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Autore: Eloise_Hawkins    20/12/2011    1 recensioni
Una raccolta di ricordi che si snoda tra le pagine di una vita vissuta con tenacia e affetto. Un'accozzaglia di giorni che narra di una crescita delicata, felice, a tratti sofferta, ma tutto sommato serena. Tra risate e coccole, tra lacrime e dolori, si svolge la vita di Chiara, la protagonista di questa storia, che con un sorriso a volte dolce, a volte amaro, racconta la vita che i suoi genitori le hanno regalato, l'affetto che la sua famiglia le ha donato, il sorriso che ha faticosamente costruito. Sempre all'insegna dell'amore, e del forte legame famigliare che Cinzia e Mauro hanno saputo creare.
A mio padre, che col suo sguardo mi ha insegnato il mondo.
A mia madre, perché nei suoi occhi ho imparato la fantasia.
A mia nonna, perché attraverso i suoi racconti ho capito la vita.
Ai miei folletti, Renata e Irene, che mi hanno tenuto per mano fino ad oggi, in questo girotondo chiamato vita
.
Questa storia si è classificata prima al contest "L'alfabeto dei ricordi", indetto da Angy Lulu sul forum di Efp.
Genere: Fluff, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Thanks for the memories'
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F come fantasia

 

Nove anni – La gincana

 

C’era un fitto chiacchiericcio, quel pomeriggio, nel giardino che aveva visto nascere Chiara, un brusio delicato ed allegro, che riempiva l’aria di parole e risate. Erano passati esattamente nove anni da quel lontano giorno di Luglio in cui la bimba era venuta al mondo, e come la tradizione vuole, i suoi genitori avevano organizzato una festa per rendere onore a quel giorno speciale che aveva cambiato loro la vita. Cinzia, in particolare, da madre fantasiosa e unica qual era, aveva sperimentato nuovi giochi divertenti per allietare il pomeriggio dei partecipanti. Una caccia al tesoro sarebbe stata troppo banale per una come lei, così aveva ideato una cosa diversa, più complicata e assolutamente folle: una gincana.

 

«I maschi non servono, le femmine amano la luna piena. Uno me ne devi portare se il gioco vuoi continuare» recitò Cinzia ad alta voce. Attorno a lei si erano assiepati così tanti bambini che contarli era impossibile: erano tutti gli amici di Chiara, o i suoi conoscenti, o chi, come lei, aveva scelto Brucoli come luogo di vacanze per la propria estate. Le loro madri erano sedute in disparte, chiacchieravano tra di loro e ridevano nel vedere l’enfasi divertita con cui l’organizzatrice interpretava gli indizi che lei stessa aveva ideato.

Non appena Cinzia finì di parlare, sua figlia, con gli occhi brillanti di furbizia e gioia, scattò. Chiara era cresciuta nel mare, e nel mare era quasi nata. In più, condivideva con la mamma sette anni di emozioni, nonché un’empatia che le rendeva tanto simili quanto in sintonia. Per cui non c’è da sorprendersi se intuì subito quell’indovinello. Ricordava ancora quando, appena un anno prima, suo padre l’aveva portata sul molo durante una notte di luna piena e le aveva mostrato come le femmine di riccio di mare amassero la luce lunare, e grazie a quella uscissero fuori dai propri nascondigli. In fondo, aveva solo nove anni di vita da tenere a mente. Per questo motivo, appena finito di leggere schizzò verso le scale che portavano al molo, sotto lo sguardo attento e curioso sia dei suoi compagni di squadra, sia degli avversari, che pur non capendo l’indovinello, la seguirono per accertarsi di non perdere.

Chiara correva, e mentre correva si spogliava: via la maglietta, giù la gonna, lanciate chissà dove le scarpe – sarebbe stato difficile individuarle, una volta finita la gincana, per riappropriarsene. Per fortuna la mamma aveva comunicato a tutti che per i giochi sarebbe servito il costume, e lei lo aveva già sotto i vestiti. Di sicuro, anche nuda, non si sarebbe fatta problemi a tuffarsi in mare, né avrebbe provato vergogna davanti ai suoi amichetti – era ancora troppo piccola perché il senso del pudore fosse sviluppato in lei. Senza fermarsi, si tuffò in mare provocando schizzi rumorosi e destando lo stupore dei suoi amici. Riemerse solo per prendere fiato, e poi sparire di nuovo, inghiottita dall’oceano. Sott’acqua, tutti i suoni erano ovattati: c’era un silenzio mobile e liquido, e anche se la sua vista era offuscata, anche se gli occhi le bruciavano, Chiara, abituata sin da piccola a nuotare e trattenere il fiato, non tardò ad individuare il riccio di mare, tesoro sepolto sotto un breve strato di sabbia e incastonato in un piccolo buco di uno scoglio. La bimba allungò una manina, e con estremo sprezzo del pericolo, infilò le ditina sottili tra le spine dell’animale; lo estrasse con cura dal suo nascondiglio, strappandolo al sasso a cui era ancorato, ben attenta a non pungersi. Poi riemerse, stringendo con delicatezza il suo trofeo nella manina. Corse dalla sua mamma e glielo porse, sul volto un sorriso vittorioso.

