cuore la figlia.
Sofi, già di per sé
acuta e più intelligente della norma, in quel modo
iniziò a crescere con un
senso di responsabilità più alto rispetto ai suoi
coetanei.
Quando
il padre mi annunciò, rimase sorpresa di vedermi:
«Qual
buon vento Pasi!»
In
quel momento mi sentii vagamente in colpa con lei: Stè era
sempre la mia meta
quando avevo voglia di stare in compagnia, Fede lo vedevo ogni giorno
in
comunità e Rita, a parte quell’ultimo periodo in
cui ero diventata sua
convivente, avevo sempre avuto modo di sentirla. Sofi invece era ai margini delle mie
amicizie.
Le
volevo davvero bene, ma caratterialmente eravamo agli antipodi: sempre
agitata
io, calma all’estremo lei, per quanto fossi
impulsiva io, tanto era razionale e pacata lei e spesso la
sua logica
era così sbaragliante da non lasciarmi modo di replicare ed
io odiavo essere
zittita!
Però
Sofi aveva anche una profondità che mi faceva riflettere,
che mi aiutava a
guardarmi dentro e a non buttarmi a capofitto in tutte le cose senza
averci
riflettuto su almeno un po’. O almeno qualche volta ci
provavo!
«Ciao
Sofi… ecco… passavo di qui e mi sono detta
“Quasi quasi vado da lei”…»
«Cosa
c’è che non va, Pasi? Si vede lontano un miglio
che non sei in te. Hai litigato
con Emile?»
Era
proprio inutile fingere con i miei amici… oppure ero io
incapace di celare le
mie emozioni al genere umano!?
«È
così palese?!» abbassai le spalle sconsolata.
«Coraggio,
ci prendiamo una bella cioccolata e me ne parli, ok?»
*****
«Uhm…
proprio una bella litigata, non c’è che
dire!»
«Già…
ed ora sono così arrabbiata con me e con lui!»
Appoggiai sconsolata la testa
sul tavolo della cucina, davanti alla mia tazza di cioccolata,
«In questo
momento non so nemmeno
se l’amo o l’odio
di più!»
Sentii
Sofi poggiare la sua tazza sul tavolo:
«Da
come hai reagito, è chiaro che l’ami,
com’è chiaro che vi riappacificherete.»
«Questo
lo so anch’io! Il problema sarà la
modalità! Io non voglio cedere e so che
anche lui non è un tipo che chiede scusa
facilmente… soprattutto dopo essersi
sentito dare dell’immaturo!»
«Io
non direi che si faccia troppi problemi Pasi, ti ha chiesto scusa
appena ti ha
vista, no? Secondo me, dovrai solo attendere che si faccia
vivo… oppure
lanciargli tu un segnale che lo stai aspettando.»
«Oh
no, no, no! Io non lancio proprio alcun segnale Sofia!
Se lo capisce è bene, sennò
significa che non
c’è comunicazione fra noi!»
«La
comunicazione tra voi non c’è proprio se rimani
con questo stupido puntiglio!
Come pensi che possa capire cosa ti aspetti da lui, se non gli mandi
dei
segnali? E poi, a dirla tutta, questo tuo atteggiamento mi sa proprio
di
infantile.»
Quell’affermazione
di Sofia mi fece alzare di scatto la testa per fronteggiarla:
«Infantile
io? Ma Sofi, sto cercando di proteggere la mia dignità! Non
posso e non voglio
passarci sopra e fingere che non mi abbia ferito, in modo da
permettergli di
farlo ancora!»
«Pasi,
il modo migliore per evitare che succeda è quello di
parlagli, ma senza
rancore, senza offese, senza sputare veleno né da parte sua,
né parte tua!
Fagli capire che sei arrabbiata ma anche che vuoi risolvere la faccenda
e
trovare un modo per venirvi incontro. Sembrate due bambini che si sono
offesi a
morte e che vogliono far la pace, ma che di sicuro aspettano che
l’altro faccia
la prima mossa… È questo il rapporto maturo che
vuoi stabilire con Emile?» Tornai
ad abbassare il capo, mi sentii davvero una stupida in quel momento:
«No…
non voglio questo…»
«Allora
rifletti bene sul modo più giusto d’agire, pensa
al modo migliore in cui puoi
fargli capire le tue ragioni e nello stesso tempo farlo ragionare senza
recriminazioni. Offendervi l’un l’altra non vi
aiuterà di certo a comunicare e
ad accorciare le distanze tra di voi! Ancora un po’ di
cioccolata?»
