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Autore: KH4    04/11/2011    3 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Buon venerdì a tutti quanti. Ecco a voi l’aggiornamento tanto atteso ( si fa per dire, ^^). Vi lascio subito al capitolo, sperando che vi piaccia. Buona lettura a tutti quanti. Ah, giusto per non dimenticarmi: in fondo troverete il link dove potrete vedere il disegno di Lars, per chi fosse interessato a vedere come l’ho creato.

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Come i gorilla se ne furono andati, il silenzio riassunse il controllo su Rocky Headland.
Tutto tornò al proprio posto, come se niente fosse successo, come se quella pioggia di massi e alberi non avesse mai attentato all’incolumità della Thousand Sunny, il cui unico danno era la porta sfasciata della cucina. Un piccolo torto che Franky aveva tutta l’intenzione di restituire a quelle bestiacce nere. Ancora non era stata fatta luce sul perché quegli scimmioni li avessero attaccati con così tanta violenza: ricollegare il tutto a una semplice questione di territorialità pareva non essere sufficiente, secondo le opinioni di alcuni. La loro irruenza si era spenta troppo in fretta e questo era stato notato da tutti: insomma, se avessero davvero voluto impedire alla nave di proseguire, non se la sarebbero svignata senza prima infliggere pesanti danni a quest’ultima. Si trattava di un fatto che meritava una spiegazione più che esauriente, ma, al momento, la serietà dei membri della ciurma era tutta concentrata sul voler portare la nave alla più vicina sporgenza della parte sinistra dell’isola.

Shion era stata rapita da quei gorilla e Rufy e Azu erano gli unici che li stessero inseguendo. In una qualche maniera che ancora non era chiara, i restanti pirati dovevano trovare una via che permettesse loro di arrivare dal capitano e dall’albina, e, considerata la possibilità che quelle bestie potessero tornare alla carica, Nami aveva dato l’ordine di puntare verso lo scoglio meno ripido e con più aperture facilmente raggiungibili.

Posando più volte l’occhio sulla ricca vegetazione che ricopriva il lato sinistro di Rocky Headland, Lars cercò di trovare un qualsiasi passaggio che fungesse da ponte fra i due enormi pezzi dell’isola, ma senza risultati soddisfacenti: fra di essi c’era troppa distanza e saltare sarebbe equivalso al suicidio. Qualunque fosse stata la causa che aveva aperto in un solo colpo il territorio, questa aveva cancellato ogni possibilità di riattacco, allontanando drasticamente le rispettive parti, il che non aiutò il pensare dell’albino, ricercante una maniera plausibile per raggiungere sua sorella. Nascondeva dietro quella sua impenetrabilità di ghiaccio la tensione che stava tentando di soggiogarlo, ma il suo autocontrollo era troppo saldo perché si facesse sorprendere da pensieri mal costruiti. L’allenamento a cui si era sottoposto, aveva implicato un così ferreo controllo del proprio animo, che il concentrarsi o l’isolarsi mentalmente, oramai, erano azioni diventati più facili del prendere sonno. Con Saphira riposta nella sua custodia di pelle consunta, l’albino espirò con gli occhi chiusi, richiamando a sé tutte le forze. Era calmo, saldo di spirito, con gli arti svegli, pronto a riprendersi la sua Shion: sebbene lei, nel suo piccolo, riuscisse sempre a fare la sua parte, rimaneva pur sempre una bambina, e non si poteva di certo pretendere che combattesse a mani nude contro quello schieramento imbufalito di gorilla. Senza contare, poi, che quelli non erano comuni gorilla…….

Respingerli era stato difficile, visto il poco spazio che il ponte di coperta della Sunny offriva: benché ampio, questo non era l’ideale per un combattimento di massa.
Difatti, imponeva delle costrizioni involontarie, ma anche se si fossero trovati in uno sconfinato prato verde, niente avrebbe posto in secondo piano l’incredibile forza che quegli esseri avevano tirato fuori; sin dal primo urto violento, Lars aveva avvertito qualcosa di anormale, in quelle bestie, che l’aveva costretto a puntare i piedi per terra, corrucciando le sopracciglia argentate. Come la sua spada si era scontrata con le grandi mani di uno di quei gorilla, egli aveva percepito i fasci muscolari di quest’ultimo indurirsi sostanziosamente, come se al posto della carne fosse subentrata la pietra. Aveva spinto così tanto, per respingerlo, che ancora i suoi polpacci non si erano liberati da quell’incandescenza tipica di un grande sforzo. Non sapeva spiegarselo, e, francamente, capirlo, non gli interessava: la sua priorità era salvare Shion e l’avrebbe fatto anche se fosse significato sterminare un’intera colonia di scimmie nere formato extralarge.

Per il momento, non poteva far altro che lasciare il grosso della situazione a sua sorella e procedere insieme agli altri, mantenendo la calma di sempre e confidando nella speranza che la sua protetta fosse ancora intera: perdere la testa o cedere all’impulso di gettarsi a braccia aperte verso il pericolo, sarebbero serviti soltanto a fargli rotolare la testa giù da un pendio, e la cosa, anche semplicemente detta, non suonava molto gradevole.

