Serie TV > Robin Hood (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: _Misery    27/11/2011    1 recensioni
Ma s’era mai vista una regina tanto in balia del destino e delle decisioni degli uomini?
[Non ho scritto per essere letta, ma ora voglio provarci: ho preso una serie che ho odiato, poi cominciato ad amare sottilmente, e che alla fine mi ha ossessionato per tutti i sabati dei sabati (amen); ho chiuso gli occhi, ho pensato a come l'avrei voluta, e c'ho piazzato nel bel mezzo una regina inesistente, fredda e infelice; probabilmente ho anche scambiato nomi e resuscitato morti, e per questo mi scuso.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mentre i primi raggi dell’alba esangue s’infilavano tra le tende e la testa mozzata di suo fratello le librava ancora davanti agli occhi, un orribile frastuono agitò il sonno di Leonore; si destò di soprassalto, convinta che le truppe nere di suo marito avessero fatto irruzione per riprenderla, ma la quiete tornò all’improvviso. Doveva aver avuto una notte piena d’incubi.
Si sollevò dalle pesanti coltri del letto, rifiutandosi di sentire se quel bambino fosse ancora vivo, si sistemò velocemente i capelli con le dita sottili e si gettò addosso il mantello. Da quella stanza solitaria non aveva visuale sul campo che fronteggiava il castello, e non sapeva se l’allegra combriccola di fuorilegge fosse già scesa all’azione; odiava tutto questo, la confondeva e la nauseava.
Corse fuori, in mezzo al silenzio che sembrava aver incantato la fortezza, e non trovò anima viva finché non s’imbatté in Kate, accanto alla biblioteca.
- Principessa! Siete già sveglia – disse, sistemandosi una faretra sulla spalla destra.
- Sì, credevo d’aver sentito dei rumori… ma sembra che non ci sia nessuno – mormorò Leonore, infreddolita.
Kate la guardò di sbieco. – Non pretenderete di essere servita e riverita, spero – disse.
- Cielo, certo che no! Sarebbe una pretesa quantomeno fuori luogo, in questo momento. Solamente, mi chiedevo se foste già andati ad affrontare gli uomini di Vasey.
- Non ancora, principessa. Dovremmo almeno capire quali sarebbero le loro mosse, ma non sembrano ancora intenzionati a far nulla, per cui non c’è molto che possiamo fare. Figuratevi – aggiunse, con un mezzo sorriso che Leonore decise di ignorare – che Gisborne era talmente irrequieto che ha passato la notte a sorvegliare il castello e a cercarvi una levatrice in gran segreto. Sembrava veramente un lupo idrofobo.
- Sempre gentilissima – fece Gisborne, comparso alle loro spalle.
- Ovviamente – ribatté Kate, sollevando il mento. – Con permesso – disse poi, chinando lievemente la testa in segno di saluto, e si allontanò con passo veloce e deciso.
- Non dovreste rimanere nella vostra stanza e non farvi vedere troppo in giro, principessa? – chiese Gisborne, con una punta di sarcasmo nella voce profonda.
Per tutta risposta, Leonore si avvicinò ad una delle chiare finestre e scrutò l’orizzonte ancora intriso di notte. – E da chi, di grazia? – disse. – Non c’è anima viva.
- Ci stiamo preparando – replicò Gisborne, tendendo naturalmente verso di lei. – Loro non esiteranno ancora molto ad attaccare, e voi dovrete essere il più al sicuro possibile; inoltre stanotte vi ho…
- … trovato una levatrice in gran segreto? – lo interruppe Leonore, mentre la sua corazza di ghiaccio e sarcasmo cominciava a vacillare come se qualcuno vi fosse finito addosso inavvertitamente.
- Infatti.
- Singolare, non è vero? Io tento di finirla una volta per tutte e voi cercate di aiutarmi in modo totalmente opposto.
- Perché è di questo che avete bisogno, non della morte –
- Non mi sembra di avervi mai dato il permesso di contraddirmi – ringhiò Leonore, piano, senza voltarsi ancora.
