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Autore: GirlWithTheGun    29/12/2011    2 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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“Sai che si dice in giro?” disse Terence, allungando le gambe sulla sedia lasciata vuota da Evan.

Non rispose, preferì perdersi nelle profondità del giardino. Oltre. Oltre i compagni e il prato e le voci.

Suo marito era lì, lì, lì. E lei sarebbe andata lontano, più lontano.

“Il vecchio Lestrange va cianciando di un matrimonio in settembre. Proprio non gli pare vero di aver messo le mani su di te, sai? Se la farà addosso dalla felicità, un giorno o l’altro”.

Aveva avuto una bambola, una volta. Mani e faccia di porcellana, occhi di vetro. Un vestito da festa di velluto verde. L’aveva spogliata per chissà quale capriccio, per vedere cosa c’era, sotto quel bel vestito. Aveva trovato un cuore di lana e una pelle di stoffa ingrigita. E aveva scoperto che si squarciava così facilmente sotto le unghie, quella pancia morbida. Aveva avuto una bambola morta.

"Chiunque di noi potrebbe finire sposato con chiunque. E' comico, non trovi?".

Bella si arrese a Terence, lo guardò. Ritornò tra quei chiunque che avrebbe potuto sposare e il chiunque che avrebbe sposato per davvero.
"No, non trovi" mormorò lui, sorridendo senza sorridere.
Mulciber era proprietario di una follia sottile e sinistra, tanto imprevedibile quanto incredibilmente lucida. Il genere di morbo che può produrre un'intelligenza spietata. Aveva occhi verdi e piatti in cui non si poteva guardare: il suo sguardo schizzava da uomo a uomo senza che nulla lo incrinasse. Non rabbia, né gioia. Era vivo solo dalla bocca in giù. La maggior parte dei compagni nutriva per lui una sorta di timore reverenziale, e aveva i suoi devoti: tutti i più potenti ne avevano. Evan, tanto differente da Terence, tanto pericoloso. L'aveva visto fare cose orribili quando era solo un bambino. Dolohov, brutto come il peccato. Lucius. I suoi pensieri corsero a Cissy, affacciata a chissà quale finestra a spiare. Avrebbe mai avuto il coraggio di unirsi a loro? Regulus lo aveva già, quel coraggio. O forse si trattava ancora di imprudenza infantile. Ma era lì, seduto composto su uno sgabello, a guardare il cugino Rosier come guardava lei. Pieno di paura e rispetto e cieca ammirazione. L'adepto esemplare. Non sarebbe mai stato uno dei grandi, Bella ne era certa. I grandi avevano forza, i grandi erano ribelli e avevano volontà di ferro, e quando i grandi decidevano di consacrarsi a uno scopo, erano destinati a imprese magnifiche. Gli occhi di Reg avevano dentro la fedeltà propria del cane legato a un padrone, invece. I loro ranghi erano pieni di gente simile, gente che sapeva rivelarsi utile per i fini più disparati. Non a tutti era richiesta l'eccezionalità.
Evan fece emergere un'ombra viva dal suolo, una piccola esalazione oscura che prese a strisciare nell'erba lamentandosi. Era estremamente ben fatta.
"Che Incantesimo è?" chiese con voce malferma Regulus, diviso tra terrore e meraviglia, mentre l'ombra raggiungeva le sue caviglie e gli si avvinghiava intorno.
Mentre lo guardava, Bella sentì il cuore tremare. Quant'era diverso, quant'era diverso da lui e dal modo in cui le aveva fatto la stessa domanda. Poco tempo prima di abbandonarla per sempre; un'era più in là rispetto a quel momento. Aveva pensato molte volte di Incantare sé stessa e cancellare ogni cosa, ma era una magia pericolosa e qualcuno avrebbe dovuto aiutarla. Ma chi, chi avrebbe potuto conoscere ogni suo ricordo, ogni istante impresso nella memoria come un marchio...
I ricordi tornavano e ritornavano ed erano spaventosi. Ed erano bui.
 
