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Autore: SunriseNina    30/11/2011    3 recensioni
-Luna?-
-Sì?-
-Ma quindi io e te adesso stiamo… stiamo insieme, penso, no?- si dondolò avanti e indietro con le guance di un rosso vivo e quel maledetto nodo alla gola.
-Certo che adesso stiamo insieme, non vedi? Qui ci siamo solo tu ed io!- rispose lei.
-Non intendevo in quel senso!- Neville si tormentò i capelli con aria disperata –Volevo dire insieme inteso come fidanzati! Insieme, stare insieme, capisci? Essere fidanzati, ecco!- si torturava come suo solito le dita tremanti e sudate, spiccicando faticosamente parola.
Gli sorrise. Un sorriso dolce e felice, un sorriso che Neville amava più di qualsiasi altra cosa al mondo:-Sì, penso di sì. Tu che dici?-
-Secondo me sì- rispose, senza capire il senso di quel discorso.
-Allora dev’essere per forza così- affermò lei –Sì, siamo fidanzati. O come dici tu, stiamo insieme-.
-Adoro le tue fossette- disse a un certo punto Luna.
-Me lo avevi già detto- osservò lui, non per questo meno compiaciuto.
-No, quella volta ti ho detto che mi piacciono le fossette, in generale- puntualizzò lei con naturalezza –Ma era una piccola bugia. A me piacciono le tue, e basta-.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neville Paciock | Coppie: Luna/Neville
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Ricercatore di piante carnivore, Guaritore, Botanico.
Neville scosse la testa, sbarrò con veloci tratti di matita le tre voci e appoggiò il taccuino sul comodino; prese la piccola teiera che usava come annaffiatoio e versò un poco d’acqua nel vasetto della Mimbulus Mimbletonia. La pianta era diventata enorme, raccapricciante secondo gli altri Grifondoro, che non erano soddisfatti quanto Neville alla vista di quei bubboni grigiastri e pulsanti, che il ragazzo curava e medicava con minuzia. Curare quella pianta era forse una delle poche cose che gli davano la sensazione di essere utile, e soprattutto capace; forse proprio per quello era così in crisi, alla ricerca di un possibile mestiere.
In realtà non era una ricerca che lui avrebbe voluto fare: era sua nonna ad insistere, tramite snervanti strillettere, sul fatto che dovesse portarsi avanti, progettare, avere dei sogni concreti e realizzabili. Eppure lui non trovava nulla in cui si sarebbe voluto lanciare, qualcosa che avrebbe appagato appieno la sua passione incondizionata per le piante: tutto era troppo faticoso, o complicato, o semplicemente non sembrava alla sua portata. Neville non sapeva quanti e quali G.U.F.O. sarebbe riuscito a superare, sebbene avesse iniziato a studiare più di quanto non avesse mai fatto nella sua intera vita studentesca; ma i libri di testo sembravano lievitare, riempirsi di nuovi capitoli strabordanti di termini incomprensibili, nomi, ingredienti e componenti astrusi, informazioni e date da imparare a menadito.
Sollevò il vaso di coccio tra le mani: era ormai arrivato il momento di separarsi dalla cara Mimbulus. Era troppo grossa per essere tenuta nel dormitorio, e la professoressa Sprite si era offerta di curarla al posto del ragazzo nella serra, insieme alle altre meraviglie botaniche che possedeva la scuola.
Neville scese le scale, il pesante vaso che gli complicava i movimenti stretto tra le mani; serpeggiando tra gli sporadici studenti presenti nei corridoi, il ragazzo finalmente uscì e si diresse a passo lesto verso la serra.
Era ormai maggio, l’erba cresceva brillante e rigogliosa, il sole allargava raggi caldi e luminosi nel cielo limpido, le piante si riaccendevano della loro vitalità, il terreno si faceva fertile e nutrito delle piogge di marzo e aprile. Il ragazzo sorrise, non potendo fare a meno di farsi trascinare dalla vita che rinasceva tra i boccioli variopinti e tra le folte chiome degli alberi, che gettavano sul terreno fresche ombre adatte a pennichelle nei pomeriggi più caldi e noiosi, oppure per uno studio più spensierato che quello tra le mura del castello.