“Nami, guarda laggiù. Possiamo attraccare in quel punto”, suggerì Usopp, indicando una sporgenza poco lontana.

La rientranza in questione era larga, leggermente elevata, ma priva di ostacoli che potessero minacciare lo scafo della Sunny.

“Uhm…si, si può fare”, mormorò lei, guardando il punto menzionato dal cecchino con il binocolo “Sanji, gira il timone di circa quaranta gradi a sinistra.”
“Subito, Nami-chwan!” rispose il cuoco, obbedendo alla navigatrice.
“Uhm...la parete sembra essere considerevolmente liscia…” mormorò la ragazza, studiando attentamente la loro meta “Franky, ci serve una scala”, aggiunse poi, rivolgendosi al carpentiere.
“Aw! Considerala già fatta, sorella!” esclamò il Cyborg, con le mani già munite di attrezzi, gli occhiali neri calcati sul naso metalli e l’immancabile sorriso a trentadue denti.
“Spero tanto che Shion stia bene”, disse Chopper, con occhi preoccupati.

L’assalto aveva tenuto tutti quanti occupati, lui compreso. Nessuno si era aspettato una simile svolta, perché, in tutta sincerità, non l’avevano considerata come qualcosa di concepibile. Il Tenero Peluche si sentiva un po’ in colpa per il non essere riuscito a intervenire in tempo: in fondo, quei gorilla, erano pur sempre animali come lui, e proprio non si capacitava come non fosse riuscito a comprendere quel che avevano detto. In ciascuno dei suoi amici, c’era una piccola nota di amarezza per quella minuscola sconfitta, ma nessuno di loro si stava mostrando affranto, per niente: tenevano la testa alta, elargendo una padronanza e una sicurezza delle loro azioni talmente ineccepibile, che chiunque avrebbe creduto che il rapimento della bambina non li avesse toccati.
Ma non era così, non lo era: il fatto che una loro amica, una bambina, perlopiù, fosse appena stata sequestrata sotto i loro occhi, senza che potessero fare nulla, stava esortando tutti quanti a non arrendersi all’evidenza. Assistere ad un Zoro e a un Sanji che collaboravano per sistemare la vela maestra, senza prendersi a schiaffoni, era la prova più lampante e assurda che potesse dimostrare la veridicità di quel atteggiamento. Potevano litigare, fare a cazzotti o tentare di affogarsi a vicenda, ma facevano parte di una ciurma e, quando serviva, erano pronti a collaborare senza fiatare………quasi.

In realtà qualche bisticcio volava sempre, ma era una cosa gestibile, se Nami rimaneva nei paraggi.

“Che ne pensi, Robin?” domandò poi la Gatta Ladra, avvicinandosi all’archeologa “Secondo te potrebbero esserci altri animali di quella stazza?”

Da qualche minuto, la Bambina Diabolica era immersa nelle sue riflessioni, tutta presa a studiare a occhio nudo la morfologia di quello scoglio coperto di muschio, che poi era la parte sinistra di Rocky Headland: oltre alla ripidezza, la immaginò colma di sentieri pendenti, scoscesi e irregolari, ostacolati dalla natura e da ciò che essa nascondeva. Forse al suo interno avrebbe scoperto qualcosa di più sui gorilla che li avevano attaccati, ma fintanto che si limitava ad osservarla esteriormente, poteva giungere a poche conclusioni.

“Può darsi, ma non posso dirlo con certezza. Se vogliamo avere una panoramica più ampia, dovremo salire in alto, ma il vero problema sarà trovare il sistema per arrivare dall’altra parte. La distanza è grande”, rispose lei.

Nami annuì col capo, senza smettere di pensare alla bella salita che li attendeva: la prospettiva di attraversare una giungla non era delle più rosee, meno che mai se questa era infestata da insetti che lei trovava a dir poco rivoltanti, ma visto che il capitano era partito in quarta per salvare Shion, loro non potevano certo stare lì a fare le belle statuine fino al suo ritorno. Che razza di figura ci avrebbero fatto?

“Yohohoho! Nami-san, ci siamo”, l’avvertì  Brook.

La nave aveva raggiunto il punto di attracco. L’ancora venne gettata acqua, di modo che questa rimanesse ferma anche con la corrente che tentava di spingerla in avanti. Franky, con impeccabile precisione e tempismo, aveva quasi concluso la costruzione dello scheletro della scala: saldava i grossi chiodi e avvitava le diverse aste d’acciaio senza incappare in alcun errore, dando prova di quell’ineguagliabile bravura che aveva potenziato nel corso dei due anni trascorsi a Barjimoa. Difatti, non occorse molto tempo prima che terminasse la sua opera e la fissasse alla parte rocciosa.