 - Non siate sciocca, principessa – disse Gisborne, lottando contro se stesso per rimanere calmo di fronte a quella piccola roccia aspra che aveva di fronte. – Voi non conoscete l’amore ma lo temete, figurarsi se non avete paura della morte…
- Questo non è affatto vero! – esclamò Leonore, puntandogli in viso due bianchi occhi di fuoco e ricacciandoli subito via, come se d’un tratto qualcosa li avesse feriti. – Sapete cosa veramente temo? La vita che mi rimarrebbe. Tutti quegli sguardi perversi che tornerebbero a fissarmi giorno e notte, quegli inchini, quei banchetti pieni d’animali, quel vuoto… Dio mio, so che è strano, ma quel che sento in questo luogo pur malsicuro è la cosa più vicina alla felicità che io abbia mai provato, e voi, nonostante tutto, siete quella più vicina ad un amico che abbia mai avuto, se è così che chiamano le creature che non sanno parlarsi ma si ritrovano sempre fianco a fianco! – Leonore si fermò come per riprendere fiato o per trattenere il pianto, Gisborne non sapeva; avrebbe voluto volgerle quel collo d’argento, farla tacere una volta per tutte. – Ma dopo? – sussurrò ancora; sembrava accartocciarsi lentamente su se stessa. – Dopo cosa diavolo farei?
Il suo silenzio, tanto cupo che l’avrebbe percepito anche a metri di distanza, la fece infine voltare; ma stavolta fu lui a non guardarla. Il suo profilo sembrava essersi pietrificato alla luce dell’alba.
- Lotterete – mormorò Gisborne, ma fu come se le parole stessero sgorgando da uno spirito a lui solo vicino.
- Gisborne! – chiamarono all’improvviso, tanto forte da farli sobbalzare: era Robin Hood, ricomparso da qualche punto del sonno stregato del castello. – Gisborne! Corri! Si preparano ad attaccarci!
- Maledizione, maledizione – ringhiò lui, e per un attimo il suo volto parve tornare quello selvatico di una volta. – Sto arrivando! Jane! – gridò poi, afferrando il braccio di Leonore. – Jane!
Una miriade di passi parve circondarli alla sprovvista, sempre più veloci e tanto rumorosi che Leonore avrebbe voluto piangere.
- Adesso ascoltatemi – le disse, fissandola dritto negli occhi – ho mostrato a Jane la camera più protetta del castello, lei vi ci condurrà e voi dovrete rimanere lì, succeda quel che succeda. Intesi?
- Dannazione, Gisborne – sibilò immobile Leonore, con l’espressione di chi avrebbe tanto voluto sbattergli una porta in faccia, se solo avesse potuto – voi non potete andare a buttarvi in un’impresa tanto folle e dire a me di lottare!
- E invece lo farete – rispose lui, aspro, lasciandola andare.
Leonore rimase lì, inerme, a guardarlo correre via; soffocava come se il suo cuore fosse appena stato squarciato da una lunga, stremante corsa. Poi qualcosa attirò la sua attenzione, e Leonore si volse: subito una donnina dai capelli appena inargentati e i vestiti miseri le si inchinò davanti, quasi tremando – eccola, la sua dannata levatrice, una creatura tanto esile che persino la brezza avrebbe potuto piegarla.
- P… principessa – balbettò, senza alzare il capo.
Ma Leonore non rispose. Qualcosa di caldo e viscido colava lungo le sue gambe, attorno alle ginocchia, fin giù alle caviglie, e non era sangue; in un istante il mondo intero parve contrarsi e gettarlesi addosso con quelle sue fauci spalancate e accecanti, pronto a dilaniarla. Leonore poggiò una mano al muro e si accasciò a terra, maledicendo a denti stretti quel giorno: non avrebbe mai dovuto vederlo, non sarebbe mai dovuto arrivare! Guy di Gisborne era un demonio, uno schifoso traditore, un vile della peggior specie!