-Oh mio dio, ragazzo!- esclamò la professoressa Sprite, alla vista della pianta –Sai come si chiama questo, signor Paciock?!- la donna corpulenta lo guardava elettrizzata, stretta in un abito da giardinaggio verde mela chiazzato di fango e fertilizzante.
-Mimbulus mimbletonia?- azzardò lui imbarazzato.
-No!- la donna batté sul tavolo con la mano guantata – Talento, ragazzo mio! TALENTO!- la professoressa prese il vaso con un sorriso allegro, la sollevò e la mise insieme agli altri che stipavano la serra. Tutto era patinato di terriccio, compresi i lunghi tavoli su cui erano ammonticchiati vasi di coccio, palette, guanti, cesoie e paraorecchie; dalle vetrate la luce del pomeriggio irrompeva con energia, come un fiume in piena, e scorreva sulle piante dai colori vivi e sgargianti.
-Paciock?- tuonò la voce altisonante della Sprite –Cosa hai intenzione di fare, una volta finito di studiare ad Hogwarts?-
Neville tentennò, chiedendosi se la professoressa avesse qualche capacità telepatica:-Non… non so ancora precisamente… Qualche progetto, molto vago…-
-Ragazzo mio- disse la Sprite dandogli una potente pacca sulla spalla –Dovresti lanciarti nelle ricerche, nelle sperimentazioni, nelle scoperte dell’Erbologia!-
-Io… ci avevo già pensato, prof- disse lui, a disagio –Ma non sono un tipo molto… adatto a questo genere di cose…-
-E allora, sai che ti dico?- disse lei, dirigendosi verso le sue piante –Torna ad Hogwarts!-
Lui la guardò perplesso:-In che senso… “torna”?-
-Oh, andiamo! Paciock, aziona il cerveletto!- schioccò le grosse dita con un rumore gommoso–Insegna! Come la sottoscritta!-
Insegnare.
Sì, ci aveva pensato. Era forse uno dei progetti che più lo allettava, e al contempo gli sembrava al di fuori della sua portata: per insegnare ci voleva una grande conoscenza, ma anche la capacità di gestire i ragazzi, i loro programmi di studio, saperli proteggere dai pericoli e insegnare loro ogni singolo particolare dell’arte dell’Erbologia. Come poteva lui spiegare come curare e difendersi da un Geranio Zannuto quando lui stesso, affrontandoli nella prova di preparazione ai G.U.F.O, era stato portato in infermeria con la mano sanguinante?
Non era il genere di persona adatta a quel delicato lavoro, ne era convinto. Ma tantomeno era adatto a scapicollarsi tra viaggi nell’America latina o in Assiria, come lo zio, alla ricerca di chissà quale pericolosa specie arborea in chissà quale angusto e irraggiungibile anfratto della Terra. Quello era un lavoro che di sicuro una persona che lui conosceva bene avrebbe preferito: Luna.
Lei sì che sarebbe stata adatta: gli sembrava di vederla, i lunghi capelli biondi al vento, una donna formata ed agile, che si librava a cavallo di un manico di scopa tra il fitto fogliame dell’Amazzonia, senza impigliarsi in alcuna liana o scontrarsi con dei volatili di passaggio. Era così, era nata per essere uno spirito libero e indomabile, scapestrata come un animale selvaggio.
“Già” si disse tristemente, osservando il terriccio morbido della stradina che stava percorrendo “Il contrario di quello che sono io.”
Una domanda, tremenda, gli gravava ormai sul petto: quali speranze potevano avere due destini così differenti di essere intrecciati?
Guardò uno stormo di tordi alzarsi in volo da uno dei mastodontici alberi che riempivano il parco di Hogwarts e, eseguita una larga curva nel cielo limpido, allontanarsi verso l’orizzonte.