“Aw! Ecco fatto, sorella! Una scala SUPER!” esclamò lui, battendo i pugni per terra, per poi unire le braccia nella sua leggendaria posa di uomo libero e orgoglioso.
“Bene: adesso, prestate attenzione”, e lì, la rossa si rivolse a tutti i compagni “Non sappiamo se anche questa parte dell’isola sia abitata da animali feroci, quindi, è importante che nessuno di noi abbassi la guardia, e, soprattutto, che……dove accidenti è Zoro?!?”

La ragazza non aveva neppure fatto in tempo a finire la frase, che già avevano iniziato a piovere problemi.
Se non era il capitano a creare scompiglio, era il vice, che, già di suo, era una mina vagante d’incommensurata imprevedibilità.

“Lassù”, rispose Chopper, indicando con la zampina.

Sarebbe stato troppo chiedere una partenza tranquilla, organizzata e coordinata. Sarebbe stato decisamente paradisiaco che, per una santissima volta, tutto fosse andato secondo le strategie di Nami. La poverina ci sperava sempre, giusto quel pochettino per non apparire troppo pretenziosa, ma il destino, da bravo rompiscatole quale era, pareva divertirsi a vederla delusa o amareggiata, quando tutto il suo operato si riduceva a una serie di improvvisazioni tirate insieme a tempo di record.
Non appena la navigatrice depose lo sguardo sulla cima della scala costruita dal carpentiere, vide una ben distinguibile testa verde, armata di katane, che si stava apprestando ad inoltrarsi nella foresta.

“QUELLA TESTA D’UOVO SENZA CERVELLO!!!” urlò lei, con una dentatura del tutto identica a quello di uno squalo “QUALCUNO LO FERMI PRIMA CHE FINISCA CHISSA’ DOVE!!!”




“Uhg……..”

Buio.
Era l’unica cosa che vedeva e che era stata capace di percepire attorno a sé. La circondava interamente, occultando il resto e privandolo di ogni colore e forma, ricordi compresi.
Per Shion fu come aprire gli occhi – benché questi, in realtà, fossero ancora chiusi. Non rammentava come fosse finita lì o da quanto tempo ci si trovasse: la sua coscienza, o meglio, un minuscolo granello di essa, si era appena svegliata grazie all’odore pungente della polvere incastratasi nelle sue narici, riportandola nel mondo dei vivi, con un contorto starnuto.

A seguito di quel fastidio, venne il dolore: una fitta fastidiosa, di quelle che spingeva la gente a tenersi la ferita con entrambe le mani e a stringere i denti con tutta la forza che si disponeva. Appallottolarsi su sé stessa forse non sarebbe stato tanto utile, ma la bambina avrebbe comunque voluto farlo, giusto per muovere i muscoli e il resto del corpo, giacenti in uno stato confusionale e spossato, pesante quanto quello che le opprimeva la testa. Contro cosa fosse schiacciata, non lo sapeva, ma, stranamente, non era ne freddo, ne duro, anzi: in un qual modo, sotto di lei stava qualcosa di morbido, ma anche di spigoloso e…ruvido?

Corrugando la fronte e dischiudendo la bocca in un debole mugugno, strizzò gli occhi con l’intenzione di uscire da quel baratro dentro cui era stata lanciata senza preavviso, avvertendo chiaramente l’indolenzimento dei propri arti. Sebbene fosse atterrata su qualcosa di non eccessivamente solido, il suo corpicino era comunque piuttosto fragile, essendo ancora in fase di crescita, quindi, risentire di certi colpi, era una cosa naturale.
Impegnandosi, dischiuse lentamente le palpebre, svelando le sue iridi azzurrine ancora disorientate: vide sfocato per qualche istante, ma poco a poco, riuscì a schiarire la propria vista e a riconoscere le forme tozze e appuntite di quello che aveva l’impressione essere un muro di roccia.

“Ohi, ohi…che botta.”

Messasi seduta, si massaggiò con entrambe le mani, la testolina dolorante, gemendo, nel toccare poco al di sopra della fronte, un piccolo bozzo coperto dai capelli. Doveva esserselo fatto quando…..già, quando se lo era fatto?
La sua memoria stava ancora vacillando, privandola degli ultimi momenti di coscienza vissuti poco prima di assopirsi dentro quello strano buio. Sbattendo le palpebre, si guardò in giro, scoprendo di trovarsi all’interno di una buca rocciosa, con mura alte poco più di sette metri. Un piccolo barlume proveniente dalla sua mente, la fece sussultare impercettibilmente: era stata gettata lì dentro da quel gorilla!