 
Quante urla, quante grida avevano riempito il cielo grigio: la battaglia aveva ululato per tutto il giorno, infinita, fragorosa. Anche Leonore aveva urlato, aveva gridato, tutto il giorno, senza fine, mangiandosi le labbra, spezzandosi le dita, serrando gli occhi di fronte al rosso delle lenzuola e delle mani della piccola Jane. Si stava frantumando, lo sentiva; era orribile, era pronta a morire e a lasciare quel corpo malato, a non vedere più. Ma tutto era finito all’improvviso, il suo ventre aveva smesso di lacerarsi sotto il baldacchino, i gemiti erano morti così com’erano venuti, e il silenzio era tornato a rombare feroce al tramonto prima che un nuovo suono, uno stridio insopportabile – il pianto di un bambino – sorgesse dalla penombra. Leonore avrebbe voluto piangere assieme a lui, ma non di gioia, non di gioia.
 
Erano riusciti a trattenere gli uomini di Vasey e i loro arieti, forse per una notte ancora.
- Cosa diavolo è successo? – sbraitò Gisborne, dimenticando la cortesia. Robin Hood e gli altri erano dietro di lui, gli occhi splendenti nell’oscurità.
- La principessa ha dato alla luce una bambina mentre difendevate il castello – frusciò Jane; non osava guardarlo. – È nata molto prima del tempo, temo, ma sembra che per ora stia bene, anche se la principessa non ha voluto prenderla per nulla al mondo. Il prete Tuck è con loro, adesso.
- Dannazione – borbottò Gisborne, scansando la levatrice senza troppe cerimonie e affrettandosi verso la stanza di Leonore; credette di poter sentire una parte del dolore che doveva aver provato lei.
- Spero sopravvivranno entrambe – sospirò Jane, passandosi una mano sugli occhi.
- Certo che lo faranno! – gridò inaspettatamente lui, da lontano. I suoi passi risuonarono ancora per un po’, come rapide pugnalate sulla pietra, poi scomparvero nel buio.
 
Un uomo nero come le ombre – un monaco, o uno spirito, forse – le stava carezzando dolcemente la fronte umida, come se questa potesse racchiudere qualcosa di veramente prezioso.
- Come vi sentite? – chiese.
Leonore dovette quasi sforzarsi per ricordarsi che aveva una bocca. – Come se avessi combattuto per mesi – riuscì a dire, con una voce che non era nemmeno sua.
 L’uomo sorrise, e a Leonore parve lontanamente di sorridere di rimando. – Vi riprenderete presto, vedrete – sussurrò. – Ah, Gisborne – mormorò poi, accorgendosi ora della figura che sostava alla porta, di nuovo, perfettamente immobile. – Siete già qui.
Gisborne taceva ancora; la visione di quella figura bianca e tanto fragile che le coltri avrebbero potuto inghiottirla, di quello spettro che moriva, gli aveva semplicemente falciato il respiro. Dov’era la principessa che s’imporporava per l’ira, che feriva con occhi disumani? Adesso, come fosse riuscita a trovare una fiamma a loro invisibile, volgeva ostinatamente il viso alla finestra nera, lontana da tutti loro.
Tuck s’avvicinò a Gisborne con una ciotola calda tra le mani, ma questi non riuscì ad articolare un qualsiasi suono sensato; si limitò a deglutire forte, tentando di seppellire le proprie emozioni quanto più a fondo poteva, mentre i suoi occhi si facevano neri, neri come la notte lì fuori.
- Si riprenderà davvero – sussurrò il prete, dopo aver atteso invano una qualche domanda. – Basterebbe che mangiasse un po’ – e lanciò una breve occhiata desolata alla scodella – ma è molto forte, comunque. Non ci metterà molto a tornare quella di prima.
- E se invece non lo volesse? – biascicò Gisborne, con la gola arida e le labbra contratte.
- Vi sento parlottare, laggiù – mormorò improvvisamente Leonore: il suo viso era ancora oscuro, ma intanto sembravano guardarli due paia di polsi esangui, cristallini, languidamente abbandonati lungo i fianchi. – Siete morti o vivi? – e inspirò fremendo come se le facesse male, – siete Gisborne?