Riflettendoci oggettivamente, rasentava l’ingenuità, se non la stupidità, sperare di portare avanti per sempre una relazione iniziata nella prima adolescenza: lui aveva quindici anni, e si sentiva ancora praticamente un bambino; lei era ancora più piccola, quattordici anni. Sapeva bene che la maggior parte delle relazioni che si consumavano negli anni di Hogwarts erano frivole, passeggere, e che poche volte si protraevano nell’età adulta; eppure Neville non riusciva ad arrendersi all’idea che, in un modo o nell’altro, la sua relazione con Luna sarebbe giunta ad una fine.
Ormai, da febbraio, erano passati quattro mesi; in un tacito accordo, i due avevano decretato che la data precisa del loro fidanzamento era stata quella della notte nel bagno dei Prefetti, ovvero il 15 febbraio. Erano già passati cinque giorni dal loro quarto mesiversario, e il ragazzo sentiva che quegli attimi gli erano letteralmente sfuggiti: gli sembravano passati pochi attimi da quando aveva visto per la prima volta Luna, dallo spiraglio socchiuso dello scompartimento, ignaro di quello che quella ragazza avrebbe significato per lui. Tutto quello che era successo in quei mesi, tra i suoi ricordi, erano come brandelli di sogno incredibilmente reali: quando, ad esempio, per il primo d’Aprile, la ragazza si era presentata al tavolo di Grifondoro reggendo un grosso vassoio con una triglia affumicata, indifferente alle risa convulse degli altri studenti aveva urlato:”Buon pesce d’Aprile!” al ragazzo, a metà tra l’imbarazzato e lo stupefatto; o quando Neville era riuscito, sebbene tutti i severi provvedimenti della Umbridge, ad intrufolarsi nella Sala Comune di Corvonero ed erano rimasti insieme fino a tarda notte, accoccolati sui divani cenerini accanto alle braci spente del camino. E tutte le parole, le promesse, le risate e i sorrisi, i “ti amo” rossi d’imbarazzo, i baci teneri tra gli scaffali della libreria o nei corridoi poco affollati.
Era proprio quella la caratteristica di Luna che più gli piaceva: con lei, non ti potevi annoiare. Anche i pomeriggi passati in biblioteca, dove la Corvonero aveva tenuto compagnia al ragazzo sommerso dai compiti per i G.U.F.O, Neville non poteva fare a meno di tornare nella Sala Comune con un sorriso sulle labbra: un commento, una parola, un gesto inusuale, ed ecco che Luna si dimostrava eccentrica ed unica in tutto il suo essere.
Inoltre, chi più chi meno, i compagni dei due ragazzi li avevano presi in simpatia: Dean, Seamus, Ron ed Harry, che si erano mostrati stupiti e perplessi all’inizio, si erano lasciati alle spalle qualsiasi scrupolo ed erano sinceramente soddisfatti per l’amico. Hermione approvava con i suoi sorrisi quasi  materni, Ginny era letteralmente entusiasta, e non faceva che ripetergli che, da quando era fidanzato con Luna, aveva preso colorito sulle gote, oltre che una chiara e costante serenità. Anche i ragazzi di Corvonero non lo biasimavano, al massimo lo guardavano divertiti chiedendosi “Ma come fai a stare con quella?”, e per il resto la sua presenza non dava alcun fastidio. Hannah sembrava ancora restia ad accettare il loro fidanzamento, ma si capiva che avrebbe voluto essere felice per loro, e Neville ne era diventato amico, per quanto potesse a volte risultare imbarazzante il ricordo di S.Valentino. Addirittura anche i professori, che per quanto facessero gli indifferenti erano occhi e orecchie della scuola, sorridevano alla vista dei due che si tenevano per mano; ovviamente non Piton o la Umbridge, ma Vitious li adorava letteralmente, e come lui la Signora Grassa (che aveva trovato in Luna una stravagante e piacevole compagna di discussione nelle prime ore della mattina). I più, nella scuola, avevano ben altri pettegolezzi per la testa, ma tutti avevano sentito anche vagamente parlare della stramba coppia che si poteva sorprendere in un tenero bacio nei momenti più impensabili.
