D
come disillusione
Otto anni –
Delusioni
Quando
Cinzia varcò la soglia di casa, la prima cosa che vide fu sua figlia Chiara.
Era seduta sul divano, le braccia incrociate sul petto e un’espressione
corrucciata sul visetto infantile. Nonostante quella smorfia, i suoi occhi
erano tristi: sembrava più mortificata che arrabbiata, e la donna rimase a
guardarla per lunghissimi minuti, incuriosita da quell’atteggiamento inatteso.
Ogni tanto la bimba sospirava, ma non accennava a muoversi: rimase in quella
posizione per tutto il tempo, e quando udì i passi di sua madre avvicinarsi,
non distolse lo sguardo da quel punto immaginario della sua mente su cui era
tanto concentrata.
Cinzia
si sedette accanto a lei, ma non parlò, né la toccò: un po’ perché temeva la
sua reazione, e aveva paura di rompere quella fragile bambolina nervosa; un po’
perché il freddo intenso di Dicembre le aveva gelato le dita, e non voleva
imprimere sulla pelle delicata della bambina quella temperatura rigida che le
aveva punto i polpastrelli. Ma Cinzia non ebbe bisogno di muoversi, né di dire nulla:
fu sua figlia a parlare per prima, facendole un’unica, limpida domanda.
«Non
esiste, vero?» La sua voce sembrava profondamente infastidita per qualcosa che
sua madre non intuì subito, nemmeno dopo che quelle parole le raggiunsero il
cervello. Chiara non l’aveva guardata: continuava a fissare dritto davanti a
sé, il visetto contratto in una smorfia e le braccia conserte sul petto. La sua
testolina quasi scompariva, ingoiata dalle spalle sottili e ossute, alzate a
coprire il capo ricciuto. Quando, dopo molti minuti di silenzio, si voltò verso
Cinzia, non potè fare a meno di innervosirsi nel
notare quell’espressione perplessa e curiosa che si era dipinta sul volto della
madre.
«Babbo
Natale» precisò con tono scontroso. Il viso della donna si illuminò di consapevolezza,
e il suo cuore cominciò a battere forte per la delusione di ciò che aveva
appena sentito.
Babbo
Natale. La bugia che tutti i bambini si vogliono sentir dire, l’illusione
magica di un entusiasmo sognante. La rappresentazione di un mondo migliore, più
buono e altruista, e la dimostrazione che la magia esiste, basta solo crederci.
Cinzia
aveva cercato per anni di alimentare quel dolcissimo inganno, giocando di
fantasia e vivendo di ricordi – quelli della sua infanzia. Solo l’anno prima
aveva sbriciolato davanti l’albero di Natale i biscotti al cioccolato che le
loro figlie avevano lasciato per quell’omone vestito di rosso che non sarebbe
mai venuto a consumare il buon pasto. Ma lei non si era lasciata intimorire
dall’idea entusiastica delle bambine, e aveva anzi incoraggiato il loro ardore,
suggerendo cosa offrire al vecchio, e dove lasciare i biscotti e il latte. Poi,
quando loro non guardavano, aveva svuotato il bicchiere di latte dentro il vaso
delle stelle di Natale, e aveva lanciato molliche marrone scuro sul pavimento,
per poi rimettere i biscotti dentro la scatola. Infine, aveva preso un
tovagliolino di carta, e l’aveva tagliato in modo da mimare il morso di una
renna. Il morso di una renna, figurarsi: non ci sarebbe mai entrata, davvero,
una renna nel salone. Ma quando le sue figlie l’avevano visto le loro
espressioni, le loro urla di gioia e quell’entusiasmo selvaggio e feroce,
avevano ripagato ogni sforzo. La loro felicità valeva la pena di qualsiasi
bugia.
Ma
Chiara, a quanto pareva, non era dello stesso parere: se ne stava lì, immobile
e arrabbiata, a fissare il vuoto con le sopracciglia aggrottate e il labbro
inferiore sporgente. Le guance gonfie, proprio come una bambina cocciuta.
«Chi
te l’ha detto?» domandò pacatamente Cinzia, cercando di aggirare l’ostacolo che
le si era posto davanti, e sperando così di addolcire l’umore della figlia.
Quella sembrava non avesse aspettato altro: scattò in piedi, e spalancò le
braccia e gli occhi castani in un chiaro gesto di esasperazione.
«Una
supplente! È venuta nella nostra classe e ha detto che siamo troppo grandi per
crederci» urlò, attirando l’attenzione di Renata, che si era rinchiusa nella
sua cameretta a giocare, e che richiamata da quelle grida isteriche aveva
sporto la testa oltre lo stipite della porta, spiando quella discussione. «E
Laura mi ha preso in giro perché già lo sapeva!» sbottò arrabbiata la bimba,
che non si era accorta della presenza importuna della sorella. Chiara spalancò
le braccia, agitandole in aria, e gesticolando in modo buffo, con cenni ampi
che esternavano tutta la sua frustrazione.
Sua
madre strinse le labbra, e la guardò con un’espressione tristissima sul volto.
Sapeva, in fondo, che sarebbe arrivato questo momento; era già giunto con la
prima, che si era rivelata un aiuto prezioso nei Natali a seguire; ma che già
anche la seconda avesse raggiunto quella maturità malinconica in cui i sogni e
le illusioni infantili lasciano il posto alla crudele realtà, era una cosa che
ancora non riusciva ad accettare. Invidiava la spensieratezza entusiasta con
cui le sue figlie scartavano i regali durante quei magici momenti strappati a
un mondo troppo spietato. Smettere di credere in certe, meravigliose bugie,
significava abbandonare le braccia dell’infanzia per addentrarsi nei territori
più oscuri della coscienza adulta. Era un primo svezzamento a cui nessuno si
poteva sottrarre.
Cinzia
non annuì, né negò quello che Chiara aveva già detto. Ma il suo silenzio fu per
la figlia una conferma. Il suo visetto arrossato sembrò sciogliersi: si
sgretolò quella rabbia incredula, andò in pezzi la sorpresa che le aveva
corrotto il cuore. Semplicemente, su quel volto dai tratti infantili si disegnò
un’espressione di sincera, stanchissima delusione.
Da
quel momento, niente sarebbe più stato come prima. Chiara si era scontrata per
la prima volta con il mondo degli adulti, quell’universo fatto di bugie a fin
di bene e attenzioni in punta di piedi, ma pur sempre crudele e irrispettoso
nei confronti dei sentimenti di una bambina di soli otto anni.
E
da quello scontro ne era uscita sconfitta.