- Sì, sì, sono io.
- Avete una freccia in mezzo al petto o siete tutto intero?
- Tutto intero, mia signora, tutto intero; siamo riusciti a difendere il castello per una notte ancora.
Parole che in quel momento non sembravano avere alcun senso, non per lui, non per lei; ma cosa dire ad una creatura con un tale dolore nel viso pallido, nei capelli neri, nel corpo freddo, cosa dire ad una creatura che sembrava dovesse essere presto divorata dalle paludi?
- Almeno voi potete ancora combattere – sospirò Leonore, e anche questo parve farle ancor più male. – Io non ho nemmeno più qualcosa per cui morire. Voglio dormire, voglio dormire. Se vedete Giovanni non ditegli che sono qui, abbiamo urlato tutti un po’ troppo per i miei gusti.
Gisborne fissò la principessa a lungo, smarrito, poi tornò a guardare il prete; una candela bastava a malapena ad illuminargli il viso, ma Tuck percepì il lampo dei suoi occhi.
- È troppo stanca e deperita, Gisborne – sussurrò, quasi giustificandosi. – Adesso è meglio che andiate e la lasciate riposare, io cercherò di farle mangiare qualcosa.
- Non ho fame – replicò Leonore, debolmente, dal suo angolo.
- Mangerete – ringhiò Gisborne, mentre usciva. Tuck lo bloccò all’improvviso, afferrandolo per un braccio.
- E comunque, dato che nessuno sembra volersene minimamente preoccupare – soggiunse, quasi minaccioso – la bambina si trova nell’ultima stanza del corridoio, e sta anche meglio di quanto potessimo sperare.
- Un boccale di vino! Un bel boccale di vino profumato, presto! – la voce di Leonore cadde presto nel sonno.
 
Il frusciare di due voci sommesse e ridenti distrasse Gisborne dai suoi pensieri, fissi davanti alla porta della principessa; il bagliore di una candela, dal fondo della notte, le accompagnava per il corridoio. C’era qualcuno nella stanza della bambina: Gisborne lasciò il suo posto e corse a vedere chi fosse, incurante dei suoi passi – e, diamine, si trattava solamente di Kate e Robin.
- Cosa state facendo qui dentro? – sibilò, facendoli sobbalzare. I due intrusi si volsero e lo fissarono con un’espressione estatica che Gisborne non aveva mai visto, sui loro volti (e che, sinceramente, lo irritava non poco); Kate aveva in braccio la neonata, e le stava carezzando la piccola testa assopita con il pollice.
- La stavamo solo guardando, Gisborne, sta’ tranquillo – disse Robin Hood, con un sorriso ebete stampato in faccia. – Una bambina così delicata non può starsene tutta sola.
- È veramente bellissima, per essere così prematura – mormorò Kate, prendendo a cullarla pian piano. – E Tuck le ha dato un nome adorabile, Rose. Piccola, piccola Rose.
- Non v’immaginavo davvero così teneri – fece Gisborne, con una smorfia. – Vi comportate come se foste voi i suoi genitori, ed è alquanto stomachevole… adesso rimettetela a posto!
- Oh, avanti, ne parlate come se fosse solo un oggetto troppo fragile! E poi me l’ha data Jane, e so benissimo come si tiene in braccio un bambino. Non ve la romperò mica, questa povera, adorabile creaturina. Così piccola e già ripudiata, riuscireste ad immaginare destino peggiore?
- È senz’altro il migliore che potrebbe desiderare, Kate.
Nessuno riconobbe subito l’asprezza di quella voce o quel bagliore d’occhi che uscivano dalla notte, nessuno l’aveva udita camminare, socchiudere la porta, guardarli come uno spirito.
- Leonore…
- Leonore.
- Dovreste essere a letto, siete terribilmente pallida.
La principessa contrasse la bocca, sbatté le palpebre, alzò violenta la testa; senza i suoi velluti scuri e le sue sete era piccola, infinitamente piccola, eppure tanto spaventosa.
