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Autore: Eloise_Hawkins    20/01/2012    1 recensioni
Una raccolta di ricordi che si snoda tra le pagine di una vita vissuta con tenacia e affetto. Un'accozzaglia di giorni che narra di una crescita delicata, felice, a tratti sofferta, ma tutto sommato serena. Tra risate e coccole, tra lacrime e dolori, si svolge la vita di Chiara, la protagonista di questa storia, che con un sorriso a volte dolce, a volte amaro, racconta la vita che i suoi genitori le hanno regalato, l'affetto che la sua famiglia le ha donato, il sorriso che ha faticosamente costruito. Sempre all'insegna dell'amore, e del forte legame famigliare che Cinzia e Mauro hanno saputo creare.
A mio padre, che col suo sguardo mi ha insegnato il mondo.
A mia madre, perché nei suoi occhi ho imparato la fantasia.
A mia nonna, perché attraverso i suoi racconti ho capito la vita.
Ai miei folletti, Renata e Irene, che mi hanno tenuto per mano fino ad oggi, in questo girotondo chiamato vita
.
Questa storia si è classificata prima al contest "L'alfabeto dei ricordi", indetto da Angy Lulu sul forum di Efp.
Genere: Fluff, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Thanks for the memories'
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U come Ulisse

 

Tredici anni – Un impatto con la vita

 

 

Respirava debolmente. Il suo petto si alzava e si abbassava dolcemente, al ritmo dei suoi sospiri. Aveva la bocca socchiusa, e le palpebre adagiate sui globi oculari. Steso in quel letto, mi sembrava incredibilmente piccolo e fragile. La sua pelle era così sottile che potevo vedere il disegno di vene e capillari al di sotto di quella carne così debole.

Non avevo mai avuto un rapporto forte come quello di Renata, con mio nonno, ma vederlo lì, in quelle condizioni, mi svuotò di ogni sensazione.

Mia nonna vegliava su di lui come una Penelope che aspetta il ritorno del suo Ulisse: i suoi occhi, mentre lo guardava, erano pieni di un amore mai represso, e di un dolore talmente evidente che mi si spezzò il cuore a fissarla. Lei, però, a differenza di Penelope, sapeva che lui non sarebbe tornato; lo sapeva da molto prima, quando il Parkinson l’aveva portato in un’altra dimensione a noi estranea, e ne aveva la conferma ora, mentre lo guardava andar via, lentamente.

Mia madre teneva la mano di suo padre, carezzandone il dorso col pollice, e io mi sentii improvvisamente una spia che scrutava un’intima scena famigliare con cui non aveva nulla a che fare. Voltai le spalle a quel quadretto così triste e dolce al tempo stesso, e percorsi il lungo corridoio di casa di mia nonna in silenzio, con la testa china e gli occhi lucidi, consapevole che presto sarebbe arrivata la fine, e che mi sarei dovuta abituare all’idea di vivere senza di lui. L’idea mi spaventava e intristiva al tempo stesso, eppure non riuscivo ancora a sentire il dolore invadere ogni cellula del mio essere.

Quando sentii dietro di me i passi di mia madre mi voltai. Lei lo sentiva, il dolore, lo si vedeva dalle lacrime che le scivolavano lungo le guance. Mi guardò negli occhi per un breve istante, poi, in silenzio, mi scortò fino alla porta di casa.

Prima di aprire, scoppiò.

 

«A cosa stai pensando?» La sua voce tremava, ed era talmente incontrollata che, senza rendersene conto, urlò. Mi afferrò per le spalle, e mi strattonò forte, e io mi sentii una marionetta in balia di un bimbo capriccioso e poco gentile. Avrei avuto paura di lei, se in quel momento non mi fosse sembrata tanto fragile da potersi spezzare al primo soffio di vento. Mi sentii cera, tra le sue mani di fuoco, e mi sciolsi in lacrime come lei. Mentre lei piangeva, singhiozzando forte, io la abbracciai.

Il momento in cui vedi piangere uno dei tuoi genitori, è il momento in cui per la prima volta ti affacci alla vita e abbandoni le braccia sicure dell’infanzia per venire lanciato nell’universo più complicato e sconosciuto dell’adolescenza. Vedere piangere un genitore significa spezzare un legame.

Mia madre è sempre stata la donna forte dai nervi d’acciaio. Quel giorno, quando la vidi piangere, si spezzò qualcosa dentro di me. Vidi la fragile donna che si nascondeva dietro la forza di madre, la ragazzina sensibile che lei aveva sempre cercato di tenere nascosta perché una madre deve consolare, non essere consolata. Quel giorno, non riuscii a dire né fare niente. La vidi, e rimasi lì a guardarla versare lacrime di dolore, senza che potessi fare niente per fermarle. Guardavo la sua disfatta, la vedevo crollare davanti a me, e non riuscivo a pensare alla sua sofferenza: non era più mia madre, e questo mi faceva uno strano effetto. Smisi di considerarla sotto la prospettiva di genitore, e cominciai a vederla come la donna che era, fragile e insicura, con i suoi dolori e le sue sconfitte. Mi ero appena scontrata con la vita, conoscendo la morte; e per la prima volta mi resi conto che lei non era intoccabile; che non mi avrebbe potuto protegger per sempre, se lei per prima non sapeva proteggere se stessa.

Quello fu il momento in cui diventai una donna.

 

   
 
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