Apprendendo quella piccola rivelazione, i frammenti di memoria, sparsi a casaccio nella sua mente, cominciarono a riunirsi e a comporre il filo degli eventi momentaneamente spezzato, dissipando i residui dello stordimento fisico: era stata presa da quell’animale, sballottata come un giocattolo e, infine, buttata nell’attuale buca, senza un ragionevole motivo. Evidentemente, l’essere atterrata di testa, doveva averle fatto perdere conoscenza, il che avrebbe spiegato la dolorosa presenza di quel bernoccolo pulsante. Eppure, sotto di lei, non sentiva nulla di compatto: l’aveva percepito prima, ma, essendo troppo frastornata dal colpo, si era convinta che fosse stata solo una sua impressione. Come guardò in basso, rimase molto sorpresa, tanto che emise un “Oh!” meravigliato, per quello che vide: per farla breve, era seduta su una collinetta di vestiti, borse, vasi, e ciarpame vario, che, nel loro insieme, le avevano fatto da cuscino. Un mucchio piuttosto consistente di robe di vario stampo, aperte, svuotate, ricoperte di polvere e buttate lì come fossero spazzatura. Con sua grande gioia, Shion, nel far roteare i suoi occhi, scorse la sua adorata borsettina a tracolla gialla, a pochi centimetri da lei: allungò le manine per afferrarla e, come l’ebbe presa, la controllò minuziosamente, senza scoprirci sgualciture o strappi. Anche gli oggetti al suo interno erano a posto.

“Meno male, è tutta intera!” esultò, stringendola “Però, adesso…”, e guardò dubbiosa la parete “Io come faccio a uscire?”

Considerata la sua minuta statura, era assai improbabile che sarebbe riuscita a sbucare fuori con un semplice salto. Indossando la tracolla, la piccola osservò quanto la circondava con i pugni stretti in petto e le ginocchia sbucciate: il muro era circolare, alto, pieno di bozzi di varie grandezze e privo di ulteriori vie che non implicassero la sua scalata. Una bella gatta da pelare. Avvicinandosi alla parete, la bambina alzò il capo con fare preoccupato, socchiudendo gli occhi per il leggero bruciore che le sbucciature le stavano provocando: non aveva idea per quanto tempo fosse rimasta svenuta, ma, in cuor suo, non voleva rimanere lì dentro per sempre.

Doveva andarsene, fuggire……..ma come?

Istintivamente, compì un piccolo balzò e si aggrappò a uno spuntone rotondo che sporgeva dal muro, cercando di issarsi. Fece appello a tutte le sue energie disponibili, ma finì per battere il sedere cinque volte, prima di comprendere che scalare una parete rocciosa non era esattamente come arrampicarsi su di un albero; lì non c’erano Azu-chan o Lars pronti a prenderla, nel caso si fosse appoggiata male. Senza contare, che, presto o tardi, quei gorilla si sarebbero fatti nuovamente vivi…….
Non ne era sicura, ma il timore che quelli tornassero, la stava già spaventando non poco.

Cosa posso fare? Si domandava lei Che faccio?

Non era ancora impaurita a tal punto da ritrovarsi col fiato corto e il torace tartassato da battiti incontrollati, ma l’essere tesa e con gli occhi lucidi, stava già facendo si che la sua serenità diminuisse drasticamente: era in trappola, bloccata in chissà quale parte dell’isola e circondata da quei grossi animali capaci di sradicare un intero albero con un solo braccio. Nel rammentare l’aspetto di uno di questi, le parve di avvertire sul suo collo l’alito umido e caldo della creatura che l’aveva afferrata per la vita: quel muso nero, contratto per la rabbia e deturpato da orribili cicatrici, l’aveva guardata con sguardo penetrante, legandola con la sua stessa paura. Non era riuscita a muoversi o a respirare, ritrovandosi nella sua mano senza neppure accorgersene: aveva provato a scappare, a lottare, ma era stato tutto inutile. Non era stata sufficientemente veloce, e adesso era lì, in attesa di un qualcosa di cui nemmeno sapeva il nome.

Abbassando il mento con espressione sconfitta, finì per inginocchiarsi e abbracciarsi le gambe con le braccia, nascondendo il viso nelle ginocchia. Un groppo alla gola tentò di uscire prepotentemente dalla sua bocca, ma lei lo ricacciò indietro, appallottolandosi ancora di più: era spaventata, timorosa, e debole quanto un cucciolo smarrito. Non era in grado di saltare sull’aria come faceva Azu-chan, ne forte come Lars, e questa minuscola consapevolezza le pesò dolorosamente, perché, in quel momento, desiderò poter essere come loro: capace di uscire da un problema con le sue sole forze. La sua ammirazione nei confronti dei due albini era fondata su ciò che questi sapevano fare, sui limiti umani che infrangevano con una facilità a dir poco mostruosa. Facevano sembrare tutto così facile, ma, in realtà, la loro dimestichezza nei combattimenti, era frutto di anni di duri allenamenti che non si erano ancora conclusi. Per quanto fosse brava a cavarsela in determinate situazioni, quella era troppo lontana dalla sua portata, dalle sue stesse abilità. Era una bambina di undici anni, con scarsissime – praticamente inesistenti- capacità di combattimento e poche speranze di uscire di lì.