«Non è cacca» disse subito Cinzia, pronta a dare il secondo indizio. A quelle parole, tutti i bimbi scoppiarono a ridere.

«Mamma, ma cosa dici?» La risata fresca e cristallina di Chiara ruppe il brusio delicato che quel pomeriggio aleggiava nel giardino, baciato dalla luce del sole. Cinzia sorrise, poi riprese come se niente avesse interrotto le sue parole.

«Non è cacca, ma lo stesso non la puoi toccare, nel mare la devi cercare» Concluse con un sorriso, per poi riporre nella tasca dei jeans il biglietto su cui aveva scritto l’indovinello. Sua figlia rise, con la sua solita risata sguaiata, poi, come prima, scattò verso il molo, intuendo quel che sua madre richiedeva. I suoi compagni, fiduciosi e consapevoli delle sue capacità intuitive, la seguirono ridendo, mentre i suoi avversari tornavano adesso dall’oceano con un riccio di mare stretto in mano: lo maneggiavano con cautela, come se fosse avvelenato, e non possedevano quella disinvoltura con cui, invece, la festeggiata l’aveva estratto dalla sua roccia per poi portarlo a sua madre.

Un passo avanti ai suoi rivali, Chiara scese di corsa le scale. Stavolta non ci sarebbe stato bisogno di tuffarsi: gli asini di mare – anche se a lei piaceva molto di più il nome volgare di “cacca di mare” – si lasciavano trascinare dalla corrente e trovavano infine quiete nelle acque basse. Avevano esattamente la forma di un cetriolo, tozza e allungata, ma dato il colore marroncino alla bimba ricordavano di più gli escrementi, e la voce popolare le suggeriva quell’appellativo per lei divertente. Senza nemmeno una smorfia, quando ne individuò una si abbassò e la prese tra le mani, per poi correre di nuovo verso la sua mamma, agitando l’animale e permettendo così ai suoi avversari, anche se inconsapevolmente, di risolvere il prossimo indovinello.

Chiara depose l’asino di mare nella bacinella che sua madre aveva disposto al centro del giardino, dopo averla opportunamente riempita con dell’acqua salata, così da permettere la sopravvivenza dei poveri animaletti prescelti per le prove.

«Brava Chia!» la incoraggiò Cinzia, sorridente: era fiera di sua figlia, del suo intuito e della sua temerarietà; di quella vulcanica energia che sprizzava da ogni poro del suo piccolo essere, soprattutto da quegli occhi a mandorla che, chissà come, aveva ereditato da suo padre. «Siete pronti per il prossimo?» domandò con plateale allegria la donna, sventolando con fare teatrale il foglietto che conteneva il prossimo indovinello. Un coro di divertiti “sì” seguì quella domanda. Cinzia esitò qualche altro istante, nel tentativo di dare un piccolo vantaggio agli avversari, che ancora non erano tornati dalla seconda missione. «È il polmone del nostro mare, e giammai la devi strappare. Solo oggi, senza strafare, una sola, ma fresca, ne devi portare» recitò infine, pronunciando con lentezza quasi esasperante quelle parole.

Chiara, questa volta, rimase immobile. Le occorsero un paio di minuti per riflettere su quel nuovo indovinello. Voltò lo sguardo verso il suo papà, e non appena incontrò i suoi occhi sorridenti ebbe l’illuminazione e, per la terza volta, corse verso il molo più veloce del vento. Nella sua mente echeggiavano le parole di suo padre, che durante una delle loro solite gite in gommone le aveva spiegato di come la posidonia, alga ormai sempre più rara nei nostri mari, fosse incredibilmente importante per l’ecosistema marino, essendo produttrice d’ossigeno; ed era, al tempo stesso, quasi a rischio di estinzione a causa di tutte quelle persone che la strappavano per puro divertimento.

La bimba, seguita dai suoi fedelissimi compagni di squadra, percorse di corsa la lunghezza del molo e giunta all’estremità si tuffò di nuovo, schizzando i suoi amici e suscitando le loro divertite risate. Quanto più velocemente possibile, si allontanò dalla riva per raggiungere l’acqua più alta, laddove l’alga cresceva. Non ebbe nemmeno bisogno di immergersi: la posidonia accarezzava la superficie del mare ondeggiando con lentissima grazia al ritmo delle onde oceaniche. Chiara, con delicatezza, ne strappò una, ed una soltanto, e poi, con quel piccolo tesoro stretto nel pugnetto, nuotò fino alla riva, e una volta arrampicatasi di nuovo sul molo, senza preoccuparsi del rischio di scivolare o di quello ben peggiore di un brutto raffreddore, ancora gocciolante corse verso il giardino: salì i gradini che portavano al piano superiore a due a due, e poi saltellò davanti alla sua mamma sventolando l’alga con espressione trionfante.

