R ISPOSTE
ALLE RECENSIONI
Ciao a tutti!
Eccomi qui con il
capitolo nuovo, numero 42!
Sarò breve!
Ringrazio subito Saty
per aver recensito il capitolo precedente (mi fa tanto piacere che mi
scrivi sempre qualcosa :)) ,chiunque legge in silenzio e chi inserisce
questa storia tra le Preferite
o Seguite!
Durante il capitolo ho inserito una struggente canzone da ascoltare: si
tratta di “Angel”
di Sarah McLachlan!
Buona lettura e
buon ascolto!
Vi aspetto il mese
prossimo con il capitolo 43!
(18
Febbraio 2012)
MM
42.
F OTOGRAFIE
DI MOMENTI
Agosto scivolò via in fretta, trascinando con sé
ciò che restava del caldo opprimente che aveva
caratterizzato l'estate. L'inizio di settembre rendeva le giornate
più corte ma meglio sopportabili rispetto alle precedenti, e
anche la città sembrava tornare gradualmente alla
normalità dopo il consueto afflusso di turisti.
Dall'ultima conversazione avuta con la madre di Lexie, Faith non aveva
più richiamato in Ohio, presa com'era dai problemi di salute
di zia Becky che continuavano a peggiorare col passare dei giorni.
L'anziana aveva sempre meno energie e la gamba ed il braccio sinistri
andavano lentamente paralizzandosi. Anche la parte sinistra
del viso stava perdendo mobilità, e ciò le faceva
spesso biascicare le parole. Inoltre i suoi sonnellini diventavano
sempre più lunghi e, facendosi assalire dal panico ogni
volta che la sorprendeva con gli occhi chiusi, Faith le si avvicinava,
chiamandola e carezzandole i capelli. Zia Becky li apriva con tutta la
calma del mondo e lei tirava un sospiro di sollievo, ma era tristemente
consapevole che presto non li avrebbe più riaperti.
Provava un tale senso di pietà e smarrimento quando in
silenzio la osservava mangiare, leggere un libro, o guardare il mare, e
desiderava conoscere tutti i suoi pensieri, le sue paure, i suoi
rimorsi, sempre ammesso che ne avesse avuti. Tante volte il suo sguardo
sembrava fissare tutto e niente: lei era lì con il corpo, ma
la sua mente pareva viaggiare per galassie lontane.
La ragazza allora avvertiva una voragine squarciarle il petto, mentre
il cuore e lo stomaco come pugnalati ripetutamente da un gravoso senso
di dolore e di inutilità.
- C'è
qualcosa che posso fare per te, zia?- Le chiedeva senza nascondere la
sua apprensione.
Ed ogni volta la zia rispondeva in tono paziente e materno, mai stanco:
- Resta qui con me, ti va?-
Potevano trascorrere ore intere a farsi compagnia senza pronunciare una
sola parola, semplicemente ascoltando il ritmo regolare dei loro
respiri.
Qualche volta Faith le raccontava di nuove e divertenti situazioni
accadute ad Holly, ma anche vicende del passato che le due amiche
avevano condiviso e che zia Becky non aveva mai sentito. Oppure le
parlava dell'ultima telefonata di Jason, di quanto sentisse la sua
mancanza e non avesse mai desiderato qualcuno vicino in vita sua come
in quel momento così infelicemente unico da quando era
venuta ad abitare a Santa Monica.
Non aveva trovato il coraggio di accennarle di Lexie e di
ciò che era stata in grado di scoprire, un po'
perchè non ne era certa del tutto, malgrado gli indizi lo
confermassero, e un po' perchè, in fondo, rispetto
a quello che stava accadendo, non lo riteneva poi
così importante. L'ultima cosa che Faith voleva era evitare
di dare ulteriori dispiaceri a sua zia parlandole del fratello, anche
se appariva innocente.
Aveva riflettuto spesso negli ultimi tempi a quanto la vita di zia
Becky e quella di suo padre fossero diverse in ogni loro aspetto, ma
entrambe non si potevano dire certo prive di difficoltà.
Stava di nuovo prendendo in considerazione l'idea di tornare in
carcere, almeno per mettere Brian al corrente della situazione fisica
della sorella.
- Zia,-
Esordì una sera a tavola mentre cenavano in veranda - pensi
che... ecco, pensi che papà dovrebbe sapere della tua
malattia?-
Zia Becky smise di mangiare e si asciugò gli angoli della
bocca con il tovagliolo. La luce del sole che tramontava metteva in
risalto i tratti spigolosi del suo viso nascondendo parzialmente le
profonde mezzelune scure che sottolineavano gli occhi. Pareva sempre
più magra: il tumore la stava rapidamente consumando.