Indubbiamente, si sarebbe arresa all’evidenza se non avesse aperto gli occhi su quel ciarpame sopra cui era seduta: la guardò con distrazione, col vuoto aleggiante in testa, quand’ecco, l’illuminazione! Una piccola lampadina si accese nella testolina della biondina, facendola scattare in piedi con un espressione di puro stupore dipinta sul viso: sotto di lei erano accatastate robe di vario genere, che, alla prima impressione, poteva risultare solo della spazzatura, ma Shion, nel momento in cui si disse che poteva ancora fare qualcosa, ci vide qualcosa di molto più utile. Solo perché, in apparenza, tutti quei oggetti erano rotti e un po’ malmessi, non significava che non potessero essere utilizzati una seconda volta: bastava solo cercare.
Senza formulare ulteriori pensieri, si gettò su un mucchio a caso, iniziando a scavare e a rovistare con l’adrenalina a surriscaldarle il sangue: era certa, che lì in mezzo, da qualche parte, potesse esserci un oggetto di valida utilità, qualcosa che fosse vicino a una scala o una corda. Gattonò in ogni direzione, sfilando roba di ogni forma e dimensione, rigirandola fra le mani e gettandola alle proprie spalle, se non ritenuta idonea al suo scopo.

“Questo no, questo nemmeno, questo neanche….uffi! Ma qui è tutto rotto!” esclamò lei, col viso impolverato.

Indispettita, gonfiò le guance, ma senza smettere di scavare. Sebbene nessuno di quei oggetti fosse riuscito a conservare la propria integrità, dopo che i gorilla li avevano maneggiati, la bambina proseguì nel suo piccolo operato, con la paura ricacciata nel suo misero angolino nero e spoglio; anche a costo di farsi male alle mani, avrebbe continuato a rovistare senza sosta. Prima poi avrebbe trovato qualcosa, ne era sicurissima!

“Uhm..no, non va bene…..ah, trovato!” esultò.

Era arrivata al punto di mettersi a cercare da un’altra parte, quand’ecco, che da sotto una moca del caffè piuttosto malconcia, spuntò la manica di una camicia di un marrone sporchissimo: non era esattamente la corda che lei sperava di trovare, ma le andò bene ugualmente, così come furono graditi gli altri vestiari, scovati successivamente. Senza chiedersi perché vestiti del genere si trovassero lì – come tutta l’altra roba, del resto -, la piccina si risedette a terra, cominciando a legare fra di loro i capi trovati, esattamente come alcuni marine di Shirama le avevano insegnato: avere un papà che gestiva una base militare della Marina, implicava visite alquanto fruttuose, per un’aspirante esploratrice quale era lei.

“Dunque, questo va così, questo invece..ok…ecco, è pronta!”

Esclamando, balzò in piedi e alzò le braccia al cielo, tenendo ben stretta fra le mani una personalissima corda fatta di vestiti.
Era un po’ sudicia, ma abbastanza lunga da permetterle di scalare la parete. Ora che il mezzo era stato creato, non rimaneva altro da fare che sbrogliare l’ultimo problema: trovare il sistema per appendere uno dei due estremi fuori dal buco. Da dove si trovava Shion, era impossibile vedere cosa ci fosse all’esterno della buca e lanciare a vuoto un estremo della corda, sarebbe stata solo una perdita di tempo. Scartò anche il soffitto, posto ancor più in alto della sporgenza che voleva raggiungere, quindi, si concentrò sulla parete che aveva già tentato di scalare in precedenza: bitorzoluta e deforme, presentava numerosi appigli e rientranze, che gli occhietti della biondina reputarono immediatamente validi alla sua causa.

L’intensità con cui guardò le sporgenze andò a intensificare la sua forza di volontà, irrobustendola di ulteriore sicurezza.

Forse posso usare uno di quelli, si disse, nel corrucciare la linea della sua bocca.

Era fattibile, tutto stava da come riusciva a tirarsi su.
Non sarebbe stato tanto difficile, vista l’esperienza che vantava come arrampicatrice sugli alberi: non era la stessa cosa, se lo era già detto, ma, fra il battere il sederino e il rimanere lì, in attesa che quei gorilla tornassero alla carica, preferiva di gran lunga farsi qualche livido.
Avvolgendosi la corda attorno a una spalla, fece per recuperare la borsa a tracolla – tolta per avere maggiore mobilità nella ricerca -, ma, come allungò il braccio per prenderla, notò che anche qualcos’altro  stava cercando di compiere la sua medesima azione: era una manina piccola e nera, grande quanto la sua, rugosa e fredda. Con un grosso punto interrogativo in testa, Shion alzò la testa quanto bastava, per far combaciare i suoi occhi con quelli di una buffa creaturina, che la stava guardando col muso immobile e zitto.
Era una scimmietta, una scimmietta  grande quanto un cane di piccola taglia, che la fissava intensamente con due minuscoli occhietti neri e tondi. Il suo aspetto si avvicinava a quello di una bertuccia, ma le dimensioni appena più ridotte e la graziosità del muso, la escludevano da quella famiglia; il pelo del manto era di un bel rosso scuro, con un ciuffo disordinato in testa e una voluminosa coda soffice ondeggiante a destra e a sinistra. Come i suoi occhi e quelli azzurri della bambina si erano incontrati, questa aveva ritratto le braccine, ma senza scappare, quasi avesse trovato in lei qualcosa di ancor più interessante di quella borsa a cui stava puntando.