«Il plossimo, il plossimo» urlò eccitata, strappando a sua madre un sorriso di puro amore. Cinzia non perse altro tempo, acconsentendo subito alla richiesta della bimba.

«Adamo ed Eva usavano le foglie. In piena estate mamma li coglie; con il prosciutto a molti piace, portamene uno se non ti dispiace» disse ad alta voce, con enfasi, al fine di recitare al meglio la sua parte. Dopo aver pronunciato quest’indizio, spostò gli occhi su sua figlia, che aveva assunto un’espressione incerta.

«A me mi dispiace» disse lei a bassa voce, delusa che l’indovinello non riguardasse ancora il mare, e dispiaciuta perché non era stata capace di risolverlo immediatamente, come gli altri. Tanto più che, proprio in quel momento, i suoi rivali stavano tornando dal mare con un’alga stretta nel pugno.

«Non si dice a me mi. Dai che sei avanti» la incoraggiò sua madre, sospingendola verso il frutteto di casa loro. Era un indizio silente, ma che Chiara gradì fortemente, perché la voltò proprio in direzione dell’albero di fichi, e quando i suoi occhi accolsero quell’immagine brillarono, e lei di nuovo, ancora umida e con i piedini nudi, riprese a correre. Non gli importava nulla della terra sotto i piedi, delle pietre che le ferivano le piante o dei ramoscelli che le graffiavano la pelle: era così intenta nel suo compito, in quella caccia al tesoro così diversa dalle altre, che non esitò nemmeno per un attimo. Raggiunse l’albero, e alzandosi sulla punta dei piedini – come aveva imparato durante le assidue lezioni di danza – ne raccolse uno. Una piccola lacrima di latte bianco scivolò fuori dalla punta del piccolo frutto, e sporcò il palmo della mano della bimba, che tuttavia ancora una volta ignorò quella sensazione, per lanciarsi verso sua madre così da porgerle il trofeo appena conquistato. Cinzia, soddisfatta anche se segretamente colpevole, annuì compiaciuta e poi prese il foglio su cui aveva appuntato gli indovinelli e, come aveva già fatto precedentemente, recitò ad alta voce il prossimo indizio: «Ripara dal sole, per moda piace a tante, e ne esiste persino uno parlante»

Chiara fu ancora una volta delusa nel constatare che anche quell’indizio non riguardava l’oceano, ma fu ugualmente contenta di notare, a pochi metri da lei, un neonato. Era seduto sul passeggino, e agitava con le manine paffutelle un bicchiere di plastica, come fosse un gioco estremamente divertente; e indossava un cappellino di stoffa che serviva per ripararlo dal sole cocente di quel pomeriggio. La bimba fece qualche passo verso di lui, e poi gli strappò dalla testa l’indumento; stava per andarsene, quando un pensiero premuroso le attraverso la mente: ebbe la cura di spingere il passeggino all’ombra, ignorando però i vagiti infastiditi del bimbo. Sua madre le rivolse un’occhiata di rimprovero quando lei le porse con espressione furba e sorniona il cappellino: lo restituì al neonato, e solo dopo aver dato a sua figlia un piccolo buffetto sulla nuca, per punirla di quel gesto sconsiderato, pronunciò ad alta voce l’ultima richiesta.

«Bravi siete alla fine: adesso dovete procurarvi un autografo di una di queste persone, ma attenzione: non tutte le firme valgono uguale. Quella di Brunella Senargiotto vale 15 punti; quello di Marina Malato vale 10 punti; quello di Nora Greco vale 8 punti; quello di Benedetto Signorelli vale 6 punti».

Cinzia depose per l’ultima volta il foglio di carta nella tasca dei jeans, e osservò con il cuore in gola sua figlia, che correva verso il cancello d’uscita, in direzione di una delle case dei diretti interessati. Lei, invece, si diresse in cucina, e dopo aver aperto il frigo, ne estrasse una torta che aveva preparato lei stessa: l’aveva glassata con gelatina azzurra, poggiandovi sopra delle conchiglie di cioccolato e raffigurando così il mare che sua figlia tanto amava. Prima di portarla in giardino, per esporla alla vista di tutti, vi inserì le candeline. Una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove. Nove anni.

Chiara stava proprio crescendo. Forse troppo in fretta.

 

   
 
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