"Come hai fatto?".
"Sono caduto".
"Da dove sei caduto?".
"Nel frutteto".
Sapeva che doveva esserci stato, nel frutteto, prima di scavalcare la staccionata e uscire oltre i confini di Englefield. Era tipico di Sirius usare solo una parte della verità per nascondere i misfatti. Un trucco utile che lei aveva imparato quand'era già grandicella, mentre il bambino che le stava davanti non ci arrivava nemmeno con la punta dei capelli, alla staccionata che aveva scavalcato.
"Stai dicendo una bugia".
Lo sollevò, mettendolo a sedere sulla grande penisola della cucina. Gli elfi domestici erano fuggiti a pulire chissà quale antro del palazzo, quando lei era entrata.
"Perché continui a scavalcare la staccionata? Lo sai che oltre l'erba è alta e secca? Nell'erba alta e secca ci sono i serpenti".
"Non è vero" ribatté Sirius, ostinato, incrociando le braccia.
Nascose un sorriso chinando la testa sulla ferita. Una grossa scheggia era penetrata nella carne del ginocchio sinistro: doveva essere successo quando era caduto. C'era parecchio sangue, ma lui non sembrava impaurito. Era arrivato da lei senza traccia di una lacrima sul viso, con un'aria molto infastidita. Rivelare di essere caduto doveva sembrargli un'umiliazione insopportabile.
"Si che è vero".
"Non mi fanno paura. Me li mangio".
"Te lo sconsiglio. Hanno un saporaccio".
Prese la scheggia con due dita e la tirò fuori all'improvviso. Uscì dell'altro sangue, ma Sirius non si mosse e non si lamentò. Era troppo orgoglioso per farlo. Dovette sentire parecchio male, però, perché le sue guance piene persero colore. Controllò che non ci fossero altre schegge.

"Le altre le hai tolte tu?".

Sirius annuì grevemente.

"Stai fermo, adesso".

Sfoderò la bacchetta dalla manica e la guidò in un movimento secco. La ferita si pulì istantaneamente dalla terra e dal siero. 

Lui sollevò la gamba e studiò bene il ginocchio.

"Che Incantesimo è?".

"Uno facile. Ce ne sono di più belli".

"E tu li sai fare tutti?".

"No, non tutti. Qualcuno, per adesso".

Fece per tirarlo giù, ma Sirius la scostò e scivolò da solo, atterrando sul pavimento con un tonfo.

"Vorrei fare anche io qualche Incantesimo".

"Li farai, una volta a Hogwarts".

"Mamma dice che mancano tre anni".

"Giusto. Tre anni passano in un baleno".

Quando si avvicinò alla grande finestra il vetro prese a scorrere lento e l'aria fragrante dei giardini invase la cucina. Era tardo pomeriggio, il sole soffiava oro lucido sui contorni delle foglie, mutava i fiori in gioielli.

"Tre anni sono lunghissimi" brontolò Sirius, seguendola fuori.

"Vedrai che il momento arriverà subito, non te ne accorgerai neppure. Un giorno ti sveglierai nel dormitorio di Serpeverde, avrai una bacchetta e una divisa, degli amici. E sarai un mago straordinario".

Sirius le sorrise.

"Raccogliamo dei fiori per Dromeda?".

"Sì".

Rimase a guardarlo, mentre si allontanava, alla ricerca dei boccioli più belli. La luce giocava con i suoi capelli come fossero fili di rame, gli illuminava le dita ancora troppo piccole.

Sarebbe diventato grande. Presto, molto presto.


 "E tu che farai, Bellatrix?".

Quando focalizzò gli occhi azzurri di Lucius puntati nei suoi, la maggior parte dei presenti la stava fissando.

"A che proposito?" ribatté, alzandosi in piedi con studiata indolenza.

Era scesa la sera, globi di luce violetta fluttuavano sul prato calpestato. Il tavolo da giardino era un cimitero di bicchieri usati, riempiti e svuotati a metà. Pozze di Whisky Incendiario si allargavano sulla tovaglia di lino.

"A che proposito, dici? Dov'eri, cugina mia, mentre noi decidevamo del futuro del mondo magico?".