“Ciao”, fece Shion, con le sopracciglia alzate e la borsa ben stretta fra le braccia “Tu chi sei?”

Pose quella domanda con naturalezza, come se, davanti a sé, al posto di quella creatura, ci fosse una persona in carne e ossa.
Non aveva provato paura nel vedere quella manina scura e paffuta tentare di prenderle la borsa, al contrario; si era stupita di trovare in quella buca qualcun altro oltre a lei, e che, forse, era rimasto a osservarla per tutto il tempo. Così presa dal voler cercare una maniera per uscire, si era guardata in giro frettolosamente, osservando solo ciò che credeva di vedere, mettendo da parte il restante.
Dal canto suo, nemmeno quella piccola scimmietta pareva turbata, nonostante fosse stata colta sul fatto: anche se avesse avuto la capacità di esprimere i propri pensieri con la lingua umana, probabilmente se ne sarebbe stata zitta, come in quel preciso momento. I suoi occhietti fissavano Shion, ma, ogni tanto, divagavano sulla borsa che la bambina stringeva fra le braccia: le sue pupille interrompevano il contatto visivo con la bambina a intervalli irregolari, cedendo il posto allo smuovere delle labbra, arricciate e piegate in strane contorsioni.
Se non fosse stato per il leggero borbottio proveniente dalla sua pancia, la biondina non avrebbe mai capito la ragione di quelle facce assurde e insensate.

“Hai fame?” domandò Shion “Aspetta, forse ho qualcosa…”

Aprendo la sua borsa, la bambina immerse la mano al suo interno, cominciando a frugare e a spostare i vari effetti personali che si portava sempre dietro. Inclinando la testolina a destra e poi a sinistra, la scimmietta le si avvicinò, sino ad appoggiare le zampe anteriori sulle ginocchia di lei, con fare speranzoso. La biondina non badò a quel contatto e continuò a cercare, finché non trovò quello che faceva al caso suo: un sacchetto di biscotti fatto appositamente per lei da Sanji.

“Tieni”, le disse lei, porgendo all’animale uno dei dolci “Sono buonissimi.”

Spinta dai crampi dello stomaco, la scimmietta, inizialmente, allungò il muso, annusando e osservando il dolcetto, per poi prenderlo e divorarlo in pochissimi secondi. Non occorse molto prima che questa saltasse in braccio a Shion e le svuotasse l’intero sacchetto, senza chiederle il permesso.

“Urca, avevi proprio fame…”, mormorò stupita la bambina, nel mentre guardava la creaturina sorridere beatamente.

Se non altro, uno dei due era contento. Nell’osservarla massaggiarsi il ventre peloso, ora ben riempito, Shion non poté fare a meno di domandarsi cosa ci facesse una scimmia di taglia così piccola in mezzo a quei gorilla: forse quest’ultimi non erano la sola specie presente, forse, da qualche parte, c’erano altri animali, ma lei, durante quel tragitto tortuoso e altamente movimentato, non aveva visto nessun’altro. Che stessero nascosti per evitare di incontrare i gorilla? E poi, che ci facevano con tutte quelle cose, se le accatastavano lì dentro? La sua curiosità stava dando forma a tutti quei quesiti a cui avrebbe tanto voluto trovare una risposta, ma lo stringere la corda d’abiti creata da lei stessa, la spinse a scuotere la testa e ad alzarsi da terra, poggiando l’animale a terra.

“Devo uscire di qui”, si disse risoluta, chiudendo i pugni.

Posando i bei occhi azzurri sulla parete circolare, rinnovò la sua decisione con ancor più convinzione: aveva lasciato da parte ogni forma di incertezza o paura, desiderosa di compiere quella piccola sfida e vincerla con tutte le sue forze… peccato solo che, ancora, non sapesse bene come fare. Gli spuntoni adocchiati in precedenza, erano solidi a sufficienza da reggere il suo peso, ma rimaneva comunque il problema di legare un’estremità della corda a uno d’essi. Se solo ci fosse stata un’altra persona con lei…..

Già….un’altra persona!

L’idea che le balenò in testa fu piuttosto strampalata, ma non del tutto insensata: aveva disperatamente bisogno di un aiuto, giacché lo scalare a mani nude la parete, le aveva provocato solo botte e tonfi dolorosi e, per quanto assurdo e illogico che fosse, tutta la sua speranza era appena cascata sulle spalle di quella creaturina che le stava ai piedi, sazia per lo spuntino offertole.

Si, era ridicolo da pensare, ma la bambina non aveva molte altre scelte a sua disposizione e scartarne anche solo una, le sarebbe potuta costare anche la vita.