«Sì,
grazie!»
*****
Ero
di ritorno da casa di Sofi, diretta a casa di Rita (con la speranza che
non fosse
in compagnia di Fede), quando squillò il cellulare: il mio
cuore balzò in gola
al pensiero che fosse Emile, ma sapevo che non poteva essere lui, anche
se c’ero
andata vicina: a chiamarmi era suo padre.
«Pasi
stai bene? Cos’è successo? Quando sei andata via?
Emile non mi ha detto nulla e
non ha voluto rispondermi quando gli ho chiesto dove fossi.»
«È
tutto ok, sto bene… m-mi sono ricordata di avere un impegno urgente
all’improvviso e sono corsa via…» ecco
la stupida balbuzie che tornava a colpire! Alberto non se la sarebbe
bevuta.
«Avete
litigato, piccola?»
«Un
po’…» non riuscii a continuare, sentivo
l’odiato magone far capolino nella gola
e dopo un attimo sentii un sospiro provenire dal cellulare:
«Quel
figlio mio e la sua lingua tagliente! Vedrai che si renderà
conto di aver
esagerato e ti cercherà per chiederti scusa. Ora distraiti
un po’ e non
angosciarti troppo, ok? Sono cose che capitano purtroppo, soprattutto
con
Emile!»
«Sì…»
l’affetto che sentii per quell’uomo,
m’investì all’improvviso come il sole
dopo
un temporale e mi scaldò il cuore, che sentivo gelido da
ore.
«Grazie
per aver chiamato.»
«Di
nulla piccola, ti voglio bene.» il magone stava per
tramutarsi nuovamente in
pianto; quale potere avevano su di me gli uomini di quella famiglia!?
«Anche
io… anche io ti voglio bene!»
E staccai
la conversazione prima che Alberto sentisse il mio pianto improvviso.
*****
Rita
non era in casa: il silenzio più totale regnava in
quell’appartamento, così
decisi di andare a dormire. Nel buio e nella solitudine di quel
lettone, mi
resi conto di non sentirmi più a mio agio ad essere ospitata
dalla mia amica e
quel pensiero, unito alla giornataccia che avevo appena vissuto,
contribuì a
farmi sentire ancora più sola.
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NDA
Sempre perchè io non mi ossessiono, sto procedendo con la revisione degli ultimi capitoli e con mia grande gioia sto scrivendo ancora *me fa la ola* così dagli iniziali 19 capitoli, ora me ne trovo 22, dei quali gli ultimi 3 sono ancora da controllare e sistemare (pignoleria portami via). Quindi anche se siamo sempre più vicini alla fine, la vostra lettura sarà prolungata un pò rispetto al previsto ^ ^
Detto questo, passiamo all'Angolo dei Ringraziamenti.
Tesore, siete sempre meravigliose, siete sempre più partecipi ed entusiaste, per cui io continuo a ringraziarvi dal profondo del cuore!
Un grande e immenso ARIGATOU a:
Iloveworld, la madrina di questo racconto, colei che per prima mi ha incitato a pubblicarlo, che nonostante i problemi di connessione ha trovato il modo di leggere e recensire. Tesorina mia, non ho parole, sono davvero commossa e gratificata dal tuo affetto, grazie davvero!!! *_* (Se avete voglia di fantasy e di una storia dolce e romantica, iniziate a leggere il suo Ali d'Argento, non ve ne pentirete!)
Vale, Niky, Concy, Saretta, che danno linfa vitale a questa storia con le loro recensioni puntuali ed entusiaste. Sorelline mie, siete i miei pilastri <3<3<3
Cicci, Ana-chan, Ely, che mi sostengono con altrettanto entusiasmo. Tesore mi fate felice ogni volta che mi date segno del vostro affetto e appoggio <3
Un grandissimo ARIGATOU va anche a tutti coloro che hanno messo questa storia nelle seguite, e tra le preferite; mi riempite di gioia con il vostro apprezzamento! *_*
E grazie un milione di volte a tutti coloro che mi sponsorizzano ARIGATOU GOIZAMASU!!!!!