Tutto quello, per il resto del mondo era ovvio e scontato, presto o tardi sarebbe finito. Forse avrebbero furiosamente litigato (a Neville si contrasse lo stomaco al solo pensiero), o semplicemente un giorno si sarebbero guardati con semplicità e si sarebbero detti:”Non c’è più nulla”.
Per quanto il ragazzo cercasse di non curarsene, ormai era lampante: il suo destino era rimanere rinchiuso in qualche sobrio ufficio a stilare l’elenco dei libri di testo per l’anno seguente, o al massimo a curare un modesto orticello o una serra, mentre Luna avrebbe viaggiato, scoperto, esplorato il mondo a miglia e miglia di distanza da lui.
Non capiva il perché di quella tristezza improvvisa e lancinante: persino la cena gli sembrò insapore, la vellutata di zucca gli scivolava in gola come acqua tiepida, e mangiare pane era come ingoiare fogli di giornale accartocciati.
Eccola, si avvicinava a passi saltellanti e vivaci, il suo solito atteggiamento sognante:-Ciao, Neville! Qualcosa non va? Hai l’aria un poco abbacchiata!- sciorinò quelle frasi così velocemente che il ragazzo rimase disorientato qualche secondo, poi scosse la testa:-No, niente…-
“Dio,” si disse, sentendo il cuore sobbalzargli in petto “Mi capisce così bene…”
-Luna- gli chiese improvvisamente lui –Tu ti stancheresti mai di me?-
Lei lo guardò sorpresa, e sembrò rifletterci distrattamente:-Devi andare di nuovo in biblioteca a studiare, stasera?- chiese, appoggiando il mento sulla sua testa. Neville scosse il capo.
-Riusciresti, questa sera, a venire nella Guferia?-
Lui annuì, incerto.
-Ci vediamo lì, devo assolutamente cercare una cosa!- detto questo, gli scoccò un veloce bacio sulla guancia e corse via.
Che intendeva fare?
E, soprattutto, non aveva risposto alla sua domanda.
 
 
 
Neville si guardò per l’ennesima volta alle spalle, in ansia. Cosa avrebbe risposto, se gli avessero chiesto cosa stava facendo a quell’ora della notte proprio in quel luogo? Strinse angosciato la falsa lettera che si era preparato: la cosa più plausibile che era riuscito ad inventarsi era stato il racconto di un sogno notturno, da riferire assolutamente alla anziana nonna quella sera stessa. Di sicuro i Serpeverde, con la scarsa stima che avevano di lui, avrebbero potuto benissimo credere a quell’attaccamento maniacale per la nonna, e anche se non lo avessero creduto davvero si sarebbero divertiti a sbeffeggiarlo.
Odiava le ronde, il regime di terrore che era calato sulla scuola. L’aria stessa sembrava più irrespirabile, gravava sulle persone una tremenda irrequietezza e tutti avevano i nervi a fior di pelle.
“Ma dove sarà Luna?” era tardi, aveva anche parecchio sonno. La stretta stanza dall’alto soffitto a cupola era impregnata di uno odore disgustoso che gli pizzicava il naso, sui trespoli rimanevano pochi gufi addormentati, e l’enorme finestra alla parete mostrava un firmamento sgombro da qualsiasi nuvola, in cui le stelle brillavano con vitalità; e pari alle stelle erano le luci lontane dei villaggi, i focolari intorno a cui le persone vivevano, litigavano, si amavano, piangevano e ridevano, in un intrecciarsi infinito di storie, passati, anime, destini. Lui era un minuscolo, insignificante frammento d’universo nel susseguirsi del tempo.
Dei passi veloci salivano gli scalini di pietra:-Neville!- sussurrò la ragazza, comparendo sull’uscio.
-Luna!- il ragazzo le andò incontro, e la abbracciò –Sei arrivata, ero preoccupato…-
-Scusa, spero di non averti fatto aspettare troppo!-
Neville la guardò. Sul volto solo in parte illuminato spiccavano come gemme preziose i suoi occhi chiari e brillanti; il ragazzo le cinse la vita con le braccia, e posò le labbra sulle sue. Un gesto semplice, un affetto puro e cristallino. La mano di Luna giocherellava con i capelli scuri di Neville, quella del ragazzo le carezzava  le gote tanto delicatamente che le sue dita sembravano respiri sulla pelle della ragazza.