“Ehm….ok, proviamo…”, si disse.

S’inginocchiò davanti alla scimmietta, non del tutto sicura di quell’intenzione appena partorita dalla sua testolina. Cercare di instaurare un dialogo con una scimmia e, ancor di più, farsi capire da quest’ultima, richiedeva requisiti fuoriuscenti dalle capacità umane, magari poteri sovrannaturali che venivano conferiti soltanto a persone il cui destino era legato alla salvezza del mondo intero. Assurdità a parte, Shion era consapevole che la riuscita del suo intento era pericolosamente incerta, ma confidava nel fatto che, avendo ceduto all’animale i suoi ultimi biscotti, questo le venisse incontro.

“Allora… puoi aiutarmi?” le domandò, con molta lentezza “Puoi prendere questa corda e…si, insomma, legarla lassù?”, e indicò un punto non del tutto preciso della buca.

Per tutta risposta, la scimmietta sbattette gli occhi e inclinò la testa più e più volte, osservando la bambina andare nel pallone e mettersi le mani fra i corti capelli dorati, per i vari tentativi che stava cercando di formulare con quanta più decenza possedeva. Farfugliava più con sé stessa che con l’animale, e, man mano che proseguiva, il suo intento di spiegarsi, divenne sempre più intricato e complesso, peggio di quelle odiose e lunghe definizioni che il suo tutore le imponeva di imparare a memoria. All’apice della sua confusione, Shion abbassò il capo arruffato e fumante, con fare sconsolato, finendo per sospirare pesantemente. La grande goccia pendente dietro la sua nuca simboleggiò la sua ridicolaggine, per quel tentativo malriuscito.

Alla fine aveva combinato un così disastroso groviglio verbale, che perfino un sordo se ne sarebbe accorto!

“Uffi, e ades….whoa!!”

Nel mentre si stava domandando in che altro modo poteva agire, il bell’animaletto rosso le era balzato addosso, rischiando di farla cadere all’indietro.
Questo si appiccicò alla sua faccia come una ventosa, agitando le mani rugose e sbattendo la coda con freneticamente, facendo scontrare la sua soffice pelliccia col viso di Shion, affondato nel pelo del suo ventre. La piccola provò ad afferrarla con entrambe le mani, ma senza alcuna successo: la creaturina non faceva altro che agitarsi e sgusciare via dalle sue mani peggio di un’anguilla. Quando finalmente quella le si tolse di dosso – saltando giù dalla sua schiena -, Shion poté prendersi un’ampia boccata d’ossigeno. Subito, si girò indispettita verso la scimmia: le avrebbe detto che non era stato affatto carino saltarle addosso in quella maniera,  poiché lei le aveva gentilmente ceduto i suoi biscotti, ma quella piccola indignazione, pronta a essere tradotta verbalmente, rimase sospesa, per poi essere immediatamente cancellata.

Il solo vedere la sua corda di vestiti essere trascinata verso la parete e fatta risalire fino all’uscita, riaprì la porta di quella minuscola speranza che, poco prima, aveva decretato fallita. La scimmietta stava scalando la parete a suon di balzi, mostrando un’agilità impressionante negli arti: apriva e chiudeva i palmi delle sue quattro mani – o zampe che fossero -, afferrando la roccia e issandosi ancora più in alto, grazie a un dondolio sempre maggiore. Arrivata in cima, ella sparì per qualche istante dalla visuale di Shion, avvicinatasi alla parete per poter afferrare la corda che ora penzolava. Non credeva possibile che quanto appena visto, fosse vero, tant’era incredula, ma come udì un leggero strillo proveniente da sopra la sua testa, seguito da uno strattone per verificare se la corda fosse stava effettivamente legata a un macigno situato al di fuori della buca, un enorme sorriso comparve sul suo viso, rendendo ancor più luminosi i suoi occhi.

“Regge! La corda regge!” esclamò.

Non poteva davvero crederci! Quella scimmia l’aveva capita!

Stringendo maggiormente le mani attorno ai vestiti intrecciati, la piccola chiuse la bocca e alzò la gamba sinistra per far appoggiare il piede alla parete.
Con una spinta, venne il sinistro e poi ancora il destro, seguito dalle mani e le braccia, i cui muscoli si irrigidirono immediatamente, nell’istante in cui si ritrovò sospesa verticalmente in aria. Puntando gli occhi sulla cima, le parve molto più lontana di quanto le fosse sembrato, e questo pesò ai suoi arti tremolanti, tesi e duri per via dello sforzo a cui lei stessa li stava sottoponendo. Era difficile, molto, e più si prodigava per diminuire la distanza che la separava dalla libertà, più il calore che stava avvolgendo i palmi delle sue mani, aumentava drasticamente. Si ritrovò a respirare irregolarmente, gonfiando le guance rosse e trattenendoci dentro l’ossigeno; per evitare che i suoi piedi si staccassero dalla roccia, era costretta a farli strusciare contro di essa, avanzando più lentamente di quanto andasse. No, non era facile come molti, lei compresa, avevano immaginato: aveva appena toccato il punto che sanciva metà del suo percorso e già il suo visino era tutto paonazzo.