Tacque ancora e Faith rimase a fissarla temendo di aver detto qualcosa
che potesse averla ferita. Sentì il rapido pulsare della
propria gola e si diede mentalmente della stupida per averne parlato.
Zia Becky esalò un sospiro di rassegnazione.
- Faith, nel corso
della mia vita ho imparato a capire cosa è giusto dire e
cosa non lo è. Preferisco che tuo padre non sappia niente.-
Rispose risoluta.
La ragazza annuì silenziosamente e riprese a mangiare, in un
sottofondo di grilli, mentre del sole non restava che un vivido
bagliore rossastro a macchiare la sconfinata tristezza dell'oceano.
Settembre fu per Faith un mese emotivamente spossante. Dormiva
pochissimo e le rare volte che riusciva ad addormentarsi gli incubi la
risvegliavano bruscamente rendendo vana ogni possibilità di
riprendere sonno.
Una notte, dopo l'ennesimo brutto sogno, scese dal letto con l'intento
di andare in cucina e rinfrescarsi la gola con un bicchiere
d'acqua. Lanciò distrattamente un'occhiata in giardino e
notò il riflesso di una sagoma bianca accovacciata tra le
radici della grande quercia. Inorridì realizzando che si
trattava di zia Becky. Senza pensarci gettò il bicchiere nel
lavandino e si precipitò fuori sbattendo la porta d'ingresso.
L'aria della notte era fresca e zia Becky indossava solo una vestaglia
leggera.
- Zia!- La
chiamò Faith a gran voce avvicinandosi con il cuore che le
batteva a mille - Che ci fai qui fuori? Sono le due di notte e...-
Sarah
McLachlan “Angel”
http://www.youtube.com/watch?v=Hx4RsCfL_fA
La
zia si voltò osservandola con lo sguardo vuoto, privo di
qualsiasi espressività, ma Faith intuì che dietro
a quegli occhi si celava una paura angosciante. La consapevolezza che
ogni cosa stesse ormai giungendo irrimediabilmente al termine.
Lentamente Faith le si
sedette vicino e le coprì le spalle con un braccio per
tranquillizzarla e riscaldarla. Lei posò la testa sulla sua
spalla e fece un profondo respiro.
- Sono qui, zia, sono
qui.- Le sussurrò con dolcezza.
Dovette faticare parecchio per non scoppiare in singhiozzi
perchè sapeva a malincuore che momenti come quello sarebbero
stati gli ultimi. Si sforzò di catturare ogni singolo ed
insignificante particolare affinché potesse restarle
impresso nella mente e mantenersi inattaccabile al deteriorante passare
del tempo. Le stelle immobili, la luna opaca, il mormorio delle foglie
appena sfiorate dal vento, il rumore uniforme dell'oceano. Ogni cosa
proseguiva nel suo naturale corso, ma per Faith niente era normale. Le
sembrava tutto così irreale e ciò che le restava
e si sentiva di fare era pregare perchè un miracolo
risparmiasse zia Becky dalla morte. Anche se poteva essere
assolutamente illogico credere in una guarigione, Faith non avrebbe
smesso di sperare per il semplice fatto che lei era sua zia e le voleva
un bene inesauribile, che andava oltre ogni immaginazione.
- È finita,
Faith?- Chiese la zia con un filo di voce, quasi ingenuamente.
Faith deglutì sentendo gli occhi inumidirsi.
- Perchè io
non sono ancora pronta per morire.- Continuò zia Becky in un
misto di rassegnazione e speranza di farcela.
Sollevò la testa per guardare la nipote, e Faith
provò un tuffo al cuore.
- No,- La ragazza
scosse la testa - non sei pronta, zia.-
La donna le si strinse al petto e scoppiò a piangere per la
prima volta da quando le venne diagnosticato il tumore.
La settimana seguente zia Becky perse completamente la
sensibilità a tutta la parte sinistra del corpo. Faith
l'aiutava a mangiare e la sorreggeva negli spostamenti
poiché non riusciva più a reggersi in piedi da
sola. Al pomeriggio erano solite sedersi in veranda ed ammirare inerti
l'autunno che assorbiva i caldi colori dell'estate insieme ad una vita
di ricordi che stava terminando.
Faith cercava ogni volta di imprimersi nella memoria il volto della
zia, i precisi lineamenti del suo viso, le labbra scure e tirate, il
naso sottile, gli occhi grigi. Temeva che gli anni ne avrebbero sfocato
il ricordo e si impose di fotografare mentalmente ogni
peculiarità che le apparteneva. Poi però la
malinconia dei giorni passati tornava a farsi sentire e lei si perdeva
tra centinaia di riflessioni.