Evan si fece avanti, il viso affilato come un coltello incorniciato da un'orgia di boccoli d'argento.

"Badavo ai fatti miei. Abitudine che, a quanto pare, non è di famiglia".

"Non è il momento di badare ai fatti propri, questo" grugnì Dolohov.

"Antonin..." lo ammonì Lucius.

Crouch ridacchiò, attorcigliato al tronco di un melo, poco più in là. Nessuno badò a lui più del solito.

"Le signore dovrebbero essere trattate con maggior gentilezza".

Quella voce le ghiacciò il sangue nelle vene. Afferrò il primo calice che incontrarono le sue dita e lo sollevò, trattenendo il respiro. 

"Queste sì che sono le parole di un futuro marito" gorgogliò Mulciber, da qualche punto alle sue spalle.

Evan le sfilò il bicchiere dalle mani e per un istante i loro sguardi si incrociarono. Fu lesta a recidere il contatto.

"Tieniti pure stretto il tuo umorismo, Terence" ribatté Rabastan, avvicinandosi anche lui al tavolo.

"Non vorrai fare baruffa il giorno del tuo debutto in società, eh Lestrange?" disse lentamente Wilkes, seduto accanto a Lucius.

Quando il suo bicchiere fu pieno, Evan glielo restituì. Chinò il capo con un sorriso diabolico dipinto sulla bella bocca, e Bella lo liquidò freddamente.

"Ringrazio Rodolphus e Rabastan per la premura ma, prima di iniziare l'ennesima disputa su chi ha la bacchetta più lunga, vorrei capire di che questioni fondamentali stiamo parlando".

"Ah, questioni assai, assai importanti. Vero, Malfoy?".

Crouch si avvicinò al gruppo, abbandonando l'oscurità del frutteto. La salutò con un cenno nervoso, senza riuscire a trattenere un guizzo della lingua lungo le labbra. Lucius puntò il bastone da passeggio contro di lui, annuendo.

"Proprio così, Signor Crouch. Discutevamo del Marchio, Bella. Sappiamo che Lui lo ha chiesto come pegno".

"A tutti noi" aggiunse Avery, il volto non ben definito di chi non è ancora uomo. In quello somigliava terribilmente a Terence. E a lui.

"Ci chiedevamo cosa farai. Quasi tutti, qui, sono sicuri di volerlo" soffiò Evan "E tu?".

"Non si torna più indietro, vero Bella?" fece Mulciber, eccitato "Potremmo essere i primi, saremo i primi ad averlo. Pensate, pensate a quel che vorrà dire".

Con la coda dell'occhio, Bella scorse Regulus agitarsi nell'angolo dove era stato relegato.

"Vorrà dire essere legati a Lui, per sempre. E se voi lo volete, io lo voglio di più".

 

Quando rotolarono sul pavimento, Sirius fu certo di essere sul punto di vomitare. Ancora. Rimase immobile per qualche minuto, a faccia in giù.

“Alza…alza-ti” biascicò Dromeda, atterrata da qualche parte intorno ai suoi piedi.

Il peggio passò in qualche istante, e lui si trascinò su un fianco, tentando di mettersi a sedere senza scatenare tumulti eccessivi nei meandri del suo stomaco.

“Ci sono… ci sono”.

La voce proveniva da qualche antro oscuro, e molto provato, della sua gola, ma non la riconobbe comunque.

Mise a fuoco. La stanza di Dromeda era il disastro della sera prima e la luce dell’alba la illuminava impietosa. L’unico arredo in più era sua cugina, piegata contro il letto in una posa innaturale.

“Vomito” disse, socchiudendo gli occhi “Vomito”.

Sirius cercò con lo sguardo un contenitore idoneo ma trovò solo borsette.

“Aspetta, aspetta”.

“Vomito”.

La vide impallidire, farsi verdognola. Spinto dalla disperazione, o dai postumi del trip, afferrò una grossa borsa di pelle rosa e gliela mise davanti appena in tempo per evitare il peggio. Dromeda ci rigettò dentro con tutta l’eleganza di una Black reduce da una nottata di bagordi. Cercò di farsi passare dalla mente il ricordo vago di sua cugina che spariva tra i cespugli con Ted Tonks e pregò di aver avuto centinaia, migliaia di allucinazioni, perché altrimenti avrebbe dovuto fare i conti con un discreto numero di fatti imbarazzanti da spiegare.