“Gnnnnn!! Che….fatica…!” mugugnò faticosamente, con i denti affondati nel labbro inferiore "Non è...gnnnn!! Come salire su un albero!!"

Mai come in quel momento, desiderò di saper utilizzare il Geppou.
Era pronta a scommettere tutti i risparmi del suo salvadanaio che, impararlo, doveva essere decisamente più facile che scalare una parete con una corda di abiti lerci, ma la fatica di quel preciso istante, stava omettendo tutta una serie di implicazioni che, indubbiamente, avrebbero visto il suo maialino di plastica viola – ovvero il suo salvadanaio - sgonfiarsi come un palloncino. Con quel pensiero frullante in testa, Shion continuò a salire, osservata da quella pelosa scimmietta, i cui ciuffi in testa si divertivano, ogni tanto, a ricaderle sui occhi. Seduta a terra, ma con la coda voluminosa ben alzata, la creaturina se ne stava ferma a guardare in basso, distogliendo gli occhietti, di tanto in tanto, per captare in anticipo la presenza di quegli scimmioni, sicuramente rintanati nelle zone più interne. Non sarebbe di certo uscita da uno dei suoi nascondigli, se non avesse avuto la certezza che i suoi simili – molto più grossi e cattivi di lei – non fossero stati sufficientemente lontani. Vivendo in quel labirinto di pietra, fatto di gallerie e buchi scavanti a mani nude, la piccola scimmia Cresta di Fuoco – questo era il suo nome completo – aveva imparato a sfruttare quei silenziosi intervalli al meglio delle sue possibilità, sia per procurarsi del cibo, sia per dormire, organizzando quel poco tempo a sua disposizione, in azioni semplici, ma rapide. Una strategia degna di un’accettabile dose d’intelligenza, ma era innegabile che, a rendere l’animale tanto scrupoloso, fosse il suo stesso istinto di sopravvivenza.

“Ci sono…ci sono, ci sono!”

Con un ultimo sforzo, Shion allungò di scatto una delle sue due braccia per afferrare il bordo della buca; stringendo le dita attorno ad esso e appoggiando i piedi su di una roccia sporgente, si diede la spinta necessaria per tirarsi su e, quindi, finalmente, uscire dalla sua prigione.

“Anf….ce…ce l’ho fatta…”, mormorò “Evviva, ce l’ho fatta!” e con le braccia alzate in aria, si lasciò cadere in avanti, sfinita.

Finì con la pancia schiacciata contro il pavimento, ansimando per la fatica, il bruciore alle mani, e quelle vampate di calore che la sua pelle emetteva a sbuffi irregolari. I battiti del suo cuore rimbombavano contro la roccia con così tanta frenesia da risultare dieci volte più percepibili del normale; i muscoli delle gambe erano tesi e tirati, necessitanti di qualche minuto di riposo, prima di sostenere tutto il peso del corpo. Era stata dura, ma ce l’aveva fatta: aveva usato il cervello- come le era stato insegnato - ed era riuscita a uscire da quella sorta di fossa, senza aspettare l’intervento dei suoi amici.

Una piccola vittoria di cui poteva andare fiera, ma, purtroppo, non quella definitiva: alzando la testolina, vide davanti a sé un unico, grande cunicolo, che si slargava sul fondo, diramandosi in più parti. Sebbene fosse riuscita a evadere dalla buca, non poteva ancora dichiararsi in salvo, perché, ad aspettarla, c’era l’intero interno della montagna, insieme a quei gorilla arrabbiati.
Trovare una via di fuga, così, su due piedi, era un’impresa piuttosto ardua da compiere al primo tentativo, ma nel mettersi seduta, Shion cercò di farsi ulteriormente coraggio: la paura messa da parte poco prima, stava tornando a solleticarle l’animo, facendole ben notare che quei cosi erano intorno a lei, e che potevano sbucare fuori da ogni angolo. Era come camminare su di un campo minato, con gli occhi bendati e senza possibilità di scelta, salvo quella di mettersi tranquillamente seduta e aspettare che Azu-chan o Lars venissero a prenderla, ma Shion, in quel posto, non ci voleva stare un secondo di più: le dava fin troppo disagio e lo stesso pareva per quella scimmietta rossa che l’aveva aiutata ad uscire.
Se ce l’aveva fatta a uscire da quella fossa, allora sarebbe riuscita anche a trovare la strada per tornare alla nave. Come si spolverò gli abiti, per poi sistemarsi meglio la borsa e dunque avanzare verso quel tunnel grigio, l’animale le fu subito accanto, trotterellando tranquillamente.

“Facciamo attenzione a non fare troppo rumore o ci sentiranno”, le bisbigliò Shion, nel mettersi l’indice sulle labbra.
 
 

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           Lars.
  
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