Quasi inaspettatamente, si scoprì più di una
volta a pensare a Max. Fantasticava su dove si trovasse e cosa stesse
facendo in quel preciso momento, o se il sole che stava tramontando
davanti ai suoi occhi era lo stesso che aveva visto lui poche ore
prima, con gli stessi colori, le medesime forme. Si chiese che effetto
le avrebbe fatto se si fosse ripresentato, e se avrebbe volentieri
intrapreso un qualsiasi discorso con lui ignorando lo strascico
drammatico di tutto ciò che era accaduto tra di loro.
Quell'ultimo periodo aveva cambiato così tante cose della
sua vita che le risultava impossibile chiuderle in una scatola e
fingere che non fossero mai successe.
Come sempre, era Jason ad irrompere nella confusione di quei pensieri,
per mortificarla e farla sentire in colpa per un sentimento che non
riusciva - o non voleva - ammettere e cancellare dal suo cuore. Nella
sua testa tutto era in discordanza, tutto non trovava una soluzione.
Presto sarebbe giunto un momento critico e allora lei non avrebbe
più potuto fuggire. Si trattava di una soluzione che non
doveva essere lasciata in sospeso. Non poteva concedersi quel lusso.
Senza un comprensibile collegamento, tornava ad immaginare come
sarebbero stati gli anni a venire, ponendoli a confronto con quelli
passati, ed idealizzava la vita con la mancanza di zia Becky,
sentendo immediatamente montare la tristezza.
Con l'arrivo di ottobre la malattia si aggravò
ulteriormente. La zia non era più in grado di parlare e di
camminare. Ormai veniva alimentata soltanto di liquidi ed osservava
dalla finestra della sua stanza il mondo tingersi di arancio e di
marrone, mentre i suoi periodi di sonno si erano estesi a buona parte
della giornata.
Nonostante fosse stanca ed emotivamente provata, Faith aveva finito per
accettare la realtà. Si ritrovava a piangere nei momenti e
nelle situazioni più impensati, ma si obbligava a non
ostentare la sua afflizione davanti alla zia. Era giusto che lei
vivesse con assoluta tranquillità ed apparente
normalità ciò che restava del suo tempo.
Tenuti informati da Faith, Holly e Chris vennero a far visita
all'anziana in uno degli ultimi giorni. Desideravano poterla salutare,
ma alla fine solo Chris trovò il coraggio di entrare nella
stanza dove ormai la zia trascorreva tutto il tempo distesa a letto.
Per Holly fu più difficile. La conosceva da troppo tempo e
questo le impedì di avere la forza di dirle addio.
In procinto di aprire
la porta ed entrare, un tormentato ed indomabile dolore le strinse lo
stomaco. Si voltò per tornare in cucina e subito si
bloccò. Immobile con le braccia conserte, Faith stava in
piedi, appoggiata alla colonna, e la osservava. Senza dire nulla,
l'abbracciò stretta e Holly scoppiò in lacrime.
- Non posso,
Faith.- Disse piano tra i singhiozzi - Non ce la faccio.-
Dopo un lungo momento, Faith si staccò da lei e, con gli
occhi velati, le sorrise mestamente asciugandole una lacrima con il
pollice.
- Non preoccuparti,
Holly.-
- Non voglio
ricordarla così.- Mormorò l'amica quasi a volersi
giustificare.
- Vieni qui.- Le
sussurrò Faith stringendola di nuovo tra le braccia.
L'abbraccio così intimo e sincero di Faith fece liberare la
ragazza di tutte le emozioni che albergavano nella sua testa e nella
sua anima. Le due amiche piansero insieme, delineate nella sottile
striscia di luce, nel familiare e rassicurante silenzio della casa, nel
ticchettare monotono dell'orologio. Nella vita che proseguiva felice
soltanto nei ricordi.
Al termine di quella giornata, Faith ricevette una telefonata.
Ciò che Lexie aveva da dirle non la sorprese, anzi, non fece
che confermare i suoi sospetti: Larry Brice era l'unico colpevole
dell'incidente. Lexie le assicurò che avrebbe fatto
qualsiasi cosa perchè Brian venisse scarcerato.
Da tanto tempo la ragazza avrebbe voluto sentirsi dire quelle parole,
ma in quel momento non le regalarono alcuna soddisfazione, tanto meno
felicità. Erano in totale disaccordo con la sua
realtà.