- Per prima cosa – disse, inspirando forte come per impedirsi di lanciare quella dannata candela nel bel mezzo della fronte di qualcuno – non mi sembra di esservi tanto intima. Secondo poi, non voglio passare un attimo di più in quel letto polveroso, e terzo, Gisborne ha ragione: lasciate la mia… lasciate la bambina dov’era.
Per tutta risposta, Kate parve tenere quel fagottino ancor più stretto. – Cielo, principessa, stanotte è così freddo e lei è così piccina – disse, avvicinandosi a quella tremenda creatura che la fissava furente. – Non potete semplicemente lasciarla così… ecco, guardatela, non vorreste prenderla in braccio?
- Kate, no. Lascia stare, avanti. – Robin Hood era guardingo come se, invece che indossare quella miserabile veste bianca, Leonore fosse armata fino ai denti. Ma quanto ci si poteva fidare di una creatura infelice?
Kate non l’ascoltò affatto. – Nemmeno per un po’?
Ormai era a pochi passi dalla principessa; Leonore fissò stordita il suo mezzo sorriso, poi il volto della bambina e quelle sue guance rosse come fiori, e si sentì affogare. Vedeva quella minuscola testa, quel cranio ancora leggermente malfatto, quelle ciocche fulve, quei pugni che si agitavano nell’aria, e vedeva un’anima che le era stata ormai amputata; poteva forse amarla? Poteva amare una figlia di suo marito?
All’improvviso notò che anche lo sguardo affranto di Gisborne si era posato sulla bambina, e tutto il suo odio si riversò su di lui.
- È uguale a suo padre! – gridò, allontanandosi di corsa. – Dio mio, è così uguale a suo padre! Fatela sparire immediatamente!
Kate rimase agghiacciata dov’era, mentre Rose si agitava e piagnucolava contro il suo petto.
- Santo cielo, Gisborne, non ti rendi conto che ormai è completamente folle? – esclamò Robin, guardandolo accasciarsi piano su una sedia, con la testa tra le mani.
- E che cosa dovrei fare, secondo te? – biascicò lui, rivolto più a se stesso che al suo compagno di sventura. – Io mi chiedo perché diavolo, perché diavolo sia dovuta venire proprio qui! Avrei preferito non vederla, avrei dovuto ucciderla!, invece che lasciarla in queste condizioni… se solo io…
- Adesso non vi ci mettete anche voi – ribatté Kate, aspra, mentre cercava di calmare la bambina proteggendola col suo collo. – Smettetela di dire assurdità e andate a fermarla, prima che faccia qualcosa di tremendamente sciocco o pericoloso. Forza!
Gisborne s’alzò e uscì meccanicamente, ciondolando come un fantoccio appeso. Doveva essere veramente fuori di sé, per eseguire gli ordini di una ragazzina.
- Robin, qui stanno diventando tutti matti – mormorò Kate, preoccupata.
- L’ho notato – rispose lui, mentre il pianto della bambina cresceva e si faceva sempre più disperato. – Dobbiamo trovare subito qualcuno che si prenda cura di Rose, che possa abbracciarla in ogni notte come questa… e che se ne vada il più lontano possibile da qui. Noi non potremo farlo, Kate.
 
Leonore era una furia che infestava i corridoi, ululando, frusciando via nelle sue vesti opaline ogni volta che Gisborne tentava di prenderla. Oramai l’intero castello doveva averla vista o averne udito i passi frenetici, ma a lei sembrava non interessare minimamente.
- Oddio, quel pianto, quel maledetto pianto! – gridava, con le mani nei lunghi capelli color della notte. – Fatela smettere!
Gisborne la seguì nella sua stanza, completamente dimentico di ogni buona creanza; la principessa parve non accorgersene, ossessionata com’era dalla voce ormai lontana della sua bambina. Ansimava, appoggiata al davanzale della finestra, come se una lama gelata le stesse trafiggendo le tempie da parte a parte, come se non potesse trovar sollievo.