 -Neville… Quello che mi hai chiesto prima a cena…-
-Oh! No, non ci pensare…- disse lui, scuotendo la testa –Pensieri miei, sciocchezze, lascia stare…-
-Se i tuoi pensieri per me fossero sciocchezze sarebbe un grosso problema!- lo riprese severa Luna –Non voglio che tu stia male. Per questo ti ho chiesto di vederci, volevo mostrarti una cosa- frugò nella tasca e, avvolto in un panno color salmone, prese un piccolo e vecchio orologio. Osservandolo meglio, Neville notò che era solo il quadrante di un orologio ormai rotto che si era staccato dal polsino; inoltre, ormai vi era una sola lancetta, e per di più ferma, la sottile punta a metà tra l’una e le due.
 -Cos’è?- chiese Neville, prendendo in mano l’oggettino impolverato –Sembra un orologio rotto…-
-Sembra!- esclamò entusiasta Luna –In realtà, Neville, è una potente bussola!-
-Una… bussola?- il ragazzo era sempre più perplesso.
-Ti spiego- disse lei, con atteggiamento da intenditrice –Quando ero piccola, io e mia madre eravamo in una spiaggia, e cercavamo tra gli scogli granchi e ricciocorni, quando tra la sabbia io ho trovato… questo!- alzò il piccolo orologio, facendolo luccicare ai bagliori delle stelle –Mamma disse subito che ero stata fortunatissima, e che era una delle poche bussole del destino ormai rimaste su tutto il pianeta! Capisci, Neville?! Tutto il pianeta!-
-Uhm, sì- il ragazzo come al solito non sapeva dove riporre il suo sguardo imbarazzato, al sentire le strambe storie del passato di Luna; eppure doveva essere stata una scena molto bella: la bambina mostra curiosa alla madre il suo piccolo tesoro, la madre le sorride amorevole e le confida l’infinita magia di quello che la piccola ha appena riportato alla luce. Di solito, però, questi ricordi diventano mere fantasie infantili, mentre per Luna erano veri e propri pilastri portanti del suo passato e del suo presente.
-Mamma diceva che queste bussole sono amuleti che ti aiutano a capire quale sia la giusta strada da intraprendere. Ci aiutano a capire quale sarà il nostro futuro, cosa ci aspetta, dove ci porterà il destino-.
Neville strinse nel palmo chiuso il piccolo quadrante. La lancetta indicava sempre il solito inesistente orario.
-Sono spaventato, Luna. Tutti vogliono sapere chi sarò, cosa ho intenzione di fare della mia vita, quando io ho paura anche di quello che accadrà domani- deglutì con difficoltà –Non riesco a guardarmi indietro senza avere rimpianti, penso cosa sarebbe successo, chi sarei se avessi fatto le scelte giuste, se io fossi stato migliore! E ora mi chiedono di prendermi la responsabilità non solo di quello che sono, ma di quello che sarò! Ho paura di sbagliare, di mandare tutto a monte, di deludere gli altri…-
-L’unica persona che non devi deludere- disse Luna premendogli l’indice contro il petto –Sei tu-.
Il ragazzo la fissava, gli occhi persi e l’espressione di chi si è appena svegliato improvvisamente da un lungo sonno.
-Le persone ti diranno sempre cosa fare, come farlo, dove andare, con chi stare, da che parte vanno le forchette e che le verdure non posso essere usate per la bigiotteria! Ma devi imparare a fare di testa tua, o meglio, fare quello che ti senti di fare. Non importa se ti giudicano. Non smetteranno mai di farlo, Neville. Qualsiasi cosa farai, la gente ti giudicherà- iniziò a camminare a grandi passi per la piccola stanza –Per quanto ti impegnerai, non andrai mai bene agli altri. Se stai zitto, sei misantropo, ma se parli, sei fastidioso e logorroico. Sai cosa ho deciso di fare io, allora?- gli mostrò un sorriso scaltro –Di urlare-.