Dopo aver finito, Dromeda si accasciò ancora di più, chiudendo del tutto gli occhi. In quelle condizioni, era un miracolo che fossero riusciti a Smaterializzarsi senza Spaccarsi. Rabbrividì al pensiero, mentre abbandonava la borsa dal macabro contenuto in un angolo, e si dava da fare per sollevare sua cugina senza causare grossi danni. Fu un’operazione piuttosto complicata, ma alla fine riuscì a metterla a letto, scomposta e vagamente maleodorante. Una volta compiuto il suo dovere, si accorse di avere una fame inspiegabile e assolutamente inconciliabile con lo stato del suo stomaco. Gli tornò in mente il ricordo di un brodino per l’influenza che sua madre faceva preparare a Kreacher… Afferrò la borsa e uscì dalla stanza diretto alle cucine.

 

Nella penombra della cucina vuota non trovò nessun Elfo ad aspettarlo, e la cosa lo indispettì. Si liberò della borsa incastrandola in uno dei lavandini e vagò per la stanza, curiosando nelle dispense alla ricerca di cibo. Non trovò nulla che assomigliasse a qualcosa di caldo e fumante e finì per accontentarsi delle croste di pane abbandonate in un cestino. Sembravano tanto i resti di qualche cena precedente, ma erano commestibili. Nel suo aggirarsi senza senso finì davanti alla finestra. I postumi dei bagordi cominciarono ad affiorare sotto forma di un latente mal di testa e fu per alleviare quel dolore che posò la fronte contro il vetro freddo. Fuori il verde era immenso, un mare che si estendeva oltre i confini del giardino e non aveva orizzonte. Da bambino era stato curiosissimo di scoprire dove finiva tutto, qual era l’ultima staccionata che chiudeva ogni angolo del mondo. Sentiva ancora quella smania addosso, la voglia di salvarsi prima di annegare. Mentre pensava che quella sensazione non se n’era mai andata, due figure scure comparvero ai margini del quadro. Riconobbe la prima senza esitazioni: Bella aveva un suo modo di camminare, in falcate precise che le spianavano la strada. Riuscì a capire chi fosse la persona che l’accompagnava solo quando, fermandosi, uscì dall’ombra di Bella. Era sempre stato convinto che Rodolphus fosse piuttosto brutto e tronfio, e dopo Hogwarts non era cambiato. Immobile, li guardò parlare. Lui agitato, tentava di sorridere, ma non gli riusciva. Lei, un pezzo di marmo bianco piantato per terra, non rispondeva. Rodolphus continuò a farsi più vicino, in un’intimità forzata. Sirius sapeva che Bella non avrebbe gradito. La vide trasformarsi, lentamente; una trasformazione che uno sconosciuto non poteva percepire, riconoscere. Infatti, Rodolphus non capì, e le si strinse addosso, fino a quando, in uno slancio di pura follia, decise di afferrarla per i fianchi e baciarla. Il cestino cadde e le croste di pane si sparpagliarono sul pavimento. Istintivamente, Sirius si ritrovò con i pugni serrati. Rodolphus fu scagliato lontano da un lampo. Ebbe il tempo di vedere la bacchetta di Bella puntata contro di lui, prima di Smaterializzarsi. Lei rimase immobile, gli occhi sbarrati. Restò a guardarla fino a quando la vide voltarsi nella sua direzione.

 

Fuggì dalla cucina, salì le scale senza fare rumore, respirando piano, cercando di non ascoltare la voce nella sua mente. Il dolore alle tempie divenne più intenso. Quando rientrò nella camera di Andromeda, incontrò per caso il proprio riflesso nello specchio: i frutti della sua immotivata rabbia erano ancora lì, appesi alle braccia. Li sciolse lentamente.

Piangeva. Bella piangeva.

 

 

 

 

   
 
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