- Fatela tacere, ho detto! – continuò, ma la sua voce parve cedere. Improvvisamente si tolse le mani dalle orecchie e, afferrato il gelido pasto che il prete aveva tentato di farle mangiare (non riusciva a realizzare quanto tempo fosse passato), lo lanciò fuori dalla finestra con tutta la rabbia che le fremeva in corpo; dal piccolo cortile sottostante s’alzò un corale ehi!.
- Prendete e mangiatene tutti! – strillò Leonore, stizzita; poi si voltò – e ancora sembrava non vedere quell’ombra ospite –, fissò con ineffabile rabbia la candela che languiva in un angolo della stanza e vi si lanciò contro. Fu a quel punto che Gisborne la fermò, senz’altro modo che tenendola stretta fra le braccia.
- Adesso calmatevi, calmatevi! – sibilò, ricacciando giù per la gola l’orrore che l’invadeva. – Siete completamente fuori di voi!
- Ma non sono pazza! – replicò Leonore, dimenandosi con violenza. – Lasciatemi!
- No, no – disse Gisborne, e la strinse ancora di più; poteva quasi sentirla soffocare, come una bestia ferita, sotto le sue braccia. – Vi ricordo che teoricamente qui sareste in territorio nemico, ed io non ho la minima intenzione di rispondere ai vostri ordini.
La principessa si fermò, stremata, e soffiò via le lunghe ciocche di capelli neri dal suo viso stravolto.
- Io, invece, vi ripeto che non sono una mentecatta, Gisborne – mormorò, tra i denti. – Sono solo arrabbiata, tremendamente arrabbiata.
- Lo capisco, princ… –
- No! Ovvio che non mi capite! – lo interruppe Leonore, piantandogli addosso gli occhi lucidi di collera. – Come potreste? Parlate come se foste mai stato… come se foste mai stato incinto. Diavolo! Come ha potuto farmi questo… avrei preferito mille volte morire trafitta su un campo di battaglia che passare tutto questo… io… e voi! – gridò, tornando a scalciare più forte di prima. – Voi, siete solamente un vile bastardo! Come avete osato lasciarmi in questo stato? Con quale maledetto coraggio?
Il corpo di Leonore era ora così piccolo e caldo, tanto diverso da quella scultura di marmo e ferro che Gisborne aveva sempre dovuto ammirare da lontano, e sempre con quell’eccentrico principe rossiccio ad oscurarne il vago chiarore; ma era impossibile placarla, gli stava lentamente impazzendo tra le braccia, e le sue parole aspre gli raggelavano il sangue nelle vene, lo rendevano furioso.
- Avreste potuto farlo da sola, se desideravate tanto morire – esclamò, ormai esasperato. – Perdio, adesso basta!
E fece qualcosa che non avrebbe mai nemmeno immaginato di poter fare: alzò una mano, un lampo chiaro contro la luce della candela, e schiaffeggiò la principessa in pieno volto. Lei ricadde all’indietro, sul suo letto – più per la sorpresa che per il dolore, forse –, e all’improvviso lo guardò con viso pallido e ardente; ma Gisborne già pareva atterrito dal suo stesso gesto, e si fissava le mani senza riuscire a dir nulla.
- Andatevene – ringhiò Leonore, stringendo convulsamente una colonna del letto. – Avete ragione, sono stata una debole sciocca… ma non preoccupatevene troppo, già domani sparirò. Ma adesso andatevene, miserabile, o vi ucciderò io stessa! Voi e quella cagna di vostra sorella! – gridò ancora, mentre Gisborne batteva in ritirata, stravolto e sconfitto. – Voi non mi amate, Guy, non mi amate!
Leonore sprofondò tra le lenzuola, azzannandole, mentre la candela moriva lentamente accanto a lei. Aveva dato alla notte una bambina senz’anima, aveva combattuto e aveva perso, era sola; nella sua testa si risvegliarono le voci oscure di suo padre e di suo fratello, ma Leonore le fermò prima che potessero ingannarla.
Tutto tacque, tutto fu buio.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Robin Hood (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: _Misery