-Devo… urlare?- chiese Neville corrucciando la fronte.
-Nel senso che devi essere semplicemente te stesso, e credere in te. Il futuro ti sembrerà solo una nuova, bellissima avventura-.
Neville accennò un sorriso sollevato:-Luna- ripeté –Ti stancheresti mai di me?-
-Sai, Nev- disse lei, con sincerità e tranquillità –Non lo so. Potrebbe anche succedere, insomma, non possiamo prevederlo. Posso solo sperare che non accada, o che accada il più tardi possibile-.
Il ragazzo guardava fuori dalla finestra, riflettendo. Lei si avvicinò e gli prese la mano:-Non posso promettere di esserci per sempre. Ti mentirei, Neville, e io non mento alle persone a cui tengo. Ma posso prometterti che finché avremo bisogno l’uno dell’altro, ci sarò. Finché sarò io la persona da cui vorrai farti consolare, la ragazza che vorrai amare, ci sarò. E soprattutto non dimenticherò mai quello che sei significato per me, tutto quello che abbiamo passato insieme, mai e poi mai, qualsiasi saranno le strade che prenderemo. E anche tu non dimenticarti di me, ti prego, e sappi che tutto quello che ti dico, ogni singola parola, è la verità. Mai negherò di averti detto “ti amo”, e soprattutto di averlo detto con tutta la sincerità possibile. Tu sei e resterai il ragazzo che mi ha fatto sentire … amata per la prima volta- la ragazza abbassò il viso, arrossendo.
Neville le strinse la mano, felice:-Grazie. È una cosa…confortante, Luna. E anche molto tenera-.
-Nev, puoi darmi la bussola?- chiese la ragazza.
-Oh, certo!- aprì il palmo della mano destra –Ecco, tienila-.
La ragazza prese in mano il piccolo quadrante; per qualche secondo sembrò indugiare su quello che stava facendo, poi volse risoluta lo sguardo alla finestra, alle stelle e alle luci in lontananza:-Sai cosa ne faccio di questa?- con un ampio gesto del braccio scaraventò l’oggettino giù dalla torre.
-Luna!- esclamò Neville, sporgendosi dal davanzale di pietra verso le tenebre del giardino –La bussola tua e di tua madre...-
 -Non ti ho raccontato una parte importante della storia- disse Luna, appoggiandogli la mano sul petto –Mamma non me lo aveva detto, l’ho dovuto imparare da sola: abbiamo tutti una bussola del destino che ci aiuta nelle nostre decisioni. E in questo momento, sento la tua battere sotto la mia mano-.
Un bacio, le stelle a vegliare sul loro tenero e giovane amore.
Un momento perfetto, unico: e il domani non avrebbe cancellato la magia di quell’attimo, ma ne avrebbe ospitati altri, altrettanto stupendi.
-Comunque, non mi dispiacerebbe troppo insegnare- ammise Neville in un sussurro.
-Saresti un insegnante fantastico-.
-Ne sei convinta?-
-Assolutamente-.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 






Siamo qua, fabbricanti di sogni
Il mio inizio sei tu
 
Con te, che io voglio riempire i miei giorni
Con te che io voglio far veri i miei sogni
 
Ci sarò per la fine del mondo
Ci sarò per amarti di più
E così se chiami rispondo
il mio vero inizio sei tu

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Spazio Autrice: ebbene eccomi qui, in gigantesco ritardo come al solito! :D

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Sono tuttora molto scettica su questo capitolo, perché nella FF non era previsto, ma si doveva passare direttamente al capitolo successivo, “Crucio!” … spero sia stata una buona scelta inserire queste scene aggiuntive, e che il piccolo amuleto della madre non sembri un’idea troppo bislacca o fuori luogo ç___ç
 Penso che questo capitolo abbia soprattutto un carattere autobiografico, ma non penso di essere l’unica ad avere crucci sul futuro come il povero Neville … (vero?! q_q)
La citazione finale di “Anastasia” è frutto del mio attaccamento al suddetto cartone degli ultimi 2 o 3 giorni :3
 
 
Nina.
   
 
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